27 luglio, 2012

"Scrivi meno."

Così mi hanno apostrofato, ieri sera, le mie Amiche di Là. E non era un invito, anzi, una specie di rammarico, Perchè Scrivi Meno? ecco, il senso era più o meno così. E' vero, scrivo poco, scrivo niente, questa strana estate  in città mi sorprende e mi impigrisce, non che non abbia cose da raccontare ma forse anche i miei pensieri si stanno prendendo una vacanza, in questi giorni di sole, di colazioni in terrazza, di amiche, di prove di figlia unica, di grandi letture, di knittaggi compulsivi e di poco altro. Si riscoprono così gli aperitivi al bar del vicolo, lunghissssssssimi, lentisssssssssimi, in una città quasi deserta, eppure, tutte le mie Amiche di Qui sono ancora qui, appunto, e ieri al knit del giovedì c'eravamo quasi tutte, Afef assente giustificata, ma le altre tutte. Sono giorni che di cucinare non se ne ha voglia, niente che non sia una bella insalata greca o al massimo una frittata superlativa. Anche da questo ci si prende una pausa di riflessione, giorni sabbatici, un pò alla moviola, non saprei dire come. Ma di sciocchezze, mi aiuti a dire, ne so a manciate, ieri la mia amica Lulu mi chiedeva lumi, è confortante sapere che per le cazzate più cazzate, e mi si perdoni il termine dacchè non ve n'è un altro più appropriato, confortante è sapere che si chieda alla scrivente non già questioni attineni a bosoni e neutrini, ma ad esempio quale colore di smalto, se la zeppa va di sughero o se quest'inverno sarà l'inverno dei loafer.
Così si chiacchierava mollemente ier sera, intorno alle 21, ciondolando per una bella città tiepida, a fare un pò i turisti, che gli stranieri in realtà non eravamo noi, ma il fascino del giardino di Palazzo Ghilini ha conquistato anche me che ci ho stazionato davanti 3 anni aspettando la Princi che uscisse dal Conservatorio e non ci sono mai entrata, per dire. 
Che strana estate questa qua. Dal mare arrivano notizie frammentarie e confuse ma si sa che i figlioli colà sistemati si divertono un sacco tra feste in spiaggia e transumanze. Il numero dei coperti non è noto, ma è lì il suo bello.
Per il resto, si hanno molti programmi per i week end a venire. Una raccolta di mirtilli, per cominciare, e un giro in montagna, stavolta con le calzature adatte dacchè tutti ricordano perfettamente di quella volta che un buonuomo dovette prestarmi un paio di scarpe consone, essendomi io recata colà con due zeppe grigio perla che erano un amore. La fine di luglio in collina è densa di avvenimenti, si raccolgono le ultime albicocche del frutteto, ci si bea della straordinaria fioritura delle ortensie, si fanno scialli a una velocità indicibile, si legge al fresco sul divano, si pensa poco, e quel poco è già abbastanza.
Ogni tanto ci si chiede se tanta pigrizia, se tanta lentezza, se tanta beata indolenza  possano in qualche modo nuocere, se ci si rifugia in cose consolidate e conosciute per scansare una volta per tutte i pensieri improvvisi, le fatalità, i mille dubbi dell'esistenza, la profezia Maya, le grane solite, la gente pesante cui si è diventati insofferenti, l'ignoranza cui si è da sempre intolleranti, le cose di tutti i giorni.  La risposta arriva dalla porta, un'Amica di QuiQui, inteso come villaggio dove vivo, che ti suona il campanello Passavo di Qui. Allora, scopri che le cose belle del mondo sono davvero una quantità, che è del tutto inutile e financo dannoso stare lì a macerarsi l'anima con i Forse, con i Magari e con i Passati Remoti. Il mondo va per conto suo, le genti anche, e allora va bene così, e scusatemi tanto ma vado di fretta, ho giusto uno scialle color vinaccia che mi aspetta impaziente sui miei ferri circolari, ho una quantità di fanciulle che dorme in qualche stanza nella casa, ho ricette coi mirtilli da trovare e sperimentare. E ho uno smalto color del cielo, un libro che mi sta conquistando pagina dopo pagina, loafer sì, ma per ora quoto quel sughero arancione, Lulu. L'estate non è una stagione: è uno stato dell'anima. 

19 luglio, 2012

L'estate lenta.

Mai avrei immaginato un'estate senza mare, senza il mio mare, ma forse a dar le cose per scontate ti fa perdere il valore, l'abitudine ammazza anche il più grande degli amori, anche quello per quel mare e quel profumo che mi tengo lì e che avrò tutto per me a settembre, forse, chissà. L'estate lenta della città è una cosa da scoprire, ci sono angoli che mai avresti detto che, mai avresti immaginato che. Mi piace l'andare lento di queste sere, i tavolini dei bar, gli aperitivi lunghissimi, i negozi aperti anche dopo cena, la gente che non ha fretta, che non scivola via, ma che si ferma con te a chiacchierare in piazzetta, magari in bici, Ancora in Città? Sì. Scopri angoli di casa tua che non conoscevi, in assetto di vacanza. Scopri che i gerani del terrazzo devo ritornare al loro posto, perchè lì il sole non arriva per bene e hanno un sacco di foglie, sì, ma i fiori forse hanno sofferto un pochino e allora è meglio che li riporti dov'erano. Scopri che le gite con le Amiche, le cene sotto i pergolati, le chiacchiere fitte fino a sera tardi hanno un bel sapore di fresco, la menta del vaso dà il meglio di sè dopo una certa ora, non è mai troppo tardi per andare a dormire, domani tanto si potrà dormire anche fino alle 8, volendo, o rimanere stesi a contemplare il cielo azzurrissimo che si vede dalla finestra. L'estate lenta è così, ci prova ogni tanto a portare pensieri  spigolosi e pungenti, di quelli che ti si piantano sul cuore e non ne vogliono sapere. Ma ci sono tanti colori, l'erba verdissima del pratino, la certezza che il mio mare mi aspetterà, e questo profumo della menta del vaso, nessun pensiero che fa male ha mai avuto la meglio, sul profumo della menta.

16 luglio, 2012

Sorprese d'estate.

Una domenica di luglio fresca e profumata è già una sorpresa di per sè. Se poi si può assistere all'insolito connubio di pizza con presentazione di collezione di scarpe., la sorpresa è almeno doppia. Che questo abbia luogo a La Grattarola, "postone"  sempre frequentatissimo ma che d'estate dà proprio il suo meglio, allora , beh, le sorprese sono mille.
Il suo nome è Oliva de Ambrogio. Le sue scarpe, un sapiente mix di materiali ricercati e semplici, la iuta che sposa la pelle, il pitone che si affianca al camoscio con un effetto insolito e particolare, trasparenze e zeppe multicolori fanno delle scarpe ODA, già citate su Vogue Italia, qualcosa di davvero originale soprattutto se presentate con grazia e semplicità proprio da lei.
La genialata, direi. Ho lasciato il mo cuore su queste verdi. Insolite, azzardate, inusuali. Bellissssime. L'intera collezione di Oliva la trovate qui.
Segnatevi per bene questo nome. E poi, non dite che non ve l'avevo detto.


11 luglio, 2012

L'Imprevista Visita del Pipistrello Demetrio.

Notte fonda lassù, nella casa in collina. Una notte frescolina e profumata, le notti d'estate hanno un profumo speciale, non saprei dire di cosa. I figlioli maschi rientrati e la tranquillità del saperli a casa che ti fa riaddormentare beata non appena senti la chiave che gira nella toppa. Dopo qualche minuto, però, succede qualcosa. Risatine nervose, imprecazioni, sù e giù per le scale, un'agitazione diffusa. Decido perciò di andare a vedere. In corridoio i miei due figli maschi, mutandati e bellissimi, lievemente agitati. C'è Un Pipistrello Nella Stanza di Enrico, ridacchia il maggiore dei due, e socchiude la porta per farmelo vedere. Creatura. Un pupistrellino delle dimensioni forse di un croissant, forse anche meno, volava e volava in tondo nella stanza del Maturato, sbattendo vieppiù il capino ora in una parete, ora nell'altra, ora nello specchio, con un frrrr frrrrrr di ali forse un pò inquietante ma di certo non pericoloso. Belli non sono, i pipistrelli, lo sanno anche i sassi e l'immaginario collettivo certo non li fa risultare simpatici con storie di castelli maledetti, vampiri, ragnatele e affini, nemmeno Batman c'è riuscito, fa un pò te, come dicono i miei figli. Gli stessi figli che alle 4 del mattino decidevano la strategia per far accomodare fuori con grazia il povero Demetrio, questo il nome datogli lì per lì, esattamente da dove era entrato e cioè dalla finestra aperta un momento per chiudere la persiana. Demetrio aveva deciso di fare un giretto in quella stanza stranamente in ordine, con la parete verde acida e la poltrona zebrata, così, giusto per vedere com'era, non faceva proprio nulla di male. Certo, il mio figliolo non se la sentiva di reintrare nella stanza sciallo, un pipistrello è sempre un pipistrello, si tratta alla stregua di un serpente a sonagli, non c'è che dire. Sì, ma che fare? Io, genitrice, avrei dovuto prendere in mano la situazione, dacchè il mio Sposo, che il Cielo lo sorvegli, nemmeno fosse entrato il capitano Achab e tutta la Balena Bianca si sarebbe accorto di qualcosa. Non posso dire di esser fifona  ma ho anche io le mie fisse, potrei morire tra le grinfie di qualche piccione spelacchiato di Piazza del Duomo, i ragni non mi fanno alcun effetto, ma ricordo bene di quella volta che mi è preso il panico per un calabrone che mi pedinava, giuro, seguiva propro me e alla fine mi ha pure morsicato, il bastardo. Così ho abdicato. Si trattava di decidere chi doveva entrare armato di scopa nella stanza per far uscire Demetrio. Vacci tu, no vacci tu, la stanza è la tua eccetera. Alla fine, mosso a compassione e infastidito da tanto brusio in corridoio, il piccolo Demetrio ha preso da solo la strada di casa sua e solo dopo un accurato controllo, sempre armato fino ai denti di scope e cuscini, il Maturato ha potuto riappropriarsi del suo letto e il Figliolo Grande tornare a dormire. E la scrivente? La scrivente aveva già il suo piano: . domani, pulizia a fondissimo di tutte le stanze. Perchè certo niente castelli maledetti e nessun vampiro, ma a ragnatele, mi aiuti a dire, stiam messi bene. 

