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29 dicembre, 2015

Vattene.





Vattene.
Vattene via.
E non tornare mai più.
Certo che non tornerai, ma te lo dico lo stesso, così da esserne sicura, vattene dove vuoi, e restaci, restaci per sempre.

Vattene da me, dalla mia famiglia, dai miei affetti più belli sinceri, vattene anche da quelli che mi hai portato via, all'improvviso, un pomeriggio di giugno, una certezza sempre, un pezzo della mia vita e tanto, tanto del mio cuore.

Vattene dalle mie lacrime, da tutte quelle che ho pianto, perchè ho pianto così tanto e così forte che mi facevano male gli occhi e la testa e le spalle e l'anima, anche quella, che male sordo e appuntito è il male che senti nell'anima, e perfino mi tremavano le mani, le gambe, i pensieri, e il cuore e tutta me, davanti a quel marmo che nasconde molte delle mie giornate più belle, e tutto il mare, molti dei miei anni migliori, molte delle mie risate e molto di me, così molto che a volte ho ancora voglia di raccontarle delle cose, di chiamarla e dirle Venite Domenica  Pranzo, No, Venite Voi.

Vattene dai miei giorni di solitudine assoluta, vattene dalla malinconia che si è fatta crema, minestra da mescolare, miele acido e appiccicoso, vattene da queste stanze sempre pienissime di gente e di cose, di musica e di risate e di urla, anche, che amore è se non si urla , se non si litiga un pochino, ma appena appena, e raramente, litigare con me non c'è soddisfa, lo so.

Vattene dalle volte che ho sbagliato, da quelle in cui mi sono sentita persa e sola e stupida, stupida così tanto da sentirne l'odore, so di stupida, non di buono, stupida così tanto da non rendermene nemmeno conto, gli stupidi sono come le farfalle, sono bruchi e nemmeno lo sanno.

Vattene dalle volte che mi sono fermata ad aspettare, dalle volte che mi sono convinta e da quelle che invece non sapevo cosa fare. Non ho fatto nulla e ho avuto ragione.

E' stato un anno pesante e faticoso.
E' stato un anno sciocco, e crudele, crudele da morire, bastardo che sei.
E' stato un anno da dimenticare, come molti.
Questo, un pò di più.

Ho inciampato in sbagli e consigli, mi sono coricata su prati di petali e spine, sentivo solo i petali, ma le spine erano lì, sempre.

Mi sono avvoltolata su me stessa, mi sono chiusa come dentro un barattolo, come dentro una capanna, quelle fatte per giocare, con le lenzuola tra il divano e le poltrone, lasciatemi qui, quando il carico era troppo anche per me, anche per me che non fa niente, anche per me che va bene uguale, anche per me.

Ho poche, pochissime cose belle e me le tengo strette, me le tengo per me, le nascondo sotto al maglione per paura che me le portino via, come al solito, come succede spesso, è così che funziona, no?

Aspetto il nuovo anno senza grandi concerti, senza musica e senza sonno. 
Ne rimarrei delusa, come quando lo aspettavo coi campanelli e le scintille, quei bastoncini che sembra che brucino e invece no,  Il contrario succede sempre, ci pensi mai?

Aspetto il nuovo anno.
Cerco un anno nuovo da amare.
Duemilasedici, non mi piaci.

Ma innamorati di me.
Vediamo quel che posso fare.







16 luglio, 2015

L'Imperdibile Concerto delle Pettegole Cicale.

Dove abitassero esattamente, nessuno lo aveva mai saputo.

Forse nel Grano Laggiù, o nella Siepe Vicina, proprio dietro alla Regia Salvia.

Quel che era certo, era che fossero tante, tantissime.

Iniziavano a cantare ad ogni ora del giorno, soprattutto nel primo pomeriggio, nel sole a picco dei pomeriggi di quello stupido luglio.

Si era provato una volta, a raccontare una storia alle cicale, per farle smetterle, per zittirle, una volta per tutte. Niente da fare. Quelle, zitte non ci stavano mai.

Quella mattina poi, l'assordante frinire che arrivava dal giardino era particolarmente insistente, più forte di sempre.

Si avvicinò un pò di più al Pratino.
Forse, hanno qualcosa da dirmi, pensò.
Ma cosa potevano avere mai, da dire, uno stuolo di cicale chiacchierone, a una tipa scalza in camicia da notte, scarmigliata e nemmeno ancora tanto sveglia, che esaminava con fare saccente il Basilico Rinato e la crescita miracolosa di  tutte quelle piantine con le quali aveva riempito il terrazzo?
Fu presto detto.

Le cicale, si sa, sono esserini pettegoli e sanno tutto di tutti.
per esempio, avevano saputo per prime la notizia del trasloco delle lumache, sapevano che quell'anno la casa viola degli  uccellini era rimasta sfitta, e la sapevano lunga sull'amore impossibile tra il ciliegio e il gelsomino.
ma c'era dell'altro.

In quel frinire continuo, in quelle due note ripetute all'infinito, per ore ed ore, c'era di più.

A starle a sentire, le cicale del pratino raccomandavano prudenza.
Invitavano alla calma, a fare le cose con studiata lentezza, a pensare molto bene prima di provare a stare male, a lamentarsi, a frignare e a dire, AhPoveraMe. Suggerivano altresì di fare un giro al fiume, o al MareVicino, di fare un giro da Feltrinelli per scegliere almeno due libri, da leggere con gusto e meraviglia, all'imbrunire, magari proprio sotto al ciliegio, o sul divano di casa, certamente più fresco ma infinitamente meno poetico. E infine, acquistare un profumo buono col sapore dell'estate, potendo decidere fra Pompelmo o Anice, che non era cosa da poco.

le cicale son del mestiere.

