07 maggio, 2008

Sorrisi di maggio.


E magliette leggere, le maniche a tre quarti, le gonnine di voile, gli occhiali da sole. E le ceste di paglia, di già, per la spesa, mica ci prendiamo più le buste di plastica, così attente che siamo e un pochino snob, abbiamo solo deliziosi sacchettini di tela colorata e sporte provenzali e cestini da spiaggia di un viola accecante, da dove tra poco faranno capolino i grissini tiepidi del forno in città. E i boccioli delle rose, ce l'hanno fatta alla fine, qualche pidocchio qua e là, ma insomma, non andiamo tanto per il sottile, uno spruzzino di quell'intruglio e spariranno, per far esplodere tra qualche giorno un profumo di fresco e di buono, che se chiudi gli occhi sembra di annusare un flacone di essenza, ma come di cosa, di rosa, no? E i colori, dal crema al lilla, dal rosa rosa all'arancio melone, sarà un tripudio di petali già un pò sfioriti, come dire, le rose inglesi sono così, fioriscono di fiori già pieni, boccioli restano pochissimo, un giorno o due, e poi esplodono, appunto. Oggi una mattina dedicata un pò alle cose di casa, lenzuola nuove, magari, quando si ha voglia di qualcosa di nuovo si passa anche dalle lenzuola, non succede anche a lei? Arriva il sole, il caldino della primavera, il piumone alle ortiche e un delirio di lenzuolini a glicini e a papaveri, gli stessi che crescono nelle aiuole in mezzo al traffico, che belli i papaveri ai bordi della strada, mi fermerei a raccoglierli e li metterei in un vaso, insieme alle calle dell'Esselunga, con la polverina per farli durare più a lungo. I papaveri sono il segno della scuola che sta quasi per finire, si disegnavano sul quaderno di bella, col fiordaliso e una spiga di grano, copiati da Roselline, a mano libera, si diceva, mica i disegni spigolosi da fare coi quadretti. Orbene, una mattina di una banale e rassicurante semplicità, chè non disperino le sorelle del Corso, che tornata son e presto mi recherò, un caffè e una chiacchiera, che di notizie, signore care, ne ho una esplosiva, che non è gossip ma è molto di più. Ben venga maggio, con le polo e i sandali, con questa beatitudine immotivata, con questo raffinato benessere, con questa placida, sorridente quotidianità. I sorrisi, signora mia, sono come le rose dell'aiuola. Stanno chiusi per un pò e poi giocano a chi esce fuori per primo, a chi ha il colore più sgargiante, chi il profumo più intenso. E i sorrisi di maggio, ben lo si sa, sono a mazzi come le rose, a sorpresa, come i papaveri, a grappoli, come il glicine delle lenzuola.

05 maggio, 2008

Un calcio nel culo.

E no che non è una giostra, peccato. E poi, avevo promesso, nessuna parolaccia scritta qui, e invece eccomi, sboccacciata, a chiamare le cose col loro nome e il suo vero nome è questo qua. Di quello che ho preso oggi, una notizia magnifica, di quelle che dici, come? proprio io? e un calcio nel didietro, come al solito,come sempre. Non che volessi frizzi e lazzi e banda e cose, e cicciccì e coccoccò, non ci sono abituata, non mi hanno abituato mai, e anche se qualche volta anche un abbraccio mi farebbe piacere, un brava, che ne so, un modo per farmi sentire un calore che ho perso, se mai ce l'ho avuto qualche volta, che si è dissolto come i profumi dei campioncini che trovi in fondo al cassetto del bagno. Sono grande, ma insomma, ho le cose che ho, cosa frigno come una lattante, cosa mi fa stare così male, adesso, cosa mi fa sentire adesso così triste e amareggiata e così come sto. Un altro calcio e quanti sono non lo so, che a contarli mi si incrociano gli occhi, e il cervello pure, da dove comincio, allora, che le mani non bastano e un foglietto nemmeno, a tenere il conto, non sono brava con i numeri, lo sanno anche i sassi. Di quella volta che, e quell'altra che e quell'altra ancora, poi. Triste a dirsi, triste a riceversi. Io sono quella che tanto fa lo stesso, io sono quella che in fondo devo pensare che è fatta così, io sono quella che cosa voglio, in fondo. Vorrei che mi dispiace, vorrei che resta dell'amaro, dopo, vorrei che mi chiedo ma perchè, il mio urlo nel telefono, sai mamma, questo e quello,e invece, invece niente, come se avessi detto stasera faccio la frittata, ah ecco. Che scema che sono che ancora non ho imparato, che scema, scema, scema che sono a voler raccontare le cose mie, ma se non racconto una cosa così! E questo che cos'è, se non un gioco al massacro, che cos'è se non un nodo qui in fondo al cuore, che cos'è se non un altro, chiamando le cose col loro nome, un altro, inspiegabile e dolorosissimo, calcio nel culo.

