11 luglio, 2007

Ode alla Nivea.


Qualora me lo chiedessero, non saprei dire con assoluta esattezza che cosa il profumo della Nivea mi ricorda. Forse una quantità talmente vasta di cose che a focalizzarle una per una ci vorrebbe uno di quegli aggeggi che usa la Margherita Hack, forse. Ci si può provare. Riviera Ligure, primi anni 70. L'omino che vende i krafen sulla spiaggia, estraendoli da un cestino unto che, a farlo ora, verrebbe arrestato all'istante. Gli aeroplani che volano radendo il mare e che buttano giù le sorprese Galbani. Il materassino rosso da un lato e blù dall'altro e di nessun altro colore al mondo. I sandalini alla schiava misura 33. Il prendisole con le margherite cucito dalla zia e indossato con orgoglio per il rito serale del ghiacciolo al tamarindo. La merenda con la focaccia. L'insalata di riso mangiata sulla spiaggia. E infine, quel giochino pazzesco, le due palline che facevano click clack, le mie erano arancioni ed ero campionessa Mondiale ed Intercontinentale con un personalissimo record di 4 minuti. In tutto questo, la Nivea era lì. Non quella del flacone blù, si badi benissimo, non quella liquida che ai primi di luglio è già esaurita al supermercato. Quella vera, la unica e sola, nella inconfondibile scatola, sempre blù, ma piatta e lucida, di latta, sono così poche le cose che ancora conservano la loro forma originale, persino il bambino del Kinder è cambiato, ma dove andremo a finire. La Nivea sa d'estate, di mandorle, un pò, di panna montata che lo so che non ha nessun odore, ma forse la consistenza la ricorda molto e allora viene facile a pensare. Si spalma a fatica, ma è assolutamente lussurioso il gesto di affondare tre dita della mano in quel lago intatto e cremoso, candido e perfetto, che già solo il pensarci ti fa stare bene. Protegge, ripara, conquista. E' abbronzante, idratante, prima del sole, durante sole e doposole. Impareggiabile. Insostituibile. Elegante e raffinata, discreta e senza tempo, al di là del glamour e delle tendenza, la Nivea c'è. Occhieggia con impavida semplicità negli scaffali, accanto alla cugina liquida, alle creme setificanti, superidratanti, autoabbronzanti e sberluccicanti. Quasi nessuno la compra più. Distinguersi bisogna. E a poco meno di tre euro ci si può assicurare nella cesta della spiaggia un pezzo di storia, di anni settanta, di sciocca e dolcissima malinconia, quella piacevole da riascoltare.

10 luglio, 2007

Grandi manovre.


Ma certo, di tempo ce n'è. Non abbiamo nient'altro che tempo. Per farci perdonare, anche. Mi capita spesso di ripetere ai miei figli l'importanza di parole come grazie, scusa, perdono. E per vicende non gravissime. Quest'oggi perdono lo chiedo io. Per un'inezia, ma che ha la sua bella fetta di importanza. Perdono. Perdono di aver trascurato. Perdono di aver trascurato Santa Polenta.Che imperdonabile errore, che gravissima mancanza, che nefasta sciagura. Come si potrebbe fare a continuare senza le mie ricette senza senso? Senza i miei esperimenti? Senza le mie dosi tirate a caso, senza le mie unità di misura, tipo un pochino, abbastanza, così ad occhio? Nulla di meglio che questa giornata di ozio per rifarmi alla grandissima. Ancora non so cosa proporrò, se dolce o salato, se appetizer o finger food, se roba complicata o di una banalità rivoltante. Meglio la prima, direi. In perfetta tradizione Santa Polenta. E sorrido, pacifica, perchè so per certo che mi avete già perdonato e che, se tutto ciò ha la sua bella fetta di importanza, codesta fetta non può che essere di Polenta. Meglio se Santa, voilà.

Mancava.

