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12 febbraio, 2008

Sogni.


Che strana sensazione addormentarsi di schianto sul divano, davanti al film, chissà cosa direbbe Baricco, se lo sapesse mai, magari, la prossima volta, nemmeno mi fa entrare alla sua scuola. La Princi e il gatto acciambellati alla rinfusa vicino a me, che non so bene dove finisce la Princi e inizia il gatto, è solo una questione di pelo, in fondo. Il mio sposo mi guarda, devo essere stata di una compagnia esilarante, lui il film l'ha visto tutto eccome, me lo racconterà, sottovoce mentre saliamo le scale, anche se sa benissimo che non ascolto, che cammino e sembro sveglia ma ho un passo da astronauta e cerco di sforzarmi per non svegliarmi del tutto. Non ci riuscirò, non ci si riesce mai, si arriva a letto e si è freschi come rose, nonostante siano le due passate. Un giro dai figlioli, prima, a vedere se sono ben coperti, come se avessero ancora tre anni e il paracolpi nel lettino. Si assomigliano sempre di più, questi due: gli stessi occhi da Bambi, lo stesso broncio irresistibile, gli stessi riccioli scomposti. Dormono. Di quel sonno sereno che hanno i figli quando li guardi, ho sempre amato guardare i miei figli dormire, dormono, uno di traverso nel suo letto, l'altro compostissimo nel letto più in là. Darei qualsiasi cosa per sapere cosa vedono adesso, dove sono i loro pensieri svolazzanti, le loro risate, le loro parolacce, anche. Che sogni sognano i miei figli grandi, che cosa sperano che succederà domani, che cosa e chi balla adesso dentro di loro. Guardo e non vedo. Raccolgo un cuscino e lo adagio piano sotto una testa, un bacio leggero, di quelli che si fanno per non svegliare ma che si sentono così bene, anche se dormi e ti fanno dormire di un sonno compiaciuto, tranquillo, al sicuro. Sentiranno il bene di questa notte, che è un bene nuovo e sempre diverso, il bene della notte, che ha complice il silenzio così diverso dal bene frenetico del giorno, il bene cambia, col buio e con la luce, a tre anni e a sedici, cresce insieme a loro, smisurato e grandissimo, un bene da gridare e da sussurrare, da dire in filastrocca o da far sentire con uno sguardo, un abbraccio, lo senti, figlio? sono qui, un bene che avvolge in segreto, in una notte di quasi primavera, c'è una luna dispettosa che si vede dalla finestra, e una mamma senza sonno che vede passare i loro sogni proprio lì sotto i loro occhi chiusi.

07 gennaio, 2008

Ti racconto.


Hai gli occhi ancora non aperti del tutto, come lo sono gli occhi che ancora avrebbero dormito un pochino. Ma vuoi raccontare, vuoi dire, questa mattina di gelidissimo gennaio, che non si ha voglia ma che si deve, saltar fuori dal tepore sicuro del tuo letto alla vita di sempre, la scuola, il pianoforte, le tue amiche chiassose con cui balli nei corridoi, le coccole al gatto. Parliparli, le parole escono ancora avvolte da quella magia che ha la notte appena passata, rimbalzano senza rumore, come le palle di gommapiuma, bolle di sapone, fiocchi di neve. Eravamo in una casa ma non era la nostra casa e noi non eravamo noi, i miei fratelli erano più piccoli di così e c'era anche Margherita che era piccolina e tu mi avevi nascosto un cd e io volevo trovarlo, poi la torre di Londra suonava e io avevo fretta perchè dovevo andare a scuola e tu volevi giocare ancora ed era tardi, così poi mi sono svegliata, anzi no, aspetta, c'era anche che pioveva. Mi perdo, bambina, Mi perdo nel tuo racconto, nelle parole che mi hai regalato stamattina, senza neppure alzarti, dal tuo cuscino con la corona da principessa, coi tuoi pupazzi intorno e i tuoi cuscini e la faccia stropicciata e i capelli arruffati, e i tuoi occhi color dell'erba a primavera. Mi perdo nelle tue carezze incerte, nel tuo abbraccio piccolo, Ciao Mami, nella tenerezza che hanno tutti i tuoi risvegli. Mi perdo quando mi dici Ho Fatto Un Sogno, perchè i sogni, tu lo sai, sono le favole che i bambini raccontano ai grandi per farli sentire più sereni.

14 dicembre, 2007

La bolla.


Si và così. Galleggiando, fluttuando, volando un pò. I pensieri, beh, quelli mica se ne vanno in un secondo. E hai un bel dire, sì certo, niente di nuovo, lo sapevamo già, lo sappiamo da sempre, lui, il figlio che viene da lontano, ha un mondo tutto suo, una vita tutta sua, fragile e complessa, una realtà dove non fa entrare nessuno di noi, nè l'Universitario, nè il Maturando, nè il Liceale, nè la Princi. Nè suo padre. Nè me, che non sono nessuno o quasi. E sua madre, poi. E' disarmante e candido, come lo sono i bambini che imparano a camminare, peccato che è il più grande di tutti e che sia così difficile. L'amore, certe volte, non basta. E' complicato, persino da spiegare, da capire dal di fuori, da comprendere fino in fondo, se non si vede, se non si sa. Noi qui siamo silenziosi, anche se niente di nuovo ci è stato svelato, è arrivato così, dal Paese della Samba e del Caffè. Lo amiamo così. E così siamo in pena per lui, che non ne vuole sapere di questa casa e di questa vita, che ha già la sua, semplice e difficilissima, e che si chiude in quel suo mondo fatto di insicurezze e di animali, che sa a memoria le bandiere del globo intero, e che ogni tanto si ferma e si eclissa, in una bolla invisibile, lì con noi eppure lontanissimo, come a seguire un richiamo impercettibile, un profumo di caffè e le note gioiose e assordanti di uno strano, indistinto, infinito carnevale.

10 novembre, 2007

Quel cuore.