Percossa e attonita.

E' una tradizione, oramai. Da quando hanno l'età della ragione, i miei figli il 5 maggio vengono svegliati in poesia. Così, alle ore sette e zero cinque, ho fatto irruzione nella loro linda (!) cameretta, declamando Ei fu, siccome immobile datto il mortal sospiro eccetera. No che non erano contenti. Il Liceale, poi, che ultimamente è piuttosto imbronciato e polemico e non proprio gradevolissimo nonostante l'adorazione della famiglia tutta, ha bofonchiato qualcosa di indistinto e si è rimesso con la testa sotto al cuscino. Il Maturando, vista la sua preparazione classica (ri-!) non ha proferito parola nè suono alcuno. Eppure respirava. Esperimento letterario non riuscito. Fatt'è che oggi, maggio cinque, mi sento poetica e napoleonica e già che ci siamo pure manzoniana. Il ponte lungo, questo crudelissimo assaggio di estate e di costumi e di creme abbronzanti al sapore di cocco, e di vento, e di fruscio di jennaker, che lo so bene signora cara che non ha la minima idea di che cosa sia, ma non sono proprio io la persona più adatta a cotale spiegazione, chiederci al Capitano Stubing che è tanto meglio, io so soltanto che lo volevo lilla, ma il signore che li vende ha guardato il Capitano con tanto d'occhi, che coooooosa? una vela lilla non si è mai vista, e allora me lo devo tenere di un bel turchese, che và con tutto, col blù del cielo e col blù del mare. E che ora che ci penso, non ho neppure un costumino che vi si intoni e allora, mi sa davvero che dovrò rimediare, per non farmi trovare impreparata, per non stonare a poppa e a prua, sù e giù per la spiagge più raminghe, dall'Alpi alla piramidi, dal Manzanarre al Reno. E via, stamattina và così.

04 maggio, 2008

Yawnnnn!


Quasi il giro dell'orologio, più o meno. Niente tv, niente di niente, una cena improvvisata, qualcuno in giro, facciamo che stasera ognuno apre il frigo e prende un pò quello che vuole, un'insalatina, una pesca succosa da circa 3 euro, e fate un desiderio, sono le prime della stagione, qualcuno vuole una pasta? Una stanchezza cosmica, come se avessi passato il sabato pomeriggio a scaricare casse di angurie ai mercati generali. E invece, una festa a sorpresa ieri mattina, riuscitissima e stupefacente, e poi il nulla, qualche lavatrice estemporanea, che quella non manca proprio mai e lavoretti senza senso, da sabato pomeriggio. Alle 10 più o meno sono crollata, come si crolla quando proprio non ce la si fa più, quando fai fatica a tenere gli occhi aperti, quando ti infili la camicia da notte in uno stato di semi-incoscienza e ti schianti e resti immobile e formuli un pensiero e mezzo, di quelli che si fanno prima di dormire e poi, poi la nebbia, la schiuma, prati di cotone e di silenzio e di zzzzzz. Insomma, avevo sonno. E anche stamattina, in realtà. Va bene, sarà la primavera, ma dormire e dormire come nonna Cesira non mi pare nemmeno tanto normale. Con la quantità di cose domenicali che ho da fare. Sissignore. Un regio ragù per la regia famiglia. Lo stendimento di due lavatrici, accuratissime, essendovi insita la arbitrale divisa federale del federale arbitro Holden Paparesta LoBello, che più bello lo è per ben sul serio in questi giorni, che un pò gli brillano gli occhi castagna, vai tu a capire perchè. Una domenica di sole pallido pallido, coi gladioli già cresciuti al bordo del pratino, le rose in boccioli verdini, le violette esplose. Tutto normale e tranquillissimo. Però, un sonnellino...