Loro cantano, cantano e cantano, nessuno si cura se stanno bene oppure no, se sono felici o no, se hanno il cuore leggero e colorato  o dolorante e in mille pezzi piccolissimi che raccogli solo con la scopa e la paletta. 
Nessuno si cura di loro.
Loro son quelle che cantano, fan questo da sempre, e nessuno al mondo mai si chiede, Già, Ma le Cicale?

Per questo, decido di seguire i loro consigli preziosi, e farò tutto, o quasi, quello che mi dicono, quello che ho sentito questa mattina presto, che ho individuato  in quel frinire insistente, io col caffè in mano a guardare soddisfatta e piena d'orgoglio i fiorini rosa nel vaso della miseria.

Le cicale san tutto di tutti, e seppur pettegole, dispensano consigli pieni di saggezza.

Ascolto le cicale che la sanno lunga.
Che sanno molto di me.
Che son cicala pure io.


29 giugno, 2015

A Mali Estremi.

La decisione era stata presa nottetempo.
Le lumache del Regio Giardino andavano sterminate.

E sì, era stata una decisione più che sofferta, e sì che ci si era a lungo rigirate nel letto, ancorchè coi cuscini profumatissimi di Lavanda e Camomilla, dacchè l'AmicaDellePerle aveva avuto un pensiero delizioso.
E sì che ci si era a lungo lambiccati il cervello sul come e sul dove.
Ma alla fine, si era deciso.

Da qualche tempo infatti, sul terrazzo di casa, accanto ai vasi rigogliosissimi di basilico sia verde che viola, si notava che qualcosa non andava.
Rigogliosissimo era ancora, ma le foglioline alla base, quelle più tenere e delicate, erano praticamente sparite, rosicchiate da entità sconosciute.

In Giardino, tutti sapevano ma nessuno parlava.
Si sapeva molto bene infatti che la colpa di tale scempio era sua, della Lumaca Lia e di quella buontempona della cugina Gisella, quest'ultima così amante delle mondanità  e del tirar tardi, che organizzava veri e propri party con gli amici suoi, invitandoli anche dai giardini vicini, Stasera, Basilico Party al Giardino dei Bert.

Non c'era quindi un solo minuto da perdere.

Qualche giorno prima, la Scrivente, aveva avuto un moto di stizza presso la casa dell' Amica della Pastiera, nel constatare che quel ciotolone di basilico, fra le piante grasse e le ortensie, non solo era profumatissimo, rigogliosissimo e verdissimo, ma non aveva neppure una fogliolina  rosicchiata.

Mostrandosi indifferente, Ella chiese lumi, e la sua Amica le regalò con fare circospetto due graziose pagodine, di un bel verde smeraldo, Non Hai Che Da Riempirle Della Pozione, le disse, E In Un Baleno Ti Sarei Liberata delle Lumache.

Col cuore stretto, ma decisa nel suo intento, si recò ad acquistare la Pozione.
Non fu un percorso facile, si pentì, si ripentì, poi si pentì di essersi pentita.
Dopotutto le Lumache erano amiche sue, fino ad allora non avevano fatto male a nessuno, se non quella volta dello sterminio dei cavoli nel Regio Orto.
Insomma, erano adorabili bestiole, financo simpatiche, a modo loro.

Ma stavolta, Lia e Gisella l'avevano fatta grossa, banchettando senza ritegno sul Regio Terrazzo.La Scrivente era diventata malvagia e insofferente.
 Le lumache meritavano una punizione esemplare.

Il Basilico ne avrebbe guadagnato in bellezza, 
Le viscide bestiole, con appartamento al seguito,  avrebbero traslocato in altri giardini e i loro Happy Hour si sarebbero svolti in altre ciotole, in altri vasi, insomma lontano.

Ben presto la notizia si sparse per tutto il Giardino, arrivando anche a Lia e Gisella.

Toh Guarda, disse Lia, col suo fare indolente, Per la Festa di Domani Sera Ci hanno Messo Pure l'Ombrellone.

Nessuno al mondo sa quanto stolte siano le lumache.





22 giugno, 2015

Cattiva.



Si riprende piano. 
A passi piccolissimi, uno avanti e tre indietro, poi sette avanti.
 Poi un altro indietro. Il peggiore.

Si fanno cose semplici, cose anche mai fatte, ci si scopre trapiantatrice di erbe aromatiche, di piantine grasse, si riutilizzano vecchi vasi di terracotta, e lattine vuote che non si ha cuore di buttare, dacchè si è ripulito il sottotetto, il garage e pure la cantina e la quantità di cose che è saltata fuori è inimmaginabile, da arredarci altre tre case, per dire.

C’è una sorta di rito a buttare le cose che non servono più, a trovare loro un altro riutilizzo, un altro posto nel mondo, un’altra collocazione. Mentre si tengono stretti ricordi cari, sassi piatti raccolti in quella spiaggia là, e quel pareo coi gechi e quel libro e quel pass. Ci si rende conto di aver vissuto mille vite, di essere stata mille persone in una, rimanendo sempre la stessa, sempre io.

adesso, forse diversa.

Mi sono riscoperta cattiva, in questi giorni, cattiva e arrabbiata. E stanca. A tratti disperata.  Ho placato la rabbia e il dolore pulendo a specchio posti che non ne avevano bisogno, riordinando al millimetro cassetti di cose, buttandone montagne, le carte d’imbarco che ho conservato per anni, le magliette stinte che mi ricordavano cose che non voglio ricordare più, mentre ho stirato con devozione tovagliette un po’ sdrucite, scucite in un angolo, non le ho rammendate perché non sono tanto capace, ricamo con maestria ma non so attaccare un bottone, cucio male e storto, lo so da me.

