18 febbraio, 2010

Ode alla Pastiglia Valda.

Le ho ritrovate da poco. E' un articolo prettamente invernale, del quale non si può proprio fare a meno, come il Vicks e la Citrosodina. Cura un pò tutti i mali, dalla tosse al raffreddore, al mal di gola, che non è vero niente, ma ti basta succhiarla un pò per sentirti già meglio. Esistono due scuole di pensiero: c'è chi la consuma singolarmente, una per volta, e chi invece, a due a due. Già la scatola di latta è un must, ne puoi fare collezione, se vuoi, e tenerci i bottoni, i marcapunti, gli spilli, se ne possiedi. Aprire la scatoletta, ruotandola leggermente e sollevandola con grazia è già puro piacere, anzi, il piacere inizia già da prima, quando si sente dal fondo della borsa uno sbatacchiare discreto, che ti fa ricordare che sono lì, Vuoi Una Caramellina? La pastiglia Valda si estrae dalla sua sede con eleganza, a due a due, appunto, perchè quella è l'unità di misura, uno vuol dire due, da mettere insieme e far combaciare la base con millimetrica precisione, ci hai fatto caso, sono fatte a pino, dimmi che non lo sapevi. Essa, la pastiglia, si lascia sciogliere con pazienza, si toglie via tutto lo zucchero e si attende l'esplosione della menta che non tarderà ad arrivare. Mia nonna mi diceva Disinfetta, e in realtà la sensazione è proprio quella, l'aroma deciso di clorofilla e erbe balsamiche si sprigiona con deliziosa sfacciataggine e rende il nostro respiro corroborato, salubre, balsamico, appunto. Non importa se hai il raffreddore o non ce l'hai, la Valda si presta a una quantità di giochini che conoscono tutti, tipo quello di succhiarla un pò e poi mettersela al dito come uno smeraldo, come faceva la mia compagna di banco delle elementari, oppure tracannarci un bicchierone d'acqua subito dopo, per provare quella sensazione di vuoto glaciale che si ha dopo un esperimento come questo. Son cose. Ma la vera magia è quando le pastiglie sono finite e sul fondo della scatola rimane tutto quello zuccherino mentoso, e allora, col dito, si compie una circonferenza tutt'intorno e poi, a piccolissimi, impercettibili colpetti, si raccoglie con l'indice, che si succhierà con grande contegno. Certo, ci vuole allenamento. Da farsi al chiuso, però, e senza spettatori, che simili esercizi in pubblico, signora mia, non è mica tanto elegante sa?

17 febbraio, 2010

Mirtilli e carote.

Mi hanno suggerito di curarmi, di smetterla e che non se ne può più. Così, cerco di curarmi, come posso e come so, in un bel pomeriggio del genere, se si ha a portata di mano una finestra e si è nella parte dell'Italia che è la mia, Basso Piemonte, vediamo se c'è tanto da divertirsi. E che ieri sera, prima di ieri notte, era stato così divertente, una specie di capannello virtuale, siam state lì a ciaccolare come serpi su quel gran polpettone di Sanremo, sì, la più trash delle trasmissioni al mondo, ma con i ferri in mano, che ridere, alla fine, un pò su Facebook un pò su Ravelry, è stato bello, i miei figli mi guardavano e scuotevano il capo, al mio Sposo non gliene importava una beneamata ma è stato educato e rispettoso, persino il Liceale si è detto, Massì, Lo Guardo Anche Io e poi dopo un pò, Ma Che Boiata E'. Cosa c'è di meglio di un progetto nuovo e coloratissimo, approntato ieri sera per la serata canora e messo a punto subito dopo pranzo, nella beata ora che va dalle 14 alle 15, quando in casa ronza solo la lavastoviglie e tutti o quasi i presenti sono in altre questioni assorbiti. Mi è venuta voglia di cappellini ad arancia, a carota e a mirtillo, sempre da dedicare a questo progetto. Ho una quantità di lana morbidissima arancio e viola, la mia copertina è già avviata e le scarpine arriveranno presto. Per le carote non c'è problema, devo solo perfezionarmi sulla forma del mirtillo. Sempre di vitamine si tratta. E se devo proprio curarmi, meglio non c'è che maglia e vitamine.

Scivoli.