Oggi di mare non se ne parla. Si ha voglia di casa, di ricevere, magari, qualche amico che passa di qua, amici dei figli che si spostano a frotte, ciondolanti, quelli appena arrivati, li riconosci dal pallore cittadino post maturità. Si è ancora in camicia da notte, di quella collezione che hai fatto prima di partire, leggerissime, colorate o candide, da corsa, dice il mio sposo, che con l'abbronzatura hanno il loro bel perchè, signora cara, mica si può star sciatte e in disordine solo perchè si è in vacanza, no? E allora via a completi da far andare in visibilio, sottoveste e vestaglina coordinata, si può restare così per tutto il giorno, volendo, scalze e scarmigliate il giusto, selvagge, mi aiuti a dire. Si passerà la giornata a guardare le crestine del mare, i traghetti che non riescono ad attraccare, gli ulivi spettinati, il sole che viene e che và. C'è un pane che cuoce sornione nella ViolaCucina, si leggerà, si ricamerà, si chiacchiererà con gusto e ozioso piacere. Nel frattempo, uno strofinaccio che ci mancava, l'amore è una bolina stretta, signora cara, una tempesta improvvisa, una randa cazzatissima che guai a lascare. E all'uopo medesimo, dopo il pane e lo strofinaccio, ecco qui che mi entrano in gioco i sottovestini impalpabili. E sull'argomento non devo insegnarle niente, mi sa.

Perfetto.

O quasi. Mare e vento, e poca gente in giro, arriveranno, i ferragostani, ma per ora si sta ancora così bene, senza file e traffico in un paesino che d'estate passa dalla noia invernale al delirio. Perfetto, come il vento che spazza via le cose, che strappa le tende appena messe, che scuote le piante di corbezzolo, che fa mucchietti di polvere e foglie e sabbia un pò dovunque. Perfetto, come la mini luna che si vedeva ieri sera, lucente e brillantinosa in un cielo di velluto e seta a cristalli, che ho fatto un giro fuori per vedere cosa volesse da me questo vento affascinante e profumato. Perfetto, come le nuvole veloci, la colazione che dura un'ora, i ragazzi che si svegliano uno per volta, e li indovini dal passo, finchè non arrivano, assonnati, dorati, scarmigliati e bellissimi, i capelli già più chiari, la punta delle ciglia quasi bianche. L'estate, quella vera, è già qui. Malinconica e impertinente, luminosa e frizzante, conosciuta eppure sempre un pò nuova. Perfetta? Ecco, non mi veniva la parola.

05 luglio, 2007

Gone with the wind.


Non c'è nessun metodo di calcolo più infallibile. Se una famiglia aumenta d'improvviso, lo si capisce per certo da due cose: dalla spesa e dal numero dei bucati. E' una mia personalissima teoria, che annovero con orgoglio insieme all'altra messa a punto da me medesima, e cioè che una fetta biscottata spalmata di marmellata cade sempre dalla parte della marmellata. Ma torniamo al calcolo dei componenti famigliari. Sono arrivati stamattina, dopo una nottataccia avventurosa. No, non mi sono spiegata, non era la loro, la nottataccia, ma la mia. Le previsioni davano mare 10 e 40 nodi di vento. Le immagini del Titanic erano lì in agguato, per me, ma mi sono ben controllata di non darlo a vedere a nessuno. Io che immaginavo cuori nella tempesta, ho dovuto ricredermi vedendo le loro facce belle riposate, il mio sposo un bocciolo, i ragazzi belli freschi e già casinari. Tutti tranne uno, ma era da prevedere. Ho intravisto dal suo zaino foto e bigliettini e cd e cose, e mi sono ben guardata dal fargli domande. Mi dirà, se vorrà. Oggi, comunque, la giornata si è dipanata nel siffatto: bucato, bucato e bucato, dacchè la spesa per le Regie Truppe Contingenti era già stata messa a segno nella giornata di ieri. Perchè i ragazzi mettono in valigia cose che sono ancora da lavare? Le t-shirt preferite, i boxer col papero che si è raccomandato trecentocinquianta volte di non stingere, per carità. Potrebbe sopprimermi nel sonno, se mai lo facessi. Non lo farò. E in questo giorno di maestrale e di nulla e di mare con la schiuma e di bucati a raffica, l'unica consolazione è che almeno, le cose asciugano in fretta, signora mia. E domani, aiutatemi a dire, è un altro giorno.

04 luglio, 2007

L'assestamento.

