09 dicembre, 2014

Luccica.

Ne sto mettendo ovunque.
E' tutto un luccicare, un brillare, uno sfavillare.
Ho ricoperto vasi di vetro e terracotta, giro armata, con la pistola della colla a caldo, individuo la mia preda e giù di brilli.
Ho illuminato l'illuminabile, fatto magheggi impossibili con prese e prolunghe, tende di stelle e luci da esterno.
Ho riesumato vecchi fili argentati dell'albero, inutilizzati da un bel pò, e con essì ho avvolto vasetti e vasoni.
Più che una casa, il Circo Orfei.

Nell'armadio, ho cercato le cose più lucenti, e le ho impilate per bene, sono belle anche solo da guardare, si mettono solo in questo periodo dell'anno, quando nessuno fa caso se sei agghindata da Holiday on Ice, dopotutto, è festa tutti i giorni.

Voglio che sia così.
Mi piace, e sia.

Voglio che sia tutto sfavillante e luccichi, voglio solo brillantini e glitter, almeno per un pò, fino a quando non ne avrò la nausea.

Voglio che tutto brilli, voglio la luce, nonostante la tempesta di vento e di acqua che si è abbattuta questa mattina sulla collina, voglio che ogni cosa sia illuminata.
E io, con lei.

Mi tuffo con incoscienza in questi giorni di attesa e meraviglia, mi preparo al niente, probabilmente, ma non importa, non sarà la meta ma il viaggio, ne faccio una filosofia di vita, ancora una volta.

Perciò, mi diverto, gioco, ballo Greygoose in accappatoio con mia figlia, scrivo messaggi sui vetri appannati, lascio bigliettini, faccio telefonate lunghissime e piene di progetti e di cose belle, stilo menù impossibili, non so nemmeno quanti saremo, e che importa, alla fine.

Amo i miei giorni luccicanti,  sono una delle cose su cui posso contare, oltre a me, alla mia voglia di cose che brillano, di luci intermittenti, di lustrini e di paillettes.

Mi illumino da sola di queste piccole gioie inutili ma preziose, non c'è angolo di questa casa che non abbia una candela, una pallina, un rametto di pino.

Felice di essere così, oggi, vanesia e brillante, un pò oca e molto incosciente, il buio è sempre in agguato ma si combatte, nessun buio al mondo mai resiste agli attacchi di sorrisi grossi così e canzoni urlate la mattina presto, sono il Generale dell'esercito dei Brilli, ho un piano perfetto per sconfiggere la malinconia, guarire la tosse e imparare a sognare.

Tornare, a sognare.

05 dicembre, 2014

Lento Natale.

Forse, un pochino occorrerà sforzarsi.
A me, Natale piace.
Non i giorni immediatamente prima, pieni di affanni, pieni di gente che corre, che si danna e si lamenta. Non è questo, il mio Natale.

A me, piace il Natale lento quello che dici BehC'èAncoraTempo, e che fai una lista delle cose da fare, dacchè da qualche anno in qua, ti punge vaghezza di farli da sola, i regali di Natale, siano essi maglioni complicatissimi, sciarpe e calzettoni per figlioli recalcitranti e bellissimi, scialli per Principesse Psichedeliche, cose del genere.

IL LentoNatale è quello che comincia nel week end dell'Immacolata, e cioè questo qui.

Che ti fa cercare le scatole delle palline, comprare autostrade di tulle, e quest'anno sarà rosso, è deciso, che ti fa guardare la gonna coi lustrini  e già pensa a quale festa la metterai,  che ti fa sgombrare il lato del divano dove stazionerà l'albero, quest'anno a grande richiesta l'AlberoZen tornerà a far bella mostra di sè coi suoi rami secchi, pochi addobbi e tante luci. Mi piace pensare che venga da Spargi, ma potrebbe venire anche da Budelli, per dire. E' lì vicino che l'ho trovato, ed è da lì che l'ho portato a casa, fin qui, in continente.

Il LentoNatale si srotolerà con grazia, con qualche piccolo accorgimento, con qualche minimo trucco per non scivolare, suole di gomma su ghiaccio, catene sulla neve, maglioni pesanti contro il freddo.

Resisterò.
Agli attacchi di malinconia, alla tristezza sottile e improvvisa, alle volte che mi sembra che la strada sia troppo ghiacciata e non so andare nè avanti nè indietro, come quella volta sugli sci, bloccata dal vento freddo, dalla paura, da un inizio di tempesta e io lì, ferma, a non sapere cosa fare, se scendere o restare, ma restare dove.

Rivoglio giorni belli e normali, voglio un bel sentirmi e un sentirmi bene, rivoglio i miei occhi che ridono e che non ho più, rivoglio dormire senza svegliarmi fino al mattino. Voglio ritrovare la bellezza nelle cose, la piccolissima gioia di un bel buongiorno, di un  bel momento solo per me.

Il LentoNatale mi aiuterà.
Bevo a piccolissimi sorsi questi giorni di ProvaGeneraleDiFelicità, ci soffio sopra come si fa con la cioccolata bollente, e poi passerò col dito sul bordo della tazza per non perderne nemmeno un pochino, nessuno può frapposrsi fra me e il mio stare bene, nessuno è più felice di chi vuol esserlo davvero, dove ho messo i miei occhi che ridono, adesso li trovo.




01 dicembre, 2014

RossoDicembre


Che più rosso non si può.
Ho deciso di farmi piacere questi giorni, ho deciso di avere giorni che mi piacciono, ho deciso di piacermi nei giorni che ho.

