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14 febbraio, 2009

Gelosissima....



Di quel pacchettino che ho trovato ieri, nella cassetta della posta. Gelosissima di quel cuscinetto meraviglioso che questo donnino qui ha confezionato con le sue mani per la piccolina di casa. Gelosissima lei, la piccolina di casa, del suo cuscinetto personale, che ho anche faticato a toglierlo dalle grinfie, sennò, quel bel nastrino vellutato color viola-di-sentiero, emmarameo che ci rimaneva attaccato. Gelosissima l'altra cagnona, che si è vista arrivare come regalo di Natale, tra capo e collo, questo scricciolo tutto baci e vitalità e dolcezze e frignatine se viene lasciata sola per più di cinque minuti. Gelosissima io del bigliettino in bella grafia, dedicato a lei sola e a lei soltanto. Sob. Ma felice, felicissima, felicerrima che la piccola Tiffy abbia fan in tutta Italia. Quasi quasi faccio un gruppo su Facebook.
E a quel bel donnino di Roma, voglio dire un grazie grosso come una casa, e dirle che la stimo e che so come fa le cose e con che cuore e so che lo sa anche lei e allora va bene.


21 ottobre, 2009

Bonjour, l'automne.

Che bella mattina che è. Silenziosissima, come sa essere bello il silenzio quando ti fa sentire in pace, contenta, di nulla in specifico, ma ci si sente così, e che ci vuoi fare. Si ascolta con sodisfazione questo benessere, questa sottile serenità, certo il frutto di tanti esercizi, esito di tanti lividi, magoni e pianti, momenti in cui ci si è sentiti così soli e disperati e immobili e assurdi. Lontani, alla fine, si è lavorato su di sè, si è imparato, si è cancellato, accantonato, chiusi capitoli e questioni, ci si è fatti più forti, si sono dette cose, ascoltate altre, si è cambiato registro, uniforme. Mai il sorriso. E' un cammino faticoso, come quando fai in salita un sentiero che ti porterà a uno spettacolo meraviglioso, non so come dire, sarà la piacevole malinconia di questa mattina autunnale da catalogo, la pioggerellina, che non sai bene se è pioggia o nebbia, e che mi rende così romantica e melensa, e mi fa pensare e pensare. A cose belle, però. Che non necessariamente son tutte metafisiche e filosofeggianti, echeppalle, ma va bene l'alternarsi continuo, il senso del cosmo e quegli stivali da viale su cui ho messo il cuore giorni fa, verificare il proprio stato emotivo e scervellarsi a ricordare il nome di quel mascara che fa gli occhi da pantera. Così, si dipana questa mattinata autunnale, nella casa in collina silenziosa e ancora un pò in disordine, scarmigliata, scalza e vestita da casa, una felpa di Bali che racchiude un cuore d'autunno, un cuore sfacciato, un cuore che ride.

11 aprile, 2011

Piccola me.


Credevo fosse più semplice. Credevo di farcela, Ho Studiato Abbastanza, mi dicevo, sarà come coi suoi fratelli, lievemente diverso, lievemente soltanto, ci saranno da fare alcune aggiustature, ma sono preparata, ho gli appunti di tre esami precedenti, sì, anche di quello che è diventato mio quando aveva 13 anni, proprio nel momento peggiore, e forse è stato proprio lui ad insegnarmi come, con i suoi fratelli. Sarò pronta. E invece no, pronta non la sono affatto. Sono giorni che stridono per la Principessa degli Zaini Scarabocchiati. Quattordici anni e il mondo addosso, un giorno a schiacciarla, il giorno dopo a portarla in trionfo, un giorno nel fosso, un giorno sulla luna. E' normale, mi dico, lo sapevo, anche io forse alla sua età, ma è cosa da non dire, i miei anni di allora non si riconoscono con i suoi di adesso, è tutto più veloce, a volte più semplice, a volte così complicato. Dove sbaglio è la prima domanda, ovvio, ci deve sempre qualcosa nei miei figli che deve, assolutamente deve essere colpa mia, in qualche modo. Ma lei, occhi di mare verde, di erba nuova e smeraldo, mi scivola via. Parla poco, ascolta molto, o forse sembra, persa a volte dietro una carovana di zingari che sono i suoi pensieri e sembra qui, a tavola con noi, ma forse è in qualsiasi altro posto del mondo che non è questo. Cosa devo fare con te, Principessa del Sole, che mi rubi  maglie, occhiali e braccialetti e il profumo che ad abbracciarti stretta sento me, e ti dico Sicura Che non Ti Chiamino col Mio Nome? E tu sorridi piano e dolce come sei tu. E poi non dici, o dici pochissimo, e stai spesso nei tuoi pensieri e in quel regno perfetto che è la tua stanza, e suoni e suoni e poi parti per un viaggio che sai solo tu, le cuffie nelle orecchie e scrivi e scrivi, distante, distante da tutti, distante da me. Io sto qui e aspetto, che arrivi da me la donna nuova che stai diventando, che mi dica le cose che senti e che a chiedertele sono solo piccole frasi, Tutto Bene, Tranquilla, ma tranquilla non sono e vorrei riuscire a guardare dentro quel cuore che ti ho regalato e sapere quello che c'è, cosa gira nei tuoi pensieri, cosa sono tutti i silenzi e tutti quei musi e quelle risate che arrivano improvvise quando ti sento parlare al telefono. Ma so che non sei tu, ma io a dover cambiare, so che devo riavviare tutto, e studiare e imparare  la nuova Te che sei, e che devo sapere quando è ora di parlare e quando invece di stare zitta e aspettare. Arriverai, lo so. Forse non mi chiederai di rifarti una treccia o di aiutarti a colorare ma io sono qui, lo stesso, per ascoltarti e stringerti, non mi scivolare via, sono qui perchè è il mio posto e tu sei tra le mie gemme più preziose,  Principessa della Casa in Collina,  piccola Figlia, piccola me.

19 giugno, 2012

La terza volta.