02 maggio, 2008

Point à la ligne.

E che punto e a capo sia. Riedo. Mestamente ma un pò contenta, anche, chè di lasciare una parte della regia famiglia a casa non è che proprio mi sia così lieto. Solo a me, mi pare di capire. In effetti, la scuola, chi faceva ponte e chi no, e poi boccoli e biondine, giocoforza, trattengono in città. A nulla sono valse le nostre più dettagliate e mirabolanti descrizioni, andremo di qui e andremo di là, e loro a sbuffare impercettibilmente, ma come, non lo so ancora che la vacanza più desiata da queste parti è la casa libera e noi lontani, non troppo ma il giusto? Ben perciò, vacanza è stata, pure per loro. Plotoni di fanciulli e fanciulle hanno bivaccato in maniera composta e ordinatissima nei saloni della regia residenza, ala est e ala ovest. Hanno scongelato pizze, improvvisato pastasciutte per una quindicina, fatto spese tutti insieme, in questa specie di colonia elioterapica che era diventata la mia casa in questi ultimi giorni. Ho trovato tutto perfetto. Troppo perfetto. Non una piegolina sui divani, non un granellino di polvere, non una briciola, non una forchetta fuori posto. E tutto ciò mi insospettisce. Come nelle scene dei delitti più perfetti, non un'impronta, non un segno. Se l'orda è passata, deve aver anche rimesso tutto al posto suo, con precisione. Beh, intanto noi si riede dalla Cote d'Azur, abbronzatini, rilassati e pronti. Intanto, domani è ancora vacanza e dopodomani pure. Il punto l'abbiamo fatto. Per l'a capo c'è ancora tempo.

23 aprile, 2008

Closed for bridge.

Oh, yes, si è fatto di tutto in questi giorni, spaccato un computer, registrato un marchio, fatto scarpine, ripassato inglese, ritirato copertine, ricevuto complimenti e abbracci, comprato un profumo, preparato valigie. Già perchè sì, noi si và, non tutti ma quasi, qui transumanze di amici e fidanzate, biondine si dice, eggià, qui oltre alla Biondina di sempre, dicono che si aggiri un'altra Biondina dall'Occhio Languido, Ingegnera, dicono, o almeno così pare e allora che ghiotta occasione di portarla testè, com'è che si dice quando il gatto non c'è, o era il topo, ma che cosa importa in fondo. Biondine o non Biondine, noi si và. E allora, mi si scusi tantissimo, immensamente, si chiuda la porta, si cazzi la randa, per la Costa Azzurra? Si và per di là.

21 aprile, 2008

Fari e lampioni.