E' bello quando inizia dicembre, è un mese pieno di luce e di cose belle, è un mese dove è proprio vietato avere il muso, fare questioni di principio, essere noiosi.

Ho deciso che il mio dicembre sarà rossissimo, rosso è il colore delle feste e di feste, a partire da oggi, ce n'è una ogni giorno.
E se non c'è, me la invento.

Una specie di Calendario dell'Avvento personale, ogni giorno una cosa bella, ogni giorno un bel pensiero, un bel sorriso, un NonImporta quando serve, un NonM'Importa che non è la stessa cosa.

Rosso, quindi
E rosso sarà l'albero di Natale, che è al vaglio del Comitato Addobbi Natalizi di questa casa, che è composto da una sola persona, che sono io.
E rossa sarà la tovaglia di oggi.
E rosse anche le lenzuola, già che ci sono.
E rossa la tisana della sera, quella prima di dormire, che è bello soffiarci sopra e pensare a domani.
                                                       ph. www.bakingmagique.com

Rosso sarà questo dicembre.
E una marea di cose da fare. Tutte bellissime.
Le Luci d'Artista che mi aspettano a Torino, tante feste e tanta ggente, e le feste di qui, i ritorni in questa casa che quest'anno hanno un sapore diverso, li coloriamo di rosso che è il colore della festa, del calore, del CheBelloCheSeiQui.

Rosso, un vestito scintillante, una gonna cortissima e ballerine per volare, e tacchi impossibili per guardare le cose da un'altra prospettiva, rosso come il rossetto più sfacciato, rosso come la sciarpa rossa che luccica anche con la nebbia, rosso, che magari mi taglio i capelli, rosso come il fuoco del camino, come i nastri dei regali.


Sarà un bel dicembre.
Sarà buono con me.
La sarò con lui.
La sono sempre stata.


28 novembre, 2014

Voglio che nevichi.

Sì, vorrei.
Vorrei la neve.
Vorrei guardarla cadere in fiocchi grossissimi, o fine, finissima, di quella che ne mette giù quintali.
La guarderei dalla finestra di sopra, è il posto più bello, per guardare la neve che cade.

O dal divano, spostando le tende che danno sui ciclamini bianchi, e allora, forse non si distinguerebbero i fiocchi di neve dai ciclamini, bianco su bianco, purezza su purezza, mi piace il bianco d'inverno, farò bianco anche l'albero di Natale, qui nessuno ha mai voglia di aiutarmi a fare niente, per Natale, faccio tutto io, monto, smonto, trascino, scarto statuine di babbinatale avvolte nei giornali dell'anno prima, o nella carta con le bolle,  e presepi inusuali, e alla fine è tutto bello, sì, ma restano sul pavimento cartacce e cose e polvere, e ci vuole un'ora buona a sistemare tutto.

Lo farò presto.
Vorrei la neve a coprire tutto il Pratino, tutto il Ciliegio e tutta la Regia Salvia, che è un cespuglio enorme profumato di buono. La accarezzo quando ci passo, come faccio col basilico. Il suo profumo dura pochissimo sulle mani ma che meraviglia è mai, il profumo della salvia.

C'è una me che non si arrende, c'è una me che va avanti dritta e sorride, anche sa a volte è talmente difficile, c'è una me che si racconta delle cose belle, per riuscire a stare in piedi, che sposta mobili come un facchino, poi guarda esausta il risultato e pensa Beh, Era Meglio Prima.

Ma  MeglioPrima non lo è mai.

Sono più belli i verbi al futuro, sono un bel gioco di accenti, hanno un bel suono come di musica, sarà bello domani, sarà bello quello che verrà, sarà più lucido tutto, sarà più bianca la neve, saranno più belli i ciclamini del davanzale, ho imparato a fare i boule de neige ,e  se non scenderà sul serio, potrò sempre fare finta e guardarla da lì.
Ci metto anche i brilli, così la mia neve sarà più luccicante e potrò guardarla quando vorrò, dove vorrò, tutte le volte che vorrò.

Prendete il quaderno a righe, oggi, studiamo i verbi al futuro.











24 novembre, 2014

Vanno via.

Non succedeva da tanto.
Tutti i figli meno uno, meno quello che ha deciso di andare dall'altra parte del mondo, a trovare cosa, chissà.
Tutti i figli qui.
Che significa apparecchiare la colazione con la tovaglia lunga, e scegliere le tazze giuste, a lui piace questa, a lui quell'altra, e i biscotti giusti, la torta che piace a tutti, e i fiori, anche, quelli sempre, mescolando ortensie del giardino seccate e rose belle dell'Esselunga.

Significa avere quasi tutte le stanze occupate, e molti letti disfatti, e corse sulle scale, e un'aria di festa, e tonnellate di fusilli, e provare sensazioni strane, abituandosi a piccole attenzioni mai avute fino ad ora, ma come, sono loro che dicono a me Non Preoccuparti Faccio Io? Da quando.

Significa usare la pentola grande, significa mettere i fiocchi ai tovaglioli, dacchè quando è festa, si usano quelli veri.

Siamo tutti, siamo stati tutti per un pò, un piccolo esercito di uomini e donne, forti i primi, coccolatissime noi, io e la Princi, abbiamo avuto una sera bellissima, io e lei da sole, una sera perfetta che nemmeno c'era la nebbia, e abbiamo cantato fino a farci andare via la voce, anche il giorno dopo. E loro, i maschi, artefici di tutto questo,  ad abbracciarci con lo sguardo, a scuotere la testa ma un pò felici anche loro, non di solo stadio, alla fine, è così che deve essere. 
Così sia.