La cattiveria si manifesta in mille modi, quando butti con forza il vetro nella campana, so che qualcuno ha corso fino in cima a una collina e da lì ha gridato forte, più forte che poteva. Non ne ho il coraggio, ma forse lo farei anche io, se solo riuscissi a stargli dietro a correre.

Faccio cose di una banalità mondiale, dò un significato speciale a queste piantine nuove, a queste lattine tutte in fila sul terrazzo, alcune le terrò, molte le regalerò, ho una fascina di basilico per farci qualcosa, il sole va e viene e nemmeno mi dispiace, è un’estate così  ruvida e crudele che non ne voglio sapere nulla, né di lei né del suo sole, dei suoi gelati, del suo mare. Non ancora, almeno.

Le piantine del terrazzo mi portano un sorriso accennato, non sarò certo io a scoprire il senso della vita, del segreto della morte e del suo significato, di dove vanno le persone quando non ci sono più, ma so che se il piangere ogni tanto un pochino aiuta, so anche molto bene che non risolve un bel niente, e che ti lascia sfatta e sfiancata e con gli occhi pesti, il respiro corto, e una pallottola di carta umida fra le mani.

La cattiveria mi passerà. Non subito.

Così, faccio piantine, studio ricette, disegno golfini colorati per bambini che verranno, mi metterò uno smalto corallo, sabato la festa  ci sarà lo stesso, e la sua foto in cucina, sorridente su Amaranta, fra il libro di Cracco e le tazzine.


21 marzo, 2015

La Leggenda del SeccoAlbero.

Che Te ne Fai Del Sole, gli aveva detto un giorno, da Instagram, passando di lì.

Che strano albero era mai, secco, allampanato, altissimo, senza una sola foglia, senza un solo fiore, senza nulla.
A metà del sentiero, proprio di fronte al CampoDiGrano, se ne stava lì, come ad abbracciare tutto il cielo, con quei buffi rami senza niente.
Aveva tutta l'aria di voler essere lasciato in pace.

Lo vedeva ogni volta che passava e ogni volta si domandava, MaChe TeNeFai.

Quel giorno, volle avvicinarsi un pò di più.
Come a dire, vengo a vederti da vicino, vengo a studiarti un pò, mi ti siedo accanto e parliamo un pochino, non c'è nulla di male a parlare con un albero, ancorchè senza nemmeno un fiorellino, così, giusto per fargli un pò di compagnia, dacchè nessuno si sognerebbe mai di parlare a un albero del genere. 
Certo, lui ci metteva del suo.
Non sembrava uno che volesse dare confidenza, ma nessuno al mondo è fatto per stare da solo. 
Non è mica da tutti parlare con un albero così.
Agli alberi fioritissimi e carichi di ciliegie o di albicocche, o alle querce secolari, sono capaci tutti. Di parlarci, intendo.

Così, iniziò a chiacchierare.
Gli raccontò di quella volta che, e poi di quando, e poi ancora che buffo era stato quel giorno e che spavento quel pomeriggio che...quando all'improvviso, posò lo sguardo meglio sui rami.

Invisibilissime, appena accennate, come appena uscite da non so dove, nuove nuove, lucide lucide, impercettibili quasi, che bisognava strizzare un pò gli occhi per vederle meglio, eccole lì: gemme.

Si chiese se le avesse mai notate prima e si rispose di no.
Si domandò se magari ci fossero anche il giorno prima, ma era pronta a giurare di no.

Niente. Il SeccoAlbero, quello cui sembrava non importare un bel niente del sole e della pioggia e dell'ineluttabile passare dei giorni e delle notti, e delle lune piene e delle mezzelune, e del cambiare delle stagioni e dei solstizi, si era arreso.
Che cosa sarebbero diventate quelle gemme invisibili nessuno poteva saperlo, anzi, probabilmente solo foglioline tenerissime e magari qualche sparuto fiorellino candido, cui nessuno avrebbe saputo dare un nome, ma finiva lì.
L'importante, era che ci fossero.

Ora, non restava che capire per bene che cosa avesse dato origine al miracolo delle Gemme Invisibili.
Nessuno al Prato Grande sapeva al momento darsi una risposta, e tutti si interrogavano ed era un gran allargare di braccia e dirsi Mah! con fare dubbioso e meravigliato, un gran scuotere di teste, ChiLoSa.

ma c'era chi sapeva.

Poco distante da lì, in un'aiuola di rose inglesi non ancora fiorite, un tappeto di viole meravigliose era nato nella notte, e nella notte prima e nella prima ancora, a formare un angolo perfetto di dolcezza e profumo buono.
Il SeccoAlbero, che tanto secco proprio non era, ne aveva sentito le note da lontano e aveva fatto suoi quei bottoncini viola scuro, quei gambi ricurvi verdi di perfezione sottile, quelle foglioline a forma di cuore che tanto aveva rifuggito, chissà poi perchè.

Quell'aroma di caramella, quei colori e quell'impertinenza, nascere così poco distante in un'aiuola delle rose, avevano conquistato il cuore fermo del SeccoAlbero, che aveva deciso di fiorire, non si sa come e non si sa di cosa. 

