22 ottobre, 2006

Lo sbrego.


Molte le disavventure che possono accadere a un motorino. Per cominciare, si può graffiare. Succede, non si son prese bene le misure, ed ecco fatto, un bello sbrego sul parafango. Il discorso si complica quando dal motorino si cade, e lo sbrego magari ce l'hai sul gomito o sulla gamba, che la fai lunga e tragica, e mi fai gli occhi da Bambi, che grande come sei hai ancora bisogno di sentirti dire che non ti verrà il tetano perchè sei vaccinato fino al 2015, che è un graffio da niente e che l'acqua ossigenata non brucia. Lo so come sei. La terza opzione, invece, è la più grave. Lo sbrego c'è, eccome, ma non si vede. Ed è quando il motorino, dannazione, te lo rubano. E' successo ieri sera. Hai svegliato tuo padre e me quando sei tornato dalla festa, era lì e non c'è più, l'avevo chiuso, e c'era anche il casco dentro alla sella. Smarrito, spaventato, deluso, ferito. Quello sbrego, lo capisco. Sono quelli fatti proprio lì, in un punto esatto, fra l'anima e il cuore, che si nutrono di rabbia e di delusione cocente, e non ci credi e ti chiedi ma perchè, non era nuovissimo ma tu ci tenevi così tanto, il passaporto per essere autonomo, per quanto si possa esserlo a sedici anni. Se sapessi chi è stato, Pietro, lo picchierei, giuro. Due schiaffi, così, diritto e rovecio, quelli col sonoro, a mano piena, sciaf! Non sono il tipo di madre che vi vuole protetti e transennati, so per certo che le cose della vita, le più sgradevoli, fanno crescere migliori. Ma prego che ti succedano solo cose che io, madre, riesca a spiegarti, a darti una ragione, un senso. E questo, spiegarti non so. Quel che vorrei è che tu non ti lasciassi prendere e che tutto questo ti passasse sopra e di lato e che ti lasciasse così, felice e intatto come sei ora, bello e dannato, romantico e disincantato, musone e irresistibile, così come sei. Il mondo, anima mia, non è propriamente quello che ho apparecchiato e che vorrei per te. Ti deluderà, ti tradirà, ti esalterà, certo, ma mille altre volte ti stupirà per la sua bellezza, la sua stranezza, la sua cattiveria, la sua incredibile malvagità. Ti farà innamorare e ti ferirà. Ma tu, tu non fermarti. Non perderti, mai, cùciti le tasche per non smarrire i tuoi sogni lungo la strada, tienili così, lucidi e perfetti, anche quando tutto il mondo cercherà di strapparteli di mano. Fa di ogni delusione, di ogni dolore, piccolo o grande che sia, di ogni sbrego come quello di oggi, una lezione, una biglia colorata, un modo un pò brutale per diventare un pò più grande, ogni giorno un pò. E quando questo, fra mille anni, potrà esserti diventato insopportabile, tu torna, figlio, torna da me. Perchè non si è mai troppo grandi, troppo forti e troppo cresciuti per non volersi sentir dire, ancora una volta, che è uno sbrego da nulla, che passa e che è soltanto acqua ossigenata. E che non brucia.

21 ottobre, 2006

Satisfaction.

