04 novembre, 2011

Umido Novembre.



Il cielo cade giù, stamattina, ti vine da metterci le mani sotto, come quando cadono i libri dalla libreria, o le lenzuola del ripiano in alto, quelli che metti solo quando è Natale e non ci sono mai le federe vicino, le devi cercare nel cassetto o nell'altro ripiano, che è così difficile cercare le lenzuola, se nell'armadio sono tutte bianche e hanno solo il ricamino diverso, e poi ti serve sempre l'ultimo della pila Se invece son colorate il problema non si pone, solo che poi a furia di frugare e frugare sono tutte messe male e nemmeno più si chiude l'armadio. Mah, si diceva con mestizia, è il 4 di novembre, Armando Diaz e tutto il resto, mi ricordo che a scuola ce l'avevano fatto studiare a memoria, che cosa strana. Non che faccia freddo, certo che no, ancora senza calze per far inorridire le mie Amiche del knit cafè, ieri pomeriggio, ma mi sa che qualcuna l'ho convertita, e alla fine avevo ragione io, che le calze si mettono solo a dicembre inoltrato. A guardar fuori il cielo sa di colla, nel senso che sembra colla, un barattolo di Coccoina che non si usa da un pò, bianca sì, ma tendente all'opaco, non so come dire, se ti concentri riesci a sentirne anche l'odore di mandorla, uno dei profumi a me più cari in assoluto, insieme al Vicks e al Borotalco. E' tutto così immobile che si fa fatica a credere che quello fuori non sia un cartellone, un quadro, magari, che ti verrebbe voglia di stare nel letto a fare tutto, la colazione,  lavorare, mangiare, parlare con qualcuno al telefono, fare la maglia, o fare niente. Invece no. proverò a fendere questo biancore di nebbia e di acqua, che è venuta e che verrà, proverò a vedere se vince lui o vinco io, provo a portare un pò di scompiglio fra le foglie gialle e umidicce, scuoto i miei pensieri e scuoto me, metto disordine in questo silenzio intatto, non si muove nulla, lo farò io, sono brava a mettere disordine, anche quando non voglio, anche quando faccio di tutto per tenere a posto, anche quando cerco le lenzuola con le rose, è tutto perfetto nell'armadio e un attimo dopo il delirio, le lenzuola le ho trovate, ma ho una federa soltanto, metterò la musica a manetta, questo bianco di fuori non mi piace, ho un rossetto nuovo di zecca, fra poco vado a vedere se anche in città il cielo è coccoina, e  alla fine, chi l'ha detto che le federe devono essere uguali e poi nessuno al mondo mai controllerà il mio armadio delle lenzuola.

02 novembre, 2011

Non so.



Strano giorno questo qui. Inizia la settimana ed è già mercoledì, è una festa tristissima, forse nemmeno la è, ma certo non ho bisogno di un giorno come questo per pensare a chi non c'è, io non vado al camposanto in questi giorni, non mi piace, ci vado quando ne ho voglia, da sola, senza nessuno e spesso sono soltanto io nel vialetto con la ghiaia e qualche vecchietta con l'innaffiatoio e i fiori, a maggio le rose del giardino, ce ne sono tanti di giardini con le rose là dov'è il camposanto e dove vado per sentirmi figlia di un papà che non c'è più e Dio solo sa quanto poco la sono stata, figlia così, non era proprio il momento di andar via, ma forse non è che il momento lo sia mai, in fondo, ma avrei voluto vederlo invecchiare, vedere se fosse ancora così dannatamente bello anche a 50 anni, e poi a 60 e via così. Non so che fare in un giorno come questo, mi verrebbe da andare a correre nella nebbia, a me piace di più correre con la nebbia che col sole, oppure non so se mettermi a ribaltare casa, togliere le fodere dei divani e lavarle con cura, i vetri, le tende, e tutte quelle menate che si fanno quando si decide di pulire casa da cima a fondo, di solito si fa quando non si vuole tempo per pensare, mai quando la casa è lurida, nessuna casa lo è mai, si pulisce sul pulito, che frase tristissima da dirsi, se è pulito esci, vai fuori, fatti un giro in un giardino, guarda due vetrine, leggi un libro, che pulisci a fare, mah. Quindi non so. Se fare le Grandi Manovre o mettermi tranquilla, tranquillissima in un angolo di casa, un libro nuovo, iniziare un maglione marrone che la Princi Omioddio mi chiede da un pò, cucinare qualcosa, mettere una bella musica e magari stirare. Novembre non è un gran mese, meno male che passa in fretta, forse più di febbraio e anche quello non è che mi stia simpatico, non so se passi prima dannandosi o stando fermi, se riflettere  o far di tutto per non pensare, se fare e fare o star lì, imbalsamata, bell'e abbrustolita come le castagne della piazza. Non so se muovermi o stare ferma, non so se agitarmi o essere in grazia di Dio, nel frattempo scrivo e scrivo, le fodere dei divani mi sa che le tolgo uguale, tanto asciugano in fretta e non si stirano, ribalto casa ma nemmeno tanto, che strano giorno, triste sì, e questa è l'unica cosa che, per certo, so.