Ma sì che è bello guidare di sera. Che si è usciti al volo, vestiti da casa, la maglia persino un pò scucita, come si conviene alle cose per casa, che possono concedersi il lusso di non essere perfette, stropicciate, un pochino, larghe, comode, da casa, appunto. Mi piace guidare di sera perchè ci si sente come dentro una bottiglia di inchiostro, non è proprio buio buio, non ancora almeno, e l'asfalto è lucido e brillante, con tutta quella pioggia e i fari spuntano dal nero e i lampioni illuminano il viale e la strada fino in fondo e anche più in là. Che belli i pensieri della sera, quelli che lasci andare, come le colombe davanti alla chiesa, come i palloncini. Escono fuori e vanno via, semplici, senza filtri. Che liquidi sono i pensieri che pensi la sera, guidando per un pò, non molto in realtà, con una musica appena appena, di sottofondo, che non canto perchè non so. Sono pensieri che non sai bene nemmeno tu, che passi da un pensiero all'altro, senza un senso, sono pensieri distratti o attentissimi, importanti o un pò scemi, morbidi in un certo senso, diversi da quelli del mattino, che devo fare questo e questo e questo e questo. Di sera no, da fare si ha così poco, oramai. Si guida piano, a pensare il niente della sera, una leggera, beata stanchezza che ascolti con sollievo, quasi, e i pensieri, quelli che scivolano via, quelli che non schizzano ma fluttuano, quelli che tieni lì e non sai bene se i fari delle macchine e i lampioni del viale, li riescano ad illuminare così bene da farti credere di averli già pensati. Una volta almeno.

Pagina Cinquantaquattro.


Ma no che non lo sapevo, giuro, beh, sì, certo che avevo scritto, ma scrivo talmente tante cose che insomma proprio perdo il conto. E poi, ieri pomeriggio, in una domenica uggiosa, l'sms della mia Amica dei Tessuti, ma come, si parla di te e nemmeno me lo dici? Ma se non lo so. E invece, eccomi qui. La mia mail pubblicata su Elle, signora cara, non proprio sul giornalino della parrocchia. E poi, l'indirizzo delle Fragole, ossì, pure quello, e la cosa più importante e più bella è che parlano di lui, del mio Cuore di Maglia. E tutto questo, tutte queste righe mi hanno fatto saltare come un grillo salterino, perchè si sa che è una bella cosa, le prime cento pagine di un mensile sono quelle più importanti, ma lo sanno anche i bambini, come fa a non saperlo lei? Tutto questo mi fa sentire così felice e orgogliosissima e soddisfatta e se non fosse che mi vergogno mi darei una bella pacca sulla spalla, ebbrava, e mi stringerei la mano e mi direi ma guarda un pò tu che cosa che hai combinato. E ringrazierei, una ad una, tutte le persone straordinarie che hanno reso possibile questo progetto, la Filatura di Crosa in primis, tutte le mie Amiche del Knit Cafè che si sono tuffate con me in questa avventura bellissima. E a tutte quelle che non conosco, che mi hanno scritto con la voglia di esserci anche loro. Grazie, grazie, grazie. Per i ringraziamenti dei diretti interessati, si sa, bisognerà aspettare qualche anno. Ma in fondo è bello così. Sarà una festa che non finisce mai, di quelle che se ne parla per mesi e mesi, e sapere che i piccini sono lì, nei loro lettini speciali e trasparenti, con le cuffiette glamour, le scarpine corte mezze pavesino e le coperte, sono il regalo più bello. Grazie, Elle. Anche da chi non parla ancora.

18 aprile, 2008

Tenerezze.

L'unità di misura è il pavesino. Queste scarpottine morbidissime, con un pon pon che è la misura più piccola possibile in assoluto, ma che applicato du di esse appare gigaenorme, misurano appunto mezzo pavesino. Suppergiù. La suola di queste calzature per elfi del bosco e del sottobosco, è corta cm 5. E non è che me lo sono inventato, sa? Ho il mio bel documento. La dottoressa mi ha fornito un bello schema, l'impronta, presa direttamente dall'incubatrice, la misura giga e la misura mini, molto più frequente. Queste qui vanno a pennello. Per lei e per lui, con tacchetti regolamentari e vezzoso fiorellino. E sono chiccosissime. Mezzo pavesino di amore e di calduccio per dei piedini che, lo so, diventeranno da ballerina. O da calciatore. Con tutto il Cuore.

A catinelle.