Ci pensavo da giorni. Da quando ho fissato la visita con un luminare del settore, credo. Ho preso informazioni, chiesto e richiesto. Forse, nemmeno Barnard mi sarebbe sembrato abbastanza preparato. Non è mai una cosa gradevole portare i figli dal medico. In verità, pochissime volte li ho portati, a parte quando uno di loro ( già, chi era?) si ricoprì di misteriose bolle rossastre o quando hanno dovuto cucire qua e là un taglio sul mento o in fronte, o ingessare qualcosa. Ma stavolta, la richiesta era esplicita: urgeva al Liceale una visita cardiologica, un soffio al cuore che andava approfondito, sa com'è. No, non lo so. So che non è una frattura o una sbucciatura: è il cuore, il suo, per la precisione, e non è che basterebbe, nel caso, uno sciroppino o dell'acqua ossigenata. Mi sono fatta coraggio, riesco ad essere così fredda in certe situazioni, in verità era davvero solo uno scrupolo del medico sportivo, il Liceale è un vero atleta, lungo lungo e magro magro, un fuscellino che è cresciuto di undici centimetri in poco meno di tre mesi, e, giuro, non l'ho mica innaffiato. Non è divertente andare dal medico, non sono divertente io, a me stessa, quando mi immagino cose così tragiche che non ho nemmeno il coraggio di dire a voce alta. Così, andiamo. Se Vuole, Signora, Può Guardare nel Monitor Il Cuore di Suo Figlio. Come. Quel cuore, dottore, lo conosco a memoria. C'è un pò di me lì dentro e di suo padre, anche. L'ho preparato io, come una torta semplice, farina uova e zucchero. Amore, tanto, tanto, tanto che forse avrei dovuto pesarlo meglio, nella bilancia della cucina, sarà troppo? Ci ho messo tutto l'impegno e tutta la poesia del mondo, ho messo il grido di sorpresa, se chiudo gli occhi, ancora mi vedo con la camicia verde e i capelli lunghissimi, quando ho gurdato il test. Ero in cucina, appoggiata, mi sono lasciata scivolare lungo il muro, e un pò ridevo e un pò piangevo, e avevo il Maturando, anni 3, che mi guardava curioso, Arriva un Fratellino, o Una Sorellina, Lo Sai? ma lui aveva un Plasmon in mano, non che gliene fregasse granchè. L'ho conosciuto presto, quel cuore, sa? Ho sentito quel tump! tump! tump! dell'ecografo, quel cavallo al galoppo, quell'istante in cui una donna si sente scrigno prezioso, che ancora nessuno lo sa, sono poche settimane e la pancia non si vede nemmeno, ma tu, furbissima, nascondi un brillante da mille carati, e guardi di sbieco lo schermo e hai quel gel sulla pancia e ti senti improvvisamente così bella e diversa e innamorata e paurosa un pochino, ma ami già così tanto quella macchia, una specie di fagiolo, che è lì, insieme a te e hai già per lui tutti i sogni del mondo, lo aspettavi e lo aspetterai, sapevi che sarebbe arrivato, eccoti qui. Lo conosco, quel cuore. E' quello, fra quelli dei miei figli, che mi attira di più, non so come spiegare, è romantico e pratico, sognatore e preciso, e un cuore dolcissimo in una scorza di porcellana, una piuma leggera in un riccio di castagna. Quel cuore sta bene, mi dice il medico. E io tiro un respiro di sollievo, forse un pò lo sapevo già, ma sono rasserenata da questa conferma. Ma sapevo. Quel cuore, dottore, e un pezzo del mio, se guarda bene, c'è una stellina piccola proprio qui, nel ventricolo. Ce l'ho messa io. Perchè sono la sua mamma, e quel cuore è stato così vicino al mio per così tanti giorni e tante notti, ha respirato, camminato, cantato e dormito com me, e la stellina è il regalo che gli ho messo perchè se ne ricordasse sempre. Anche quando batterà lontano dal mio. Ma anche allora, lo sentirò.

24 ottobre, 2007

Lezioni di volo.


No, anzi, di guida. E nemmeno tanto lezione, in verità, che cosa devo insegnargli, se guida già come me o quasi? Và detto che la mia macchina è molto simile a quella degli autoscontri, schiacci e vai, non devi star lì a scalare, cambiare, grattare con la frizione, andar su di giri, partire in quarta e cose del genere. Si chiama cambio automatico, bellina. Comunque, oggi, mi è successo. E mi sono trovata lì, un pò ebete, a guardare questa sventola di figliolo, bello, bello e ancora bello, vestito come me alla sua età, il pullover a punta e la Lacoste, bello come si può essere belli a diciassette anni, bello come lo sono in pochi, fuori dal liceo per me che sono la sua mamma, è maledettamente ovvio, è figlio mio. Ma anche per la Biondina Casco d'Oro, mi sa tanto, e un'altra mezza dozzine di figliole sparse di qua e di là in varie scuole cittadine. Non vuole che parli di lui, si arrabbia sempre o fa finta, mi sbarra quegli occhi a fanale, colore della nutella, colore delle castagne selvatiche, quelle da mettersi in tasca per scacciare il raffreddore, quelle che non si mangiano, colore della palude d'estate, un pò verdastri un pò marroncini, un pò di mio e pò di suo padre, che li ha verdi come il lago. Si arrabbierà anche stavolta. Ma oggi che guidava, con quell'espressione concentrata e strafottente, e fiera anche, Lo Vedi, So Già Guidare, che abbiamo fatto il giro dl villaggio che è tranquillo e non c'è nessuno e non è da arresto immediato, oggi, anche oggi l'ho visto un pò più grande. E adesso non menerò il torrone, dicendo che sigh, quanto è già grande e che non vorrei, ma solo confessargli che ho fatto una grande sceneggiata e che non andava affatto veloce, e che l'ho visto sicuro e capace e che non ho avuto paura nemmeno per un istante, nemmeno quando facevo finta di, e che è bello, bello, bello come il sole. E che io, la sua mamma, lo amo da morire. E adesso, si arrabbi pure.

13 settembre, 2007

Dormi.