E' successo di nuovo, succede ogni tanto, anche se quasi non mi ricordavo nemmeno come e quanto, non mi succedeva da un pò, nemmeno ci pensavo più. Che cos'è. Non lo so. Ma fa male. E' come se tutta l'energia, tutta la forza venisse risucchiata, bevuta via con la cannuccia, un buco in un pallone e tu ti sgonfi e vai giù, giù, ancora più giù del letto, più del pavimento, più della cantina, della terra, del mondo. Vai giù, respiri che non respiri, il cuore ti va in pezzi da quanto batte forte, lo senti, tump! tump!, batte contro lo stomaco, nelle spalle e dentro agli occhi. Scivoli e galleggi, galleggi e scivoli in qualcosa che non sai, che roba è questa, è panico o che cosa, ci si sente così quando stai per svenire, quando sali troppo in alto e hai le vertigini, quando senti l'aria nelle orecchie e una specie di vento dentro, lo senti, il vento, e questo buio, quanto buio che c'è, forse con la luce non succederebbe, ma del buio non hai mai avuto paura, mai, ti sei inventata delle storie bellissime per fartelo amico, il buio. Rastrelli le forze che non trovi, racimoli un coraggio che non hai, dài che adesso passa, non chiami nessuno, non fare la mammola, non è niente e poi li spaventeresti per niente, perchè non è niente, lo vedi, ma è un niente che squassa, uno stato che chi non prova non sa, è solo paura, ma di che cosa poi, è solo ansia, ma ansia di che, è solo che non sai nemmeno che cosa raccontarti, di storie adesso non te ne viene nessuna e questa cosa non ti è amica, no, ti sfida, ti scrolla, ti mette alla prova, forse, chissà, e allora rimani lì, spenta e sgonfia, inanimata eppure scossa, agitata eppure immobile, un pallone bucato, respiri il niente e aspetti, aspetti che passi, non è niente, passerà, ancora un attimo e passerà.
tumblr-la douleur exquise-

16 febbraio, 2010

Sfioritissime rose.

Tema: le rose. Non sono in realtà il mio fiore preferito, l'ur-fiore, per intenderci. A me piacciono gli anemoni, i tulipani e le margherite. Le dalie, anche, con quei loro petali assurdi a punta e nessun profumo. Ma sono fiori fuori moda, nessun giardino ha più le dalie, nemmeno il mio, anche se ci ho provato, ma poi i bulbi sono diventati un gioco saporito per un allora cucciolo di labrador quel che ora è diventata la Signora del Divano. Pur non impazzendoci, le compro. Sempre. I mie pusher di rose sono essenzialmente due, Said e l'Esselunga. Ultimamente mi sa che Said si è lasciato spaventare dal freddo e dalla neve e ne ho perso le tracce. Resta l'Esselunga, ed è una meraviglia osservare che grazia dona al mio carrello stracolmo di ognibendiddio, un mazzo di rose colorate, poggiato lì, con studiata noncuranza. Stamattina le guardavo fisse, a colazione, giusto per non sbattere la testa contro il muro a guardare di fuori, che davvero se uno è un tantino triste gli viene da buttarsi dal balcone, che è tutta la gamma dei grigi, dal perla al topo, persino la mia faccia, che ho visto di sfuggita riflessa sul forno, più perla che topo, almeno quello. Guardavo le rose cercando di convincermi che sarà una bella giornata luminosa, che le cose da fare sono tante e alcune anche piacevoli, gradevolissime nella loro totale inutilità, o frivolezza o cosa diavolo. Oggi non si ha nemmeno il sentimento di inventarsi qualcosa, la gita dei gomitoli è stata rimandata causa maltempo, i fanciulli in età scolare sono a casa per il carnevale e quest'ultima parola basta già a mettermi una tristezza infinita. Restano le rose. Sfioritissime ma ancora bellissime, di un fucsia acceso che abbaglia e che stride col grigio che c'è, sistemate in uno strano vaso dalla forma assurda, le rose sono lì, sul tavolo di cucina, e pilotano i tuoi pensieri dove vogliono loro, cercando di colorarli un pò, sforzandosi di profumarli anche, impresa difficilissima, dato che nemmeno loro in fondo lo sono. Così, inizia una mattina qualunque, che di voglia nessuna e di sentimento nemmeno, che avresti voglia di andare a correre e di scrollarti un pò, e che la vera meraviglia di quest'oggi sarà stirare, forse, parola che rientra anch'essa nell'elenco di quelle che ti fanno tristezza, cercherò di tenermi vicino una rosa colorata, magari funziona, e comunque, be quiet, io il balcone nemmeno ce l'ho.