Vanno via, però.
E i giorni belli finiscono, finiscono sempre e troppo veloci, e il lunedì mattina, questo di più,  è un delirio di zaini e valigie, e treni e aerei e orari e incastri,  e torneranno chissà quando, ancora tutti come ora, ora che risate in cucina, come quando li portavo tutti a scuola, ora che Sbrigatevi, è Tardi.  Ora, sono loro a dirlo a me.

Vanno via.
Ed è giusto e normale, ma normale e giusto non lo è mai, se un attimo prima c'è la rivoluzione,  e un attimo dopo un silenzio che schiaccia e un magone improvviso e leggero, appena prima di chiudere la porta.
 Passerà un mese, forse di più, forse meno, sarà Natale e ancora e ancora, e mi abituerò a  questi figli grandi che dicono Faccio Io, Cucino Io, Lo Prendo Io, grandi, troppo, un pò sorpresi che la piccola di casa prenda la patente fra pochi mesi, Ma Come, Quella Con Le Trecce e il Vestitino di Velluto?

 Figli belli come solo i figli sanno essere, belli sempre, appena svegli, quando ancora me li mangio di baci appena scendono giù e faccio un pò la scema per non sentire magoni e nostalgie, nostalgie di quella vita che è stata e che si è trasformata in un'altra, più grande, diversa, non so, malinconie sottili che si sentono appena, ma che anche loro, come loro, alla fine, vanno via.


18 novembre, 2014

Scelgo.

Di farmi una maglia beige, che la voglio da un sacco e non ci riesco mai.
Scelgo di uscire.
Dalla galleria infinita di tristezze e ansie,  dove mi sono infilata non so come, io mi perdo ovunque, mi perderò anche domani con le mie Amiche, lo so già, nella lunga strada verso Biella, che mai una volta è uguale alla precedente, mai, mai una volta.

Scelgo di mescolare con calma i pensieri, di frullarli un pochino, di passarli nel KitchenAid e ridurli in poltiglia, anzi no, in una bella crema rosa, da decorarci i cupcake.

Scelgo di scioglierli, come si fa con l'Aspririna, io muoio se prendo l'Aspirina, ma mi piace da matti guardarla che si scioglie nel bicchiere, e fa tutte quelle bollicine, e quel bel rumore, ssshhhwwrrrrr. sssshhhhwwwrrrrr, e allora, se non posso prendere l'Aspirina, prendo il Supradyn, che l'effetto è uguale.

Scelgo di aspettare, di stare a guardare, scelgo di fare cose belle che mi fanno sorridere, scelgo di guardare fuori e dire C'è Il Sole, anche se si fa fatica a vederlo, dopo tanta pioggia, dopo tanto fango, dopo tutto quello scrosciare e battere sui vetri.

Scelgo di fare così, ho in testa un maglione beige che voglio da un secolo, tonnellate di vitamine da sciogliere in un bicchiere, non so bene che strada prendere, non lo so mai, nessuno lo sa mai, è tutto un provare, tutto uno scommettere, sarà giusto o non lo sarà, nessuno che ti dica Guarda, Fai Così Che è Giusto, come l'Emanuela che mi suggeriva il compito di matematica, scelgo di sbagliare sempre, scelgo di sbagliarmi e divertirmi, scelgo di riderci di gusto, sopra  tutte le cose che ho sbagliato e ancora sbaglierò, ne ho una collezione che non finirò mai, e allora brindo, brindo alle tristezze, agli sbagli, alle ansie e a me, brindo  col Supradyn, senti che bel rumore.



12 novembre, 2014

Rouge.


E' tempo di frivolezze, lassù nella Casa in Collina.
Ci si fa una sorta di piccola, piccolissima violenza, si cerca di concentrarsi su cose stupide, sciocche, vuote, vanesie e, appunto, frivole.
Ogni tanto, fanno bene al cuore.
Curano, perlopiù.

Le frivolezze medicano ogni sorta di male, le incomprensioni, gli  Io Ho Detto e Invece Tu Hai Detto, sigillano per sempre buste da buttare via, nemmeno nel cestino della carta, ma nell'indifferenziato, così si ha l'idea di averle  buttate più lontano e per sempre. Le leggerezze sbiadiscono paroloni e frasi ad effetto, ripicche, musi, atteggiamenti, offese, piccole ferite. Anche grandi, solo, ci vuole un pò più di tempo. 
Le parole taglienti fanno male, malissimo, bruciano un sacco come quando ti tagli con la carta, o sbucciando la mela, sembra cosa da nulla e invece fa male.

Serve perciò un piano d'attacco.

Ci si è ritagliati il tempo giusto, a metà mattina, per leggere i giornali, tutti, per vedere se si trovava da qualche parte online quella lana grossissima per il cappello con le orecchie, richiesto d'ufficio dall PrinciOcchidiMare.

La vera essenza del frivolo, però, è data dallo scegliere con cura il colore del prossimo smalto, indecisa se Rouge Carat, Rouge Rubis o Rouge Fatal, non è cosa da poco coglierne le sfumature, e poi, con dei nomi così belli, una se li comprerebbe proprio tutti, per il solo gusto di vederli lì, sul ripiano del bagno, o sul comodino, di bearsi degli astucci chiccosissimi neri e oro, o di provarli, con religiosa dedizione, appena dopo aver sparecchiato, caricato la lavastoviglie e rassettato la cucina, in quel momento perfetto che va dalle 14 alle 14,20.
Ci si siede un pò storte sulla sedia capotavola, non il mio posto ma la stessa del caffè di metà mattina, in piena luce e si dà il via alla prova. Meglio se con la Princi, c'è più gusto.