Da sempre, niente al mondo mi dà più pace di guardare i miei figli dormire. Sono momenti in cui ti senti un pò artista, un pò prescelta, bravissima e perfetta. In queste sere, la Princi ha trasferito il suo pigiamino a pois sotto il cuscino del mio Sposo, ed è lei la sostituta ufficiale. Mi piace che sia lì. Mi piace sentire il suo profumo della sera, un misto di sapone e dentifricio, mi piace che salti sul letto già assonnata, Però Parliamo, Vero Mamma? e si copra fin sulle orecchie e si rannicchi strofinandosi, e chiamando il gatto, salvo poi addormentarsi di stecca, così, bam! alle mie parole sussurrate risponde solo a mugolii e poi, silenzio. La sento respirare dolce, e poi profondo, e guardandola, penso a lei, alla sua giornata di scuola appena iniziata, alle amiche, lo zaino e la gomma da cancellare, le sue paure, la sua tazza di latte, e le sue prove davanti allo specchio. Vorrei vedere i suoi sogni, di gnomi, elfi e folletti, lustrini e paillettes. Attraverso i suoi occhi chiusi, le ciglia appena un pò più bionde sulle punte, vorrei dormire il suo sonno, tenermela vicino e guardarla e guardarla, e vedere le cose che vede, sognare i sogni suoi, dormire col suo sonno di nuvole e neve e di questo respiro, così regolare e profondo, che sa di beatitudine infinita, Sono al Sicuro, Il Mio Mondo è Questo Qua. Niente dà più pace e niente è così difficile da descrivere, di un bimbo che ti dorme accanto. E tu dormi, bambina felice, dormi. Domattina sul cuscino accanto a te, un lustrino, una paillettes, la piccola impronta di uno gnomo burlone.

08 settembre, 2007

La gita scolastica.


Ma sì che ci siamo. Lunedì inizia la buriana. La sarabanda. Il delirio. Il Gran Ballo della Scuola. Da qualche anno, ho istituito a casa mia una serie di piccoli riti, stupidaggini perlopiù, ma che rendono un pò più dolce il rientro, la sveglia presto, per cominciare, e i ritmi scanditi, per finire, i giorni programmati, gli impegni, insomma. Finiti i giorni senza orologio, a chiedersi se è martedì o domenica, il rientro è caratterizzato dalla cerimonia della Scorta Scuola. Si sceglie con cura un supermercato, meglio se in un centro commerciale, e, ben forniti di pecunia, i figlioli son tanti, signora bella, e con quel che costa la roba al giorno d'oggi, non mi dica nulla, guardi, e ci si reca. Ieri era il giorno designato per tale operazione. La PrinciBigBubble al settimo cielo, anche perchè quest'anno abbiamo avuto una new entry. Mi sono caricata infatti uno stuolo di figli, i miei, e anche la Biondina, che mai, mai, mai avrebbe lasciato solo il suo Amato nell'ardua impresa di scegliere un temperino. Detto fatto, ci recammo. In realtà la situazione ci è un pò sfuggita di mano. Non soltanto perchè durante il viaggio si è deciso che sì, in fondo di quaderni nuovi ne avevano ancora dell'anno scorso e che con pastelli e pennarelli ci potremmo lastricare la Fifth Avenue, e che forse, però, magari, un giretto da Zara per un maglioncino con scollo a V, che vanno tanto di moda tra i liceali, un vestitino, mamma, che quelli che ho mi sono corti, com'è, come non è, mi sono lasciata convincere. Ora, chi ha figli adolescenti o giù di lì, sa con precisione che razza di estenuante, sfinente, raccapricciante compito sia fare spese di abbigliamento con loro, i figlioli. In tali situazioni, anche il più disinteressato alla vicenda assume atteggiamenti da Maria Callas in camerino: o prova decine di jeans (tutti uguali) o non ne prova nessuno e bofonchia. Ho stilato un piano d'azione. Ci dividiamo, ognuno cerca per sè con un occhio al budget e poi ci troviamo alla cassa. E' stato divertente. Ci sono passaggi, nella vita di una donna, in cui fare la mamma passa da soffiare nasi, a sentire sul polso se il latte scotta, a guardare Bambi per la centesima volta, a costruire coi Lego, a pettinare le bambole. E poi, via via, il tempo ti scivola, e quando scopri che, accidenti, ti hanno superato di almeno due centimetri e non sai più esattamente che cosa succede, se sono loro che crescono e tu che stai ferma. E adesso, qualche volta, sono loro a far giocare te perchè insieme ti capita di ridere fino alle lacrime e a far confusione da Zara, come all'Upim di Firenze nel '79, e allora non ti importa se sulla prossima torta avrai due 4, e che non sono voti, ma ti senti bene e felice e un pò ragazza, e fai finta di scandalizzarti un pochino se il Liceale e la Biondina si baciano ogni 5 secondi, e te li guardi, grandi e bellissimi, e la PrinciDolce che li consiglia, Il Marrone Non è Il Tuo Colore, ma dove lo ha imparato? Tornati a pomeriggio inoltrato, stanchi, felici e senza il becco di un quattrino. Ma in segreto, in camicia da notte, appena prima di lavarmi i denti e andare a dormire, mi sono data un bel 7, e questo è un voto, signora cara. E il mio sorriso nello specchio, ma guarda un pò, era uguale uguale a quello del '79. Un regalo dei miei figli.

21 agosto, 2007

Lascialo andare.

Non è Capodanno. Non è il brindisi, il meno otto e meno nove, non i botti e l'agenda nuova. Non è la scuola che finisce, nemmeno che inizia. Non sono i compleanni, le candeline comprate a pacchi da 10, i numeri sulla torta. Non è quello, no. Niente mi fa pensare al tempo che passa come la fine dell'estate. Più precisamente, le operazioni di dismissione, le valigie preparate un pò alla rinfusa, constatando che, forse, ci si è portati troppe scarpe. Metà della mia famiglia se ne torna questa sera in Continente. L'Universitario e il Liceale, manco a dirlo. Il primo ai libri, si spera, il secondo al suo Biondo Amore. L'estate è quasi finita, quando oramai, per tradizione, si compra la Smemoranda alla cartoleria del Nuraghe e la si fa riempire di scritte e cose e cuori e stelle e parolacce, anche, dagli amici di qua. L'estate è quasi finita quando un pò dei tuoi affetti vanno via, e tu che ti sforzi di sorridere e ti sei vestita di rosso pimpante ma tiri sù col naso, e cacci in fondo il magone che sale, ma sei scema?, ti metterai mica a piangere adesso, qui, nel vialetto, con loro che ridono e un pò ti canzonano, Andiamo Via Che Adesso Piange, e loro, più scemi di te, che tirano fuori il fazzoletto dal finestrino, e fingono singhiozzi e sceneggiate, e fanno casino fino all'ultimo secondo, e un pò ci ridi, solo un pò. Domattina saranno a casa, ai loro amici, agli allenamenti, agli esami, al primo amore della vita. E' giusto lasciarli andare. I figli, isole di bene e di fragilità, equilibri sottili di amore ed egoismo, di dolcezza e crudeltà, vanno lasciati andare, quando vogliono, nei limiti, dove vogliono e dove stanno meglio. E c'è un momento della vita che il meglio significa lontano da te. Ed è in questo meglio che tu, mamma un pò triste vestita di rosso, ti accorgi davvero del tempo che passa. Senza agenda e candeline, un figlio che cresce si capisce così.