Il SeccoAlbero si era arreso.
Perciò, aveva deciso di mettere alcune gemme, pochissime, appena appena.
A memoria d'uomo, nessuno al PratoGrande aveva mai resistito al richiamo delle viole, fossero esse nell'aiuola o nel muro, fossero lilla chiaro o violissime, fossero in cespuglio o due a due.
Anche il SeccoAlbero non poteva dire di no a un profumo buono, alle  piccolissime allegrie che sapevano dare quelle violette semplici, di un'invadenza gentile e lucida che vedeva da lontano e che per niente al mondo mai sarebbero andate colte.


Ora, al PratoGrande, tutti attendevano la fioritura del SeccoAlbero, che sarebbe arrivata di lì a poco.

Le Viole dell'Aiuola, nel frattempo, sorridevano.



04 marzo, 2015

Dei miei passi invisibili.

Le volte che ti ho camminato davanti.

Saltando sugli scogli, Metti Il piedino Lì
 a schivare il fango, o nella neve, Così Non Ti Bagni.  O sulla sabbia, Così Non Ti Scotti.

Vicino a te con la paura delle giostre, e che coraggio hai avuto e che fiera eri, quel pomeriggio a Gardaland.

E quella volta che ti ho perso nell’erba alta, se chiudo gli occhi ti rivedo, la gonna provenzale e i sandaletti rossi, due anni nemmeno di occhi sbarrati sul mondo. Alta come l’erba alta, bionda come il grano, non hai pianto quando ti ho abbracciato così stretta che nemmeno respiravi,  ma quelle manine a stringermi, se chiudo gli occhi, le sento ancora.

Oggi hai diciott’anni.

Sei la piccola di casa, l’unica, la Princi sempre, il diamante purissimo, per tuo padre e i tuoi fratelli una specie di tesoro da custodire, nascondere un pochino, proteggere, quella che non si sgrida, quella che conquista tutti a sorrisi e dolcezza, a occhioni verdi e baci piccoli.

Che dirti figlia, in questo oggi che diventi grande, ma grande la sei diventata già, in questi giorni che sono scivolati via, che nemmeno mi hanno dato il tempo di vederli bene.

Io che con le parole ci gioco sempre, oggi, faccio fatica a metterle in fila.
Tanto da dirti,
Poco che mi venga.

Se non di fare tutto, tutto  quello che puoi, che sai che è bene, tutto.
Divertiti e gioca e balla e salta sul letto,  e ridi e piangi, anche, perchè è il solo modo che hai per prenderti davvero cura dei tuoi sbagli, tienili in serbo, non dimenticarli mai, tienili lì, accanto ai tuoi sogni, che qualche volta sogni e sbagli sono la stessa cosa. Ma non farli sarebbe un peccato.

Non perdere mai un’alba da una spiaggia, una lotta coi cuscini,  il mare di notte, l’emozione di aspettare qualcuno e di farsi aspettare, il primo gelato della stagione, una corsa sotto il temporale, l'emozione di un concerto, l'abbraccio di un amico, la magia della notte di Natale.

 Regala fiori, e baci, e disegni, e scrivi lettere d’amore, sii una buona amica, quella che sai ci sarà sempre, che abbraccia, sgrida e consola e sta zitta quando serve. E fa ridere, o piangere, a seconda. 

  Lascia bigliettini nei cassetti,  chiedi perdono se sai di aver sbagliato, difendi i tuoi pensieri e le tue debolezze, pretendi rispetto per te e per la tua anima, scrivi sui vetri appannati, chiacchiera ore sulle panchine, leggi tanto, canta sempre, suona ancora.

E ama, figlia, ama più che puoi, ama tutti come sai, come si deve, come ti ho insegnato,  come forse hai imparato da sola, ad amare un pò si impara e un pò si sa, e di amare c’è un solo modo, uno soltanto.

Ama il mondo, la vita, le cose che hai, le persone che incontri, ama davvero, senza filtri, ama tanto,  ama anche gli uomini sbagliati,  perchè è  attraverso di loro che saprai riconoscere il vero e solo custode del tuo cuore.

Vivi questa età intatta, a metà fra la bambina che eri e la donna che sei, ma  non crescere mai del tutto.
Lascia sempre una te scellerata e vanesia, che gioca con la te ragionevole e seria. E’ il segreto della felicità più perfetta. Le scommesse della testa con il cuore, è sempre il cuore a vincerle, lo sai.

 Ora, non cammini più dietro di me. Ora, le mie orme nella neve non ti servono più.
Ora, sono io a seguirti.
E i miei passi invisibili, leggeri che non li senti, trasparenti che non li vedi, sono sempre lì.
Se ti volterai, in qualunque posto al mondo ti troverai,  mi troverai.


Ai tuoi diciott'anni lucenti, alla mia Emma con le trecce e lo zainetto, tutto l'amore che ho,  il mio amore che sa, il mio amore infinito, invisibile come i miei passi.



25 gennaio, 2015

La Leggenda dei Tulipani Sfioriti

Non è stagione.
Non dureranno.
Chissà da dove vengono.
Ma li aveva comprati lo stesso.
Costavano pochissimo, nell'ultimo supermercato che incontrava nella strada verso casa, la salvezza,qualche volta. Abitava in un posto bellissimo, ma se ti scordi il burro o nevica, o sei in ritardo per il treno, non è una gran meraviglia.
Si scontava il privilegio di avere tutte le colline incollate alla finestra, scrutare con millantata saccenza il cielo, le nuvole, le albe e i tramonti più belli, quelli da fotografare, e poi le stelle, e le scie degli aerei, che sembrano tanto belle e invece sono un mix di veleno e polvere.