06 luglio, 2012

Girasole.



Nel campo in discesa alla fine della collina, quello davanti alla casa coi tanti cani tutti uguali, quello stesso campo dove d'inverno più di una volta ci si era scapicollati giù con il bob e i bambini, c'era una sterminata distesa di girasoli. Non saprei dire quanti, anche se non sarebbe così difficile contarli. Ordinati, perfetti, soldatini impettiti al cospetto del sole, i girasole hanno un'aria semplice eppure così nobile, rustica eppure così fiera, in fila per uno, fotocopiati, quasi, da quanto sono così uguali l'uno all'altro. Il Girasole era il primo della fila di destra, sembrava il più bello, forse perchè era il più a portata di mano, il più vicino, si poteva vedere anche una coccinella che banchettava sulla sua corolla, non so mai se le coccinelle siano infestanti o meno, se sia bello oppure no vederne una che si divora qualcosa, come il fiordaliso, che è così bello eppure nessuno ha mai pensato che fosse un'erbaccia da estirpare e debellare, tanto che adesso sfido chiunque a trovare nel grano un fiordaliso. (pensieri contorti).  Era l'ora del tramonto e il Girasole era un pò confuso, e così tutti i suoi amici girasoli, che non sapevano bene bene bene da che parte guardare, non come a mezzogiorno, il sole è lì, bella scoperta, ci giriamo tutti così e amen. Adesso no. Al tramonto, il Girasole mi risulta appannato, con le  idee non così chiare, e adesso, si diceva, Dove Diavolo Guardo? In più, nuvole minacciose si affacciavano da dietro l'altra collina. Manteneva però intatto il suo splendore, il suo essere giallissimo, quei suoi petali a lance definite, come un guerriero pronto a scagliarsi contro qualcuno, come uno scudo a difendersi dagli attacchi di chissà chi. Sono girasole anche io, mi giro dove c'è la luce e il bello e il sole, sia il pratino o la spiaggia più mozzafiato del mondo intero. Sono girasole perchè sto lì fino al tramonto a guardare lontano e al mattino presto sono già lì a guardare dalla stessa parte, cosa importa se non è la collina ma quello che si vede dalla finestra e che non sono nel campo in discesa ma nel mio letto, o su una sedia della cucina, o in queste sere calde sul terrazzo, ancora innamorato del sole del pomeriggio e perciò tiepido a camminarci sopra. Sono girasole perchè anche io ho petali appuntiti che sembrano lance e sono pronte a diventare carezze o schiaffi, sputi o baci, a seconda di come gira, di come va, di come mi sento e sono. Sono girasole perchè a volte quando piove chino la mia corona dorata e abbasso lo sguardo e sembra che tutto il resto non mi appartenga più e guardo solo la parte di terreno dove è piantato il mio stelo ruvido, perchè ruvide ho le foglie e non è che mi puoi cogliere così, c'è bisogno della forbice, nessun girasole mai si farà cogliere dal primo che passa.
Girasole, girasole, che bel nome che hai, che bel nome avete tutti, amici gialli del campo in discesa, tornerò a trovarvi col sole di mezzogiorno, sarete bellissimi e fieri di guardare avanti, tutti dalla stessa parte, tutti uguali e perfetti, lance morbidissime e graziose, un campo pieno di corone dorate, ordinate, di cose belle e di sorrisi, i girasoli non piangono mai.



02 luglio, 2012

Tutte le volte.

Le volte che ho scommesso. Le volte che ho perso e quelle che invece ho vinto, contro ogni previsione logica. Le volte che ho sbagliato e quelle che invece ho fatto bene, non molte in realtà, ma c'è chi dice che io sia troppo rigida con me e lo dico agli altri, di perdonarsi e invece non mi perdono mai e non sono mai soddisfatta e penso sempre che si possa fare meglio e che gli altri facciano meglio di me sempre e comunque, e questo dimostrare dimostrare dimostrare mi accompagna da sempre, non è che una si liberi a quasi cinquantanni, scritto tutto attaccato, fra un anno e mezzo avrò cinquantanni e non so se la cosa mi piaccia oppure no, forse no, che cosa brutta è avere degli anni e sentirsene una trentina, forse 35, non sono mica tanti alla fine. Le volte che mi sono sentita a disagio e le volte che posto migliore non poteva esserci per me. Le volte che ho avuto paura, oh ma quante, quante sono state. E le volte invece che ho fatto coraggio agli altri, coraggio, finirà, passerà, non è niente, non fa male, non è vero, non è buio, non è nessuno, era solo la finestra che sbatteva. Le volte che era presto e quelle invece che sono arrivata troppo tardi. Le occasioni che ho perso e quelle che ho inventato, che mi sono regalata, le volte che sono scappata e quelle che invece mi sono fatta trovare, seduta su una panchina, in una piazza, alla stazione. In un aeroporto, lato arrivi. Le volte che mi sono stupita e quelle che mi sono disperata, le volte che ho avuto fiducia e le volte che mi sono lasciata cadere sfatta su un letto più sfatto di me e lì sono rimasta per ore a guardare il soffitto e poi fuori e poi di nuovo il soffitto finchè non ho capito che non era quello il posto giusto per far cambiare le cose. Le volte che ho pianto silenziosa e quelle che invece mi sono squassata il cuore con i singhiozzi, quelli che vengono fuori a sorpresa che li senti ma non sai se sei davvero tu. e le volte, quante volte che ho riso così tanto da sembrare ubriaca e il cielo sa che non mi sono ubriacata mai mai nella vita, anche se i miei figli non ci credono. Le volte che mi verrebbe voglia di fare un pò la scema e poi mi dico, Sei Donna Fatta, Ma Smettila, ma a volte la faccio sul serio, ma come si fa a fare la scema sul serio, o sei scema o sei seria, ma che razza di problema. Le volte, tutte le volte che ho fatto una cosa e poi l'ho disfatta, e altre invece che sono andati avanti anche se sapevo benissimo che era sbagliata. Tutte queste volte, le mie volte e le volte di tutti gli altri, tutte le volte messe in fila fanno miliardi e miliardi di volte, e miliardi di cose e di situazioni che se messe tutti insieme, raccolte a mazzi e in pacchettini, fanno la vita di tutti, la mia, anche, e quando le mie volte si son intrecciate con le volte degli altri hanno fatto sfracelli o meraviglie, delizie o deliri, a seconda delle volte. E ci saranno altre mille volte in cui mi sentirò in un posto che migliore non ce n'è, o mi sentirò perfetta o inadeguata, e andrò a vedere se è davvero solo la finestra che sbatte, e vorrò restare e scappare, o vorrò farmi trovare da qualche parte, a una stazione o a un aeroporto, ma stavolta lato partenze.

27 giugno, 2012

Come Parigi.