11 luglio, 2007

Ingestibile.


Lo sapevo. L'avevo detto, io. Me lo aspettavo. Sono espressioni che non sopporto, ma mai come in questo caso sono efficaci e veritiere. Dura la convivenza con il Liceale. Passa dallo stato di euforia a quello della più greve delle tristezze catartiche. Vive, in simbiosi col computer e il telefono. Si apparta, mesto, in una nicchia di casa, le cuffie nelle orecchie, i ricci scomposti, lo sguardo vacuo. Se potesse, inalbererebbe un cartello, di quelli da corteo: non rompetemi i.... E noi, la sua affettuosa famigliola, che non sappiamo bene che cosa fare, ci inventiamo pozioni magiche, atteggiamenti da tenere, ci riuniamo la sera, a dirci, meglio farlo parlare, no, meglio lasciarlo in pace, no, meglio che faccia quel che vuole. Ma quel che vuole lo sappiamo, o meglio chi, e per il momento, le bionde trecce, gli occhi azzurri e poi, non si avvistano all'orizzonte. Per qualche giorno ancora. Nel frattempo, ci si sopporta. Lui noi, noi lui. Sopportiamo i suoi scazzi, i suoi scatti di ira furibonda, i suoi silenzi musoni nel ristorante che gli piace tanto, è entrato e uscito venticinque volte, suo padre mi guardava, con sguardo fra l'interrogativo e il furibondo.. Qualcuno giura di averlo visto sorridere, una volta. La Princi, di aver visto i suoi occhi di bosco brillare, leggendo una lettera scritta in fuscia, con la grafia tonda e da fumetto che hanno le fanciulle. Io, osservo. E cullo questo suo male d'amore, nessuno al mondo sarà mai più come questo, tondo e infinito, così dolce e così struggente. Quando è accanto a me, sento il suo cuore che batte nel mio e vorrei stringerlo forte e dirgli tieni stretta questa malinconia e questo amore acerbo e sterminato, cucitelo addosso e tienilo lì, ci penserai per tutta la vita, ancora e ancora e mai si staccherà da te, nemmeno quando altri amori e altre dolcezze ci saranno. Cùralo, come si fa con le piantine, con i micetti che trovi per la strada, ascolta questa solitudine che ti sembra insopportabile e fanne tesoro. E quando rivedrai la tua Fanciulla, fa che possa sentire, abbracciandoti, tutte le notti che l'hai sognata, tutte le volte che avresti voluto essere con lei e del cielo stellato, della spiaggia bianchissima, della luna e del mare turchese, financo di Cannavaro a 2 cm, non te ne importava un accidente. Per fortuna, fra pochi giorni, la Fanciulla dei Sogni arriverà, bionda e lucente, in qualche parte dell'Isola. Nel frattempo, noi qui si sopporta, si fa finta di nulla e un pò si invidia tanto amore, tanti sms a cuori e stelle e tanta splendida mancanza. Ma non ditelo all'Orlando Innamorato. Diventerebbe, in men che non si dica, Furioso.

19 giugno, 2007

L'ostello.


L'estate, in casa mia, ha uno strano sapore, quest'anno. Prima di tutto perchè è il primo anno che mi trattengo, causa esami, in questa casa di città, prima di andare nell' altra. Occorre perciò gestire una serie di eventi ai quali non ci si è abituati; per esempio, organizzare i pomeriggi alla PrinciBiscotto, che attende paziente la partenza ma che ha il cuore già sull'Isola. Gli altri abitanti si sono già molto organizzati. Festicciole con un numero imprecisato di invitati, come quella, riuscitissima, di sabato scorso. A tenerla è stato il Mediano, squisito ed elegante padrone di casa, il cui invito telefonico era "Boh, se vuoi venire, i miei non ci sono, ok?". Hanno aderito in massa. La sola richiesta è stata per il catering, del quale, manco a dirlo, mi sono occupata personalmente. Vagonate di patatine e popcorn, CocaCola a fiumi, persino un dolce self made, a base di Oro Saiwa e Nutella, che ciascuno si poteva preparare in scioltezza, pescando direttamente dal barile della preziosa crema. Un JunkParty, insomma, che ha mandato in visibilio più di un fanciullo. Qualcuno di loro, i più intimi, ha dormito in loco, una sorta di Bed & Breakfast, sparsi qua e là, nelle stanze dei grandi, in un delirio di zaini e caschi e scarpe e felpe e cappellini. Miracolosamente, la casa era intonsa, i ragazzi, educati e rispettosi, Persino la Princi, che non credeva ai propri occhi di tutto quel traffico sù e giù per le scale e in cucina, mi ha regalato un sorriso addormentato e radioso "E' andato tutto bene, mamma, sono stati bravi". Beata ingenuità. E a pensarci bene, non era chiaro chi avessi affidato a chi, se la Princi ai ragazzi o viceversa. Ma in fondo, non è mica importante, no?

12 giugno, 2007

Notte prima degli esami.





Non ho mica paura, sai mamma? Me lo ha detto così, a sorpresa, uscendo un po’ gocciolante dalla doccia, avvoltolato alla bell’e meglio in un telo di spugna, i ricci scomposti, gli occhi nocciola un po’ arrossati dallo shampoo, quel sorriso disarmante e furbastro, quel fare spaccone e tenerissimo. E’ quel che si dice un bell’elemento. Un giusto mix fra suo padre e me, preciso e vivace, intelligente e fantasioso, dolcissimo e pignolo. Tace poco, anche quando tacere lo salverebbe da urla e strepiti che lo seguono fino in cima alle scale. O quando per le scale lo seguo io, facendo i gradini a quattro a quattro, un po’ ridendo , anche se sono infuriata, ma quella scena che li rincorro sulle scale mi fa sempre ridere e lo so che è tutt’altro che educativo, ma che ci posso fare, di sberle i miei figli ne hanno prese proprio poche, lui meno di tutti. Stasera è un po’ agitato, non lo dà a vedere, ma parlaparlaparla, e gioca con suo fratello grande, ripassare? manco a parlarne, c’è il tema domani, mamma, e che ripasso a fare? Non fa una grinza. Lo adoro, com’è ovvio che sia. Mi piace perché ride sempre, perché storpia le canzoni in inglese, perchè sembra solo l’altro ieri che appendevo al cancello del viale che portava a casa un enorme fiocco di tulle con scritto il suo nome. Mi piace perché ha la s che sibila, un sorriso che conquista, una dolcezza che incanta. E sembra solo ieri che ha iniziato la prima elementare, con il braccio destro fratturato, con i Simpson disegnati da me sul gesso, perché non si vergognasse di avere il braccio ingessato in un giorno così importante, che ci ridesse un po’ su. Domani sarò lì, col cuore, accanto a lui e gli suggerirò congiuntivi e punteggiatura, il cuore non è bravo con grammatica e sintassi, ma se ti concentri, Enrico, lo sentirai, vicinissimo al tuo.Se l’amore è amore.