Ne succedono di cose, in una casa come questa. Lo sa anche il tecnico del condizionatore, che stamattina ha osservato Beh, Qui C'è Da Divertirsi. In effetti, oggi in tarda mattinata questa casa assomigliava a un college, giovani e giovinastri saltavano fuori da ogni angolo, svegli, meno svegli, fanciulle, chi canticchiava, chi faceva colazione in terrazza, chi studiava. Studiava sì, con un tutor d'eccezione, dacchè domani, per il mio figliolo Liceale, è giorno di prima prova scritta della maturità. Avendo una discreta figliolanza, è la terza volta che succede, in questa casa. E non è neppure l'ultima.  Ebbene, non mi abituo. Non sto tranquilla, non sto bella scialla, non sto e basta. Ho un rapporto strano con gli studi dei miei figli, è affar loro, non  mi immischio, non mi esalto e non mi deprimo, anche quando dovrei: i risultati ginnasiali della Princi non sono stati così brillanti, anzi, proprio per niente, ma dopo urla e strepiti e castighi e fulmini e saette, considero la faccenda con una certa sufficienza, mi dispiace per la sua estate col dizionario sotto il braccio, chi è causa del suo mal eccetera. Intanto, domani, un esame di maturità. Stasera, un'altra notte prima degli esami. La terza. Io, nevrastenica. Lui, sciallo. Talmente sciallo che nemmeno è a casa. Non so se è vero o faccia finta, per come lo conosco, e lo conosco bene, domani avrà una paura fottuta, ma non lo darà a vedere nemmeno a se stesso, nemmeno ai compagni e la terrà per sè. Amo questo figlio di un amore grandissimo e bianco, lo amo perchè è di una bellezza rara, lo amo per la sua s che sibila e quei suoi occhi, uguali a quelli dei suoi fratelli ma diversi per intensità, nocciola, non scuri, non chiari, da perdersi. Lo amo per quella sua delicatezza, per quel suo essere leggero e dolcissimo, profondo nelle domande, da sempre, Quanto è Lontano il Sole? Tanto, Enrico. Allora Io Ti Voglio Bene Da Qui Al Sole. Domani, vorrei coprire la strada da qui al sole, ed essere sotto al suo foglio, farmi bigliettino, farmi idea, farmi soluzione di calcolo ed essere lì, sul suo banco, dentro la sua penna, e fargli scrivere tutte le cose più belle che so, le migliori, le più giuste, il più bel tema del mondo, tutto quello che ho. Vorrei essere dentro quella sua testa complicata, dentro quel cuore che ho fatto io, dentro i suoi pensieri confusi degli ultimi giorni, chi non lo è, prima di un esame. Vorrei essere lì. Forse, mi basta solo dirgli piano che sono fiera di lui e che so che farà bene e che questo giorno qui se lo ricorderà per sempre e che gli voglio un bene così grande che forse da qui al sole nemmeno basta. Certo che no.



21 marzo, 2015

La Leggenda del SeccoAlbero.

Che Te ne Fai Del Sole, gli aveva detto un giorno, da Instagram, passando di lì.

Che strano albero era mai, secco, allampanato, altissimo, senza una sola foglia, senza un solo fiore, senza nulla.
A metà del sentiero, proprio di fronte al CampoDiGrano, se ne stava lì, come ad abbracciare tutto il cielo, con quei buffi rami senza niente.
Aveva tutta l'aria di voler essere lasciato in pace.

Lo vedeva ogni volta che passava e ogni volta si domandava, MaChe TeNeFai.

Quel giorno, volle avvicinarsi un pò di più.
Come a dire, vengo a vederti da vicino, vengo a studiarti un pò, mi ti siedo accanto e parliamo un pochino, non c'è nulla di male a parlare con un albero, ancorchè senza nemmeno un fiorellino, così, giusto per fargli un pò di compagnia, dacchè nessuno si sognerebbe mai di parlare a un albero del genere. 
Certo, lui ci metteva del suo.
Non sembrava uno che volesse dare confidenza, ma nessuno al mondo è fatto per stare da solo. 
Non è mica da tutti parlare con un albero così.
Agli alberi fioritissimi e carichi di ciliegie o di albicocche, o alle querce secolari, sono capaci tutti. Di parlarci, intendo.

Così, iniziò a chiacchierare.
Gli raccontò di quella volta che, e poi di quando, e poi ancora che buffo era stato quel giorno e che spavento quel pomeriggio che...quando all'improvviso, posò lo sguardo meglio sui rami.

Invisibilissime, appena accennate, come appena uscite da non so dove, nuove nuove, lucide lucide, impercettibili quasi, che bisognava strizzare un pò gli occhi per vederle meglio, eccole lì: gemme.

Si chiese se le avesse mai notate prima e si rispose di no.
Si domandò se magari ci fossero anche il giorno prima, ma era pronta a giurare di no.

Niente. Il SeccoAlbero, quello cui sembrava non importare un bel niente del sole e della pioggia e dell'ineluttabile passare dei giorni e delle notti, e delle lune piene e delle mezzelune, e del cambiare delle stagioni e dei solstizi, si era arreso.
Che cosa sarebbero diventate quelle gemme invisibili nessuno poteva saperlo, anzi, probabilmente solo foglioline tenerissime e magari qualche sparuto fiorellino candido, cui nessuno avrebbe saputo dare un nome, ma finiva lì.
L'importante, era che ci fossero.

Ora, non restava che capire per bene che cosa avesse dato origine al miracolo delle Gemme Invisibili.
Nessuno al Prato Grande sapeva al momento darsi una risposta, e tutti si interrogavano ed era un gran allargare di braccia e dirsi Mah! con fare dubbioso e meravigliato, un gran scuotere di teste, ChiLoSa.

ma c'era chi sapeva.

Poco distante da lì, in un'aiuola di rose inglesi non ancora fiorite, un tappeto di viole meravigliose era nato nella notte, e nella notte prima e nella prima ancora, a formare un angolo perfetto di dolcezza e profumo buono.
Il SeccoAlbero, che tanto secco proprio non era, ne aveva sentito le note da lontano e aveva fatto suoi quei bottoncini viola scuro, quei gambi ricurvi verdi di perfezione sottile, quelle foglioline a forma di cuore che tanto aveva rifuggito, chissà poi perchè.

Quell'aroma di caramella, quei colori e quell'impertinenza, nascere così poco distante in un'aiuola delle rose, avevano conquistato il cuore fermo del SeccoAlbero, che aveva deciso di fiorire, non si sa come e non si sa di cosa. 

Il SeccoAlbero si era arreso.
Perciò, aveva deciso di mettere alcune gemme, pochissime, appena appena.
A memoria d'uomo, nessuno al PratoGrande aveva mai resistito al richiamo delle viole, fossero esse nell'aiuola o nel muro, fossero lilla chiaro o violissime, fossero in cespuglio o due a due.
Anche il SeccoAlbero non poteva dire di no a un profumo buono, alle  piccolissime allegrie che sapevano dare quelle violette semplici, di un'invadenza gentile e lucida che vedeva da lontano e che per niente al mondo mai sarebbero andate colte.


Ora, al PratoGrande, tutti attendevano la fioritura del SeccoAlbero, che sarebbe arrivata di lì a poco.

Le Viole dell'Aiuola, nel frattempo, sorridevano.



27 febbraio, 2012

Voglia d'azzurro.