Sistemò con cura i tulipani in un vaso viola trasparente, così da vederne i gambi nell'acqua. Anche i gambi devono essere in ordine, mica solo le corolle.

Li vedeva ogni mattina a colazione, la sera a cena, li posizionava con cura in un angolo del tavolo, al centro è da dilettanti, le piaceva apparecchiare benissimo anche per la frittata, o la minestrina, o per finire gli avanzi. Non importa se qualche volta il riso è delle buste.
Candele e fiori, e ti sembra di essere al Ritz.

Contrariamente ad ogni previsioni, i tulipani resistevano.
Cambiava loro l'acqua con metodo, spuntava di pochissimo i gambi, una volta era stata vista guardare dentro una corolla, che strano è il cuore di un tulipano.

Oramai, erano passate due settimane.
I tulipani da poco, forse nemmeno un euro, affastellati di malagrazia all'ingresso del discount, in un secchiello di plastica nemmeno troppo pulito, resistevano.
Forse i petali si erano un pò dissociati, stropicciati appena appena, ma il loro fucsia rimaneva intenso, gradevole alla vista, elegante nella sua aristocratica semplicità.

Quel mattino, fu felice di constatare che i Tulipani Sfioriti erano ancora lì, in quella domenica piena di sole e di mistero e di spari lontani e di zucchero a velo sui prati intorno a casa, e vicino alle ortensie secchissime, che viste così, non promettevano proprio nulla di buono. Ma non era quello il momento di occuparsi delle ortensie.

Decise di imparare dai Tulipani.
Decise di fare un bel sospiro e trovare il coraggio per iniziare una nuova settimana.
Decise in quel momento preciso che sarebbe andato tutto bene e che niente e nessuno l'avrebbe fatta sfiorire, che avrebbe conservato il suo colore pur nell'ineluttabile svolgersi degli eventi, quali che fossero, decise che sì, ce la poteva fare e doveva farcela, decise che no, non si sarebbe lasciata andare per niente, niente al mondo mai, che avrebbe cercato di non sentirsi più sola, delusa o semplicemente triste,  decise che aveva voglia, mestiere, cuore a sufficienza, forza a sufficienza per cercare di splendere sempre, in un angolo del tavolo o chissà dove.

I Tulipani Sfioriti raccontano storie che non sono vere, leggende che si inventano di domenica mattina perchè si ha voglia di stare bene, e si scrivono veloce senza rileggere, così che le cose che scrivi sono proprio quelle che ti escono dall'anima, anche gli errori, anche gli sbagli,  storie che che forse nemmeno esistono o esistono soltanto nella testa di chi le sa leggere.
Il segreto, è leggerle a bassa voce e non farsi sentire da nessuno.
I Tulipani sono strani.
Sfioriti, lo sono ancora di più.



12 novembre, 2014

Rouge.


E' tempo di frivolezze, lassù nella Casa in Collina.
Ci si fa una sorta di piccola, piccolissima violenza, si cerca di concentrarsi su cose stupide, sciocche, vuote, vanesie e, appunto, frivole.
Ogni tanto, fanno bene al cuore.
Curano, perlopiù.

Le frivolezze medicano ogni sorta di male, le incomprensioni, gli  Io Ho Detto e Invece Tu Hai Detto, sigillano per sempre buste da buttare via, nemmeno nel cestino della carta, ma nell'indifferenziato, così si ha l'idea di averle  buttate più lontano e per sempre. Le leggerezze sbiadiscono paroloni e frasi ad effetto, ripicche, musi, atteggiamenti, offese, piccole ferite. Anche grandi, solo, ci vuole un pò più di tempo. 
Le parole taglienti fanno male, malissimo, bruciano un sacco come quando ti tagli con la carta, o sbucciando la mela, sembra cosa da nulla e invece fa male.

Serve perciò un piano d'attacco.

Ci si è ritagliati il tempo giusto, a metà mattina, per leggere i giornali, tutti, per vedere se si trovava da qualche parte online quella lana grossissima per il cappello con le orecchie, richiesto d'ufficio dall PrinciOcchidiMare.

La vera essenza del frivolo, però, è data dallo scegliere con cura il colore del prossimo smalto, indecisa se Rouge Carat, Rouge Rubis o Rouge Fatal, non è cosa da poco coglierne le sfumature, e poi, con dei nomi così belli, una se li comprerebbe proprio tutti, per il solo gusto di vederli lì, sul ripiano del bagno, o sul comodino, di bearsi degli astucci chiccosissimi neri e oro, o di provarli, con religiosa dedizione, appena dopo aver sparecchiato, caricato la lavastoviglie e rassettato la cucina, in quel momento perfetto che va dalle 14 alle 14,20.
Ci si siede un pò storte sulla sedia capotavola, non il mio posto ma la stessa del caffè di metà mattina, in piena luce e si dà il via alla prova. Meglio se con la Princi, c'è più gusto.

Si raccolgono briciole e sentimenti stropicciati, come un pacchetto di crackers dimenticati in fondo allo zaino.

Passerà, perchè passa tutto, e le discussioni e le divergenze si appianeranno, si aggiustano sempre, a un prezzo, certo, ma le cose si stirano sempre, una strada si trova sempre, che porti vicino, che porti lontano, che non porti da nessuna parte al mondo, ma un sentiero c'è sempre, fosse un viottolo di sassi che porta in cima a una montagna, fosse la stradina che da lì vedi il mare, fosse il vicolo di fango che lo attraversi e sei nel bosco.

Sia bosco o mare, sia sassi o sabbia, non mi son persa mai, non mi perdo nemmeno ora.

Rouge Fatal. Ho scelto.