Viene da stringermi la mano e darmi una bella pacca sulla spalla e dirmi ma brava da sola. Complimentoni, vividi e sinceri, i più cari a formularsi. Per la prima volta nella mia vita, l’ho fatto. Ebbene sì, via le paure, il timore di non essere all’altezza, la confusione tipica di queste vicende. L’ho fatto, sì, e me ne vanto. L’ho fatto e anche in scioltezza, senza sbagliare. Ho assemblato per la prima volta un mobile Ikea. Anzi, due. Una libreria e un tavolo. Sto allestendo il sottotetto, trasformandolo in un delizioso studio per me medesima. Solo mio. Riceverò i ragazzi e il mio sposo ad ore prestabilite, che potranno facilmente annotarsi leggendo il cartello affisso sulla porta scorrevole nuova di zecca. Quel che un tempo era denominata l’avulsa Camera del Disordine, dove si poteva giocare, imbrattarsi di tempera e scrivere sui muri, è diventato, col pomposo nome di studiolo, alternato ai più plebei loggione o piccionaia, un luogo di culto. Ripulito per bene, accatastati con ordine i quaderni finiti, buttati i giochi rotti, i mazzi di carte incompleti, le bambole senza un occhio. Arredato con sobria essenzialità, non superato il budget di euro 100, con quel suo tetto spiovente ha davvero un fascino bohémien. Ivi leggerò, ricamerò, sono già sul natalizio, signora mia, di questi tempi è meglio portarsi avanti, rifletterò sulle umane sciagure, mi ritirerò dopo una giornata da rodeo, in mistico silenzio, mediterò acquisti sconnessi di articoli di abbigliamento e/o accessori, scartabellerò le riviste di moda alla ricerca del prossimo trofeo. Un'isola, insomma. Qualcosa mi dice che questo luogo rimarrà esclusivo per giorni 1, dopodichè tutti verranno a farmi visita. In effetti, non sono molto distante dal resto della casa. La camera dei ragazzi dista cm.23, quindi non è propriamente un luogo isolato. Tutt’altro. Ma averlo è già gran cosa. Aver montato tutto da sola, poi, mi fa sentire una specie di Zaha Hadid di noialtri. Io, la cui avversione alla precisione è nota al globo, maneggiavo con destrezza e rara maestria cacciaviti a stella e brugole, viti e rondelle. Il mondo del bricolage non ha più segreti per me. Di stucco il mio sposo, oramai sono lanciata sulla via dell’architettura e della minuteria. Resta solo un quesito. Dove occultare la manciata di viti che ho avanzato. Ma a questo, penserò poi.

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Quello che cerco.



Gli amici. Bella questione. Ho molti amici, ho pochi amici, non ho nessun amico. Gli amici sono rari. Inesistenti, forse. O meglio, esistono solo nella definizione personale che ne dà, ognuno di noi., e cambiano, nel tempo. Gli amici di scuola, che mi piacerebbe tanto sapere che fine ha fatto la mia compagna delle elementari, quella con gli occhiali spessi e la coda riccia, che portava fasci di rose alla maestra ed era svenuta dalla paura per fare la vaccinazione antitubercolina, quella che ti lasciava i quattro puntini sul braccio, che io dicevo con un nome così buffo ma come farà a fare male. E poi alle medie, quello carino della 3^I, i pionieri che facevano inglese al posto di francese, che mi mandava i bigliettini chiusi con lo spaghino, come piccole pergamene e che aveva confessato alla professoressa di matematica di volermi sposare. Gli amici lontani, che non vedi mai, ma che basta fare un numero e sentirli ancora lì, adesso, con figli e mogli e mariti e cose, ma sempre vicini alla tua vita, anche se tortuosa, cambiata, complicata, ma loro no, hanno assistito a tutto, hanno pianto e riso, e sanno tutto e non occorre riassumere, ricordano, comprendono, ascoltano. Gli amici persi, quelli che le strade si sono divise, ma come mai, eravamo così simili, facevamo le stesse cose e si stava così bene insieme e poi è bastato un niente e si sono dileguati, ma sei sicura, forse sei stata tu a indicare la strada perché se ne potessero andare via. Capita che nel mondo si faccia un pezzo di strada insieme e poi uno prende per il bosco e l’altro per il mare. Amici di convenienza, di rappresentanza, e di tornaconto. Non conosco il genere, mi spiace. Amici cari. Quelli che vorresti avere seduti accanto al cinema, in aereo e in autobus, quelli con cui chiacchierare delle cose che ti passano per la testa, quelli che chiami quando hai un nodo in gola che proprio non và giù, quelli che stimi, quelli che sono da sempre tenutari dei tuoi segreti, dei tuoi pensieri e dei tuoi guai. Dell’amicizia si è scritto così tanto. Che è un po’ come l’amore, in fondo, che non esiste, che è difficile da trovare, che si esaurisce, che cambia, che delude. Tutto vero, anzi no. Ho pochi amici. Facciamo, una decina? Cerco in loro tranquillità, una famiglia allargata giacchè la mia di origine è un po’ sparsa e scombinata, forse per questo non ho una famiglia ma un plotone, una falange armata dico spesso, che con altri plotoni e altre famiglie crea un piccolo clan, dove stare al caldo, non dover pensare prima di parlare, dove si può stare anche in silenzio e non dire nulla, dove si litiga qualche volta, dove si cucina insieme la domenica mattina. Un amico. Che ti racconta e ti ascolta e ti contraddice e un po’ ti riprende, laddove necessita, e ti spiega senza saccenza e non ostenta una serenità che non ha, e che ti dice sono nei guai sapendo di non trovare un ghigno sornione e beffardo ma una preoccupazione sincera, forse un aiuto, certamente una parola. E non si risente se non chiami da tre giorni, e non si offende se domani proprio del cinema non ne hai voglia, e accetta gli inviti anche all’ultimo secondo, ho cucinato per un reggimento, ci siete anche voi? Amo i miei amici di un affetto profondo e vivace, di una sincerità che si vede, li stimo, mi piacciono. Perché sono intelligenti e carini, perché fanno quasi sempre la cosa giusta al momento giusto, perché amano in blocco tutte le cose che sono, anche quelle sgradevoli, perchè mi conoscono a memoria. Lo stesso per me. Ecco, l’ennesimo trattato sull’amicizia. Ma ci pensavo da un po’. E se dopo una cena insieme di chiacchiere ed esercizi di cucina, passando sul divano che è quasi mezzanotte e si continua a parlare, vi capiterà di addormentarvi di schianto coi vostri ospiti ancora lì, tranquilli. Un vero amico non lo racconterà. Al massimo, inizierà a parlare sottovoce. Per non svegliarvi.