Beh, si fa presto a dire azzurro. Non mi ha mai fatto impazzire, l'azzurro, ad essere sincera. Non che non mi piacesse, ma se dovessi trovare qualcosa nel mio armadio di azzurro farei fatica. Però, ho sempre comprato ghiaccioli all'anice, quelli che nel frigo dei bar sono sempre al fondo della scatola, quelli che il barista deve ravanare per ore (do you know ravanare?) e ti guarda di sbieco, Ma Come, Non Andava Bene Menta o Fragola?
A pensarci bene, stamattina ho guardato fuori e mi è venuta voglia d'azzurro, una maglia, un vestitino leggero, di una parete, perfino, di scarpe, beh di quelle ne ho voglia sempre, di mare, anche di quello. 
E che strano, mi son detta, da quand'è che ti pace l'azzurro. 
Poi, ho capito.
Azzurro non è un colore, è una condizione, uno stato d'animo, un modo di essere. Come Stai? Azzurra, Grazie. Forse non si dice, anzi, non si dice di sicuro, ma è un bel dire. Azzurro è la calma e la pace, il mare quando è azzurro è uno spettacolo che dà una carezza all'anima, e non è vero che il mare è sempre azzurro, qualche volta è verde e qualche volta è viola e nero e anche grigio. Azzurro è il cuore quando si sente a posto, quando se ne sta bello sciallo e non batte troppo veloce, e non sembra che si fermi da un momento all'altro, e non rimane lì, imbambolato sotto al maglione, ma quasi balla e ti fa compagnia, non come quelle volte che cammini e vorresti trovare un cestino per buttarcelo, il tuo cuore.
Azzurra è la mattina di oggi, di quelle mattine che ci faresti la firma, sembra tutto in ordine e pulito, la neve sporca si è quasi sciolta tutta, è uno spettacolo irriverente, a vederla a piccoli mucchi dove ancora il sole non è arrivato, quasi ci si dimentica di tutto quel candore e di quel soffice e di quel bel paesaggio che c'era.
Azzurra, sì, mi piace pensare che sarà una giornata azzurra, semplice, forse farò una torta, non ho coloranti azzurri ma fa niente, magari vado a comprarli, però c'ho questi, e vanno bene uguale, un pò d'azzurro c'è lo stesso.
Che sia per tutti un bell'azzurro cielo, un bell'azzurro mare, un bell'azzurro vento, che il vento non ha colore ma glielo si può dare a piacer nostro, che si abbia da oggi una scatola di pastelli speciali, per fare azzurre le cose nere e grigie, che ce ne sono state tante, è stato un inverno lungo e faticoso per tutti, ma l'album è finito, ne abbiamo iniziato un altro stamattina, a quadretti, per fare meglio i disegni e per colorare bene, senza uscire dai bordi, con la punta appena fatta, azzurro, ovvio.
A chi mi chiede come sto, oggi risponderò Azzurra, Grazie. La primavera duemiladodici comincia così.

20 febbraio, 2009

La camomilla.

Non che mi faccia impazzire il sapore. Ho anche trovato una foto che non mi piace, questa tazza coi girasoli mai e poi mai la comprerei. Solo, di camomilla avevo bisogno. Perchè in realtà, non mi piace il gusto ma tutto quello che la camomilla rappresenta. A cominciare da quando da piccola, aiutavo mia nonna a raccoglierla, spargela sui teli al sole prima e a sgranarla dopo, per conservarla poi, fiori intatti, nal vaso di vetro con tappo dorato che era stato della marmellata. Mi piace il profumo che ha, che si sente per la casa, mica solo in cucina. E poi mi piace il calore della tazza, quello che senti abbracciandola con la mano, e quel rumore che fa il soffiarci sopra per farla raffreddare, credo che la camomilla insieme al brodo di pollo sia la cosa che si raffreddi più lentamente in assoluto. Stasera avevo voglia di camomilla, forse per quel dolore sciocco che ho, non figurato, un dolore vero, non forte ma insistente, proprio qui, al cuore. Non so bene che cosa sia, di sicuro niente di grave, ovvio, ma per me che sono ansiosa, ansiogena, ansioserrima, sembra una cosa terribile. Perciò, ecco la medicina. Ho scaldato l'acqua nel pentolino, mica nel bollitore, perchè il bollitore serve per il thè e la tisana, una camomilla che si rispetti si fa solo nel pentolino, meglio quello un pò ammaccato, quello che mi è rimasto attraverso i mille traslochi e che per niente al mondo mai butterei via. Così, comincia il rito del mescolare e mescolare e soffiare, e assaggiare dal cucchiaino, e mescolare e mescolare, ma cosa mescolo se è senza zucchero. Mescolo perchè mi sembra che salga meglio il profumo, e dentro ci sento tutto quello che ci voglio sentire, è odore di buono e di cose che conosco, e so che mi farà bene e mi farà stare tranquilla e passare tutto, qual che sento e quello che no, e che è vero il sapore non è che mi faccia impazzire, ma la camomilla del pentolino mi guarirà e non è quella col fiore intero che mia nonna passava nel colino, ma un pò ci assomiglia e un pò me la ricorda, e a ben sentire, quel dolore insistente al cuore forse mi sta già passando. Anzi, è passato, di già.

01 ottobre, 2010

Però, che bello.

Certo, confusione ce n'è. E rumore di fondo, e gente che parlaparlaparla e che anche guarda se guardi, che magari un gomitolo se lo fa anche scivolare nella borsa, poteva chiedermelo, glielo regalavo, era meglio così. Siamo qui, gente che passa, guarda e se ne va, gente che viene apposta per noi, apposta per quel Cuore di abbiamo inventato e che adesso, per la terza volta, è qui. Ci sono i corsi, amiche che arrivano da lontanissimo, Ho Portato un Dolce, e si chiacchiera, si ride, ci si salva dalle persone noiose, perfino un pò sfacciate, ce ne sono un sacco, forse un pò meno degli altri anni, ma insomma, comunque. Il Clan delle Casalesi, il gruppo di Vendone, le mie Amiche del Knit, quasi tutte. E' in giorni come questi che si capiscono delle cose, che si riesce a vedere quasi in fondo al cuore delle persone, in fondo agli occhi, forse non nell'anima, ma della tua ne sanno tanto, ne leggono un pezzo ogni giorno e sanno di te cose che forse non sapevi nemmeno tu fino a un secondo primo di scriverle. E allora, che bello trovarle qui, che bello sentire Io So Chi sei, e stare qui, in mezzo al rumore e alla confusione, e dire che cosa grande che abbiamo inventato, che cose belle che stiamo facendo e che bella gente, che bei cuori e che belle anime sono arrivate fino a noi, davvero, che bello.

23 novembre, 2009

So precious.