Ho tutto. Tutto e il suo contrario. Forse, è meglio il tutto. Sono giorni di belle cose, di molte cose nuove e molte cose, invece, che sono sempre state lì e nemmeno me ne sono accorta. Che non sono cambiate. Sono giorni di una specie di vacanza, di gite fuori città in giorni feriali, che lusso davvero, di fughe innocentissime con le amiche della mia vita di prima, quella in un altro posto, in un altro mondo, una vita fa. Insieme, le amiche di ora, del posto di adesso, di figli e di cose di tutti i giorni. Che bello vederle insieme. La mia vita di prima fusa con la vita di adesso. Emozionante, ho avuto il magone tutto oggi a ripensarci, e chissà come mi hanno visto le mie amiche di adesso con le mie amiche di prima, se sono la stessa sempre, forse no, è solo l'accento che cambia, quando parlo con loro ho la cadenza diversa, ma loro quali, quelle di prima o quelle di adesso? Che bella la piazza le sere di giugno, che bella la fontana dei miei giorni più belli, della mia bicicletta rossa, del motorino, dei castighi più inverecondi, degli amori più grandi e tremendi perchè gli amori dei quindici anni mica ti passano mai, o forse sì, certo che sì, ma li tieni lì e non vorresti che passassero mai, davvero, e fai finta di averceli ancora, così ti sembri ancora la Laura di quindici anni, i capelli lunghi e tutti i pensieri di allora, averli ancora è un lusso cui non si può rinunciare, vorrebbe dire arrendersi e arrendersi al tempo che passa non si può. Che bello il mio paese che guardo come si guarda Parigi, che mi accorgo di aver amato così tanto e di amarlo ancora di un amore struggente e malinconico, e quanto amo le persone che si ricordano di me e che mi parlano della mia famiglia, di mio padre, nessuno lo fa, e parlare di lui mi fa pensare che forse non è mai andato via del tutto, non certo da me. Che bello il cielo del mio paese, i tigli del viale, la stazione ancora intatta dove ho preso mille treni verso la scuola, verso lontano, verso altri mondi. e che belle le mie amiche di lì, quelle che sono passate per vedermi anche solo un momentino, un momentino è un'unità di misura che sento solo lì, un momentino, che mi hanno chiamato da Milano, Ma Fino a Che Ora Resti? Mescolare le mie amiche di qui alle mie amiche di lì è stato un esperimento che mi ha deliziato, che mi fa commuovere e sentire bene, sanno di me tutta la mia vita e io la loro, così belle e vicine che alla fine, fra quelle di qui e quelle di lì non c'era più differenza, Il cuore differenze non ne fa.

22 giugno, 2012

So tired.

Stanca, sì. Tanto, troppo, non ricordo di essere stata più stanca in vita mia, è una frase che non dico mai, Sono Stanca, mai, ma in questi ultimi due giorni, immotivata ed improvvisa, una stanchezza diffusa e pesante è passata a trovarmi, di quelle che non ti danno la forza di fare un bel niente, e le cose che fai le trascini e sospiri e sbuffi e dicci Cheppalle, non mi piaccio stanca, non  mi sopporto stanca, mi dico che sarà il caldo, le mille cose, che è stato un inverno pesante e che adesso non c'è più, c'è il sole e i fiori e le cose belle, eppure tutto mi fa fatica. Forse, ad essere stanca non sono io ma la mia testa, il mio cervello, e anche l'anima, un pò, ma come diavolo può stancarsi un'anima, che cosa bizzarra, l'anima non si stanca, l'anima va avanti e corre e corre e non si ferma nemmeno se lo vuoi, così come il cuore, corrono insieme come agli argini, non ne vogliono sapere di fermarsi, nemmeno alla fontana, vanno avanti e nessuno riesce a star loro dietro. Sì, ho la testa stanca per i mille pensieri che l'hanno abitata nei mesi passati, che non è stata una passeggiata di salute, nemmeno un week end sulla costiera amalfitana, per dire, ma adesso è passato e allora che vuoi. Ho i pensieri che scivolano fuori, che scappano da tutte le parti, appiccicosi e piatti, come me. Sono un cumulo di contraddizioni e di fatica, sono di una noia mortale, sono una qualunque seduta su una panchina qualunque, che non sa se prendere l'autobus o rimanere lì seduta, le mani in grembo, lo sguardo vuoto, irriconoscibile e un pò scema, inconcludente e ferma, il niente totale. Mi passerà, non foss'altro per il sapiente mix di vitamine e intrugli e integratori e Supradyn e cose, dormirei sempre e la cosa mi spaventa, mi preoccupa e mi fa male, che cosa sono, che cosa ho, se fino a ieri l'altro stavo benissimo e ora sembra che mi abbiano rovesciato un pentolone di brodo bollente sulla testa, che mi abbiano schiacciato con lo schiacciasassi, passata nel mixer, frullata, ho mille cose da fare e la voglia di non farne nessuna, rimango qui, con la paura di sbagliare, con la paura di tutto, con la paura di me, donna qualunque e un pò scema, seduta su una panchina qualunque, a guardare passare gli autobus e a non prenderne nessuno. Per andare dove poi.

19 giugno, 2012

La terza volta.

Ne succedono di cose, in una casa come questa. Lo sa anche il tecnico del condizionatore, che stamattina ha osservato Beh, Qui C'è Da Divertirsi. In effetti, oggi in tarda mattinata questa casa assomigliava a un college, giovani e giovinastri saltavano fuori da ogni angolo, svegli, meno svegli, fanciulle, chi canticchiava, chi faceva colazione in terrazza, chi studiava. Studiava sì, con un tutor d'eccezione, dacchè domani, per il mio figliolo Liceale, è giorno di prima prova scritta della maturità. Avendo una discreta figliolanza, è la terza volta che succede, in questa casa. E non è neppure l'ultima.  Ebbene, non mi abituo. Non sto tranquilla, non sto bella scialla, non sto e basta. Ho un rapporto strano con gli studi dei miei figli, è affar loro, non  mi immischio, non mi esalto e non mi deprimo, anche quando dovrei: i risultati ginnasiali della Princi non sono stati così brillanti, anzi, proprio per niente, ma dopo urla e strepiti e castighi e fulmini e saette, considero la faccenda con una certa sufficienza, mi dispiace per la sua estate col dizionario sotto il braccio, chi è causa del suo mal eccetera. Intanto, domani, un esame di maturità. Stasera, un'altra notte prima degli esami. La terza. Io, nevrastenica. Lui, sciallo. Talmente sciallo che nemmeno è a casa. Non so se è vero o faccia finta, per come lo conosco, e lo conosco bene, domani avrà una paura fottuta, ma non lo darà a vedere nemmeno a se stesso, nemmeno ai compagni e la terrà per sè. Amo questo figlio di un amore grandissimo e bianco, lo amo perchè è di una bellezza rara, lo amo per la sua s che sibila e quei suoi occhi, uguali a quelli dei suoi fratelli ma diversi per intensità, nocciola, non scuri, non chiari, da perdersi. Lo amo per quella sua delicatezza, per quel suo essere leggero e dolcissimo, profondo nelle domande, da sempre, Quanto è Lontano il Sole? Tanto, Enrico. Allora Io Ti Voglio Bene Da Qui Al Sole. Domani, vorrei coprire la strada da qui al sole, ed essere sotto al suo foglio, farmi bigliettino, farmi idea, farmi soluzione di calcolo ed essere lì, sul suo banco, dentro la sua penna, e fargli scrivere tutte le cose più belle che so, le migliori, le più giuste, il più bel tema del mondo, tutto quello che ho. Vorrei essere dentro quella sua testa complicata, dentro quel cuore che ho fatto io, dentro i suoi pensieri confusi degli ultimi giorni, chi non lo è, prima di un esame. Vorrei essere lì. Forse, mi basta solo dirgli piano che sono fiera di lui e che so che farà bene e che questo giorno qui se lo ricorderà per sempre e che gli voglio un bene così grande che forse da qui al sole nemmeno basta. Certo che no.



13 giugno, 2012

Brigida.

Mi ci sono affezionata. Ci sono rimasta sotto. Mi sono scoperta un asso nel curare le orchidee, che non si chiamano proprio così ma Phaleaenopsis che è un nome così complicato e non mi piace, orchidee sono  orchidee rimangono. Mi ci sono affezionata perchè hanno dei colori che mi incantano, la mattina a colazione, e poi perchè mi hanno detto che fra loro si parlano e che è un peccato mortale averne soltanto un vaso, le orchidee han bisogno di compagnia. Non so se sia vero o no, ma mi piace. Loro, a differenza della Povera Calla, che non è più, mi danno un sacco di soddisfazione. E poi, quando credi che siano morte stecchite, dacchè è rimasto soltanto un rametto insignificante e tutti i fiori son cascati, niente paura, l'orchidea rinasce, eccome se rinasce, prima timida timida poi esplode in tutta la sua sensuale bellezza. Brigida ha fatto così, di un fucsia intenso con striature arancioni, fluo come si conviene nell'estate 2012, colori vitaminici per smalti e orchidee, che classe, signora. Brigida e Domitilla, le mie orchidee del davanzale,  sono la prova vivente che non si deve necessariamente essere finissimi floricoltori per averne una o due in casa in buonissima salute, so di amiche che ne hanno tonnellate, una distesa di Phale qualchecosa, un campo intero, un davanzale pienissimo, e io ne ho soltanto due, ma magari domani o dopodomani mi reco al vivaio, quanto mi piace andare al vivaio, tutti quei colori e quei nomi strani di piante, è bello, rende calmi non so come dire, rende un pò felici, c'è odore di acqua e di erba fresca, di terra e di gerani. Oggi è l'ultimo giorno di scuola, i miei due ultimi figlioli sono impegnatissimi  in feste e bagni al fiume e forse anche nella fontana davanti al liceo,  il sole fuori, i panni stesi, una musica sottile. Trovate un vivaio vicino a casa, fateci un giro pianissimo, senza fretta e scegliete con cura una Brigida, un geranio fluo, una piantina piccola piccola che vi sorrida ogni mattina dal ripiano della cucina. Le cose belle, qualche volta, sono così vicine che non ci si crede.


07 giugno, 2012

Se estate.