26 maggio, 2007

Tutto pronto.

O quasi. Pioviggina, accidenti, e forse sarà così anche domani. Lei è uno zucchero. E' un pò tesa, e allora suona, oggi avrà la sua prima Confessione. I suoi fratelli giocano, rubano i confetti dal vassoio, si misurano la sua coroncina, le chiedono oggi chi nominerà in confessionale. Fanno gli scemi, insomma, come tutte le volte che sono emozionati, anche loro, e che non vogliono darlo a vedere, non è roba da maschi, ma adorano questa PrinciMeringa che è di una dolcezza disarmante e di una forza che sorprende, quando macina vasche in piscina, quando distribuisce baci della buonanotte e bigliettini sotto i piatti e abbracci e coccole e calci, qualche volta, ma insomma, ogni tanto ci vuole. Tutto pronto, quindi. Oggi una festa con gli amici, verso sera. E domani, un pranzo semplice con pochissimi parenti. So già che in chiesa farò fatica a stare composta. Guarderò lei, candida di zucchero filato, suo padre e i suoi fratelli, che occupano un banco intero, li guarderò uno per uno, con le camicie stirate di fresco, le scarpe con scritto una dichiarazione d'amore, i capelli che non hanno voluto tagliarsi, li guarderò, seri e attenti, un pò commossi e un pò spaesati, li guarderò e mi chiederò Chi mai ha disegnato questo per me, Chi ha progettato per me una simile perfezione, Chi ha mai incartato per me un regalo così imponente e prezioso. Avrò un fazzoletto infilato da qualche parte, mi asciugherò gli occhi furtiva, che nessuno se ne accorga. Mi riempirò il cuore con le loro facce serene. E Lo ringrazierò.

17 aprile, 2007

L'amore che guarda.


Di alzarsi non ne avevano voglia. Ci credo, hanno assaggiato l'estate, la spiaggia e le onde e il vento, e adesso, di libri e compiti e di esami, anche, proprio non ne vorrebbero sentir parlare più. Li sveglio a baci, e poi con la musica, e loro lì, a coprirsi col lenzuolo, la testa sotto il cuscino, a masticare assonnati Ancora Cinque Minuti. E quando, miracolo, li vedo scendere dalle scale, pinti e tratti, non tanto pronti per un giorno nuovo, li guardo. Li guardo perchè al mattino hanno una luce chiara e indifesa, l'espressione imbronciata e dolcissima di chi ha ancora il sogno della notte appiccicato, lo sguardo implorante a dire Non Ne Ho Voglia. Escono, uno per volta, e io lì, incantata a guardarli. A vedere che, forse, sì, si dovrebbe tagliare un pò quei riccioli, ma gli danno un'aria così mascalzona e affascinante, e poi, l'altro ha la maglia stropicciata, ma era in ritardo, suo padre già fuori ad aspettarli, che la Princi ha preso 2 cerchietti al volo, deciderà in macchina quale mettere, per oggi. Li guardo e sorrido. Un sorriso dalla finestra, che loro non possono vedere, un sorriso che li accompagni per oggi, un sorriso che è pieno di fai attenzione e non metterti nei guai, un sorriso che li vorrebbe scaldare e proteggere e scortare e sollevare e coprire e difendere. Il sorriso del cuore. Perchè è il cuore a sorridere, se è l'amore che guarda.

05 aprile, 2007

Oh quante belle figlie...


Ormai, è fatta. La Princi ha cominciato a prendere lezioni di pianoforte, giusto così, per non far mancare niente, nè a lei, nè a noi. L'impegno è superlativo, precisina com'è, ma chissà da chi avrà preso, si esercita per ore sui pezzi che porterà al saggio di fine aprile. Non esageriamo, ancora non siamo su Chopin o Mozart, considerando che ha iniziato davvero da poco. Siamo su...autore anonimo, diciamo. La Princi, infatti, ha sul suo bel piano nuovo di zecca, regalo anticipato della Prima Comunione (e sì, signora cara, in questa casa si fa così, ogni regalo deve avere la sua bella ricorrenza, se no mi vuol dire dove andiamo a finire?)lo spartito di Madama Dorè. Così, tutti ci ritroviamo a canticchiarla, preparando la caffettiera o le valigie, accidenti, che domani si parte, al gran completo. Son giorni calmi e sereni, che la calma pasquale si posi quieta anche sulle cose mie, e sul ciliegio del giardino che, se guardi bene, ha già tutti i fiori pronti a sbocciare. Che Cosa Ne Vuoi Fare, Madama Dorè. E vai a spiegare al liceale che non è La Voglio Strangolare. Ma, creatura, alla cinquecentesima replica, abbiamo tutti il diritto di storpiarla un pochino, no?

04 marzo, 2007

Dieci.