Preziosi, sì. Luccicanti, luccicantissimi. E per me che son gazzaladra, di rara, rarissima bellezza. Un regalo, perlopiù. Ma procediamo con ordine. Si dà il caso che io sia in questi giorni di nebbia a setacciare rigattieri, svuotacantine e solai, alla ricerca di un arredamento shabby che nessuno vuole, quelle poltroncione enorme ricoperte di tessuti improbabili, quei tavoloni lunghissimi, quelle sedie da bistrot, come ho imparato che si chiamano. Per quel progetto che mi frulla in mente da un pò e che forse in primavera, in grazia di Dio, sarà finalmente attuato. Così, ho scoperto un luogo. Un luogo non distante da qui, che ci si arriva in fretta, meglio se con un dolcetto. per il caffè delle 11, nel magazzino con la stufa, che ha tutto un altro sapore. E'un luogo che adoro, perchè vanesia e sognatrice come sono, mi piacciono i luoghi dove si intrecciano le storie di mille persone, credenze, armadi, vecchie camere da letto, specchi sontuosi, scatole di latta, lampadari opulenti, zuppiere e piattini sbeccati e spaiati e libri, dischi, copriletti, sedie impagliate, cose. Mi piace l'odore di questi posti, di colla, di legno, di vecchio e di bello. Affascinante, per me. E poi lei, Nicoletta, la regina di questo Parco dei Tesori, che ha avuto da subito per me un trattamento speciale già dall'altra volta, e anche oggi, che sono andata a prendere le sedie, che arrivano da una sala, quella del pranzo della domenica mi sa, che sono un pò sporche ma di una bellezza semplice e giusta per il luogo dove andranno. E poi, quel regalo inaspettato, quella scatola da merceria che sembrava vuota e invece era piena, piena di tesori meravigliosi, vecchi nastri di organza con la carta giallina e il prezzo in lire, vecchie cerniere di metallo di colori impossibili, verdissimo mela, arancione, rosa confetto. E poi questi gioielli. Bottoni bellissimi, mi piacciono i bottoni, non è mistero, ma questi sono gioielli veri, che a cucirli insieme possono fare una collana luminosa, o anche se li tieni lì, nel vaso della marmellata che hai lavato con cura, e con cura hai staccato l'etichetta Confiture de Fraises, e ce li metti dentro e li guardi da lì, anche da lì fanno un bel vedere, bellissimo. E poi dei ferri di metallo, che non si trovano più, indovina, viola e rosa, ma oggi non era nemmeno il mio compleanno, ma Nicoletta sa che tutte queste cose vanno per il Cuore e lei, che di cuore ne ha una tonnellata e sa, lei che è nata nella nebbia come me, lei che è sognatrice e visionaria come me, a lei, Nicoletta, grazie, grazie, e ancora grazie. Col Cuore, s'intende.

12 giugno, 2007

Notte prima degli esami.





Non ho mica paura, sai mamma? Me lo ha detto così, a sorpresa, uscendo un po’ gocciolante dalla doccia, avvoltolato alla bell’e meglio in un telo di spugna, i ricci scomposti, gli occhi nocciola un po’ arrossati dallo shampoo, quel sorriso disarmante e furbastro, quel fare spaccone e tenerissimo. E’ quel che si dice un bell’elemento. Un giusto mix fra suo padre e me, preciso e vivace, intelligente e fantasioso, dolcissimo e pignolo. Tace poco, anche quando tacere lo salverebbe da urla e strepiti che lo seguono fino in cima alle scale. O quando per le scale lo seguo io, facendo i gradini a quattro a quattro, un po’ ridendo , anche se sono infuriata, ma quella scena che li rincorro sulle scale mi fa sempre ridere e lo so che è tutt’altro che educativo, ma che ci posso fare, di sberle i miei figli ne hanno prese proprio poche, lui meno di tutti. Stasera è un po’ agitato, non lo dà a vedere, ma parlaparlaparla, e gioca con suo fratello grande, ripassare? manco a parlarne, c’è il tema domani, mamma, e che ripasso a fare? Non fa una grinza. Lo adoro, com’è ovvio che sia. Mi piace perché ride sempre, perché storpia le canzoni in inglese, perchè sembra solo l’altro ieri che appendevo al cancello del viale che portava a casa un enorme fiocco di tulle con scritto il suo nome. Mi piace perché ha la s che sibila, un sorriso che conquista, una dolcezza che incanta. E sembra solo ieri che ha iniziato la prima elementare, con il braccio destro fratturato, con i Simpson disegnati da me sul gesso, perché non si vergognasse di avere il braccio ingessato in un giorno così importante, che ci ridesse un po’ su. Domani sarò lì, col cuore, accanto a lui e gli suggerirò congiuntivi e punteggiatura, il cuore non è bravo con grammatica e sintassi, ma se ti concentri, Enrico, lo sentirai, vicinissimo al tuo.Se l’amore è amore.



07 gennaio, 2007

La Tombola degli Orrori.


Ormai, un appuntamento fisso. Da tre anni in qua, il giorno dell'Epifania ci si raduna a casa di qualcuno e si dà luogo all'attesissima Tombola degli Orrori. Il procedimento è molto semplice. Chi di noi non ha in casa da tempo immemore quel vaso finto cinese della zia Palmira che non abbiamo cuore di buttare, anche perchè, con la raccolta differenziata, non sappiamo bene se vada nel vetro o nei Diversamente Smaltibili? E chi non riceve, ad ogni Natale, qualcosa di veramente orrido e inguardabile? Bene, la Tombola è nata così. E' un riciclo, invero. Un'arte sopraffina per disfarsi del brutto che, se brutto per noi, non è detto affatto che lo sia. Ho vinto l'anno scorso delle tazze a forma di cuore che mi hanno mandato in visibilio, e delle quali vado fierissima. Ma anche l'occasione per fare un pò di bene: la vendita delle cartelle, infatti, darà origine ad una somma che quest'anno spediremo ad una missione in Africa per i bambini malati di Aids. Bella cosa. La T.d.O. ha un suo cerimoniale ben specifico e delle regole ferree. Per esempio, non si conosce mai il numero esatto dei partecipanti. più si è e meglio è. Ciascuno degli invitati deve portare con sè uno o più Orrori, catalogati in base al valore (ambo, terno, cinquina o tombola) e ben impacchettati per l'effetto sorpresa che non è certo da sottovalutare. E qualcosa da mangiare per la cena che ne segue. Fatto. Il resto è divertimento allo stato puro. Ieri, casa mia ha ospitato la Terza Edizione della Tombola degli Orrori 2007. Con gli amici più cari, le persone che contano davvero per me, le amiche dei quindici anni, andavamo in due in motorino e adesso, guardaci lì, a parlare di figli e di vecchi fidanzati. Un bel pomeriggio. A chiudere questa kermesse di feste e festine, a ricaricarci per questo anno che viene, a prepararci, che domani ri-iniziano le danze, quelle vere. Ho messo insieme molte delle persone che amo. Non tutte, ma quasi. E pazienza se se ne sono andati via con vasi orribili, libri di porcellana e orrende bottiglie. Una se la sono dimenticata nel mio frigo, insieme ad un salmone di dimensioni quasi umane. Brindiamo con una pregiata bottiglia di Mò Esce Antonio a quel che vogliamo. Alla festa di ieri, alla tombola folle, agli affetti che erano qui con noi e a quel che di bello ci sarà. Che sarà tanto, lo so.