Incredibile come la città cambi faccia a un certo punto e si prepari a vivere l'estate. Mi piace. Questo periodo dell'anno appena prima della fine delle scuole ha sempre un grande effetto su di me, sarà il profumo del tiglio al quale sono fin troppo sensibile e che adoro, sarà che tutto cambia un pochino aspetto, un tavolo nuovo sul terrazzo, i fiori, il mare, grande assente fra le voglie di quest'anno, chissà, mi verrà, ma fino ad ora, nulla. Ho voglia di questa città, della mia casa, di queste colline con le sagre e tanti amici, mi piacerebbe andare al fiume, magari in bici, e un compleanno più che speciale, da festeggiare come si conviene, come ancora non so, ma che sarà una sorpresa, fatta a me, per giunta, l'Illustrissimo non ama le feste a sorpresa e io non sono capace a farle, mi sgàmano subito. Ho voglia delle corse agli argini, ho voglia dei saldi di luglio che non riesco mai a beccare, non tanto per comprare cose, quanto per dire, Si Va a Caccia di Saldi? comprare o no, non è quello il punto. Ho voglia dei prati intorno casa, della vigna quest'anno troppo deserta e un pò diversa, l'erba alta e tutte le ciliegie lasciate lì a far banchettare gli uccellini e i miei figlioli, forti di un invito che non arriverà mai più, ma che tacitamente si rispetta tutti, pensando a lei. E poi le amarene, io vado matta per le amarene che sono invise a molti, semi sconosciute, parenti poverissime delle più nobili cugine ciliegie, famose solo per essere nel Cornetto Algida, quello che non vuole nessuno e che a fine stagione ti regalano un pò tutti perchè quello al cioccolato è finito da un pezzo e non si faranno altri ordini prima di staccare il frigo grande.  Ho voglia della mia casa e delle cose che ho qui, ho voglia di certezze e di terraferma, ho voglia di vedere quei gerani parigini diventare foresta e le mie orchidee a fare tanti fiori, da controllare ogni mattina mentre si scalda il latte. Oggi, avrei comprato un barattolino di bolle di sapone, e mi sarei seduta su un panchina in centro a farne mille, a vedere che faccia avrebbe fatto la gente a vedermi lì, col pane e il latte nella busta a fiori, a far bolle di qua e di là, e a osservare dove andavano a finire, a vedere i bambini che li guardavano con sorpresa, nessuno più compra la bolle di sapone, chissà perchè. Se estate dev'essere, che sia. L'assetto estivo di un'anima semplice si vede da piccolissime cose. I vasi piantati di fresco, le candele alla citronella e un'irresistibile voglia di bolle di sapone. Da fare con mestiere, soffiando piano, per farne tante in una volta sola, constatare che non ce n'è mai nessuna uguale all'altra  e guardare meravigliata dove vanno a finire.
ph. Robert Doisneau

04 giugno, 2012

La Fantastica Storia del Lenzuolo con Gli Angoli.

Viene da dire, E Chi Non Ne ha Uno?
Certamente una grande, grandissima invenzione. Permette di rifare il letto in tre secondi netti, anche dopo la più bollente delle nottate, non tanto per esibizioni circensi di natura fisica quanto per l'alzarsi quelle tre cinque sei volte per controllare l'arrivo dei figlioli, far uscire il gatto, aprire a qualcuno che si è dimenticato le chiavi, far rientrare il gatto, c'è un rumore in cucina, il gatto ha deciso di uscire di nuovo. Il lenzuolo con gli angoli è una gran eblla comodità, su questo non c'è dubbio. L'aspetto più complicato di tutta questa faccenda è: stirarlo. Come si stira un lenzuolo con gli angoli? Son donna fatta e dovrei saperlo più che bene. Ma ho attraversato negli anni una serie di fasi, sperimentato diverse tecniche, iscritta a più di una scuola di pensiero. Ho iniziato stirando tutto con diligenza, prima il centro, e poi via via i bordi. Poi, coi figli piccolissimi, avevo qualcuno che stirava per me e la delizia era davvero massima, stirati alla perfezione tanto da non distinguerli da quelli piani, per intenderci. Nel corso degli altri ho elaborato altre tecniche miste, giungendo poi alla più pratica, cioè non stirali affatto. Ma si sa, un lenzuolo non stirato non è buona cosa, e occupa troppo spazio nell'armadio. Alla fine, dopo anni e anni di tentativi ed esperimenti di laboratorio ho messo a punto una tecnica personalissima. Li stiro come vengono. Nel senso che li stiro sì, li appiattisco sì e benissimo, data la quantità di lenzuola e di letti di cui sono dotati gli armadi della Casa in Collina c'è poco da scherzare, ma li stiro con fantasia. Dò loro infatti le forme più assurde. Addio bei lenzuoloni quadratissimi. Le mie lenzuola con gli angoli sono di almeno una dozzina di forme diverse, triangolari, ovoidali, perfino a forma di rombo. Qualcuno giura di averne intercettato uno a forma di parallelogramma isoscele con apotema e ipotenusa e pure raggio per raggio per tre e quattordici che ci sta sempre bene. Non ho nulla contro le lenzuola con gli angoli, solo, io stiro e stiro ma lascio che faccia un pò come vuole lui, non mi dànno certo per dargli una forma perfetta, chi stira sa che stirar bene le lenzuola con gli angoli è pratica impossibile, soprattutto per chi non faccia dello stirare il sogno della sua vita. Così, ogni volta che cambio le lenzuola, mi riservo l'effetto sorpresa: che cosa metterò quest'oggi sul letto del Figliolo X? MI accontento di un esagono o mi lancio in un   pentagono di quelli tosti? E questo qui a fiori, qui sotto, sarà triangolare o ellittico? Profumato e stiratissimo, il mio lenzuolo con gli angoli è perfetto nella sua imprecisione. Come molte cose, ho scoperto, nella mia vita. Cos'è più la virtù.

31 maggio, 2012

Il sole che non c'è.

Che sorpresa stamattina, non troppo bella in realtà, anche se a me questo cielo qui piace un sacco. Ok mi piace il sole a picco, quello buono per stenderti nel pratino o sedertici proprio in mezzo e dire Sto Qui Cinque Minuti, lucertola style, prendo tutto il caldo che si può. La luce non c'è, quella che di solito entra prepotente dalla finestra e fa disegni strani sul lavandino, qualche volta una manciata di arcobaleni piccolissimi, perchè la luce, mi hanno spiegato, riflette sulle gocce del lampadario della cucina, non è che a un certo punto l'arcobaleno abbia deciso di farsi un giro nella tua cucina, non è proprio così. Così, niente arcobaleno. A dire il vero il pratino è una foresta, è persino cresciuta un'erbaccia col fusto spesso, ma ha fatto un fiorellino rosa chiaro e allora l'ho lasciata lì, per vedere come andava a finire, ma erbaccia rimane e mi sa che oggi qualcuno di buona volontà passerà col tosaerba e la ranzerà ( do you know ranzare?), tanto il fiorino rosa era anche già sfiorito e alla fine non mi importa. Quello di cui m'importa sono le campanule bianche che si sono abbarbicate alla siepe e allora cercherò di stare attenta. Già. Ora mi sovviene. Ieri ho lanciato un SOS in casa mia. C'è Da Tagliare il Prato. Figliolo n. 1. Devo studiare. Figliolo n. 2. Io sto uscendo. Figliola n. 3 Io Vado in Biblioteca. FIgliolo n.4. Non Pervenuto. Uno e Trino. Lui di 'ste cose elettriche non tocca niente. E ben perciò, dato che qui, gira gira alla fine le cose qualcuno le deve pura fare, provo a farmi da sola l'indovinello di chi taglierà il prato. Indovinato. Starò attentissima alle campanule, taglierò l'erbaccia col fiorino rosa, andrò su e giù col tosaerba e quel suo rumore infernale, starò attentissimissima a non affettarmi un dito come l'Afef-Figliolo, e alla fine avrò un pratino da meraviglia, di quelli che ci potresti fare le buche per il golf, così liscio e verderrimo che sarà un piacere per gli occhi. La sorpresa di stamattina, a parte il sole che non c'è, è che mi tocca pure di tagliare il prato. Son cose.

25 maggio, 2012

L'invidia.