Dieci baci. Di quelli a stampo, che lasciano il segno bianco, un po’ forti e un po’ leggeri. Dieci baci che ti fanno ridere, così, uno dietro l’altro. Dieci abbracci. Che stringono forte, che scaldano, che mi fanno sentire che sei tutta qui, morbidissima e burrosa e profumata di fiori e di zucchero già dal mattino presto. Dieci sorrisi. Perché i sorrisi servono sempre, sono i gommini sotto le sedie, per non rigare il pavimento, per tenere la tua anima bella lucida così com’è ora. Dieci risate. Sonore, e di musica, da togliere il fiato, che sembrano da solletico e invece sono di vita semplice, risate dal cuore, campanellini d’argento. Vorrei per te una vita bellissima, che nulla ti graffi mai, nemmeno i gatti, che nulla ti faccia del male, nemmeno se cadi dalla bicicletta, che niente ti rattristi, nemmeno una matita persa. Pura follia. Ma ti sto insegnando ad amare il mondo e la vita e i prati e le autostrade, i pastelli e l’inchiostro, i biscotti e la minestrina, il chinotto e l’antibiotico, i jeans e i vestitini, il sole e la nebbia fitta, Pattini d’Argento e i telefilm alla Tv, la playstation e l’uncinetto, gli uguali e i diversi, i collant e i calzettoni, il sapone di Marsiglia e il bagnoschiuma al cioccolato, i furbetti e i semplicioni, il burrocacao e il lucido coi brillini. Hai gli occhi di acqua di mare, quando il mare è verde e limpido e calmo e senza schiuma. Hai la dolcezza dei folletti, la tenerezza dei cuccioli, la forza di un generale prussiano, la precisione di un chirurgo, la fantasia di un musicista, la bellezza di una cascata, la fragilità di un cristallo, la prontezza di un atleta, l’intelligenza di un delfino. Sei per me il mio cuore più piccolo, la mia anima doppia, la mia storia rivista, una piccola me. E voglio per te tutto il bene del mondo, tutte le cose che desideri, che ti conquisterai, la vita che vorrai e le persone che vorrai vicino, tuo padre che si scioglie a guardarti e i tuoi fratelli, sentinelle del tuo piccolo mondo. E quando non saranno i gatti, la bicicletta e la matita, usa l’amore che hai dentro per cancellare i magoni, le lacrime e i giorni che non vorresti mai. E se non ce la farai, per tutta la vita, per sempre, la tua mamma vanesia, il tuo cuore più grande, la tua anima doppia, lo avrà pronto per te.

25 gennaio, 2007

Chiedi chi era Braccobaldo.



Ci sono volte in cui ci si sente troppo grandi. Un po’ obsoleti, come dire. E tutto quel fantastico bagaglio che è costituito dai nostri ricordi bambini, non è nient’altro che una specie di termometro per capire quanto si è diventati grandi e in troppo poco tempo e quante cose ancora fare e da spiegare e da provare, sperimentare, insegnare. Anche se in fondo si è rimaste un pò oche, ecco. Troppa filosofia, stamattina. Ma ieri, la Princi mi ha sbalordito. Non sono giurassica, sono nata nei primissimi anni 60, dico sempre per tirarmela, figlia del boom economico, con la 500, la lavatrice e le gite fuori porta. E mi è rimasto molto di quegli anni, come a tutti, credo. I miei figli sono figli fortunati, sono sani, piuttosto furbi e, com’è ovvio che dica, bellissimi. Ma si sono persi molto. Per esempio, la TV dei Ragazzi. Cominciava alle 4 e finiva alle 5, se non sbaglio, sul primo canale. Io impazzivo per Giocagiò, una specie di Art Attack che richiedeva in ogni esperimento la famigerata forbice con le punte arrotondate che io non avevo mai. Credo di aver riportato seri danni psichici per questo, insieme alla tristissima vicenda del Dolceforno. Ma tutto questo giro di parole per dire che ieri sera, appena prima di dormire, giocavo con la Princi sotto il piumone, appena prima di quel bacio che accompagna i bambini nel loro viaggio attraverso i sogni di zucchero e di brillantini, che li scorta e un pò li protegge, tra i peluche e il cuscino e il pigiamino coi bottoncini a cuore, e i denti lavati e i capelli spazzolati, e quel vago sentore di borotalco e di inchiostro e di quaderno nuovo che hanno tutti i bambini prima di andare a dormire, che te li baceresti per delle ore, e nemmeno quando pungono di barba e brontolano e un pochino ti respingono perché sono grandi e non si fa più, smetteresti mai. Ieri sera, appunto, cantavo alla Princi “Siamo tutti qui, e tutti insieme, vogliam vedere, Braccobaldo Bauuuuuu!”. Orrore. Chi diavolo è Braccobaldo. Come. Era il mio cartone preferito. Era un cagnetto delizioso, un po’ sfigatello, in realtà, col nasone e la cravatta. Lo adoravo. E tu, Principessina che usi il computer quasi come me, che non riesci a concepire una vita senza telefonino e senza bancomat, e senza supermercato, che i gettoni telefonici non sai nemmeno che cosa sono, che una volta mi hai chiesto se quando andavo a scuola io esistevano già le penne biro, tu, bimbetta quasi decenne che hai un canale tutto per te e che se solo hai voglia di guardare un cartone basta che accendi il decoder e non devi aspettare come noi bambini, le 4 perché inizi il tuo programma, che prima ci sono le previsioni del tempo di Bernacca e dopo Sette Giorni al Parlamento, tu…..mi vieni a chiedere CHI E’ BRACCOBALDO???? Ma hai ragione tu, cuore della mamma. Io ci provo a non farti vivere troppo nel tuo tempo, ti compro Piccole Donne da leggere e ti ho regalato un diario con lucchetto, da scrivere con la penna, e ti ricamo il nome sul grembiule della scuola, dove si va senza lucidalabbra e senza minigonna e senza cellulare, che si usa solo nelle emergenze, e quindi mai. Ma non so quanto resisto. E non so se faccio troppo bene. Forse, è il solo modo che ho per farti capire di tenere quel tuo cuore di bambina così com’è, per molto tempo ancora, e di non fartelo troppo annacquare dall’aridità degli sms, dagli automatismi dei copia e incolla, dalla freddezza delle mail. Scrivi biglietti e lettere, e ricopia a mano, amore mio. E ricordati delle canzoni dei tuoi cartoni preferiti. Le canterai, fra vent’anni, a un’altra bambina, che avrà i tuoi occhi, e che saprà di borotalco e di inchiostro, e che avrà un pigiamino coi bottoncini a cuori. Lo conserverò per lei.

16 gennaio, 2007

Lo sbianco.