14 febbraio, 2010

Dimanche, la neige.

Le colazioni della domenica, lassù, nella casa in collina, si fanno un pò quando capita. A multipli di due, sovente, dacchè solo lo Sposo Illustrissimo si sveglia all' alba, e appronta con grazia ingegneristica il desco, lento, tranquillo, senza nessuna fretta. E senza fretta la giornata sarà, se guardi fuori ti vien da dire Ma Dove Vuoi Andare, con questi fiocconi, certo, non si fermerà, ma è tanto bello starla a guardare da qui, facendo colazione in comode rate, ad inventare un nuovo modello di scarpina per la consegna che è ormai prossima, e a capire bene come farlo quel minuscolo fiocco, che coi fiocchi di fuori e i fiocchi di dentro, proprio non ci si capisce. I figlioli dormienti, un'amica della Princi, ospite al pernottamento, ha confermato la sua presenza anche al pranzo domenicale, qualche libro da leggere, un bel niente da fare. Che nevichi pure, ne metta giù tre metri e non se ne parli più, che noi qui, nella casa in collina, c'abbiamo da fare. Coi fiocchi, anche noi.

12 febbraio, 2010

Nè di Venere...

Coraggio, coraggio, nessuna faccia triste, oggi, nessun muso lungo, nessun sbadiglio, nessun strascicamento in cucina grattandosi in testa e strizzando gli occhi, inalberando un cartello immaginario, certo, ma che tutti possono facilmente comprendere Non Ce La Posso Fare. Niente, niente, nientissimo di tutto ciò. Vero è ben che le settimane scivolano via con troppa rapidità, vero è ben che certamente il tempo non aiuta, anzi, le smorfie e i bleah! sono amplificati al solo guardare di fuori, ma insomma, coraggio. L'ombrello lasciamolo a casa che fa tristezza, basterà un cappelluccio self made che ci obnubila la chioma tutta, il piumino che si bagni pure, le scarpe inglesi sono fatte apposta per centrare in pieno le pozzanghere, che vogliamo di più. Si fa un giro discreto, l'Amica Finlandese ci attende per un caffè al volo, la spesa del week end, verdura e verdura che in casa qui tutti han deciso di mettersi a dieta, così, per fare qualcosa, per buttare giù i tre chili di tortillas e paella e junk food peccaminoso e natalizio. Ben perciò, si programma un fine settimana frizzantissimo, e non si farà nulla, anzi, il nulla del nulla, che certamente non si parte e ancor più certamente non si sposa, che in grazia del Signore abbiamo già dato, ed eccome se abbiamo. E poi, pioverà e pioverà, ma checceneimportannoi, week end bagnato, week fortunato, ussignur, m'è presa secca coi proverbi, cosa mai significherà?

11 febbraio, 2010

Per te.

A giocare con le parole come faccio di solito, questa volta non mi riesce mica tanto. O meglio, no, è sbagliato, non mi riusciva ieri, quando sono venuta ad abbracciarti e mi hai aperto la porta e detto Ma Tu Sei Matta. Sì, la sono, un pò, ma ti ho sentito così disperata che alla fine non è stato proprio niente per me. Ho parlato di tutt'altro, infatti, fatto un pò la scema, mi riesce naturale qualche volta, c'è chi dice che scema la sono sul serio, e come dar loro torto, alla fine. Ho girato intorno, sotto e di lato, guardando fisso i tuoi occhi persi e disperati, smarriti in un'ansia che non ci provi nemmeno a nascondere, Sembra Che Non Succeda A Me, mi dici guardando il vuoto e io che ho la mia mano nell'incavo del tuo gomito, seduti al tavolo della tua cucina, mi hai preparato una tisana mentre ancora ero in autostrada e ti ho detto Sono Lì Tra Un Pò. Ti tengo così perchè sei la mia Amica di Sempre, ti conosco da trent'anni e forse di più, ed è una vita a pensarci bene, forse di più. Io posso comprendere e sapere, quel tuo pianto leggero e delicato, sei bella anche così, un pò pallida e scarmigliata, con l'Amore della Tua Vita che ti guarda di là dal tavolo e mi fa sentire così di troppo. Anzi no. Io appartengo a questo posto, e questo è il posto mio, ed è qui che devo stare adesso, vicina a te, a dirti Aspetta a Preoccuparti, e voler fermare quella testa che scuoti e scuoti, a sorridere a tua figlia che è te all'età sua, la stessa che ci ha viste così vicine a festeggiare insieme i compleanni, il mio un pò dopo, il tuo un pò prima. Ti tengo così e vorrei dirti tante cose che non so, darti tante cose che non ho. E frugo e frugo, e non trovo nulla per te, nulla se non un bene soffice su cui puoi stenderti, nulla se non un abbraccio lungo e immobile, nulla se non un messaggio stupido questa mattina, che ti ho pensata tanto e che ti ho lasciato la mia sciarpa ieri perchè così, anche da lontano, sono lì vicina a te.