E' un sentimento cui sono poco avvezza, non mi entra in testa, non mi sta appiccicata addosso, non la capisco, non mi piace e non riesco a praticarla. Ieri, la sono stata invece. Invidiosa di un'invidia buona e solare, che forse non so nemmeno se si chiami così, dovrò cercare meglio sul dizionario. Ma l'ho invidiata, sì. Ho Invidiato quel suo essere agitata e presa già dalla settimana prima, a contare i giorni sul calendario, dire ai suoi fratelli, Ma Ci Pensi? Ho invidiato quel suo modo di arrivare a uno degli eventi che ricorderà per tanto tempo, certo per sempre, alternando la gioia all'ansia, il parlareparlareparlare a momenti di silenzio, persa chissà dove, per quali sentieri, per quali pensieri. A quindici anni è tutto così bello e intatto, così tutto una figata, così tutto che ci sta, ti aspetti sempre il meglio, sempre il bellissimo, sempre. Ha quindici anni, i capelli lunghi e tanti buchi alle orecchie e le mani candide, gli occhi così trasparenti che ti ci puoi specchiare, verdi di un verde dolce, di lago, forse, e di mare, il mare verde esiste. Così, l'ho invidiata. Ho invidiato il suo cantare a memoria le canzoni dell'iPod, le sue Superga distrutte, i suoi jeans un pò strappati, la sua emozione, che dava anche a me, che mi passava intatta, attraverso quegli abbracci e quegli sguardi complici, a dire, So Che Sai Che Cosa Provo, e questo è il regalo più bello che un figlio può farti. Abbiamo camminato, un pò in gita, a zonzo per una città che conosco come le mie tasche e che è stata la mia per un bel pò, e che amo, per quei suoi angoli così perfetti, i tavolini al sole, il profumo di certi bar, i giardini, i viali lunghissimi. L'ho accompagnata all'Olimpico, e sono stata in disparte, a vedere con me la se la cavavano, la sua amica e lei, fra migliaia di persone, per la primissima volta in mezzo al mondo. Ho lasciato che vivesse ogni momento, che si mescolasse alle persone, che prendesse confidenza con la folla e quel delirio di bandiere e quella fila interminabile e il caldo e la gente, i controlli all'ingresso e il chiosco dei panini e quell'odore di sagra che c'è sempre, o forse te lo immagini solo, quando c'è una festa. Ho invidiato la sua sicurezza e il suo smarrimento mescolati in parti uguali, e l'ho lasciata sul cancello, salutandola da lontano, TI Aspetterò Qui. Ti aspetto sì. Lascio che il tuo concerto che aspetti da mesi abbia su di te l'impatto che deve, voglio che tu veda tutto dall'inizio, non lo dimenticherai per tutta la vita, è così che succede, e ancora fra cento anni racconterai di questa volta, perciò, vivi tutto come devi, le bandiere e i bagarini, e canta, canta tutto e salta e balla, e piangi anche, perchè il cuore a un certo punto ti scoppierà sul serio e  quel boato all'inizio lo sentirai anche nella pancia e e quei fuochi d'artificio sembreranno caderti addosso in miliardi di briciole luminose e ti sembrerà che mai posto al mondo sia stato più bello di quella tribuna di stadio. Come faccio a saperlo? Lo so. Perchè trent'anni fa in questo prato c'ero anche io, e avevo le stesse Superga e gli stessi jeans un pò strappati, e i capelli lunghi come te e mille braccialetti e buchi alle orecchie,  e anche io cantavo e ballavo e saltavo e anche piangevo ed ero così felice e anche a me scoppiava il cuore proprio come a te. 
Sono tornata ad aspettarti, e ho cantato da fuori le canzoni che dentro stavi cantando anche tu.
Il mio cuore e il tuo, così vicini e complici, ognuno al suo posto, a cantare la stessa canzone. Forse no, nemmeno stavolta, l'invidia non c'entra.




21 maggio, 2012

Se non piovesse.

Pesante. Un fine settimana come non ce ne dovrebbero essere mai. Che se non piovesse, ti chiederesti perchè non lo stia facendo, così ho letto su Twitter. Ore tristi, segnate da una specie di peso, di malinconia impercettibile, non tanto perchè non si senta ma perchè non sai bene da che parte arrivi, certo che lo sai invece, dalla tv e dai giornali e dalle cose che senti e dai pensieri che non finisci, a metterti nelle situazioni degli altri, se fosse successo a me, a pensare e adesso, non importa tanto chi è stato, importa cosa ho fatto, chi si è portato via, la forza della natura e la malvagità degli uomini, gli uomini malvagi non è vero che esistono solo nelle favole, ci sono, ci sono eccome. Ci si raccoglie, ci si stringe alle cose e alle persone care, si chiamano i figli per sapere dove sono e quando tornano, come se fuori ci fosse pericolo, come se averli a casa ti facesse stare meglio, state qui che fuori piove, che fuori è buio, che fuori la terra trema e scuote, che è un sabato triste per tutti, che aveva solo sedici anni, che era una ragazzina come te. Ci si crea in questi casi un bunker di affetto e di vicinanza, si sta tutti insieme in cucina, e se qualcuno è sparso lo si va a vedere spesso, studi? una fetta di torta, vuoi un caffè? e  loro ti guardano e sorridono, Tranquilla Mà, sanno come sei, sanno cosa pensi, e il loro sorriso dice che sì, lo sanno eccome e che ci hanno pensato anche loro e che domani a scuola ne parleranno tanto e che, e che. Fuori piove e piove, il vento dei giorni scorsi ha frantumato il vaso della lavanda e i cocci sono ancora lì, sparsi nel pratino inzuppato. E' la malinconia a farti circondare di cose, a mettere le candele nei vasi vuoti della marmellata, i tuoi gomitoli, niente tv se non un film vecchissimo di quelli restaurati, chiacchiere sottili sul divano di casa. Ci si tiene stretti, agli altri e alle cose, si cercano risposte che non arriveranno mai, è domenica ma sembra un giorno senza nome, di quelli che non vorresti sul calendario, in un mondo arido e cattivo sembra così strano pensare che le lacrime di chi non ha più una casa potrebbero essere le tue, e quel padre distrutto col maglione blù mi verrebbe da abbracciarlo fortissimo ma non saprei che cosa dire, nè cosa fare, e a lui và il mio rispetto e il mio stupido pensiero, in una domenica terribile per tutti, dove tutti si sentono così incerti e in pericolo, una domenica che a casa tutti bene, certo, ma che se non piovesse, ti chiederesti perchè non lo stia facendo.

18 maggio, 2012

L'astronave.

Partirei. Così, senza biglietto, senza check-in, forse solo un bagaglio piccolo, una piccolissima borsa, quella con i cupcakes disegnati che mi ha cucito Miranda, uguale a quella di Cristiana. Ci metterei dentro una maglietta e una felpa, nello spazio farà freddo, lo spazzolino, un libro, già ma quale, il mio profumo, una mela. Partirei, un'astronave mi aspetta giù, in fondo alla discesa, vicino alle benne della plastica e del vetro. E' parcheggiata lì, ha una spia luminosa che gira, proprio in cima, illumina a tratti la strada, a tratti i campi da tennis, a tratti quell'aiuola che mi si stringe il cuore ogni volta e che trovo assurda e inutile e così insignificante, per il suo significato così terribile e per quel dolore ancora così presente, negli occhi di mio figlio grande, quando se ne parla, passa veloce come un'ombra in quegli occhi di sottobosco e io che sono sua madre lo so e lo sento che è così . L'astronave mi aspetta, non ho tempo di scrivere ancora, certo non starò via molto, ma avrei proprio voglia di guardare tutte le cose dall'alto, volare via, alzarmi piano e vedere la terra che si allontana, diventare tutto un puntino laggiù. Andrei lontano, lontano dall'IMU e dallo spread, dalla cucina in disordine, con la processione delle formiche che va a finire dove non so , ma chi telefona alle formiche per dire che proprio lì c'è il barattolo dello zucchero. Andrei lontano, chissà come si vede da lontano la Casa in Collina, con i fiorellini ai davanzali e quella distesa di rose profumatissime, ne ho già colte un sacco e disseminate un pò dovunque, perfino in bagno, sui libri, sulla scrivania dell'Illustrissimo, nelle camere dei ragazzi. Andrei lontano, guarderei dall'oblò, lo so bene che le astronavi non ce li hanno i finestrini, si guarda giù facendosi scudo con le mani, dagli oblò non si guarda fuori come dalle finestre, è tutt'altra cosa. Si vedrebbe anche il mucchio delle scarpe smesse, della Princi e mie, in questi giorni è di moda rifare gli armadi, che è una pratica che mi intristisce, comincio di gran lena e poi mi intristisco via via, e mi viene male a pensare che dopo, tutto quello che tiri fuori va rimesso dentro o perlomeno, gli và data un'altra destinazione, ma io mi separo a fatica dalle scarpe, e farei come faceva Caterina, che ho conosciuto bambina e ritrovo donna fatta, che  fotografava le sue scarpine, prima di buttarle via o regalarle.  La mia astronave parte fra pochissimo, dicono che pioverà, vedrò i lampi e i tuoni sul mio giardino e anche sul mare, che non è mica così lontano da qui. E' un'astronave speciale, faremo un giro su una stella, quella più vicina, voglio vedere se c'è davvero la polvere luminosa, ho con me un barattolo, ne porto via un pochino e torno presto, giusto in tempo per cena, ho voglia di volare e guardare tutto da un'altra prospettiva, da un'altra situazione da un altro mondo che invento lì per lì, dicono che pioverà ma da che mondo è mondo, alle astronavi, che piova o no non gliene importa nulla.

13 maggio, 2012

Il vento della domenica.