Si raccolgono briciole e sentimenti stropicciati, come un pacchetto di crackers dimenticati in fondo allo zaino.

Passerà, perchè passa tutto, e le discussioni e le divergenze si appianeranno, si aggiustano sempre, a un prezzo, certo, ma le cose si stirano sempre, una strada si trova sempre, che porti vicino, che porti lontano, che non porti da nessuna parte al mondo, ma un sentiero c'è sempre, fosse un viottolo di sassi che porta in cima a una montagna, fosse la stradina che da lì vedi il mare, fosse il vicolo di fango che lo attraversi e sei nel bosco.

Sia bosco o mare, sia sassi o sabbia, non mi son persa mai, non mi perdo nemmeno ora.

Rouge Fatal. Ho scelto.






09 novembre, 2014

Viaggio Sola.


Scapigliata.
Ingarbugliata.
Come quando un gomitolo arriva, non so come, fra le zampe di uno dei gatti che abitano la Casa in Collina. Che sono tre, alla data.
Spettinata.
Le domeniche di novembre non è che siano il massimo della vita, di solito.
Oggi, meno del solito.
Pensierosa, mi farò coccolare dal divano, leggerò fino a che mi faranno male gli occhi, è uno dei modi che conosco per non pensare a niente, leggo e scrivo, scrivo e leggo, scrivo e leggo e faccio la maglia, solo che a fare a maglia i pensieri te li ritrovi tutti ancora lì, punto dopo punto, aumento dopo aumento, ferro dopo ferro, e allora non è tanto terapeutico in domeniche come questa.

Oppure, mi trasporto da un'altra parte, vado a Parigi domani, adesso, fra mezz'ora, prendo un maglione e lo spazzolino, a Parigi ci si va da sole, quando si va con la testa e basta, testa che non si deve perdere, per così poco, poi, che testa vuoi perdere mai.

Così, quando si scappa per finta, ci si ritrova subito al Charles de Gaulle, e poi sulla metro e si arriva da qualche parte, ci si balocca un pomeriggio intero a Place del Vosges, si cercano vetrine scintillanti e piccoli negozi nascosti, e bancarelle di libri, e chioschi di fiori e poi il Flore, ma quanto la meno con 'sto Flore,  il Flore che amo così tanto e ci sono stata una volta soltanto, ho già sul tavolino di giunco  il mio cafè au lait nella tazzina spessa,  e so che la prossima volta sarà speciale, quella vera, intendo, al Flore ci sono stata milioni di altre volte col pensiero, leggendo quel libro che so quasi a memoria, in italiano e in francese, ci sono stata con l'anima, col cuore, coi pensieri, quando avevo voglia di andare via da qui, quando avevo voglia di andare via dagli altri, via da tutti e via da me.

Ci vado oggi, via da tutti.
Ho già la carta d'imbarco, sono già lì che guardo giù, dall'aereo intendo, e del resto, di tutto il resto non me ne importa un bel niente. O quasi.

Così, Parigi aspettami, arrivo fra mezz'ora, i viaggi più belli che so li ho fatti col pensiero, che chiudo gli occhi e sono dove ne ho voglia, come ne ho voglia, ma poi li riapro e sono ancora qui, sul divano, scapigliata come mai, arruffata, vestita a caso, con le calze diverse perchè non ne ho trovate due uguali nel cassetto,  a tratti un pò felice e a tratti molto meno, e fuori non ci sono i tetti di Parigi e il Flore ma i gerani quasi morti e un cielo che fa schifo, scrivo e leggo, leggo e scrivo, ma alla fine, i pensieri che non vuoi mica se ne vanno via così.








06 novembre, 2014

Vivace.


Questi giorni, ancora non li ho capiti.
Non che mi sforzi.
Di solito, capisco le cose abbastanza in fretta, al volo, la mia maestra delle elementari, quando ci andò a parlare,  disse a mia madre che avevo un'intelligenza vivace. Tornò e lo disse a tavola. Si guardarono tutti sbigottiti.
Intelligente è intelligente, si leggeva nelle facce, ma quel vivace rovinava un pò tutto.

Non sono migliorata, mi sa, con gli anni.
E forse, sono rimasta solo vivace. E basta.

Sono giorni che, messi in fila sembrano belli. Presi ad uno ad uno sono uno sfacelo.
Inconcludente, ciarliera, distratta, ho tremila progetti e ne ho finiti solo due, il tavolo ingombro di fili, bottoni, fogli e penne, stilografiche e matite, e gomme, per cancellare, non mi piaceva scrivere a matita, adesso invece, che ne ho comprate manciate di tutti i colori possibili, invece, mi piace.
Volubile che sei.

Sono giorni che dovrei rimettere mano all'armadio, ho cominciato il lavoro improbo del cambio di stagione con largo anticipo, per far la figa, per dire, lo faccio in pochissimo, che ci vuole, in fondo, siamo quattro gatti, stavolta.
Non ho fatto bene i conti.
Non ho fatto bene i conti con me.
Che non sopporto sistemare, mettere ordine, o meglio sì, ci sono volte che mi acchiappa e sistemo cassetti e dispense e ripiani e tavoli, e dopo pochissimo sono di nuovo distrutti dal disordine, dalle cose impilate, dai libri, dai foglietti. Da me.