28 ottobre, 2011

La Scatola col Gatto.



E' una scatolina di latta, di quelle che possono contenere dal nulla, a tutto. Comprata a Parigi, da Merci, qualche anno fa, e portata in dono a Lei, la Principessa Omioddio, la figliola più piccola, l'unica femmina, l'unica e basta. Per lei, da subito, palloncini rosa sulla porta a dire che sì, era arrivata, quel 4 marzo di quasi quindici anni fa. Quindici anni quasi. Anzi, facciamo quattordici e mezzo, e un pò di più, che suona meglio. Suona meglio per me. Questa scatola le piacque subito tantissimo, ci teneva i nastrini per le trecce, le stringhe con la tastiera del pianoforte, le mollettine coi fiocchi. Stamattina, svuotando il cestino della sua stanza, l'ho trovata lì. Buttata via. E subito mi sono ricordata, Ho Messo in Ordine, Mamma, me lo ha detto ieri salendo le scale di corsa. Solo, non ho compreso subito cosa volesse dire quel suo mettere in ordine. Ha buttato via tante cose,  pastelli spuntati, penne che non scrivono, e degli orecchini con Hello Kitty. Ha buttato un portachiavi ad orsetto, una serie di elastici con le ciliegie e le banane, un cerchietto di pelo con le orecchie. E la scatola col gatto. L'ho recuperata, dentro avevo un biglietto dell'autobus e un topolino fosforescente. La userò io, ci terrò la mia sterminata collezione di stitchmarkers, in fondo questa scatola è così bellina, mi sono detta. Poi ho pensato. Non sei più da scatole coi gatti, figlia, me ne accorgo quando apro la porta della tua stanza e tu sei lì, me ne accorgo da come stai seduta, un pò di sbieco, come me,  me ne accorgo da come alzi gli occhi, da come ti scosti i capelli dal viso, con quel gesto che i tuoi Fratellacci Maleducati imitano centinaia di volte, per farti arrabbiare, Occhioni Verdissimi e Capelli di Seta. Cose te ne fai di questa scatola col gatto, che ti sembra tanto da bambina stupida, adesso, ma che forse riscoprirai tra un pò, magari all'università, chissà. Ho messo in ordine, che tradotto vuol dire, sono diventata grande, sono grande, non ho più bisogno di scatole coi gatti per conservare le mollettine, non mi faccio più le trecce, e quelle orride mollettine con le banane, ma per favore. Un figlio maschio cresce quando dalla sua stanza escono le note dell'heavy metal, quando ti bacia e punge, quando lo vedi radersi una mattina nel bagno blù. Una figlia invece, cresce quando butta via le scatole coi gatti. Me lo devo segnare, da qualche parte.                                   


27 ottobre, 2011

Vetro che vola.


E alla fine, il freddo, quello vero. Anzi no, non proprio quello pungentissimo, quello da calze, quello da guanti di lana pesantissima, che ne avevo fatti anche di lana leggerissima e pure coi buchi, ma che razza di guanti sono questi qua. Sono belle mattine, sono mattine di una semplicità che scalda, sono bei giorni di cose normali, di amiche in giro a cercar gomitoli, di inviti a pranzo estemporanei, inaspettati e perfetti, nella tovaglia pastello, nelle risate, nel clima da collegio che c'è, eppure siamo madri e spose esemplari, come dico sempre e di pasticci e menate e grane e questioni ne abbiamo una tonnellata a testa, ben suddivise, ma alla fine ci prendiamo il tempo per far le sceme e tutto il resto per un pò sembra lontano. Mi piace la semplicità  che arriva d'autunno, con le caldarroste  e i piumini nel letto, con le piccole cose che fanno grande una giornata normale, un vaso di vetro che diventa cristallo prezioso se lo sai vedere nel modo giusto, piccole soddisfazioni che fanno l'anima bella, momenti di niente che sanno di caldo, come il profumo del pane, dei biscotti cotti nel forno, nel caffè della mattina presto, il cielo rosa, il prato bagnato, le foglie. Sono mesi che colleziono vasi di vetro, la marmellata, la Nutella, li sciacquo per bene, li uso per i fiori, per il basilico del mercato, per le ortensie seccate, perfino per i bottoni, ci metto un nastrino, se ho tempo preparo per loro un vestito così chic che perfino Marie Claire li ha messi in copertina, certo non i miei, ma insomma, è quasi uguale. Mi piace pensare che ad ogni vaso dò una storia nuova, un destino diverso da un volo bislacco nella campana del vetro. Così i miei pensieri. Vasi di vetro messi a nuovo, guardati da un'altra prospettiva, da un'altra strada, un altro sentiero, colorati, messi meglio, un nastrino, un pò di cotone, un nuovo significato. Lo vedi, c'era scritto Barilla e ora è pieno di cioccolatini di Gobino, ci sono le ultime rose della siepe, c'erano i sottaceti e adesso il rosmarino, era vetro ora è cristallo, era ansia ora è calma accesa, era un niente ora è un gioiello, un pensiero trasparente che non si frantuma insieme ad altri mille, che non finisce, non ancora, almeno.