Una vera e propria tempesta, un vento così forte come non si vede spesso qui sulle colline, al massimo un pò di brezza profumata, niente di più. La domenica più ventosa del mondo, accade oggi, lassù nella casa in collina, dove una raffica ha fatto rotolare il vaso dove era appena stata piantata la lavanda, disintegrandolo. Un vento che è entrato di nascosto ma nemmeno tanto da una finestra lasciata socchiusa nella camera di uno dei ragazzi, portando con sé rametti e foglie, batuffoli di pioppi che vagano da giorni, perfino petali di rose. Un vento che sibila da sotto la porta, sembra sempre ci sia qualcuno che voglia entrare, è tutto un carezzare la porta d'ingresso, toccarla appena, ti vien da guardare e dire chi è. Non risponderà nessuno. Il vento non risponde mai. Puoi chiedergli qualsiasi costa, il vento ascolta è basta e parla parla parla, ti racconta da dove viene e da dove va, ma non ha nessuna risposta per te, nessuna certezza, nessun sentimento. Puoi provare a sedurlo, puoi sederti davanti alla finestra, indovinarne le traiettorie invisibili,  la strada che fa, abbracciando il pino, scuotendo il ciliegio passando dall'acero e poi tornando indietro a spettinare l'erba, prima di qua e poi di là, ma le sue strade non si capiscono mai, non si comprendono mai fino in fondo e quando ti sembra di averlo in pugno ecco qui, si calma un secondo, non sibila più, non canta, non tocca la porta, sussurra e basta. Ti Ho Preso, puoi pensare, ma non dura molto. Un secondo dopo eccolo di nuovo, a tormentare l'aiuola, a fare danze impossibili sulla siepe che si arrende, a far finta di nulla piegando le ortensie, sottomesse. Ancora non so dire se il vento mi piace oppure no, forse mi piace quello che lascia dopo, la pace, il silenzio e anche i rami spezzati, vuol dire che è tutto finito, tutto passato, e forse quando è andato via un pò mi manca, peccato, mi piacevano i suoi giochetti in giardino, avevo tante cose da chiedergli, ma tanto, lo sanno tutti, il vento non risponde mai.

07 maggio, 2012

La Primavera Non Si Tocca.

Questo mi ha detto poco fa, il mio figliolo mediano, quello che dovrebbe avere l'esame di maturità, quello spettinato, quello magrerrimo, quello bellissimo. E' vero, la primavera non si tocca, alla fine arriva, nonostante tutto. Arriva coi suoi profumi, coi colori nelle vetrine, i sandali, i vestitini di voile, e arriva anche nella testa, nel modo di pensare, di porsi, di prendere le cose da un certo lato, i sentire. E' una giornata magnifica da queste parti e lassù, nella Casa in Collina, si è già avuto modo di riempire ben 3 volte l'Abiurato Stendino, perchè, come ho già detto, se stendi di fuori ormai il più è fatto. E' incredibile come il sole, la luce, il profumo dei fiori condizioni la vita di ciascuno. Tutto ci sembra già essere un pò più facile, un pò meno pesante, qualsiasi cosa sia. Basta pochissimo, le prime rose che sono già sbocciate nell'aiuola, le foglioline verdissime, sono già state colte e sistemate nel Riciclato Vaso della marmellata, ingentilito da un nastrino di raso color crema. Il silenzio di questa casa è una medicina per animi acciaccati, per ansie immotivate, adatto a lenire tristezze che vengono da lontano, pensieri al nero di seppia, pesi sul cuore che fanno male e via così. Si è sistemato tutto per benissimo, comprato una scatola colorata per i gomitoli da tenere accanto al divano, persino un piccolo regalo per un'Amica, non dirò quale, sarà una sorpresa nella sorpresa, un pensiero piccolissimo di poco valore, ma non per questo meno prezioso. Ci sono giorni che sono lenti che fanno fatica a passare ed è questa la loro bellezza chiara: ci si sente un pò miracolati, salvi da un naufragio, magari fra poche ore si sarà nel  mezzo di una tempesta, ma che importa, in fondo, qui e adesso sono le parole che vogliono cucirmi addosso, senza pensarci troppo sù. Stasera per cena l'insalatina fresca del contadino, la finestra che dà sul giardino socchiusa, spiando la luna per essere la prima a vederla quando appare, le rose sul tavolo, la tovaglia profumata, asciugata di fuori, ma guarda, è già ora di tagliare il prato. L Primavera Non Si Tocca. E già.

02 maggio, 2012

Il Cielo al Mirtillo.

Si sente il bisogno, ogni tanto, di nascondersi un pochino. Di concentrarsi un pò sulle cose vere, sulle persone, sulle sensazioni, su sè stessi. Si pensa che aver sempre tutto sotto controllo ci renda perfetti e potenti e invece qualche volta bisogna lasciare andare un pò le cose come devono andare, sbattiti di qui e di là, tanto poi le cose fanno sempre come vogliono loro, in un certo senso, e il tuo sbatterti non sarà servito a un bel niente. Son stati giorni di vacanze lente lassù, nella Casa in Collina. Non si è andato da nessuna parte, se partire si intende prende un volo, una macchina, una barca e via. Ci si è coccolati un pò con le persone care, tutte tutte, si è trascorso del tempo insieme a chi ci piaceva, a chi ci piace di più in assoluto, si sono fatte piccole, piccolissime gite, un giro di shopping, tante chiacchiere con le Amiche, si è perfino sfidato il diluvio per andare a vedere da vicino come si fa a tingere la lana con i colori naturali, e colà si è incontrato, anche se  per pochissimo, gente che ci piace. Mi sono nascosta dai giorni pesanti dei mesi scorsi, mi sono nascosta bene, non so se riusciranno a trovarmi. Ho imparato delle cose, ho pranzato sola con i miei figli maschi e mi sono sentita come al Pub Britannia 25 anni fa, ho provato trucchi con mia figlia e mi sono resa conto di quanto sia uguale a me, non soltanto per gli occhi, che peraltro ha verdi e non castagna, ma insomma. Ho avuto giorni di una serenità pacata, morbida, senza scosse, di seta. Ho scoperto che a riguardare Insonnia D'Amore per la centesima volta ti vien voglia di ritornare a New York. Ho definitivamente conclamato il mio amore per Baricco. Il cielo di oggi è un gelato al mirtillo, un pò viola, un pò bianco, variegato, non piove ma sta per. Se guardo bene, laggiù in fondo, lontano, c'è un sorriso azzurro, uno squarcio nel cielo di un turchese che ci vorrebbe uno smalto, così. Mi sono nascosta bene, i pensieri pesanti non mi troveranno e se lo faranno,  mi concentrerò su quell'azzurro, lontano, ma nemmeno poi tanto, e li spazzerò via.

23 aprile, 2012

Non proprio lunedì.

E' un lunedì leggero. Ci si dice, va bene, iniziamo, ma un pò per finta, tanto fra due giorni è di nuovo vacanza e allora non mi freghi, sii pure lunedì se vuoi, che m'importa, dopodomani è ancora domenica, o quasi. E vuol dire, eccome se vuol dire. I ritmi di questa casa sono molto scandite dalle feste, comandate e non, soprattutto per l'andirivieni  di figlioli, di porte chiuse che significano Dormo, e non spalancate su un letto disfatto, su libri affastellati scelti di fretta, di corse per le scale con la felpa a metà, profumo di dentifricio e musi lunghi. Noi qui si vive coi ritmi della scuola, non è mistero. Due giorni e poi ancora vacanza. La casa è già un pò in assetto di festa, a parte l'asse da stiro trasportata in cucina, con grande orrore dell'Illustrissimo, che non ne vuol sapere di stendini, assi da stiro, aspirapolveri lasciate lì un attimo, e, chissà perchè, fili tirati in giardino, di quelli da cui far sventolare le lenzuola, che asciugano in un attimo ma che Lo (maiuscolo) innervosiscono come la parola Fax. Diciamo che non ama il disordine, e in una casa come questa, che il Cielo mi ascolti, è una bella affermazione. Comunque, si va ad iniziare una settimana corta, il tempo è incerto ma nemmeno così brutto, c'è già profumo di fiori e di bello, c'è una brezza leggera che scuote il ciliegio e rinnova lo spettacolo dei petali rosa che cadono sul pratino. Niente o quasi in programma, se non riordinare per bene, ieri sera nemmeno si è sparecchiato come càpita spesso la domenica sera, si ha avuto notizia che il Figlio Ing. riederà alla casa paterna nei prossimi giorni e allora sì che sarà davvero festa grande, noi qui che siamo avanti (!) twittiamo e twittiamo e giusto ieri sera ci siamo detti che sì, è proprio ora di tornare a casa per un pò. Forse pioverà, ho tante cose da fare che non so da quale cominciare, c'è Afef che mi aspetta per un giretto al mercato, prima però darò un senso a questa casa eventuale, ecco, Casa Eventuale mi piace, ci sono ancora le briciole della colazione, accanto al bicchiere di ieri sera, una cosa per volta e con grande calma e sentimento, buon lunedì leggero al mondo intero, a chi passa di qui per sorridere, per una bella abitudine,  per fare un giro nella Casa in Collina,  scommetto che nessuno ha l'asse da stiro in cucina, mi sa che vado a toglierla.

18 aprile, 2012

L'arcobaleno.




No che non era una bella mattina. E l'avevo anche detto, lo avevo scritto qui, come faccio sempre, quando voglio tirare fuori le cose che sento per poi scoprire che sembrano solo le mie, ma che sono di millemila altre persone, a giudicare da quello che mi scrivono. Non era una bella mattina no. 

Poi.