Cerco di finire i progetti che ho, quelli sui ferri, quelli della tovaglia di Natale, che viaggerà arrotolata verso una casa diversa da questa, e che là sarà usata, per la prima volta, chissà.
Sono giorni che, a disegnarli, non saprei da dove cominciare, se prendere i pastelli o no, il cielo non promette nulla di esaltante, nemmeno ad impegnarsi, e chi come me è Campione Mondiale di Azzurro Oltre la Nebbia, sa che fatica, in giorni così.

Mi ostino.
Resisto.
Vedremo.

Farò di questi giorni, giorni che si possano colorare a piacimento, come Roselline di terza, il più difficile, quello senza i quadretti.
Dell'ordine, vedrò di non farmene importare nulla.
La mia intelligenza vivace mi fa trovare il maglione che cerco anche sotto tonnellate di altri maglioni.
E una volta trovato, sentirmi felice e fiera  e ridermi da sola nello specchio.

L'armadio resta com'è.
Tempero i miei pastelli e mi metto a disegnare.
Noi vivaci, siam fatti così. 









31 ottobre, 2014

Faccio la brava.

Che ancora devo capire cosa significa, Fai la Brava.
Me lo dicevano sempre, mia madre, mia nonna, soprattutto lei. Sii buona, Stai brava. Fai la brava.
Non so se ci sono stata mai, brava.
Non so se la sono diventata, buona,
E qualora, non so se ci voglio rimanere, buona. Buona e scema.

Faccio la brava.
Cammino come in equilibrio, su una fune, soffro di vertigini già al quinto piano, ho abitato al nono, sono stata all'ottantacinquesimo e non so come faccio ad essere ancora viva.
Faccio la brava.
Scanso con cura le cose che mi fanno del male, eppure mi capitano sempre addosso, come la grandine, come il riso agli sposi, io non l'ho voluto, il riso, avevo già un bel pò di figlioli da guardare fuori dal Municipio, mancava solo il riso.

Faccio la brava.
Mi tengo le cose che ho, mi tengo strette le cose che ho trovato, come i sassolini verdi della spiaggia, quelli che sembrano smeraldi e invece non lo sono.
Non so se ho imparato a fare la brava, ho cercato sempre di esserlo, ho fatto degli sforzi enormi, ho cercato sempre di essere sì come sono ma anche un pò come gli altri volevano che io fossi.
Un pò ci sono riuscita, un pò no.

Faccio la brava, non che se ne abbiano grandi vantaggi, nonostante si cammini in bilico, sulle punte come le ballerine, attenta a schivare, non sfiorare, come per rubare il Topkapi, a non interferire con i raggi infrarossi, che sono le persone assurde che ti capitano sulla strada, ma non è che sono tutte così, a volte, sulla tua strada ci capitano delle persone graziose e carine, persino piacevoli, ogni tanto. Raramente. Ma ci sono.
e me le tengo.
le altre, un calcio nel culo.
Gli stessi che danno a me, spesso.

Faccio di questi giorni dei giorni di lezione.
Imparo, faccio i compiti, faccio la lista delle cose che si fanno e di quelle che non si fanno, mi invento giorni nuovissimi, oggi, una torta a forma di zucca, per una festa.
Ho pensieri lontano, mediamente lontano, vicino e vicinissimo.
Li tengo lì, li guardo come si guarda un nemico, con la faccia di quando sali le scale del dentista. 
Ma imparo.

Imparo e basta.
Scrivo sul quaderno a quadretti, che tengo ordinato e senza pieghine, raccolgo sassi colorati, sono così brava da trasformarli in smeraldi purissimi, mi tengo insieme come posso, come riesco, come so, schivo i raggi, cerco di sorridere, salgo in alto e non guardo giù, se no, mi vengono i brividi e batto i denti, così, come al PoloNord, come nei film dove hanno i ghiacciolini anche sulle ciglia.

Sarò brava, farò la brava nei i miei giorni nuovi con  la nebbia che avvolge il sole, il sole che sembra non esserci e invece c'è, faccio la brava, non ho scelta ma mi piace, in fondo.
Il dentista, invece, no. 



27 ottobre, 2014

La Leggenda delle Rose Distratte.


Che strani esseri, erano, le rose.
Boccioli un giorno, profumatissime subito dopo, e poi gambi spelacchiati, pioggia di petali, triste cambio di colore dal rosa confetto al giallo polveroso di muffa.

Le Rose Distratte vivevano nella vigna accanto al Prato Grande, da sempre la VignaDiGioia.
Crescevano in due cespugli, fra le foglie rosse e i filari, quell'anno nessuno si era preso la briga di cogliere l'uva che c'era e che adesso era ancora lì. Colorate e perfette, illuminate dal sole stanco di quello strano ottobre, fa caldo, non lo fa, sarà un lungo inverno, rigido e freddissimo, ma chi può dirlo, alla fine.

Le Rose Distratte non si curavano di nulla e di nessuno.
Non che fossero una gran bellezza, nessuno le curava, altro che trattamenti e pidocchi e vitamine, e fertilizzanti, le Rose Distratte si erano fatte da sole.
Però, avevano fascino.
Le potevi scorgere all'improvviso, appena fuori dalla porta, scendendo la piccola discesa, prima di arrivare al Grano. Ci sono posti che non hanno nome, ma che alla fine un nome ce l'hanno eccome, il Prato Grande, il Noce Saggio, il Grano. Corro Fino al Grano, era stato un obiettivo raggiunto quell'estate sciocca, passata, per fortuna, e arrivare al Grano significava fermarsi a prender fiato, ad allacciarsi le scarpe con una scusa. Dal Grano si può vedere tutta la Collina Dietro ed è bello perdersi nei suoi colori, in qualunque stagione. I colori, sono tutti belli, se li riesci a vedere bene.