07 marzo, 2006

Il rumore della Vespa.





Mi capita a volte di girarmi di scatto per la strada. La sento arrivare, inconfondibile.
Lei.
La Vespa arriva senza un vero rumore in realtà, ma una specie di tossire ordinato, una serie di piccoli scoppi discreti ed eleganti, aristocratici, direi.
Il vero senso della Vespa è comprensibile solo da chi ha la mia età, dai figli degli anni 60, per intenderci, quelli cresciuti senza Playstation e telefonino.
Nella mia città, i veri giusti ce l'avevano bianca. O grigia metallizzata. Blu era veramente il massimo.
Il rumore della Vespa è inscindibile dalle canzoni degli America, dalle Superga bianche e dalla Lacoste.
E dai primi giri in giro. E chi si scorda quel giugno.
Che facciamo, andiamo?, ti porto io, c'è una festa in collina, sali.
Salgo.Se mi vedono, il mio destino è segnato, ma posso dirti di no? Hai i Ray Ban e mi piaci da morire, hai 3 anni più di me e bello non sei, lo dicono tutte le mie amiche, ma per me sei il massimo. Perfetto.
E io, bellina, molto bellina, quattordici anni di sogni e caramelle, di atletica e risate e capelli lunghi, di giostre e di oratorio,di mollettine con le mele e la camiciola di Fiorucci, di ritagli di giornale appiccicati sul diario con la coccoina.
Ma salgo, salgo perché è giugno, perché la scuola è finita da un pò e c'è un sole chiaro e silenzioso, e in latteria siamo rimasti solo noi due. La bicicletta la lascio qui, le biciclette non si chiudevano allora, si appoggiavano al muretto e via. La festa non è lontano, ma vai piano, per favore, non ho paura, certo che no, ma vorrei che questo giro durasse un'ora o due, ho le mani appoggiate alle cosce, non ti sfioro nemmeno e tu ridi e freni, così ti sbatto addosso e mi senti su di te.Felice come poche volte. E' un'espressione che non mi ha lasciato mai e che ho adorato, negli anni. Le volte in cui la felicità è limpida e perfetta sono poche davvero. E di solito te le ricordi così bene che a pensarci ancora ti manca il respiro.

La festa in collina non l'abbiamo vista quasi.La casa era una vecchia cascina della nonna di un'amica, panini al prosciutto e ginger, su una tovaglia cerata a quadrettoni rossi. Lì vicino un campo di grano e un sacco di papaveri.Siamo stati sempre io e te. Ci siamo seduti su un dondolo di ferro, aveva una fodera coi limoni, lisa dal tempo e dal sole. Si sentiva Peter Frampton suonare dallo stereo.
Abbiamo parlato. Tanto. Della scuola, dell'estate, i miei esami di terza media, i tuoi di riparazione, a settembre, che ti erano costati l'innaffiatura del prato ogni sera. Mi hai preso in giro per i miei denti un pò storti.Non ho mai messo l'apparecchio, e col tempo mi sono ripetuta che questa leggera imperfezione è bellissima. Ma forse, è perché me lo avevi detto tu. Mi hai baciato all'improvviso, senza toccarmi quasi, avevo il cuore che si vedeva da sotto la maglietta, ero sicura che lo vedessi anche tu, potevi prenderlo e portarlo via. In un certo senso l'hai fatto.. Sapevo che negli anni, avrei pensato a quel momento per miliardi di volte, riavvolto il nastro e rivisto, e ancora e ancora. Primo bacio vero, come dicevamo tra amiche, da raccontare sottovoce, da scrivere nel diario dei segreti, da custodire.
Da non scordare.
Perché, nessun altro nella vita sarà mai come quello.
Non ci siamo mai messi insieme veramente. Visti, miliardi di volte. Niente di serio. Non per te, almeno. Molte le tue fidanzate. Mai che fossi io.
Ti ho amato sempre,di un amore lucido e assoluto. I tempi della scuola e il tuo nome scritto nel diario, una tua fotografia scattata a Cortina da tuo fratello. Me la ero anche appiccicata al banco.
Ti ho scritto una marea di lettere. Disperate, perlopiù. Tenere, leggere, da ragazzina. Nessuna spedita.Adesso mi fa sorridere, ma non auguro a mia figlia di amare così tanto uno stronzo come te.
E' stato un amore lunghissimo, affannato, malinconico e dolcissimo, fino ai 20 anni credo, che è tantissimo,se pensi a come il cuore di una donna, di ognuno, si forma e cresca e diventi,in quegli anni, quello che sarà per la vita intera.
Poi la vita ha deciso per me, sono andata via, ho cambiato città, vita, mondo.Sono cambiata anche io.

Ho poche cose nel cuore della mia vita di allora. Quando si è proiettati in un mondo che non è tuo e lasci i compagni di scuola, la latteria e il mercato del mercoledì, non è facile per nessuno. Meno di tutti per una sognatrice, vanesia, di ferro e di burro, come me.
Ho la vita che volevo, serena, colorata, ho l'amore che cercavo. Ricordo di aver sofferto tanto e rimosso persone, cose e situazioni.
Non te.
Se avessi un banco, credo che la tua foto sarebbe ancora appiccicata lì

22 giugno, 2015

Cattiva.



Si riprende piano. 
A passi piccolissimi, uno avanti e tre indietro, poi sette avanti.
 Poi un altro indietro. Il peggiore.

Si fanno cose semplici, cose anche mai fatte, ci si scopre trapiantatrice di erbe aromatiche, di piantine grasse, si riutilizzano vecchi vasi di terracotta, e lattine vuote che non si ha cuore di buttare, dacchè si è ripulito il sottotetto, il garage e pure la cantina e la quantità di cose che è saltata fuori è inimmaginabile, da arredarci altre tre case, per dire.