Fuori è proprio meglio non guardare. Ci si alza già con una smorfia di disgusto, inversa, non so, ma accidenti piove di nuovo? No, non di nuovo. E' che non ha mai smesso, è questa la sottile differenza. La pioggia in questi giorni dell'anno ti fa odiare l'armadio e tutti i vestiti in esso contenuti, compreso quelli sparsi alla rinfusa sulla poltrona, che tanto li metto spesso e allora meglio lasciarli lì. La pioggia di aprile ti fa essere in uno stato confusionale, in un mix di assurdità, una sequela di controsensi, come, senza calze e col maglioncino? E lì, sandali di corda e stivali? E stamattina che avrei voglia di quel twin set fucsia, cosa faccio, lo sacrifico sotto l'imper e vada come vada? Son cose da non sottovalutare, lo sforzo mentale richiesto in un venerdì mattina piovosissimo, uggiosissimo e noiosissimo, che pensi con grande pena a quei sandalini che ti aspettano dalle Sister Berry, a quei capri pants della vetrina, che sembrano rosa, ma, imperdonabile errore, essi sono a righine, una bianca e una rossa, impercettibili e finissime, ed evocano pomeriggi assolati di primavera inoltrata o già un anticipo d'estate, passi sul legno del pontile, o tolti al volo per un giro sulla spiaggia e infilati con noncuranza, suola contro suola, in una cesta di paglia dai manici di corda. E mi si perdoni l'assurda, incontenibile voglia di frivolezze e amenità, questo bisogno di leggero, di futilissimo, di vagamente snob e assolutamente chic. Ci vuole, in un giorno di simil novembre che è già week end ma che razza di, a contare le gocciolone dai vetri, a tenere a bada la malinconia, ad inventarsi stupidaggini per non andare a fondo. Urge una scorsa alle tendenze per l'estate, mi sa che quest'anno và il quadretto vichy, uno stile semplice e rigoroso e tanto tricot. Perchè va bene che piove e piove, ma, benedetto il Cielo, smetterà pure prima o poi.

16 aprile, 2008

Che giorno è.

E' un sole che acceca, quest'oggi, che spruzza sulle colline una luce quasi metallica, che spara, in un certo senso, come il flash del fotografo alla Prima Comunione, sorridi, così. E' un sole rabbioso, non caldo, che ossimoro, il sole freddo, questa poi. E' un sole che non mi piace, sembra appiccicato con la colla, sembra come di fretta, lo vedi, sono qui, ma tra un poco me ne andrò, a giocare con le nuvole cariche di pioggerellina fina fina, quella che ti rende nevrastenica, quella che non serve il tergicristallo, quella che non fa rumore e che viene giù per giorni e giorni e giorni. Che giorno è oggi. Da lavorare, o da santificare al niente del tutto, da leggere tutto il tempo, da guardare in sù, da fare un giro nei prati, che è ancora bagnaticcio, e l'erba è così verde e alta, nel pratino di casa, ma come, non l'abbiamo tagliata da poco? Che giorno è, a controllare i gladioli che nessuno pianta più, il lillà che si sforza di fiorire, e fiorirà già un pò sfiorito, secondo i mille misteri del pratino, nascono le fragole, le margherite, c'è una talpa che fa i buchi, un serpente, una volta, due topolini catturati dal gatto, un microcosmo. Sarebbe un giorno da spendere nel sole, e invece, che razza di giorno è, se fra poco ci si troverà tutti, o quasi, a guardarsi come marziani, a pregare a bassa voce, a baciarsi leggero senza dire niente, in una chiesa sconosciuta, ci sarà odore di incenso e di legno e di marmo, credo, e di muffa e di fiori. Saremo là, a salutare, a dirgli buon viaggio verso il sole, oltre le scie degli aereoplani, oltre le nuvole, al di là. Saremo là, a guardare da lontano sua moglie e i suoi figli, a non sapere cosa dire, dove stare, a mormorare cose, a tossire piano, a piangere anche. E il sole, lì dove saremo, di sicuro non ci sarà.

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...