Non è poca cosa. Catapultàti dai ripassi alla stuoia, dalle poesie a memoria alla protezione 30, non è roba da tutti i giorni. Certamente, non è affatto grave. Ma le giornate, da queste parti, assumono aspetti che non si immaginano neppure, e non solo dall'esterno, ma anche da coloro che le vivono in primissima persona. Ragionamenti contorti, da mente appannata da tanto mare, tanto vento, tanto azzurro, tanti amici da ritrovare, tanti anelli da ritirare al domicilio stesso della creatrice, che, svelato l'arcano, è proprio medesimamente la fanciulla della foto poco più sotto. Sono mattine di risvegli stiracchianti e sbadiglianti, con un occhio all'orologio, che ore sono? ma cosa importa, in fondo, non è che ci sia tutto questo granchè da fare, no? Chiacchiere al mattino, piano piano che dormono tutti, il vento che gioca nel patio, gli scambi di torte e pani, in camicia da notte, attraversando il prato. Qualche volta ci si smarrisce un pò. Nel bluissimo del mare, nell'odore che ha sempre questo vento, nel verdissimo del'erba, la sera, nelle stelle che spuntano fra le nuvole, a strofinare per delle mezz'ore il cespuglio di menta del terrazzo, giusto così, per sentire sulle mani quel profumo di caramella. Bisognerà farci l'abitudine. Stasera, la falange armata che è la mia complicata e impagabile famigliola sarà finalmente a ranghi completi. Sul suo cammino, un mare 8, un 24 di diritto, il cuore triste di una fanciulla biondissima che resterà per qualche tempo senza il suo Amato, anch'egli triste e vagamente intrattabile, lo so già. Ma tanta bellezza e tanti colori faranno, da bravi, la loro parte consolatrice. I miei figli conoscono palmo a palmo ogni roccia, ogni sassolino, ogni anfratto di questo posto privilegiato e un pò fuori dal mondo. Ma a queste cose, e che ve lo dico a fare, non ci si abitua mai.

02 luglio, 2007

Facce da blogger.

Indovina grillo.
Lo sfondo è stato tolto per motivi di privacy (!)
Vi dico solo che era blu, blu, bluissimo.
Ci fu una cena, deliziosa.
Ci furono chiacchiere gradevoli e rilassate.
Ci fu una padrona di casa perfetta, un marito intelligente, attento e col suo perchè, tre figlioli dolcissimi e tosti, come dire.
Aprì per noi le porte della sua casa.
Ci presentò oltre alla sua famiglia, la sua amica di sempre.
Il marito cucinò per noi una pasta che non scorderò.
E' una blogger.
E si chiama...
Provare, provare, provare....
Forse si vince qualcosa, ma ancora non so.
Basta il pensiero, quantunque.

25 giugno, 2007

Seven o'clock.






Seven o'clock... aria di mare,
uova alla coque, poi bordeggiare
dove non so... forse posti sconosciuti...
dove chissà'... si potrà' girare nudi...
Seven o'clock... ora d'andare,
non che non puoi defezionare...
il necessaire, col bilama e il piegaciglia
e un videotape col Barbiere di Siviglia...
Sergio Caputo (toh guarda chi si vede)
Mi sono svegliata all'alba. Ho guardato il mucchio di valigie all'ingresso, ho pensato che ancora non era tempo di affrontare la pratica del caricamento bagagli. Prima, si aveva da fare. Aveva la camicia a quadrettini e uno sguardo smarrito e si sforzava di non far trapelare alcun sentimento da quegli occhioni di Nutella, ma si vedeva benissimo che aveva paura. L'ho aspettato fuori, facendo tremila commissioni quasi inutili, ormai, misurando a passi ciondolanti il selciato davanti al Duomo, coi gerani e la lavanda e quell'odore di tiglio che segna la fine della scuola. E' uscito in ritardo, scarmigliato e imbronciato, con la platea dei compagni che per niente al mondo avrebbe perso la prova d'esame dell'ultimo della lista. Non è Andata Benissimo, Mamma. Me lo sono abbracciato stretto, chissenefrega di Chopin e di quel quadro di Van Gogh che non hai saputo descrivere, non è tempo di affrontare la predica dello studio adesso. Stasera, una nave salperà dal porto di Genova. Ci saremo anche noi. Di lì in poi, nulla so o quasi. Stavolta parto, signora mia, chiudo il gas, lascio il Liceale tra le braccia dell'Amata, ci raggiungerà con il Giovane Holden tra qualche giorno. Le vacanze sono cominciate sul serio, un minuto fa. Questa sì, è l'unica pratica che voglio affrontare.

21 giugno, 2007

Piscina therapy.