Così, quel pomeriggio, fu un trionfo di Rose Distratte.
Vennero colte con cura, misurati per bene i gambi, e sistemati con apparente noncuranza in un vaso di vetro, sul camino.

Da quel momento, l'Incantesimo delle Rose Distratte, sprigionò tutti i suoi effetti, i più miracolosi, i più meravigliosi effetti mai perpetrati da pochi bocciòli di rose selvatiche.

Si era dormito poco nei giorni indietro, c'erano stati brividi di paura, di freddo, di influenza o tutto insieme, chi lo sa, e a nulla era servito aggiungere un'altra coperta, di quelle pesante, non quelle ridicole che si consigliano sul divano.

Da quel momento, più nulla.
Il profumo delle Rose Distratte, nella cucina grande piena di colori, si era sovrapposto a quello della torta, del detersivo per i piatti e del pollo arrosto dell'Esselunga, che era stato pranzo provvidenziale per la formazione ridotta lassù, nella Casa in Collina.

Fu tutto meglio.
Più colorato, più ordinato e profumato, più bello.
I nonostante c'erano ancora tutti, e non si parlava di glicini, certo che no, ma quel giorno si decise di lasciarli stare, per un pò, di sorridere molto, di far finta di nulla, di dire più spesso NonFaNiente, che niente non fa mai, ma alla fine, a ripeterlo, un pochino aiuta.

Quella sera prometteva un bel tramonto, dei colori da ricordarsi per un pò, il buio dolce che la bistrattata ora solare regalava a tutti. 
Si mise in prima fila, per non perdersi lo spettacolo.

L'Incantesimo delle Rose Distratte non sarebbe durato a lungo.
Occorreva far presto.

23 ottobre, 2014

Aspetto.


arriverà il freddo.
quello da tre maglioni, le calze a righe pesanti, la sciarpa avvoltolata, gli occhiali che si appannano appena entri in casa. 
Il freddo vero, quello che ti gela i pensieri appena apri la finestra, quello del piumone fin sopra agli occhi, quello del thè al pomeriggio, per berlo, sì, ma anche per sentirne il profumo, il calore, abbracciando la tazza con la mano.

Che arrivi.
Vengo da 30 gradi e sole a picco, ma questo freddo non mi fa paura.
Anzi.
Ho una scorta di calze colorate da perdere la testa, le ho fatte io, Come, Fai La Calza? Eccerto, pochissimi al mondo sanno quanto è cool farsi le calze da sè.
Ho pronti sciarpe, e cappelli buffi, maglioni pesanti, copertine leggere da tenere vicino, da aggiungere se per caso, e il caso lo è spesso, magari quando è appena chiaro, e guardi fuori, controlli che ancora ci sia tempo per stare lì, e immagini in freddo fuori e pensi Ancora Cinque Minuti, e allora che siano cinque minuti regali, con un'altra coperta, così.

Raccolgo forze e progetti, ho imparato a non farmi più tante domande, tante menate, a non avere più certezze, se non quelle che ho più prossime, a non fidarmi, a non fare programmi, a divertirmi di più, ancora, con niente.
E a non avere paura.

Accolgo l'autunno e il freddo e le castagne, aspetto le noci dell'albero in fondo al sentiero, guardo l'uva dimenticata nei filari, le rose che ancora fioriscono nonostante tutto, e i gerani ormai da buttare, cosa ci metterò nei vasi sul davanzale, non so.

Aspetto il gelo, il vento forte, il freddo chiaro che piace a me, aspetto cose belle, pensieri dolci, aspetto il cielo tirato a lucido, aspetto di essere sempre io, aspetto me, aspetto di partire, aspetto di tornare, aspetto di capire.

Aspetto e basta.

Ci sarà modo, ci sarà tempo, cambierà tutto o non cambierà niente, non sarà facile o lo sarà, non sarà subito, non sarà un attimo, nel frattempo, vado avanti e aspetto, non penso e aspetto, sorrido e aspetto.





14 ottobre, 2014

Foglie.

Decido dal letto, che giornata sarà.
Come mi voglio.
Come mi vorrei.
Chi sarò, nelle prossime ore.

Oggi sarò foglia.
Sono ovunque,  Nel pratino, sulla stradina accanto al ribes, dietro il cancello, sotto l'AceroRosso. Scendendo in città, lungo il viale di platani, nelle auiole di rose spossate che ancora fioriscono, a dispetto di erbacce, incuria e indifferenza.

Le foglie di oggi sono foglie spiaccicate, stremate dalla pioggia, si incollano una all'altra in un abbraccio senza fine, ne raccogli una te ne arrivano cinque, le foglie che cadono non sanno stare da sole.

Amo le foglie secche, quelle che scricchiolano, che fanno un rumore bello, mi piacciono i rumori, ieri il temporale mi ha sorpresa in macchina e che meraviglia è stata sentire i goccioloni sul vetro, beh, meraviglia non tanto alla fine, se nemmeno vedevo la strada dove andare.
Le meraviglie me le invento da sola, non è una novità.
A volte, fanno pure male.