20 ottobre, 2006

Week end fra le lenzuola.


Potrebbe essere il titolo di una serie televisiva. O di un film piccante. Ma niente di piccante e torbido c'è in questa mia decisione. Le idee malsane arrivano quando meno te le aspetti, improvvise, come la puntura di una zanzara. Sei lì che fai altro e zac!, magari cercavi una federa che non trovavi o una copertina leggera nell'armadio della biancheria. E lì, rinvenendo una maglia che da secoli cercavi e cercavi, che hai chiesto al mondo intero se per caso l'avessi scordata da qualche parte, hai deciso che forse, quel luogo candido tanto più candido non era. Troppe mani mercenarie e straniere e incapaci ci avevano frugato ed era ben meglio dargli una sistemata. Mi sto mettendo un ginepraio, lo so. Ma l'armadio di casa mia, quello adibito alla custodia del corredo nuziale (!), dei lenzuolini dei bambini, dei copripiumoni, delle coperte di pile, delle trapunte, sembrava, ieri sera, un bazar di Ouarzazate. Cinture di accappatoi senza il loro padrone, guanti di lana, pantaloni di pigiama dati per smarriti (che a parte gli hotel, dove diavolo si possono perdere mai dei pantaloni di pigiama? Che il mio sposo, padre e compagno esemplare, abbia una storia torbida a mia insaputa? E se sì, consuma le sue nefandezze tutto a modino, portando con sè pure il pigiama?). Mah. Fatto sta ed è che la decisione è presa. Rimetterò ordine nelle lenzuola. Nell' armadio delle lenzuola, specifichiamo. Così, avrò le federe rosa con le lenzuola rosa, che sembra un'ovvietà e invece non la è per niente, non a casa mia, almeno. Sembra un lavoro da niente, ma so già che mi occuperà un bel pò. E qualche scatto di rabbia, nel constatare il disordine che vi regna sovrano. Però, un aspetto positivo lo troverò pure in questo frangente. Alla domanda "Come passi il week end?" risponderò con finta noncuranza "Fra le lenzuola". E avrò fatto, manco a dirlo, la mia aurea figura.

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...