Ci sono delle giornate che non sai mai se non vedi l'ora che arrivino o che passino in fretta. Ci sono giornate in cui appena apri gli occhi e realizzi che è proprio quel giorno e che devi fare quella cosa che non vuoi fare, vorresti coprirti la testa col piumone così, da non respirare quasi, e farti sottile, spiaccicarti contro il materasso, farti pesante sul letto, rigida, e ripeterti non mi alzo, non mi alzo, non mi alzo. E poi, improvvisa ti viene un'energia insospettabile, una voglia di fare, di toglierti di mezzo l'impiccio, la preoccupazione e l'ansia subdola che ti accompagna da qualche giorno in qua, anche se non le hai dato ascolto, sei stata "brava a tenerla brava", quieta e zitta in un angolino del cuore, come in castigo. Ma lei era lì. E ti ha fatto pulire la casa da cima a fondo, cucinare per un plotone, telefonare a destra e a manca per fissare appuntamenti, una visita, per cominciare, e un esame del sangue, per finire. Già, perchè c'è una cosa che ti scava nello stomaco e nella testa, come un piccolo scalpello appuntito, creandoti un dolore sibilante e continuo: ed è quando uno dei tuoi figli ti dice Mamma Non Sto Bene. Come non stai bene, figlio. Ti ho fatto tutto in ordine, a posto, hai diciassette anni e sei di una bellezza che inquieta, come non stai bene, non puoi non stare bene tu, che giochi a pallone e corri e salti e hai un'allegria che contagia e a volte strema, tu che ascolti la musica a manetta ed è tutto uno zunt! zunt! zunt! che fa andar fuori di testa anche chi passa per caso da camera tua. Mamma Non Sto Bene, ed è un mesetto che non sta, che sta così, che è stanco e non ne ha voglia, che a volte non ha fame e troppo caldo o troppo freddo. Bene, in questi casi, alla pagina 539 del Manuale Del Perfetto Genitore, c'è scritto Fare Accertamenti. Così, si va. Con il cuore ridotto a un gomitolo sghembo, lo stomaco sigillato, come di pongo, una specie di tremore non palesato, Mica Posso Farmi Vedere Preoccupata. E invece la sono, porca miseria, la sono da morire, ostento una tranquillità che mi fa paura, sorrido molto, respiro molto, di quei respiri che conosco bene, di quelli lunghissimi che ti fa fare il dottore quando hai la bronchite. Allora, si va. Stamattina niente scuola, ma è una vacanza che non piace a nessuno dei due. In fondo, sono io l'incaricata della salute, in famiglia. Io che distribuisco vitamine e sciroppi, antibiotici e goccine, dove necessitano.Mio marito si chiama fuori. Ma stamattina, sulla porta, nemmeno lui era tanto normale e si vedeva da lontano, aveva quel passo a scatti che gli riconosco quando c'è qualcosa che non va. Fatte la analisi, dalla mia Amica Dottoressa, che gli ha fatto un prelievo come una carezza, ridendo delle sue scarpe di due colori diversi e di quel suo piercing in quella parte d'orecchio che non è il lobo e che per questo mi sa che fa un male orbo. Ma lui era teso. Mi ha rivolto quei suoi occhi da Bambi, quel suo viso angiolesco e quel piccolo broncio. Mi parla con quegli occhi, che sono i miei, il suo cuore tocca il mio, senza parlare, senza bisogno di dire. E so esattamente che cosa prova adesso, così bene che lo potrei disegnare, o farci un film. Che cosa sorregge un genitore quando non sa bene se suo figlio sta bene oppure no, che cosa lo fa respirare e deglutire, camminare e muoversi, se è lì ad aspettare. Aspetteremo poche ore,per fortuna. Anche dall'Amico Medico, una visita minuziosa, una lastra. Poi, in tarda mattinata, la telefonata dal laboratorio. E' tutto a posto, a postissimo, proprio tutto. Solo il valore del ferro, dovrà prendere quei botticini che sanno di chiodi che prendevo quando aspettavo, lui e i suoi fratelli. Fine dell'avventura. Hai Visto, Te L'Avevo Detto. E adesso, qui. Qui, come se mi avessero preso a botte, a manganellate sulla testa, lui, sereno e io spossata, come se avessi scaricato un camion di arance, come se non avessi dormito per settimane. I figli non crescono, sono fragili e cristallini anche da grandi, alti due metri e con un accenno di barba. I figli sono crochi nella neve, stelle lucenti di sabbia e di brina, micini con gli occhi chiusi, fili di seta anche se sembrano di acciaio. I miei figli sono la parte di me che avvolgerei, che terrei sempre al caldo, che difenderei sempre anche dal raffreddore, dai ragni, dall'umidità e dalle cattiverie. E dalla paura. Con la loro cancello la mia, per un pò, e mi sento forte e inattaccabile, per poi trovarmi, come ora, totalmente svuotata, felice e stravolta. Eppure, dovrei esserci abituata, a sbianchi del genere. Mi sa che dovrò applicarmi, forse non ho studiata abbastanza e perciò dovrò ripassarmi quel Manuale. Ma forse, a pagina mille non sarò neppure a metà.

02 dicembre, 2006

La Signora della Lampada.


Vabbè, è andata. Alla fine, il giovane Holden è ritornato a casa, stampellato, gli occhi segnati, pallidissimo. Un pochino sofferente. Certo, non è cosa da nulla, lo sento raccontare ai fratelli ammirati e inorriditi, strane pratiche di tendini e ossa, e drenaggi e tubicini, e iniezioni sottocutanee che la medesima ha dovuto effettuare, armata di coraggio, dacchè il mio sposo se l'è data a gambe. Sì, è toccato a me. Che sono ansiosa è notizia vetusta. E anche apprensiva, agitata e vagamente psicopatica. Così, le scene per fare al piccolo unversitario la suddetta puntura nella pancia, signori miei, mica nel sedere, erano doppie: le sue di lui, che doveva riceverla, le mie di me, che dovevo farla. Insomma, il delirio. Ho respirato profondo, preparato con cura l'aggeggio (che c'è da preparare, son siringhe già pronte, un gioco da ragazzi), preso tutto il coraggio di cui dispongo e zac!, l'iniezione è stata fatta. Ne deve fare 21. In casa mia, Natale In Casa Cupiello è una recita scolastica, in confronto. Ho fatto l'infermiera tutto il giorno. Spremutine, biscottini, aggiustatura di cuscini, sento se hai la febbre, ma ho avuto il crociato, mica la polmonite. Lui, dolorante. Ma tranquillo. Sarà un pò il principe di casa, in questi giorni. E oggi, sua sorella la Princi, per intrattenerlo, gli ha fatto scrivere la letterina di Natale. E' stato discreto, seguendo il mio consiglio. Giacchè cammina deambulando in malo modo, ha bisogno di un nuovo paio di scarpe. E la rieducazione, come fai a non saperlo, riesce molto meglio in scarpe Prada. Suo padre mi ha fulminato con gli occhi. Ma io, che son più furba di una faina, ho retto il suo sguardo. Sono o non sono Florence Nightingale ? Non osare contraddirmi, bellezza. Sulla Croce Rossa, non si spara.