Anche le foglie bagnate hanno il loro significato,  lucidissime, imbellettate da tutta l'acqua che è venuta giù, pericolosissime da farti scivolare in un secondo se non ci stai attenta.

Sono giorni sospesi, come miliardi di altri giorni prima di questo.
Assetti famigliari scompaginati, stravolti, mischiati, messi in un tumblr come il più sofisticato dei cocktail, shakerati e versati, ecco, tu di qui, tu di là, tu lontanissimo, tu un pò meno, mossi come i dadi e lanciati, vediamo cosa viene.

Nel delirio, si trova il tempo di osservare dalla finestra, di fare una passeggiata lenta non troppo nel fango, un pensiero a chi di fango ne mescola da giorni, i pensieri volano veloci e, se sei brava a farli, arrivano dritti dritti dove devono, dove scaldano, dove fanno un pò bene.

Si trova il tempo di guardare, dentro e fuori di sè, di pensare tanto senza far rumore, di decidere se essere foglia croccante o foglia spiaccicata, se rossastra o arancio o marroncina, se canticchiare sottovoce o farsi infradiciare dalla pioggia, quella che ti fa insopportabile, quella che ti fa pensare solo al brutto del mondo, e se, e se, e se.

Scelgo di essere foglia.
Croccante o spiaccicata, deciderò poi.





07 ottobre, 2014

Zolle e rose.


Ci sono delle zolle così belle nel campo, all'inizio della strada.
Non ho capito che cosa hanno fatto, non conosco i processi dell'agricoltura, so che mi piace vedere quello che fanno, anche se è solo terra smossa, la pioggia di stanotte l'ha lucidata e alla fine sembra una scultura perfetta.

Ti porterò delle rose.
Le ultime dell'aiuola, sono profumatissime, più di quelle dell'estate, le avvolgerò nella stagnola e te le porterò.
Ti piaceranno.

Ci sono dolori che non si incollano, che credi passati e invece sono lì, sotto al tappeto, dietro gli armadi, seduti vicino a te, sempre. E non le candeline, le uova di cioccolata, i natali e i battesimi, il matrimonio.  E' l'assenza che c'è che diventa abitudine aspra, consuetudine che schiaccia, eppure.

Ricordo di quel giorno ogni singolo dettaglio, ogni frammento, ogni fotogramma, tutto.
E' rimasto tutto lì come in una scatola impolverata, la mia gonna a pieghe, gli occhi persi di mia madre, la gente, ricordo l'odore dei fiori e della mia vita cambiata in un secondo, la radio da non accendere, gli avanzi della mia torta di compleanno ancora nel frigo. 
Nessuno la mangerà più.
Finiranno buttati.

Ricordo me, perchè mia figlia ha adesso la mia età di allora e capisco la catastrofe senza fine, l'urgano attraverso il quale sono passata, e mi stupisco di essere ancora tutta intera.
Chi l'ha detto che la sia, poi.

Ho fatto del mio meglio, lo abbiamo fatto tutti, in questa enormità di anni che sono passati, perchè passano lo stesso, ma magari sarebbero passati meglio, chi può dirlo, chi lo sa.

Così, mi porto in giro questa scatola impolverata, con dentro le immagini di una vita fa, il passaggio dalla vita di prima a quella che sarebbe venuta dopo, io a diciassette anni, la treccia lunga e la gonna blu a pieghe che ho buttato via di nascosto, tanto mi faceva orrore vederla ancora nell'armadio.

Ti porterò le rose dell'aiuola, so che sai tutte le cose che devi sapere di me, di noi tutti qui, e so che forse sei stato tu a non permettermi di andare in frantumi, di cadere sotto tutto quel dolore, che non passa, non passa mai.

Piove.
Le zolle del campo saranno ancora più lucide, appena prima di sciogliersi e diventare fango.
Ti porterò le rose.

mi manchi sempre, papà.






01 ottobre, 2014

Ottobre, ciao.

Mi piaci.
Perchè sei il mio mese, perchè un pò mi somigli, non sei estate, non sei inverno, non sai nemmeno tu che cosa sei.
Sei nebbia e pioggerellina, e sole, sole ancora caldino, tramonti e albe che fan restare lì, così, a guardarle per minuti e minuti, non è che durino tanto, le albe e i tramonti, non è che puoi star lì a guardarli per ore, si sa.
Sei foglie secche e colori da perdersi, rossi, arancioni e gialli forti, il giallo non mi piace, ma tu lo mischi ai bordeaux e ai verdi scuri come nessuno.

Portami cose belle, ottobre che sei qui.
Portami sorrisi e abbracci, e cestini di cose graziose,
Portami le sere intorno al tavolo della cucina, a ridere come una scema coi miei figli, come solo loro, come solo con loro.

Portami la mia vita di sempre, i miei momenti perfetti, le mie abitudini piccolissime, da fare col cuore leggero, non con il respiro che non so dove trovare, non con gli occhi pesti e l'ansia sottile che diventa macigno.

Portami un rossetto, uno smalto fighissimo, il mio profumo dell'autunno che sa di isole lontane, portami cose stupide, una canzone da cantare portando la Princi a scuola, che lei le sa tutte, come me alla sua età, e niente la mondo mi somiglia più di lei, che è forza e dolcezza in un mix sapiente di occhi verdi, perle, piercing e sorrisi che incantano il mondo.