09 novembre, 2014

Viaggio Sola.


Scapigliata.
Ingarbugliata.
Come quando un gomitolo arriva, non so come, fra le zampe di uno dei gatti che abitano la Casa in Collina. Che sono tre, alla data.
Spettinata.
Le domeniche di novembre non è che siano il massimo della vita, di solito.
Oggi, meno del solito.
Pensierosa, mi farò coccolare dal divano, leggerò fino a che mi faranno male gli occhi, è uno dei modi che conosco per non pensare a niente, leggo e scrivo, scrivo e leggo, scrivo e leggo e faccio la maglia, solo che a fare a maglia i pensieri te li ritrovi tutti ancora lì, punto dopo punto, aumento dopo aumento, ferro dopo ferro, e allora non è tanto terapeutico in domeniche come questa.

Oppure, mi trasporto da un'altra parte, vado a Parigi domani, adesso, fra mezz'ora, prendo un maglione e lo spazzolino, a Parigi ci si va da sole, quando si va con la testa e basta, testa che non si deve perdere, per così poco, poi, che testa vuoi perdere mai.

Così, quando si scappa per finta, ci si ritrova subito al Charles de Gaulle, e poi sulla metro e si arriva da qualche parte, ci si balocca un pomeriggio intero a Place del Vosges, si cercano vetrine scintillanti e piccoli negozi nascosti, e bancarelle di libri, e chioschi di fiori e poi il Flore, ma quanto la meno con 'sto Flore,  il Flore che amo così tanto e ci sono stata una volta soltanto, ho già sul tavolino di giunco  il mio cafè au lait nella tazzina spessa,  e so che la prossima volta sarà speciale, quella vera, intendo, al Flore ci sono stata milioni di altre volte col pensiero, leggendo quel libro che so quasi a memoria, in italiano e in francese, ci sono stata con l'anima, col cuore, coi pensieri, quando avevo voglia di andare via da qui, quando avevo voglia di andare via dagli altri, via da tutti e via da me.

Ci vado oggi, via da tutti.
Ho già la carta d'imbarco, sono già lì che guardo giù, dall'aereo intendo, e del resto, di tutto il resto non me ne importa un bel niente. O quasi.

Così, Parigi aspettami, arrivo fra mezz'ora, i viaggi più belli che so li ho fatti col pensiero, che chiudo gli occhi e sono dove ne ho voglia, come ne ho voglia, ma poi li riapro e sono ancora qui, sul divano, scapigliata come mai, arruffata, vestita a caso, con le calze diverse perchè non ne ho trovate due uguali nel cassetto,  a tratti un pò felice e a tratti molto meno, e fuori non ci sono i tetti di Parigi e il Flore ma i gerani quasi morti e un cielo che fa schifo, scrivo e leggo, leggo e scrivo, ma alla fine, i pensieri che non vuoi mica se ne vanno via così.








29 settembre, 2014

Piovigginando, sale.

Non si è fatta aspettare.
E' arrivata, di già.
Eppure, sono stati giorni di sole bello, con le foglie d'oro per terra, intorno alle panchine del Lingotto o lì vicino, sole chiaro che ti faceva dire che sì, forse era ancora un pochino estate, non certo luglio ma insomma, così.

La nebbia, alla fine, arriva sempre. 
A ridosso del mio compleanno, per questo mi piace sempre, anche se quest'anno è un compleanno un pò strano, ma sempre compleanno è.

Mi piace la nebbia perchè è mistero e meraviglia e sopra, attorno, dietro e in fondo puoi immaginarci quello che vuoi, farti dei viaggioni, come dicono i miei figli, inventare cose che vere non lo saranno mai, ma alla fine a chi importa, se anche solo a pensarle ti fanno stare bene.

Mi piace la nebbia perchè nasconde le cose che non vorrei vedere, qualche cattiveria, qualche delusione, e invece avvolge e fa più belle cose semplicissime, quelle che mi piacerà tenere vicino, che non smarrirò, che terrò sul comodino insieme all'acqua, alla sveglia ferma, ai libri, ai sogni spiegazzati, ai pensieri del mattino presto quando guardo fuori e non so mai se girarmi e ridormire o se stare lì a guardare la nebbia, il soffice che entrerebbe dalla finestra se solo avessi cuore di aprire, se solo avessi cuore di alzarmi da qui che fa già freddo e ci vuole forse una coperta leggera.

Di solito verso metà mattina il sole vince sulla nebbia, e il cielo che è rimasto nascosto fino ad ora, salta fuori in tutta la sua maestosa azzurrità.

Serviranno forza e vitamine, respiri lunghi e scrollate di spalle, di magoni non ne ho più voglia, ho mille cose da fare e col magone non si va lontano, si cerca ogni occasione per stare bene anche solo un pò, le foglie accartocciate che fanno quel bel rumore quando ci corri sopra, la luna di ieri sera che era una ciglia rosa su un foglio nero, sarà il mio compleanno per giorni e giorni, un pò qui e un pò lontano da qui, che bello sarà arrivare.

Intanto, aspetto il sole, che alla fine arriva, lo so, tra poco più di mezz'ora, minuto più, minuto meno, e piovigginando salirà, ma è nebbia secca questa qui e non pioviggina nemmeno, sale  e basta.
L'avrà vinta il sole.

e poi, la nebbia è un pò innamorata del sole, lo sanno tutti.
Per questo gli lascia fare sempre quello che vuole.