C’è una sorta di rito a buttare le cose che non servono più, a trovare loro un altro riutilizzo, un altro posto nel mondo, un’altra collocazione. Mentre si tengono stretti ricordi cari, sassi piatti raccolti in quella spiaggia là, e quel pareo coi gechi e quel libro e quel pass. Ci si rende conto di aver vissuto mille vite, di essere stata mille persone in una, rimanendo sempre la stessa, sempre io.

adesso, forse diversa.

Mi sono riscoperta cattiva, in questi giorni, cattiva e arrabbiata. E stanca. A tratti disperata.  Ho placato la rabbia e il dolore pulendo a specchio posti che non ne avevano bisogno, riordinando al millimetro cassetti di cose, buttandone montagne, le carte d’imbarco che ho conservato per anni, le magliette stinte che mi ricordavano cose che non voglio ricordare più, mentre ho stirato con devozione tovagliette un po’ sdrucite, scucite in un angolo, non le ho rammendate perché non sono tanto capace, ricamo con maestria ma non so attaccare un bottone, cucio male e storto, lo so da me.

La cattiveria si manifesta in mille modi, quando butti con forza il vetro nella campana, so che qualcuno ha corso fino in cima a una collina e da lì ha gridato forte, più forte che poteva. Non ne ho il coraggio, ma forse lo farei anche io, se solo riuscissi a stargli dietro a correre.

Faccio cose di una banalità mondiale, dò un significato speciale a queste piantine nuove, a queste lattine tutte in fila sul terrazzo, alcune le terrò, molte le regalerò, ho una fascina di basilico per farci qualcosa, il sole va e viene e nemmeno mi dispiace, è un’estate così  ruvida e crudele che non ne voglio sapere nulla, né di lei né del suo sole, dei suoi gelati, del suo mare. Non ancora, almeno.

Le piantine del terrazzo mi portano un sorriso accennato, non sarò certo io a scoprire il senso della vita, del segreto della morte e del suo significato, di dove vanno le persone quando non ci sono più, ma so che se il piangere ogni tanto un pochino aiuta, so anche molto bene che non risolve un bel niente, e che ti lascia sfatta e sfiancata e con gli occhi pesti, il respiro corto, e una pallottola di carta umida fra le mani.

La cattiveria mi passerà. Non subito.

Così, faccio piantine, studio ricette, disegno golfini colorati per bambini che verranno, mi metterò uno smalto corallo, sabato la festa  ci sarà lo stesso, e la sua foto in cucina, sorridente su Amaranta, fra il libro di Cracco e le tazzine.


29 maggio, 2014

La Cretina Ortensia.



Il suo nome non le piaceva.
Troppo altezzoso, troppo altisonante. Complicato.
La Cretina Ortensia viveva nell'aiuola delle ortensie, e dove se no?, ed era quel che si dice una testa matta. Accanto a lei, la siepe delle ortensie più anziane e più giudiziose l'avevano più volte avvertita, ma lei nulla. Era un buona ortensia, alla fine, di gran cuore, perfino simpatica qualche volta. 
Se non fosse che quel maggio si era messa in testa di fiorire prima delle altre.

E mentre tutte erano ancora agglomerati verdissimi di fiorellini senza senso, lei no, lei si pavoneggiava un sacco con quei suoi fiorini rosa acceso, con quelle sue foglie lucide, con quel suo fare altezzoso, altisonante e complicato, proprio come il suo nome.

Ma la Cretina Ortensia sapeva il fatto suo.
Lei fioriva quando le pareva e le piaceva, non ne voleva sapere un bel nulla delle Regole del Giardino, e cioè che le ortensie fioriscono tutte insieme, appena dopo la pioggia dei petali del Ciliegio, che si deve stare buone e composte, rispettando le ortensie più grandi, quelle della siepe nuova, quelle sulle quali  nessuno ci avrebbe scommesso, arrivavano dal giardino del vicino dove avevano abitato per anni, e in molti pensavano che non avrebbero retto al trasloco, e invece no.
La Cretina Ortensia lo sapeva. e lo sapeva bene.

Ma le regole, ogni tanto, andavano in qualche modo sovvertite, sennò, che divertimento c'era, e che sì, lei  sapeva la storia,  che bla e bla e bla, ma in fondo non faceva proprio male a nessuno, aveva voglia di fiorire e fioriva, prendendosi tutto i rischi del caso, tutte le complicanze, pure le smerluzzate dei gerani, per dire, che non perdevano occasione di farle la predica e dirle come ci si doveva comportare, che non era quello il modo.Ma si sa, i gerani son filosofi, e te la spiegano, sempre.

La Cretina Ortensia lasciava dire.
E fioriva, a dispetto del mondo, del Pratino, del Ciliegio e di tutte le altre ortensie dell'Aiuola.
Fioriva, per trovare il coraggio, per fare un respiro lungo e andare avanti, fioriva a dispetto delle erbacce che si abbarbicavano sul suo stelo, che sembra siano solo campanule bellissime e invece sono  infestanti e pericolose, velenose perfino, beh non esageriamo, lei, la Cretina Ortensia, fioriva e fioriva, e diventava da rosa acceso a fucsia brillante, bellissima.

Il geranio, da lontano, nonostante la filosofia e le menate, guardava e sorrideva.

07 maggio, 2008

CdM Day.

Che tradotto vuol dire Il Gran bel Giorno di Cuore di Maglia®. Domani, 8 maggio, dalle ore 15 e fin verso sera, ci troviamo tutte, ma proprio tutte, per fare il punto della situazia, gran bella situazia, come diceva la mai compianta abbastanza ancella Olga. Ordunque,domani si conteranno tutte le scarpine, tutte le cuffiette, e io l'ho fatta così e tu l'hai fatta cosà, si apporrà ad ogni copertina, che sono una quantità insperata, il suo bel cuoricione che dice che sì, anche questa coperta è stata fatta da Cuore di Maglia. Ai primi di giugno la consegna ufficiale all'Ospedaletto, ma per adesso ci beeremo di tutti quei fili, di tutto quel calore, di tutti quei punti, uno in fila all'altro, che hanno dato vita alle cose che abbiamo fatto in questi giorni. Lì, sul tavolo di Josephine, ci saranno le cose che si vedono. E anche quelle che non si vedono ma che si sentono, si sentono eccome: la grande collaborazione, l'entusiasmo, la precisione e la determinazione con cui tutte indistintamente hanno aderito a questo progetto, nato un pò in sordina un pomeriggio qualunque e poi scoppiato come un fuoco d'artificio, di quelli che fanno un botto da paura, la sera della festa del santo patrono, a fine spettacolo. Il più gigante, il più spettacolare, certamente il più luminoso.

Special Knit Cafè
Special Guest
Cuore di Maglia®
Giovedì 8 maggio
dalle 15 fino al tramonto
A Casa di Josephine
Via Parma 10
Alessandria
Photo from: The Purl Bee

16 luglio, 2015

L'Imperdibile Concerto delle Pettegole Cicale.