24 ottobre, 2011

La Leggenda del Reggiseno Ristrutturato.



Avvertenza: questo non è un post da postribolo, nè per maniaci sparsi sul web, niente di niente. E' semplicemente una storia vera, accaduta ai giorni nostri, lassù, nella Casa in Collina. Personaggi ed interpreti. Uno solo, io. Anzi no, due: io e un reggiseno. Non c'è nulla di torbido in questa storia e chi si aspetta cose turche ne verrà prontamente deluso, è una storia insulsa, alla fine, ma ha dell'inimmaginabile. Ora, accade giorni addietro che, uscendo un prezioso reggiseno dalla lavatrice, dove lo lavo con amorevole cura, ciclo stradelicatissimo, supercashmere slow motion, sapone di Marsiglia misto a champagne, noto con lieve disappunto ("Azz!") che i gancetti dell'indumento si sono, come dire, schiacciati, svalvolati, piegati su se stessi, non so come come abbia potuto succedere ma è la realtà dei fatti, vostro Onore. Inservibile l'indumento tanto amato. A prescindere dal fatto che ultimamente, le mie Amiche ed io ci sia convertite alla legge del Non Si Butta Niente, e ci scambiamo volentieri trolley strapieni di vestiti, dalle figliole cresciute a quelle ancora che devono crescere, dai figlioli grandi a chi i figlioli ce li ha più piccini, da un pantalone che mi ha stancato a chi invece ci piace un sacco, le ballerine che fanno male a te a me invece stanno un amore, e via così. Pratica molto diffusa negli USA, qui non è ancora così famosa ma mi sa che ci diventerà, giocoforza, eppoi le mie Amiche ed io siam troppo avanti, questo si sa. Ma torniamo a Lui, il Reggiseno Sgancettato. Che fare? Di buttarlo non se ne parla proprio, fa ancora il suo più che onorabile servizio, eccome se lo fa, intendo, e così sono stata folgorata dalla soluzione.
 Mi reco baldanzosa nella merceria più vecchia della città, quella che vende ancora le cerniere RiRi, per intenderci, che erano quelle che mi metteva mia mamma negli astucci che facevo coi jeans rovinati o all'uncinetto alle scuole medie.

La merceria è un posto strano, ci trovi le cose più malinconiche del mondo, l'elastico delle mutande, per esempio, giuro di aver assistito alla vendita di 1 metro di pizzo per sottoveste, non so se mi spiego In questa merceria, pieno centro storico, anzi, ex ghetto di questa città, c'è una parete piena di bottoni che fa perdere la testa, e i cassettini di legno e una serie ci cosucce che ti fan sentire al 24 ottobre del 1950. Arrivo con il corpo del reato, Devo Aggiustarlo, E' Possibile? E qui, la meraviglia. La signora della merceria estrae dal bancone un cassetto pieno di delizie, gancetti di varie misure, e anche appositi anelli per infilarceli, in tre colori soltanto, nero, bianco e beige, fine della storia e poi ancora quegli aggeggi per il reggicalze, da attaccare alla guepiére, signora mia, quando proprio si vuole attaccare al lampadario, per dire. Costo dell'operazione euro 1. E io che non so cucire mi sono cimentata e voilà, il Prezioso Reggiseno ha i suoi bei gancetti nuovissimi. E io mi sento tanto un donnino anni 50, di quelle parsimoniose e timorate di Dio, che hanno una ricetta segreta e si fanno la messimpiega coi bigodini. Però, son contenta. Primo perchè mai avrei immaginato che un reggiseno potesse avere dei pezzi di ricambio, e secondo perchè sono riuscita a cucirlo, che per me è una vera conquista. E si calmino gli animi dei pettegoli, degli assatanati  e dei poveri di spirito: a casa mia, nemmeno ce l'ho, il lampadario!

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...