11 giugno, 2014

Effetto domino


Faccio quello che posso.
Quello che riesco.
Un pò poco, in realtà. Raccolgo cocci, disinfetto ferite invisibili ma presenti, scopro debolezze che non credevo di avere, e, a tratti, una forza e una tranquillità preoccupanti, una specie di impallamento, se sto troppo ferma o troppo zitta o troppo calma, non è mai un bel segnale.
e' arrivata un'estate prepotente ma svogliata, non so dire, si cerca di pensare che tutto sia normale e tutto a posto, quando in realtà è tutto così confuso e incerto che non si sa da che parte voltarsi.
Si cerca di prenderla con filosofia.
E limitarsi ai primi danni, che nemmeno sono pochi.
Direi.

si decide in questo istante di smetterla di farla tanto lunga, di darsi un certo tipo di contegno, di raccogliere quel che c'è e farne buon uso, come quando rompi una collana, impossibile rifarla uguale e allora infila perline a casaccio, aggiungine di nuove, più colorate e più lucide. Trovarle non sarà difficile.

La scuola è finita.
La Liceale Innamorata vive questi primi giorni di libertà come si conviene, fra feste e piscine, con quei suoi occhi di mare più brillanti del consueto, il sorriso più trasognato di sempre, cuoricini a quintali su Whatsapp quando mi comunica spostamenti e cambi di programma.

E' tempo di esami per gli universitari, e camicie immacolate per l'occasione, Ho Rifiutato un 26, Era Facile, Voglio 30. I miei figlioli maschi sono la contraddizione, la bellezza, gli unici al mondo che sanno farmi ridere tanto, ma tanto, anche quando ho il cuore in pezzi, l'anima incerottata e mi raccontano in cucina, e mi fanno sentire chef pluristellata anche quando cucino distratta una pasta al pomodoro.
Si preparano valigie e progetti.
Troppi, forse.

Ce la metterò tutta.
raccoglierò forze e sentimento, ammucchierò per bene tutte le mie intenzioni migliori, la forza che sono stufa di avere, il controllo, la maturità anagrafica, il mio ruolo in questa casa e in questa famiglia.
Ce la farò.
Nel frattempo, mi organizzo con piccolissimi accorgimenti.
Una sera con le amiche, domani, come da tantissimo non facciamo più, previsti tacchi dodici e mojiti, ma come, la strada di dove andremo è tutta ciottoli e prato, ma non importa. Rientro previsto forse per le 22. Qualcuno azzarda le 22,30. E già, ci sembrerà di aver fatto follie.
Mi farà bene.

Faccio esperimenti su di me, sono cavia di me stessa, un topo da laboratorio, gli esperimenti vanno fatti più e più volte, alla fine, con le provette giuste, gli elementi giusti, riescono sempre.
Mi risolleverò.

Primo tentativo al mondo di effetto domino. Al contrario.

Si.PUòFaRe.

29 maggio, 2014

La Cretina Ortensia.



Il suo nome non le piaceva.
Troppo altezzoso, troppo altisonante. Complicato.
La Cretina Ortensia viveva nell'aiuola delle ortensie, e dove se no?, ed era quel che si dice una testa matta. Accanto a lei, la siepe delle ortensie più anziane e più giudiziose l'avevano più volte avvertita, ma lei nulla. Era un buona ortensia, alla fine, di gran cuore, perfino simpatica qualche volta. 
Se non fosse che quel maggio si era messa in testa di fiorire prima delle altre.

E mentre tutte erano ancora agglomerati verdissimi di fiorellini senza senso, lei no, lei si pavoneggiava un sacco con quei suoi fiorini rosa acceso, con quelle sue foglie lucide, con quel suo fare altezzoso, altisonante e complicato, proprio come il suo nome.

Ma la Cretina Ortensia sapeva il fatto suo.
Lei fioriva quando le pareva e le piaceva, non ne voleva sapere un bel nulla delle Regole del Giardino, e cioè che le ortensie fioriscono tutte insieme, appena dopo la pioggia dei petali del Ciliegio, che si deve stare buone e composte, rispettando le ortensie più grandi, quelle della siepe nuova, quelle sulle quali  nessuno ci avrebbe scommesso, arrivavano dal giardino del vicino dove avevano abitato per anni, e in molti pensavano che non avrebbero retto al trasloco, e invece no.
La Cretina Ortensia lo sapeva. e lo sapeva bene.

Ma le regole, ogni tanto, andavano in qualche modo sovvertite, sennò, che divertimento c'era, e che sì, lei  sapeva la storia,  che bla e bla e bla, ma in fondo non faceva proprio male a nessuno, aveva voglia di fiorire e fioriva, prendendosi tutto i rischi del caso, tutte le complicanze, pure le smerluzzate dei gerani, per dire, che non perdevano occasione di farle la predica e dirle come ci si doveva comportare, che non era quello il modo.Ma si sa, i gerani son filosofi, e te la spiegano, sempre.

La Cretina Ortensia lasciava dire.
E fioriva, a dispetto del mondo, del Pratino, del Ciliegio e di tutte le altre ortensie dell'Aiuola.
Fioriva, per trovare il coraggio, per fare un respiro lungo e andare avanti, fioriva a dispetto delle erbacce che si abbarbicavano sul suo stelo, che sembra siano solo campanule bellissime e invece sono  infestanti e pericolose, velenose perfino, beh non esageriamo, lei, la Cretina Ortensia, fioriva e fioriva, e diventava da rosa acceso a fucsia brillante, bellissima.

Il geranio, da lontano, nonostante la filosofia e le menate, guardava e sorrideva.

05 maggio, 2014

Make a Wish.

