E no che non è un errore di battitura. Furesta, intesa come forestiera, straniera, di passaggio. In stretto dialetto lombardo, con quella cadenza, che hanno solo qui. Vado poco al camposanto, o meglio, vado quando sono ispirata, preferibilmente sola. Ho voluto portare dei fiori nuovi, più colorati e più belli. Ci venivo da bambina, distratta, per passatempo, quasi, ad accompagnare mia nonna in visita. Si faceva spesso, allora, e lei si fermava a chiacchierare nei vialetti, l'innaffiatoio in mano, i fiori dall'altra, con le amiche che incontrava lì. Qualche giorno fa ci sono andata, sola come sempre. A sorprendermi di come i passi sulla ghiaia facciano sempre troppo rumore in un posto così intatto, come sotto una bolla. Di un un rumore sfacciato, che rimbomba troppo, che ti vine voglia di andar più leggera, non so, nei corridoi con gli archi e le volte, e sulle scale. Arrivavo, camminando quasi in punta di piedi, e due donne che chiacchieravano, ora come allora, si sono accorte di me. Chi è? Chiede una all'altra. Nessuno, risponde, Una Furesta. Io. Io sono una furesta. Io, che conosco questo paese palmo a palmo, che manco da molto ma che ci torno sempre così volentieri e lo amo, sì, lo amo come si ama il posto da dove vieni, dove tutti sanno chi sei e chi erano tuo padre e tua madre e i tuoi nonni, pure, perchè sembra così strano ma anche io ho una storia e un percorso e un passato, e ce l'ho qui. Vengo da qui, dove ho passato i miei anni più lucidi e disperati, dove ho conosciuto le cose più belle e le più tragiche, dove ho riso da morire e pianto come si piange poche volte nella vita, dove ho cantato, ballato, e giocato a bandiera scalza sulla piazza, dove mi sono innamorata tremila volte o giù di lì, come ci si innamora a quindici anni, io, ribelle e un pò fuori dagli schemi, io, che ho cantato nel coro della chiesa, che ho girato questo posto in motorino, in vespa, in bicicletta e a piedi, io che ho preso due schiaffi da mio padre una sera di maggio, proprio lì, accanto alla fontana, io che torno in questo posto come si torna a casa, io, per queste donne del camposanto, sono e resto, la furesta.
07 aprile, 2008
La furesta.
E no che non è un errore di battitura. Furesta, intesa come forestiera, straniera, di passaggio. In stretto dialetto lombardo, con quella cadenza, che hanno solo qui. Vado poco al camposanto, o meglio, vado quando sono ispirata, preferibilmente sola. Ho voluto portare dei fiori nuovi, più colorati e più belli. Ci venivo da bambina, distratta, per passatempo, quasi, ad accompagnare mia nonna in visita. Si faceva spesso, allora, e lei si fermava a chiacchierare nei vialetti, l'innaffiatoio in mano, i fiori dall'altra, con le amiche che incontrava lì. Qualche giorno fa ci sono andata, sola come sempre. A sorprendermi di come i passi sulla ghiaia facciano sempre troppo rumore in un posto così intatto, come sotto una bolla. Di un un rumore sfacciato, che rimbomba troppo, che ti vine voglia di andar più leggera, non so, nei corridoi con gli archi e le volte, e sulle scale. Arrivavo, camminando quasi in punta di piedi, e due donne che chiacchieravano, ora come allora, si sono accorte di me. Chi è? Chiede una all'altra. Nessuno, risponde, Una Furesta. Io. Io sono una furesta. Io, che conosco questo paese palmo a palmo, che manco da molto ma che ci torno sempre così volentieri e lo amo, sì, lo amo come si ama il posto da dove vieni, dove tutti sanno chi sei e chi erano tuo padre e tua madre e i tuoi nonni, pure, perchè sembra così strano ma anche io ho una storia e un percorso e un passato, e ce l'ho qui. Vengo da qui, dove ho passato i miei anni più lucidi e disperati, dove ho conosciuto le cose più belle e le più tragiche, dove ho riso da morire e pianto come si piange poche volte nella vita, dove ho cantato, ballato, e giocato a bandiera scalza sulla piazza, dove mi sono innamorata tremila volte o giù di lì, come ci si innamora a quindici anni, io, ribelle e un pò fuori dagli schemi, io, che ho cantato nel coro della chiesa, che ho girato questo posto in motorino, in vespa, in bicicletta e a piedi, io che ho preso due schiaffi da mio padre una sera di maggio, proprio lì, accanto alla fontana, io che torno in questo posto come si torna a casa, io, per queste donne del camposanto, sono e resto, la furesta.
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