10 febbraio, 2010

Affittasi.

Nonostante i mille appostamenti dei giorni scorsi, nessuno si è visto volare nelle vicinanze di questo nido, apparso in cinque e tre otto nell'acero del pratino. Non si può dire che sia della famiglia Pettirossi che abita da tempo immemore la zona, e che si nutre dei popcorn, delle briciole e delle Macine sbriciolate la mattina presto. Troppo piccino per le gazze, ho ragione di credere che sia disabitato, i pettirossi passano, svolazzano, spiluccano e se ne vanno, senza degnarlo di uno sguardo, senza nemmeno fermarsi per prendere le misure delle tende, che ne so, o anche solo per vedere quanto è grande. Ufficialmente direi che il nido è sfitto. Sfitto come la mia testa di questa mattina, inconclusa e inconcludente, irrisolta e irrisolvente, ciondolante, cincischiante come i pettirossi, e che gliene frega, a loro, alla fine. L'inverno sarà ancora così lungo, la neve tornerà, i figlioli malaticci, appena appena, svogliatissimi, spassosi la sera e catatonici al mattino. La scrivente, in the frattime, s'arrabatta. Litiga con le fodere dei divani, mette il suo stupido cuore convulso su progetti ciclopici, su scarpe svergognate, sulla Pasqua al mare, pensa e pensa e a pensare troppo le bruciano gli occhi e quel che vorrebbe di più al mondo sarebbe una bicicletta col cestino e una strada in discesa, da scendere velocissima, staccata dai pedali, e raccogliere ciliegie nel sole di maggio, le maniche corte, gli occhiali da sole. I suoi pensieri dorati e virtuali si intrecciano con quelli reali e gelati, s'arrabatta sì, e cuoce un pane per il pranzo, fa le cose di tutti i giorni, lavalava e stirastira, ricompatta i pensieri e si dà una smossa, un caffè forte aiuterà, magari, sorseggiandolo piano, soffiandoci un pò, con lo sguardo fuori la finestra, portinaia insolente, pettegola e curiosa, di questo nido sfitto. E forse le scarpe da viale, pulirò la bici, mi manca il cestino. Già, e le ciliegie?

09 febbraio, 2010

Il diavolo e l'acqua santa.

E' così che sono. Così che sembro. Ma forse a pensarci bene, la sono proprio. Scrivo e scrivo, così come mi viene, come mi va, di quel che mi va. Di niente, perlopiù, di me, quasi sempre, di quel che sento e che vorrei tirare fuori, scrivere sulla lavagna, farci un cartello, non per il gusto che si sappia. Per non impazzire, credo. E' una bella terapia. Me la sono inventata, direi che funziona, la brevetterò e ci farò soldi a palate. Scrivo che non so, scrivo perchè mi piace, è la sola cosa che so fare, la sola cosa che mi piace, quasi come leggere, ma a leggere subisci e qui inventi, inventi cose e situazioni, e pensi poco, in realtà, non sono fatta per pensare tanto, la mia mente non ce la fa, mi nasce vanesia, la ragazza, perciò non conta, non ragiona e le equazioni di primo grado manco sa che cosa sono o forse sì, un vago, vaghissimo ricordo, zuccona, zuccona che non sei altro, te le hanno spiegate in mille, così come il minimo comune multiplo, ma che diamine, perchè deve essere minimo e perchè comune, alla fine. Così, la ragazza mi scrive, mi si impegna, anche, mi ha tirato fuori una creaturina così, e scrive di ogni cosa che le passi per il cervello, sia frivolo o da piangerci ore, scrive di lana, di farine, di bosco e di riviere, di mare e di figlioli, di cose e di cose, si mette lì, e senza un motivo, in cinque secondi voilà, lo fa perchè ci piace, perchè è la sola strada che sa per non sprofondare, scivola e gioca con le parole, le virgole, le maiuscole, tira fuori da un cilindro dei verbi impossibili e si calma, scrivendo, si esalta, scrivendo, si coccola, scrivendo, e forse tra un pò tirerà fuori un coniglio e una bacchetta magica, sono tutto e il contrario di tutto, sono il mare e la spiaggia, la luna a mezzogiorno, sono il gioco e la candela, signori, da questa parte, son diavolo e acqua santa, è così che funziono.