Il tempo è incerto, c'è un leggero venticello e magari ci sarebbe qualcos'altro da fare, ma cosa importa. Oggi di stare a casa nessuno ne ha voglia, è una specie di anticipo d'estate, il costume e l'olio solare, si mangia qualcosa lì e poi si sguazza se si vuole, si legge, si chiacchiera. Non mi ricordavo come, a piccole dosi, il luogo dove vivo potesse essere così gradevole. Ci si conosce tutti, o quasi, si vedono le new entry, si spettegola un pò sulle vicende dell'inverno, sugli amorazzi nati e quelli ahimè miseramente finiti, sulle riunioni di condominio, su quello del C che passa il tempo ma fa sempre ben la sua sporca bella figura. Ho portato la musica, un libro, potrei dormicchiare, se voglio, ma il gustoso racconto di un'altra, mirabolante avventura della signora Tale, signora mia, è proprio il caso di dirlo, proprio non me la posso perdere. Nel cestino ho anche un lavoro da iniziare, un filo di cotone color glicine, al mondo niente di meglio c'è che metter sù 30 catenelle e andare avanti, a piacere, a sfinimento, e vedere che il tuo filo si trasforma da astuccino a presina, a sacchettino, a cosa diavolo non si sa, ma è color glicine e qualsiasi cosa sarà, andrà bene, è il magico divenire delle cose che fai con le tue mani. Così, questo venticello del Basso Monferrato, le nuvole e l'aria bassa un pò ti hanno guarito dalle malinconie e chiacchieri, sottovoce e un pò felice, anche perchè quel prato laggiù, col vento che lo scuote e l'erba che si muove, a guardarlo bene sembra il mare.

20 giugno, 2007

Sola.


Inutile stare lì, a perderci il sonno e a immagonirsi, sempre, e starci male e chiedersi ma come divaolo si farà. Non serve. Avrei dovuto fare un corso di menefreghismo coatto, sicuramente mi avrebbero rimandato duecento volte almeno. Che brutta cosa è sentirsi non compresi, fraintesi, eppure mi sembra di essere chiara a dire le cose, a farle, anche. Che brutta cosa è capire ancora una volta che agli altri importa ben poco delle cose che fai, se sei felice o no, se sei in pace o no, se tuo marito ti mena o no, se hai cento amanti o solo uno, se i tuoi figli sono tossici o delinquenti o santi o seminaristi. Ogni tanto mi giunge la conferma: alla mia famiglia non importa niente di me, è ufficiale. E considerando che, alla luce degli ultimi eventi, la mia famiglia d'origine è solo mia madre, scrivere a mia madre non importa niente di me fa un brutto effetto. Ma è la realtà dei fatti e va detto, ancora una volta. Che brutto, però.

Breakfast with the cat.


Appena nato è stato battezzato Ascanio. Dopodichè, avendo sfornato Mora e Mirtillo in una piovosa mattinata di marzo, ci siamo ricreduti e le abbiamo cambiato nome: si chiama Husky, un nome da cane, in realtà, però al momento non ce ne venivano altri, troppo presi dai micetti neri appena nati. Stamattina ho fatto colazione con lei, con il rumore dell'irrigazione in sottofondo, uno strano colore dell'aria di fuori, come se fossimo sotto una scodella, ecco, umido e caldo già di prima mattina. Il mio sposo semi-partito per l'Isola, i figlioli dormienti, la casa silenziosa e immota. Oggi, un giro di ricognizione alla segreteria del nuovo liceo, qualche faccenda a destra e sinistra, forse un inizio di valigia. E sì, signora, scusate il ritardo ma stavolta parto anche io e sul serio, armi e bagagli, paletta e secchiello, pinne, fucili ed occhiali e via! Ho una collezione di costumi nuovi (2 in realtà, ma chi l'ha detto che non è una collezione?), di quelli che sono interi ma non proprio, che non sono bikini ma che sei più scoperta e scelleratamente scollacciata e che ti-vedo-e-non-ti-vedo, insomma, non so se mi spiego. Veramente alla partenza manca ancora qualche giorno, il Mediano deve ancora affrontare il suo esame orale, ieri ripeteva Cavour palleggiando con un cuscino in salone, è forse concentrazione questa? Meglio attendere pazientemente lunedì prossimo, piegare per benino costumi e parei e non pensarci ancora, sbrigando le cose che ci sono da fare e rimandendo qui, duri e puri, a far colazione col gatto, ben composti sotto un cielo a scodella. Coraggio, lo scollacciamento può aspettare. Non per molto, però.

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...