Qualcuno mi ha trovato. Qualcuno che in questi anni avevo cercato tanto, ma della quale avevo perso le tracce.
E' successo tanto tempo fa, credo fosse marzo, 1994. Mi era presa secca col punto croce, avevo ricamato la qualsiasi ai miei allora due allora bambini. Tazze per l'asilo, righelli, perfino il nome sul grembiulino. E lenzuolini, quadretti di Peter Coniglio per la loro camera, perfino La Mamma è Sempre La Mamma, così, per darmi un tono. Avevo imparato da sola ma volevo imparare bene, volevo fare meglio,avevo sentito parlare di lei, era a Varese, mica sulla luna. Così, sono andata a trovarla.
Un negozio dove ti ci perderesti, dove fili, tele strane, cose bellissime ti tengono come in balia, vorresti tutto, il doppio di tutto, è successo con la lana, così  successe per il ricamo.

E' stato un incontro di quelli che si ricordano per sempre, non capita spesso di trovare persone con le quali hai subito un certo tipo di affinità, alle quali racconti tutto quello che sai, non so come dire.
Mi ha insegnato il rovescio perfetto in un'ora scarsa.
Abbiamo chiacchierato per ore.
Mi sarei sposata il giugno successivo, sono uscita dal suo negozio convinta che sarei riuscita a ricamarmi i tempo il vestito, o un grembiule dei suoi, di quelli che inventava lei. Lo conservo ancora, nero, a quadretti, con un imparaticcio ricamato sul davanti.

Ci siamo viste ancora qualche volta. Le persone con le quali hai da subito uno scambio di idee vicine, una vicinanza di pensiero e di sentire, non si dimenticano tanto facilmente. Lo so. Lo so perchè in tante, in questi ultimi giorni, me lo sono venute a dire, lo hanno provato al Camp, ed è stata un'esperienza da raccontare.

Ho insegnato la sua tecnica almeno a una cinquantina di persone, da allora.
Ricamato una serie di cose da riempirci una casa.


Oggi, mi ha trovato.

E sono felice e onoratissima di dire che oggi ho parlato proprio con lei, Rosanna Pagliarini, l'autrice di quel libro introvabile, quella dei grembiuli, quella degli schemi con le papere che andavano così tanto all'epoca, quella che mi ha fatto adorare gli Amish e la loro storia, ecco proprio lei.
E mi batteva il cuore così forte, che nemmeno se mi avesse ritrovata un vecchio fidanzato sarei stata così emozionata e felice, anzi di sicuro.
E che bello quando senti che c'è chi si ricorda di te, che bel regalo, che grande cosa è sapere che qualcosa negli altri, hai lasciato, alla fine.


Ci vedremo presto, ci siamo promesse un pranzo ai primi di maggio, abbiamo già un progetto, detto al volo, così, dentro al telefono, con la stessa energia di sempre.
Sono contenta di avere, adesso sul telefono, sotto la R tra Roberta e la Villani, proprio lei, Rosanna Pagliarini.



Stamattina ho odiato la mattina che era.
Verso sera, dalla mia finestra, brillava un arcobaleno.

Suonano le sette.

Si sentivano le campane stamattina presto, non so bene da quale campanile, qui siamo un pò circondati, ce ne sono almeno tre e poi le campane si sentono da così lontano, non saprei dire. E' un giorno liquido se guardi fuori, promette tanta di quell'acqua come se non fosse piovuto mai, come se tutti non si aspettasse nient'altro dal cielo. Invece proprio no. Si fa fatica. Fatica a fare qualsiasi cosa che non sia stare lì belli e imbalsamati a guardare fuori, a leggere i giornali, a guardare nel vuoto ripassando a mente le cose da fare, dimenticandosi volutamente quelle che ci piacciono di meno, quelle che metti sempre all'ultimo, come quando stiri, che cacci in fondo e cacci in fondo e poi alla fine la dannata camicia, quella che non si stira nemmeno si ci piangi sopra, quella di lino, alla fine arriva anche lei. La mattina di oggi fa fatica a partire, come me, è ombrosa e malinconica come me, è noiosa e angosciante. Come me.  Che vorrei essere diversa e più forte, che non mi piace quando tornando a casa dal giro dei ragazzi a a scuola mi viene il magone a guardare le nuvole bianche laggiù in fondo dopo le colline più lontane, e non so se sarebbe meglio per me silenzio o confusione, se tapparmi le orecchie con la musica più forte e cantarci pur sopra, o se giocare al gioco del silenzio, e stare attenta a non muovere nemmeno un muscolo, nemmeno a respirare, nemmeno a girare gli occhi, immobile, così. La mattina di oggi è una di quelle mattine che mi fanno paura, e anche schifo, perchè so che questo peso non se ne andrà tanto facilmente e che gli occhi pizzicano, pesanti e svogliati, e sembrano biglie di vetro, le stesse che hanno i ragazzi nel bagno blù, un vaso pieno, che a metterci le mani dentro è bello, quella volta che qualcuno le ha rovesciate un pò meno. La mattina di oggi non mi è simpatica, cercherò di ingraziarmela in qualche modo ma io non sono brava a fingere, lo sanno bene le mie Amiche che mi dicono Cos'hai quando ancora stanno entrando dalla porta e nemmeno mi hanno guardato in faccia, a loro basta vedere come sto seduta, o come cammino, o come dico loro Ciao, chissà come fanno, e forse hanno un segreto che non so, e che mi farò dire un giorno o l'altro e adesso mi sa che metterò la musica a mille e la sfiderò questa mattina che non mi piace, e cercherò e farò e disferò, alle mattine così non è che gliela si debba dare vinta, alle mattine come questa si deve fare un marameo, avendone il coraggio, non si deve dare loro troppo peso, tanto, prima o poi, anche le mattine più stronze del mondo, alla fine, finiscono anche loro.

15 aprile, 2012

Glicine bianco.


Quasi ci dimentica che esista, il glicine bianco. Si è troppo abituati a quel suo parente, quello lilla, quello che cresceva e cresceva davanti allo zuccherificio e che poi qualche scellerato ha tirato via, inutilmente. La strada non l'han fatta e lo zuccherificio è ancora lì che cade a pezzi. Il glicine bianco è per me la purezza, più di ogni altra cosa al mondo. Ne ho visto una siepe, nel tardo pomeriggio di oggi, tornando a casa. Tre macchine in fila, a portare a casa scatoloni e gomitoli avanzati, una quantità di corredini da far girare la testa e molto altro. Sono stati due giorni di grande bellezza. Non saprei come altro definirli. Quando metti insieme un'ottantina di donne in un posto sulla collina, dove nemmeno si può uscire perchè piove a scrosci che ti tengono sveglia, quando arrivano da ogni parte d'Italia, quando qualcuna si conosce da una vita e qualcuna invece si vede per la prima volta, assisti a scene che non sapresti raccontare. Ho visto occhi. A squadrarmi e studiarmi, ma come, Mi Avevano Detto Che Eri Così e Lo Sei Davvero. Così come. Occhi a voler capire, occhi felici e umidi, occhi sorpresi, occhi commossi, occhi a brillare di una luce che solo chi c'era può capire. E ho visto mani. Mani a fare e disfare, mani a inventare cose, mani ad insegnare, mani ad eseguire. E ho visto anime. Semplici. Bellissime. E ho visto abbracci, abbracci Che Nemmeno Un Parente, come ha detto Anna. E colori, tanti colori. E sentimenti, diversissimi, come spruzzati nel salone mentre scorrevano le immagini della nostra storia. Ho visto sorrisi così grandi da illuminare la pioggia, sentito risate come in gita scolastica e chiacchiere e racconti e quanta bellezza, quanta armonia, quanta incomparabile generosità, quella del cuore, la più difficile da mettere in pratica. Mi sono sentita così felice e meravigliata e così ripagata e sostenuta da farmi temere che non potesse essere tutto proprio vero. Glicine bianco son le cose del mondo da assaporare piano, che passano in fretta e ti lasciano cose di cui parlerai per mesi, glicine bianco sono le cose rare, le cose belle e profumate che durano poco, abbarbicate a muri scrostati di case abbandonate lungo la strada che scende dalla collina, in una domenica che è piovuto tutto quello che poteva piovere. Glicine bianco sono grappoli di emozioni purissime, l'insieme di tutto quello che ciascuno ha dato a questi due giorni, le cose ciascuno ha dato a me, che è tanto, è molto di più. Per ringraziare come si conviene, avrei strappato cento grappoli da quel pergolato selvatico che ricadeva su un tetto sfondato. Ma il glicine bianco non si fa cogliere da nessuno, rimane lì, intatto e meraviglioso a farsi guardare, a farsi ammirare da lontano, a dire, Son Raro e Prezioso, fiorisco ad aprile e nemmeno la pioggia sfiorisce i miei fiori. A chi come me, stasera, ha nel cuore la purezza, il profumo, la bellezza del glicine bianco.

10 aprile, 2012

Le sere che piove.