Dove abitassero esattamente, nessuno lo aveva mai saputo.

Forse nel Grano Laggiù, o nella Siepe Vicina, proprio dietro alla Regia Salvia.

Quel che era certo, era che fossero tante, tantissime.

Iniziavano a cantare ad ogni ora del giorno, soprattutto nel primo pomeriggio, nel sole a picco dei pomeriggi di quello stupido luglio.

Si era provato una volta, a raccontare una storia alle cicale, per farle smetterle, per zittirle, una volta per tutte. Niente da fare. Quelle, zitte non ci stavano mai.

Quella mattina poi, l'assordante frinire che arrivava dal giardino era particolarmente insistente, più forte di sempre.

Si avvicinò un pò di più al Pratino.
Forse, hanno qualcosa da dirmi, pensò.
Ma cosa potevano avere mai, da dire, uno stuolo di cicale chiacchierone, a una tipa scalza in camicia da notte, scarmigliata e nemmeno ancora tanto sveglia, che esaminava con fare saccente il Basilico Rinato e la crescita miracolosa di  tutte quelle piantine con le quali aveva riempito il terrazzo?
Fu presto detto.

Le cicale, si sa, sono esserini pettegoli e sanno tutto di tutti.
per esempio, avevano saputo per prime la notizia del trasloco delle lumache, sapevano che quell'anno la casa viola degli  uccellini era rimasta sfitta, e la sapevano lunga sull'amore impossibile tra il ciliegio e il gelsomino.
ma c'era dell'altro.

In quel frinire continuo, in quelle due note ripetute all'infinito, per ore ed ore, c'era di più.

A starle a sentire, le cicale del pratino raccomandavano prudenza.
Invitavano alla calma, a fare le cose con studiata lentezza, a pensare molto bene prima di provare a stare male, a lamentarsi, a frignare e a dire, AhPoveraMe. Suggerivano altresì di fare un giro al fiume, o al MareVicino, di fare un giro da Feltrinelli per scegliere almeno due libri, da leggere con gusto e meraviglia, all'imbrunire, magari proprio sotto al ciliegio, o sul divano di casa, certamente più fresco ma infinitamente meno poetico. E infine, acquistare un profumo buono col sapore dell'estate, potendo decidere fra Pompelmo o Anice, che non era cosa da poco.

le cicale son del mestiere.

Loro cantano, cantano e cantano, nessuno si cura se stanno bene oppure no, se sono felici o no, se hanno il cuore leggero e colorato  o dolorante e in mille pezzi piccolissimi che raccogli solo con la scopa e la paletta. 
Nessuno si cura di loro.
Loro son quelle che cantano, fan questo da sempre, e nessuno al mondo mai si chiede, Già, Ma le Cicale?

Per questo, decido di seguire i loro consigli preziosi, e farò tutto, o quasi, quello che mi dicono, quello che ho sentito questa mattina presto, che ho individuato  in quel frinire insistente, io col caffè in mano a guardare soddisfatta e piena d'orgoglio i fiorini rosa nel vaso della miseria.

Le cicale san tutto di tutti, e seppur pettegole, dispensano consigli pieni di saggezza.

Ascolto le cicale che la sanno lunga.
Che sanno molto di me.
Che son cicala pure io.


09 maggio, 2008

... E va bene.

Sveliamo arcani e misteri, cose da nulla ed eventi cosmici, cose che sono talmente strane che non sembrano vere nemmeno a me, figuriamoci. Quelle cose che ti fanno dire, ma io? proprio io? siete sicuri che non vi siete sbagliati?
Va bene, lo abbiamo capito, andrai in radio e cosa c'è di strano, che radio sarebbe, ah, Rai Radio Uno. Bene. Beh, ma tanto non ti ascolterà un bel nessuno di nessuno, chi vuoi che resti alzato per te, di lunedì sera, alle 00,25, ad ascoltare una intervista telefonica, proprio a te, poi, sulle cose che scrivi sulle Fragole, ma dimmi un pò, bellina, ma a chi vuoi mai che gliene importi un qualche cosa di quel Cuore di Maglia e di quelle coperte con le quali ci stremi da giorni. E cosa sarà mai, due domandine e poi veloce tutti a nanna e nessuno saprà mai chi diavolo sei. E poi, sentiamo, ma chi sarebbe che ti intervista?
Ah. Ecco.

26 ottobre, 2012

Calma.

E' quel che ci vuole per una giornata come questa. Calma, che tanto è venerdì, che ci sono tutti i figlioli a casa, che tanto domani c'è una bella festa a Cuore di Maglia, che poi c'è la domenica e si può scegliere di fare quel che si vuole, anche stare in pigiama tutto il giorno e magari uscirci anche, a buttare l'umido, a cogliere le ultime rose, il pigiama è una libertà che non ha eguali, è una ricchezza che non si smette mai di apprezzare. Calma, che oggi si ha già l'ansia di buon mattino, non sarà nulla di grave, è un controllo e basta, che si deve fare e basta, come il vaccino, come l'antitetanica, come la filaria ai cani di casa, sì, tutto vero ma non è che ce n'ho tutta 'sta voglia. Calma, oggi arriverà il freddo siberiano, almeno così si legge sul giornale, emmenomale, non mi piaceva il fatto che facesse ancora così caldo, è strano eh? 26 gradi, a fine ottobre si deve andare in giro con le sciarpe di lana e magari anche i guanti, di quelli così belli come ha fatto Afef, con le stelle, ma senza dita, che sciccheria, in modo che si possano sfoggiare i colori più belli di smalto, i rossi accesi, i ciliegioni scurissimi, perfino quelli pitonati per mani da gara. Calma, magari oggi arriveranno quelle scarpe che si aspettano da oltreoceano, le porterà il corriere e ti farà firmare su quel tablet con la penna di plastica, oppure se non ti trova le lascerà sul pianerottolo e le troverai quando ritorni a casa. Calma, è un fine settimana che inizia adesso, in questo istante preciso, le cose si fanno sempre con calma e controllo, inutile che ti faccia girare la testa, inutile che ti faccia prendere dal panico, è cosa da nulla, si deve fare e si fa. Bonjour, è ottobre inoltrato, qui si gira ancora senza calze, si parla di smalti, di scarpe, di niente, perfino del tempo,  per far passare la paura.

10 marzo, 2008

Chi vedete.