30 novembre, 2006

Figlio del cuore.


Sì lo so che non è niente e che lo fanno tutti i calciatori. E che nemmeno gli faranno l'anestesia totale e che non sentirà male, me lo hanno ripetuto in mille, solo un pò di fastidio dopo e la lagna della riabilitazione, il tutore eccetera. Un intervento al legamento crociato, soprattutto se fatto da un luminare, oggi rappresenta un inghippo paragonabile all'estrazione di un dente suppergiù. Ma non è questo. E' che io non distinguo. Il mio cuore non distingue. Che di figli ne ho avuti tre e ne ho vinti altri due, e che questo, questo qui che ha 21 anni e mi abbraccia stretto come ne avesse 7, come quando era un bimbetto sdentato che non sapeva se guardarmi con ammirazione o con sospetto, quando gli insegnavo a disegnare le fragole coi puntini, nei week end in cui stava col padre e quindi con me, questo ragazzo che è un uomo, oramai, che studia da ingegnere e che si siede in cucina a parlare con me, che mi chiama Là e che racconta, non molto in realtà, ma che so da come apre la porta se qualcosa gli è andato storto, questo figlio acquisito che non è un "astro", suffisso bandito nella nostra famiglia, che mi dice Parla Tu Con Papà, e mi scrive nei post it Grazie e io ci piango come una scema, che conservo ancora quella melanzana salterina che mi ha regalato per la festa della mamma dieci anni fa. A lui, che stamattina ho fatto ridere sulla porta con le mie stupidaggini alle 6 del mattino, che aveva un pò paura ma non lo dava a vedere, ma sa che io so, a lui vorrei mandare, adesso, il più stretto dei miei abbracci, quelli che scaldano e danno coraggio, anche se è grande e sa che non è niente e che domenica sarà già qui, a casa, a casa sua. Non sono sua madre, ma da undici anni è come se. Il cuore non distingue, se i figli vengono dal cielo o dal mare. E i figli del cuore, col cuore, lo sanno.

13 novembre, 2006

Chiedi chi erano i Beatles.

Se vuoi toccare sulla fronte il tempo che passa volando.
Già. Stamattina ho spiegato a mia figlia chi è Stella McCartney. Non che ogni mattina le spieghi la vita e le opere di uno stilista diverso, certo che no, ma eravamo lì, un po’ di corsa come ogni mattina, i maschi già fuori, a parlare di vestiti. E non importa se ha soltanto anni 9, ma le piacciono le cose belle, impazzisce quando, mensilmente o quasi, stanzio una piccola cifra da spendere a suo piacimento nel paradiso degli abiti low cost, Zara e similari. E da lì, dal fatto che costare poco non vuol necessariamente dire che siano schifezze immonde, anzi, ci si sono messi pure degli stilisti di chiara fama a disegnare per loro, zac!ecco che si è arrivati, giocoforza, a Stella McCartney, che ha disegnato per H&M. ma chi è mamma? Ma come chi è, figliola, la figlia Paul McCartney. Ah. E chi sarebbe? Come chi sarebbe, COME CHI SAREBBE. Ma uno dei Beatles! Mi ha guardato, gli occhi di lago un po’ assonnati, i capelli che ancora non avevano incontrato la spazzolata mattutina, il pigiamino stropicciato, un’ombra di dentrificio all’angolo della bocca. Come puoi, figlia. Come puoi sapere, se di anno di nascita fai millenovecentonovantasette, chi erano i Beatles. Quelli di She loves you yè yè yè, quelli di Help, I need Somebody, Help!quelli di We all Live in A Yellow Submarine….. Come puoi. Mi sento giurassica a parlarti di loro, in realtà quando loro cantavano Help io non ero ancora nata, ma ho consumato le loro cassette quando avevo 13 anni o giù di lì, le cassette, lo sai, quelle cose rettangolari con il nastro dentro che gira, e che a volte si intruppava e allora si aggiustavano facendo girare dentro le rotelle una Bic Punta Fine. Che ne sai, tu, di quando per vedere le foto della gita si doveva portare il rullino dal fotografo e aspettare una settimana, tu, che scarichi le foto del compleanno quando ancora il tuo compleanno non è passato del tutto. E che dirti, allora, degli amici delle vacanze, ai quali scrivevo durante l’inverno delle lettere lunghissime, sui fogli di Snoopy e Holly Hobbie, e impazzivo a cercare il Codice di Avviamento Postale di Milano, in un libricino che conservava mia nonna in un cassetto della cucina, e aspettavo che il postino mi portasse la risposta, tu che racconti in Msn alle tue amiche che hai imparato la poesia di San Martino e che a Milano ci vai così spesso che scriverci una lettera sarebbe ridicolo. Ma tu, figlia, conserva un po’ di questa cose passate. Sono così belle. Ti farò sentire le canzoni dei Beatles, aiutano a imparare l’inglese, non lo sapevi, e poi quando sarai più grande, sarà così inusuale sapere a memoria Michelle Ma Belle che farai tendenza. E scrivi, figlia, scrivi, con la carta e la penna, scrivi bigliettini e lettere, falle trovare nei posti più impensati alle persone che ami, sono carezze per l’anima, che non si abitua alle mail, ai forward e agli attachment. Io conservo le lettere delle mie amiche, le leggo quando voglio sentirle vicine, senza telefonare. Mi piace di più. Scrivendo, lo sai, è il cuore che parla, esce il vero di te che non sai dire con la voce, a volte è così difficile. Scopri cose che non immagineresti neppure, e le fai scoprire agli altri. L’anima è una buffa cosa, fa tanto la spavalda ma poi va in sollucchero per una fotografia di carta da tenere in un libro, Ti voglio Bene su un bigliettino, la poesiola nella merenda, Ti Amo sul post-it allo specchio del bagno. E se non saprai bene che cosa scrivere, fermati e ascolta. Il tuo cuore, amore mio, lo scriverà per te.

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...