Non saprei dire se la pioggia mi piace oppure no, ci sono volte che sì e altre invece che la detesto. Così come detesto gli ombrelli, che perdo, lascio in giro, compro all'ultimo momento per non infradiciarmi e poi lascio lì, nell'armadio dell'ingresso, senza nemmeno ricordarmi di che colore sono.Le sere che piove sono sere un pò speciali, se proprio deve piovere, che almeno lo faccia di sera, che così nessuno va da  nessuna parte e si sta tutti qui, a fare delle cose diverse ma almeno tutti qui. Sono giorni frenetici questi qua, lo è stato oggi, si è lavorato sodo per l'evento dell'anno, esagerata, ma un evento lo è sul serio, siamo così tante che mi manca il respiro se ci penso, e mi fa sentire bene e preoccupata, serena ma agitata, tranquilla ma in ansia, non so come dire. Oggi eravamo tutte lì, a impacchettare, dividere, stampare, preparare, decidere, fare. Gli ultimi dettagli di un evento sono sempre i più belli, è un pò come decorare una torta, nessuno pensa pùi allo sbatti che hai avuto a comprare la farina e le uova, adesso devi solo decidere di che colore fare la glassa. Diciamo che è la parte più divertente. Le sere che piove ti fanno pensare alla strada lucida, ai lampioni che la riflettono e la fanno brillare, che belli i lampioni della salita quando piove forte, non sai se piove acqua o piove luce o tutt'e due. Che bello quando piove di sera, è come se lavasse via tutto quello che è stato durante il giorno, come a dire, Ok, Pulisco Tutto Per Bene e Domani Andrà Meglio, sarà tutto più lucido e perfetto, lavo via le delusioni e le cattiverie, anche i magoni che ti prendono all'improvviso, anche gli scatti di stizza, anche lo sconforto che ti prende quando scopri che per la terza volta hai dimenticato stese le lenzuola, ma noooo, di nuovo. La pioggia lava tutto, domani dicono pioverà ancora, ma i pensieri pesanti sono di domani, e proprio per questo non si pensano ora, si lasciano lì, in un angolo, magari domani, ora di pensarli, saranno un pò meno pesanti e un pò più bellini, domani è domani, mica stasera, magari una bella sorpresa, un coniglio dal cilindro, dici di no? io ci provo, e che mi costa, può succedere di tutto, nelle sere che piove.

05 aprile, 2012

La Leggenda del Lillà In Fondo Al Giardino.

Era stato un rigido inverno. Uno dei più freddi degli ultimi cinquant'anni, o almeno, così dicevano tutti. Nulla veniva risparmiato dalla morsa del gelo, come si era preso a chiamarla sui giornali e alla tv. Nessun giardino l'avrebbe avuta vinta, ma per vederne i risultati devastanti si sarebbe dovuto attendere la primavera. E infatti, sciolta la neve, passato il freddo, ecco tutti a contare le prime vittime. La siepe, il fiero alloro, il gelsomino erano soltanto un insieme di rametti secchi e tristi. A nulla serviva l'intervento amorevole di un giardiniere professionista, uno che sa esattamente dove tagliare, quando e se. Il verdetto era sempre lo stesso, dopo un accurato esame, spesso in ginocchio accanto alle piante a scrutarne le radici, a guardarne da vicino le foglie secche, si rialzava scuotendo la testa. Nemmeno questo aveva superato le temperature spietate dell'inverno. Vi era in fondo al pratino un alberello di lillà. Era stato un regalo, di quelli che ti colgono impreparata e che ti lasciano sorpresa e felice, Che Bello, Per Me? perchè in fondo è un privilegio essere felici di un regalo inaspettato, è un lusso semplice, una bella cosa. Il Lillà Aveva trovato posto in fondo al pratino, vicino alla siepe della salvia, in un angolo ben studiato, così da vederlo anche da casa, una volta esploso nella sua incomparabile nuvola viola. Ogni anno fioriva e fioriva. Ma stavolta non si avevano molte speranze, riguardo la sua salvezza, e si temeva il peggio anche per lui. Lo si era visto curvo sotto un cumulo di neve, intirizzito, gelato e fermo, i sui rami scarni verso il cielo. Poi, accadde. In un giro di ricognizione, ecco dai rami secchissimi spuntare minuscole gemme, foglioline appena accennate. E qualche giorno più tardi, già i primi grappoli, ancora chiusi, ma che già promettevano quel bel colore pulito, quei fiorini quadrati e perfetti, e quel profumo di buono. Rami che di lì a poco avrebbero formato quella nuvola colorata tanto attesa, da guardare da casa, rami da cogliere e da mettere sul tavolo, la domenica, nel vaso riciclato della marmellata, nei vecchi bicchieri spaiati.
Il lillà aveva vinto sul gelo e sulla neve.

Sono nata lillà, non gelsomino.

02 aprile, 2012

Vento da dove.





Dicono ci sia stato un ventaccio, ieri, da queste parti. Non posso saperlo, io non ero da queste parti ieri, perciò      non lo so.  Quello che so è che c'è stato sul serio, a giudicare dal delirio che ha lasciato sul pratino già in disordine di suo, non avendo ancora subìto alcun intervento di rassetto primaverile. Il vento di ieri ha staccato la casetta degli uccellini, e con essa il marchingegno da me amorevolmente brevettato per sfamarli, il loro bar, diciamo. Ha capovolto lo stendino e tutto quello che c'era sopra, anche se lo stendino di casa mia è sistemato in posizione strategica, che lo nasconde agli occhi del mio Sposo che non ne sopporta la vista. Non ci si chieda il motivo, Egli è fatto così. E' stato un vento della malora, di quelli improvvisi che spazzano via le cose che magari sono lì da un sacco di tempo. Succede, qualche volta Che arrivi una folata dopo l'altra, raffiche a mille all'ora e ti portino via delle cose, non soltanto le magliette stese, non soltanto il cibo degli uccellini. Ci si fa l'abitudine. Si commenta con un'alzata di spalle, dopo aver incassato il colpo, di dice Pazienza, non già con rassegnazione, ma con lo sguardo già al di là, lontano, già oltre. A guardarlo bene il giardino stamattina non è molto diverso dalle altre mattine, anzi, è proprio identico. Il ciliegio è sempre lì, la siepe anche, e anche le sedie strane, colorate, quelle col buco che il gatto ci scivola dentro, sono lì. Soffia pure, vento malvagio, vento arido che scuoti le vite di tutti, non sei quello profumato di schiuma e di mirto, sei un vento insipido che arriva chissà da dove e nemmeno ci tengo a saperlo. Soffia e porta via tutte le cose, spostale, capovolgile, fanne quel che vuoi. Non ruberai il ciliegio, al massimo gli farai cadere i petali, invidioso come sei di tanta bellezza  delicata.  Non  ruberai  la siepe, il lillà che sta fiorendo, anzi, scuotendolo ne farai uscire tutto il profumo e sarà peggio per te. Soffia, saccheggia, sfianca me e il mio giardino, non m'importa se dovrò lavare un'altra volta le lenzuola cadute sul prato. Ma guai a te se tocchi il resto. 

30 marzo, 2012

Il violino del Corso.

C'è un omino che suona, ogni mattina, sul Corso. Sempre lì, tra la banca e la farmacia. Non so da dove venga, credo sia slavo, non saprei. La gente del Corso va di fretta, quasi nessuno si ferma a guardare, men che meno a buttare qualche moneta nella custodia sdrucita, foderata di un velluto che un tempo doveva essere rosso e che adesso è lisa e consunta. Il violinista del Corso ha una giacca lucida sui gomiti e una cintura che tiene sù dei pantaloni di due taglie più grandi, forse. Suona. Niente è più struggente delle note del violino, sono graffi melodiosi, suonassero anche la musica più allegra del mondo c'è sempre un pò di malinconia, alla fine, hanno un retrogusto amaro come certe caramelle, come di nocciole acerbe, come di nostalgia, come di infinita tristezza mai cancellata, non so. Ieri mattina ho sentito le note del violino già da lontano, perchè sono così acute che ti entrano nelle orecchie anche se l'omino ancora non lo vedi, anche se sei ancora lontana, anche se pensi ad altro, e le note ti squassano e fanno ballare i tuoi pensieri, non già di gioia, ma li scuotono e li buttano in aria e li fanno spiaccicare sul pavimento, senza riprenderli, non sei un bravo giocoliere, ti hanno insegnato qualche volta, con le arance, ma mai una volta che ne prendessi una, così i pensieri girano e girano e poi sbattono per terra, e quando pensi di farcela, quando pensi di aver trovato il giusto ritmo, niente, non fai le cose per bene, la gravità, la distrazione, e le arance voilà, ti scappano di mano e rotolano sotto il tavolo e devi ricominciare da capo. Non amo i violini, una volta ho visto un matrimonio di due che neppure conoscevo, ero in vacanza e passavo di lì, c'era un violinista in frac che suonava sul sagrato, fra le gardenie e i paggetti, di quei matrimoni da tv, e io piangevo, se c'è da piangere non mi tiro indietro, ma di certo era il violino. La prossima volta che passerò dal Corso lo dirò al violinista slavo, gli dirò che la smetta con quelle sue note, che mi rotolano nella testa e mi spaccano il cuore, che mi pesano dentro alle tasche come i sassi del fiume, che mi fan bruciare gli occhi e l'anima, ma forse la sua malinconia è molto più grande della mia e allora me la racconti, a consolarmi, ad alleggerirmi, lascerò una monetina nella sua custodia rovinata.

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...