Quando si apre la porta. E al mattino, dal vostro letto, attraverso gli occhi stropicciati dal sonno, chi vedete, china su di voi, a dirvi Sveglia, Buongiorno, e a mangiarvi di baci, ancora, anche adesso che siete già grandi. Chi vedete, arrivando da scuola, che lanciate gli zaini e dal vostro camminare capisco già se dovrò sentire qualcosa che non mi piacerà, lo so, da come muovete le orecchie, dico sempre, ma come mamma, le orecchie non si muovono, appunto. Chi vedete la sera, chi vedete a cucinare, ridere, ballare e saltare, chi vedete in un angolo, qualche volta, seduta senza corrente, e mi sforzo di sembrare normale ma ci sono volte che proprio non gira, cosa vedete, quelle volte, cosa pensate, che fate. Di che colore sono i pensieri che vengono fuori da voi, quando urlo, quando sgrido, quando anche a me sembra di esagerare, ma è così che si fa, lo farete anche voi, tra un bel pò. Che madre avete, bambini miei, di cristallo e di roccia, che madre vedete le mattine col sole, le sere a darvi la buonanotte e a dirvi Spegnete Presto, e a chiudere la porta pianissimo, a custodire i vostri sogni preziosi. Sono io, bambini che bambini non siete più, sono una madre qualunque che si chiede e che si sforza, e cerca di, capire, consolare, raccontare, spiegare, medicare, rincuorare. Sono io, bambini, che canto piano la domenica mattina, sono io, che piango piano le volte che piango, che soffro adagio le volte che soffro, per non farvi sentire. Per proteggervi. Sollevarvi. Nascondermi. Sono io, bambini, che rido forte, che faccio la scema, che invento le poesie nelle merende del mattino, che vi chiedo di fidanzate e di amici e di feste, per capirvi di più, per essere più dentro alla vostra vita, che non è mia, certo, ma che forse un pochino. Mi sono chiesta chi vedete, chi pensate che io sia. Sono un pò di quel che c'è in voi, sono un pò dell'alchimia, sono un pezzo della formula magica. Sono un sasso nello stagno, un onda nel vostro mare, un pastello colorato nel vostro zaino di scuola. E voi, un pò di me. Sono un cuore fatto di cuori, di stelle comete e di venti profumati. Vi abbraccio e mi abbandono, educo e imparo, cresco insieme a voi, custodisco e mi lascio custodire, vivo, discuto, rido insieme a voi. Siete i miei giorni più belli. Siete i cuori dentro al mio cuore, che pianga o che rida, che balli o che soffra, il mio cuore è dentro al vostro. E il vostro, al mio.

18 febbraio, 2019

La Conservazione dei Petali.

Sono una accumulatrice seriale.
Di cose, nastrini, carte, vasetti, stilografiche, quaderni, sentimenti, libri, oh, quanti libri.
E fiori.
Come accumuli i fiori, ancorchè recisi, le chiese.
- Li conservo, li tengo. Secco le ortensie a testa ingiù, a natale le brillo con l'oro o con l'argento,  tengo un fiore di ibisco in almeno una decina di Sellerio, quelli letti d'estate, l'ibisco non c'è dove vivo io, l'ibisco non sopravvive a nebbia e gelo.  Scoperto solo quest'anno il fiore del cappero, in un posto incantato, in un posto del cuore che al mio cuore frantumato ha dato balsamo e ambrosia e che non vedo l'ora di ritrovare, per mare o per terra, chi lo sa.
E i fiori recisi?, quelli del vaso?
- Sono stati i tulipani, gli ultimi. Erano un rosa caramella, dolci come le caramelle dolci, sono i fiori del supermercato che appena a casa diventano di serra olandese, di negozietto sui canali di Amsterdam che sa di muschio e fiori, per forza, di cosa vuoi che sappia un negozio di fiori, se non di fiori, di mazzo adagiato con cura al cestino della bici, olandese anche lei, e pure il cestino.

Li ho messi nel vaso quadrato dell'Ikea, i gambi ben ordinati, e li ho guardati sorridermi nei giorni, dal mio tavolo nuovo di zecca, ancora non conosco così bene questa casa e vado per tentativi, e costruisco ogni volta piccoli angoli da amare, la cornice, la poltrona, i dischi di vinile...
I tulipani stavano lì, sono stati lì un sacco, cambiavo loro l'acqua ogni giorno, accorciavo loro il gambo, appena appena, qualche volta sussurravo qualcosa, CheBelliCheSiete, cose così.
Io ci parlo coi fiori, anche senza tachipirina in dosi massicce, come in questi ultimi giorni.

I tulipani mi osservavano dal tavolo, assistevano alle mie colazioni con lo sguardo perso oltre i palazzi, oltre la scuola che ho di fronte, oltre le scie degli aerei. 
E piano piano, si allargavano, per mostrarsi a me in tutta la loro meravigliosa perfezione, un pò come le persone, quelle che a te si affidano esattamente come tu ti affidi a loro, quando tu racconti pezzi di te, quando lasci incustodito il cancello che porta dritto alla tua anima e quelli invece di girarci intorno entrano piano e si siedono lì, e ti ascoltano, e si raccontano e poi dicono E'Tardi, MiSaCheVado, e a te dispiace che vadano via, ma ti lasciano un pò di loro e tu, a loro, un pò di te. E chiudono piano il cancello per non farlo cigolare.

E'così che si fa con le persone. Quelle belle,intendo.

I Tulipani Rosa sono stati molti giorni qui con me, e stamattina, intorno al vaso, sparsi, era tutto un fiorire di petali e pistilli, i tulipani non sono eterni, come le candele, l'odio, l'amore e la tosse.
Ma non ho avuto cuore di buttarli.

Conservo tutto, soprattutto vasi di vetro, e lì ho adagiato con grazia i petali di quei tulipani rosa dolci, color caramella. E l' staranno, fino a quando vorrò, e niente è scalfito della loro bellezza, di quando facevano corolla e miracolo, mazzo e colore.

Li ho tenuti perchè non voglio dimenticarmi di quanto siano stati belli, quel giorno nel mio carrello, nella mia cucina, sul mio tavolo, per tutte le volte che mi hanno reso più bella una mattina storta per il solo fatto di incontrare il mio sguardo, per il solo motivo di essere lì, rassicuranti, romantici, perfetti.
Conservo ogni singola cosa che mi ha fatto del bene, e se ci penso ho tante cose anche lì, chi accumula sentimenti lo sa, e questi petali sono la prova che nel mondo creato anche una manciata di colore racchiusa in un vaso può dire tanto. 

Il cancello della mia anima cigola sempre, entra meno gente, ma quella che entra mi porta sempre un fiore, un libro, una carezza. E se ne va con fiori, carezze e libri, oh, quanti libri.
In ognuno di essi, un fiore seccato.
I petali dei Tulipani Rosa, quelli no.

E dove li tieni?
- Li tengo sul tavolo, li guardo ogni tanto, e non mi dimentico.




Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...