Vanesio Day.

Un regalo improvviso di quelli che non aspetti, non è mica il mio compleanno e non è neppure Natale. Un regalo, così, non deve essere prezioso, scatolino piccolo o monogramma, si comincia così a chiedere Cosa Mi Hai Regalato? Dai Che Indovino. Nulla di questo. Mi faccio un regalo da sola, trovo la carta e me lo avvolgo, nastrino e fiocco, sono bravissima a fare i pacchetti, ho una scorta di nastrini e fiocchetti di precedenti regali e riciclo, riciclo da matti, i pacchi li faccio da me, grazie, mai regalato un libro avvolto nella busta di Feltrinelli, per esempio. Oggi mi faccio un regalo, non so bene cosa ma me lo farò, diciamo che me lo sono meritato e anche se non è vero, che importa, mica nessuno viene a controllare. Un regalo qualunque, foss'anche un bel pensiero, un bel momento di calma, una tenerezza, una frivolitudine improvvisa, voilà. Si ha voglia di leggerezza, di stupidaggini assolute, di effimero, di chiacchiere in un bar del Corso, l'Amica delle Perle è dea incontrastata in questo, si aspetteranno i figlioli che escono da scuola ciondolando un pochino, qualche vetrina nel gelo che c'è, ci sono ancora dei saldi se guardi bene, con pochi euro ti porti a casa un maglioncino, un vestitino, ci si proveranno i rossetti sul dorso della mano, ci si spruzzerà di profumi nuovi che non ti appartengono, così, per vedere di nascosto l'effetto che fa. Si usano questi espedienti per contrastare la giornata che c'è fuori, perchè ieri ci si è fatti un culo quadrato, in grazia di Dio, e oggi invece si rallenta un pochino, non importa come e dove, a domani ci si penserà, e in nome della carica che ricopro, Addetta Cazzate, signori miei, istituisco qui ed ora una bella festività, oggi nove febbraio VanesioDay, la mente sgombra, un bel respiro, cose leggere e di poca importanza, un regalo da niente, purchessia.

07 febbraio, 2010

Lenta domenica.

Si fa così, la domenica. Si mette sù qualcosa, in forno e sui ferri, si fanno dei progetti senza grandi pretese, una coperta liscia dove scriverci un nome, color della neve, azzurrino ghiaccio, un bel colore, mi piace, ed è così morbido che si vede da qui. Si lascia che un pò tutti qui dentro facciano quel che gli garba, si scrive e si legge, si legge e si scrive, e non sai se leggi per scrivere o scrivi per leggere, è un bel mistero in una mattina così, che c'è il sole di fuori e non hai voglia del fuori col sole, ma lo guardi da dentro, lo annusi così un pò da distante, come qualcosa cui non hai diritto, non ancora, non ti ci puoi affezionare, tanto, martedì nevicherà di nuovo e allora, cosa sprechi energie a fare. Lo guardi dal vetro, ne avverti il calore, ne indovini il profumo, ma che scema, il sole non sa di niente, e sì, invece, sa di tutti i profumi che gli vuoi dare, quelli che vuoi, non è come il vento, che quello il profumo ce l'ha per forza, il sole no, e se non ce l'ha allora diamogliene uno, il sole di oggi sa...sa...Sa di freddo, ecco, sa di bianco, sa del pollo che c'è nel forno a scaldare un pochino, sa di bagnato, di neve sciolta, di erba fradicia. La lenta domenica oggi si svolge così, nel nulla di una casa in collina dove c'è chi legge e chi scrive e chi si scervella a inseguire pensieri sconclusionati, a pestare sui tasti per non farli andate via, li sparge come il sale sulle strade un pò qui, un pò là, e un pò rimarranno impigliati in una copertina morbida, che il Magic Loop ormai non ha più alcun segreto, e che si guarda il sole da dentro, che a guardarlo da fuori ci vuole una sciarpa e del coraggio e sciarpe, quante ne vuoi, ma di coraggio, bambina, mi sa che non ce n'è.

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...