Sono stata in un posto bellissimo.
Non iniziano così anche i temi delle medie?
Sono stata due giorni un pò fuori dal mondo, fra ulivi e specchiere frantumate da un colpo di vento, e vecchi servizi di piatti da perderci la testa, spartiti consunti e tovaglie e posate e cestini da picnic perfetti per i Giorni da Prato.
Ho avuto due giorni di una specie di vacanza, una specie di festa, anche se  freddo, la pioggia, il vento, e a scrutare nuvole nerissime in un cielo che non prometteva nulla di buono,ma invece sì, alla fine.
Amo le cose vecchie, quelle dei rigattieri, dei solai, i divani rovinati, le zuppiere sbeccate, le scatole arrugginite dei biscotti.
Ho avuto due giorni di abbracci e di ridere e di niente, un Bellissimo Niente, maiuscolo, questa volta, quel Niente che ritrovi dopo un pò e che ti fa sorpresa e contenta, ma sì che lo sapevo.
Il Bellissimo Niente nelle cose semplici, in A. che mi si avvicina sorridendo, occhi cerulei e sguardo limpido, Lo Sapevo Che Eri Tu, e che mi racconta di quel suo Amore che è lì, a me, a me che legge ogni mattina, a me che sa, a me che conosce così bene, anche se non mi ha mai visto.
La meraviglia.
Il Bellissimo Niente sono tutte le cose che messe in fila fanno giorni perfetti di carezze, vere o virtuali è di poca importanza, giorni perfetti di piccole soddisfazioni, un cucchiaio di ambrosia, spalmata sulle gallette di riso, così, a rendere un giorno qualunque un giorno speciale.

make a wish.

Il mio desiderio è tenere tutto qui, vicino a me, appiccicato a me, le persone che mi sono care, le persone che con me dividono cose e sensazioni, e sentimenti e progetti e deliri, anche, perchè no.
Voglio che questo maggio profumato porti solo cose belle, e bei momenti e abbracci come quelli di ieri, e belle storie da raccontare, bei disegni da fare, bei cuori da attaccare a un fico sulle colline, in mezzo a tutti c'era anche il mio, che sorrideva.

Il mio desiderio di oggi è di avere sempre il cuore lucido, rosso e semplice,  la mente non è indispensabile,
 Make a Wish and Give it Wings, se il cuore vola, è un privilegio.

Grazie A., di quell'abbraccio.

15 aprile, 2014

Improvvisi Iris.

C'ero passata due giorni fa, da lì.
Solo foglie e tronchi sottili. Poco più in là, le canne di bambù con le quali i miei figli piccoli hanno costruito centinaia di lance, capanne, zattere e missili. Degli iris, nessuna traccia.
Ieri, poi, in quel momento bellissimo che è il verso sera, quando hai finalmente l'autorizzazione scritta a fare quello ti va, a trovarti in un posto bello a far le cose che vuoi tu, ecco la siepe degli iris comparire in tutta la sua bellezza aristocratica, l'iris non è un fiore da tutti i giorni, ha quell'aria sofisticata che ti mette un pò soggezione, come quando studi e studi e poi arrivi lì e non sai niente, eppure non sono timida e ho studiato e a casa la sapevo, giuro.

Gli Improvvisi Iris sono apparsi dopo un fine settimana così bello e pieno di promesse e di baci,  di baci e di abbracci e TiVoglioBene, quelli che non ti aspetti, quelli che arrivano dritti dove devono arrivare, al cuore, forse, ma anche più in là, se c'è un posto più in là del cuore, e sono sicura di sì.

Gli Improvvisi Iris avevano fatto una riunione nottetempo e si era decretato fosse quello il momento giusto per fiorire tutti insieme, segaligni e bellissimi, regali col loro portamento altezzoso e poco importava se il loro luogo per spuntare fosse da tempo la radura oltre la rete, quella vicina al campo d'orzo, all'inizio della collina.
Era quello il momento.
C'erano stati molti giorni di sole tutti in fila, e il Ciliegio sì che era fiorito, ma era già tempo di pioggia di petali rosa e il pratino, che la sapeva lunga, non vedeva l'ora di ricoprirsi per un pò di quei gioielli morbidi, di quei fiorellini così delicati. Il Ciliegio è un bell'elemento, non è che puoi dirgli cosa deve fare, ci vuole pazienza, con un tipo del genere.

Così, il Simposio degli Improvvisi Iris  aveva stabilito: Si Fiorisce Lunedì.

Passando di lì, il viola acceso e le corolle eleganti, un pò Hermés, aveva fatto in modo che il mio Verso Sera diventasse straordinario, dopo una giornata sottilmente malinconica, si sta sempre così quando un evento finisce, quando qualcosa che hai aspettato tanto arriva e va via. Come la fine di un incantesimo.

Gli Improvvisi Iris lo sanno.
E si sono fatti trovare lì, al solito posto, un mazzo non reciso mandato da chissà chi, che non devi mettere in un vaso ma che puoi guardare quanto ti pare, se passi di lì, disegnarli, fotografarli e pure parlarci, se vuoi. 

Il Simposio degli Improvvisi Iris ha deciso di rimanere a lungo fiorito proprio lì, nella radura vicino al campo di orzo. Passerò di lì spesso, li guarderò come si guardano le cose preziose ed esclusive, ammirerò la loro perfezione, la loro corolla sofisticata che nemmeno Hermés  saprebbe fare più bella, è un regalo per me questa siepe così viola, che si lascia intatta così com'è, senza coglierne nessuno, sarebbe un sacrilegio.

Nessun Improvviso Iris resisterebbe mai in un vaso di vetro.
E loro lo sanno che io lo so, e allora va bene.





Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...