Portami nuovi libri, nuovi posti dove perdersi, trovare riparo quando vuoi essere altrove, Parigi, Marrakesh, Dublino, portami via per finta per qualche ora, fammi stare al Flore, contrattare teiere nel souk, chiacchierare  in un pub, così, solo per un pò.

Portami un maglione pesante, le lenzuola del corredo di mia madre, portami un quaderno a quadretti, una scatola di vitamine, un film nuovo da vedere, la forza che mi serve e che ho, ma che a volte perdo e cerco dovunque, sotto il letto, nell'armadio e che non trovo, eppure c'era, era qui, non la trovo, qualche volta no.

Portami le foglie secche del viale, portami i colori che sai, la nebbia che amo la mattina presto, portami colazioni tranquille e telefonate lunghissime, e aeroporti, lato arrivi, e valigie da fare e da disfare, portami la me di sempre, che chiudo gli occhi e tutto è come prima.

Non è troppo, se pieghi bene ci sta tutto.

E domani, non scordare la torta.





29 settembre, 2014

Piovigginando, sale.

Non si è fatta aspettare.
E' arrivata, di già.
Eppure, sono stati giorni di sole bello, con le foglie d'oro per terra, intorno alle panchine del Lingotto o lì vicino, sole chiaro che ti faceva dire che sì, forse era ancora un pochino estate, non certo luglio ma insomma, così.

La nebbia, alla fine, arriva sempre. 
A ridosso del mio compleanno, per questo mi piace sempre, anche se quest'anno è un compleanno un pò strano, ma sempre compleanno è.

Mi piace la nebbia perchè è mistero e meraviglia e sopra, attorno, dietro e in fondo puoi immaginarci quello che vuoi, farti dei viaggioni, come dicono i miei figli, inventare cose che vere non lo saranno mai, ma alla fine a chi importa, se anche solo a pensarle ti fanno stare bene.

Mi piace la nebbia perchè nasconde le cose che non vorrei vedere, qualche cattiveria, qualche delusione, e invece avvolge e fa più belle cose semplicissime, quelle che mi piacerà tenere vicino, che non smarrirò, che terrò sul comodino insieme all'acqua, alla sveglia ferma, ai libri, ai sogni spiegazzati, ai pensieri del mattino presto quando guardo fuori e non so mai se girarmi e ridormire o se stare lì a guardare la nebbia, il soffice che entrerebbe dalla finestra se solo avessi cuore di aprire, se solo avessi cuore di alzarmi da qui che fa già freddo e ci vuole forse una coperta leggera.

Di solito verso metà mattina il sole vince sulla nebbia, e il cielo che è rimasto nascosto fino ad ora, salta fuori in tutta la sua maestosa azzurrità.

Serviranno forza e vitamine, respiri lunghi e scrollate di spalle, di magoni non ne ho più voglia, ho mille cose da fare e col magone non si va lontano, si cerca ogni occasione per stare bene anche solo un pò, le foglie accartocciate che fanno quel bel rumore quando ci corri sopra, la luna di ieri sera che era una ciglia rosa su un foglio nero, sarà il mio compleanno per giorni e giorni, un pò qui e un pò lontano da qui, che bello sarà arrivare.

Intanto, aspetto il sole, che alla fine arriva, lo so, tra poco più di mezz'ora, minuto più, minuto meno, e piovigginando salirà, ma è nebbia secca questa qui e non pioviggina nemmeno, sale  e basta.
L'avrà vinta il sole.

e poi, la nebbia è un pò innamorata del sole, lo sanno tutti.
Per questo gli lascia fare sempre quello che vuole.









16 settembre, 2014

Piove cielo.








Piove sì.
Piove una pioggia d'autunno, di già, ma come, che c'abbiamo ancora la voglia di mare e i sandali flat in corridoio, questa casa è in ordinissimo, qualche volta mi verrebbe voglia di metterla a posto alla perfezione, ma sarebbe ancora più strana di quanto non la sia in realtà, e allora lascio volutamente qualcosa in giro, così, per non perdere l'abitudine.

Piove un sacco. Questa notte mi ha svegliato un delirio di vento e goccioloni sui vetri, che bel rumore la pioggia sulle finestre, quante volte l'ho già detto, che noiosa sarò mai.
Non lo dirò più, giuro.

Pioveva così forte che ho pensato Cade Il Cielo, non era temporale, quello lo conosco bene, era proprio solo pioggia fortissima e per questo rara, in una stagione così mite e lenta come questa, in fondo, l'estate non è stata che un lunghissimo autunno, mi pare.

Piove cielo.
Lo raccolgo e lo tengo lì.
Nelle tazze che mi regalano le mie amiche per darmi il buongiorno già di prima mattina e non farmi sentire tanto sola, lo raccolgo nei barattoli vuoti del caffè, così belli e lucidi che è un peccato mortale buttarli via.

Raccolgo il cielo e lo conservo, per quando mi sembrerà di non avere cielo da guardare, di non aver più pioggia da ascoltare.
Non sarà vero, non sarà vero mai.

Ci saranno sempre cose bellissime, forse nascoste e difficili da scovare, ma ci saranno sempre per me belle gocce sui vetri e profumo di foglie bagnate e colori rossissimi  e viola come quelli della vigna ieri verso sera. E cielo, cielo sopra, cielo da guardare, cielo da disegnare, cielo da raccontare.

Nessuno ha mai saputo come si fa a raccogliere il cielo che viene giù.
Io sì.
E questo fa di me la più sciocca fra le donne, la più visionaria, la più scentrata.
Però, mi fa bene.
Mi viene bene.
E allora, va bene.







Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...