Si scorgeva dalla strada, alzandosi in punta di piedi.
Doveva essere stata una casa meravigliosa, di quelle piene di bambini che correvano, e saltavano dai gradini della scala di pietra dell'ingresso, prima 1, poi, 2, poi dal terzo gradino. La prova di coraggio era saltare da 4, ed era affare riservato ai più grandi.
Bambini coi pantaloni al ginocchio, peraltro sempre sbucciato, bimbe con vestitini candidi e nei capelli fiocchi di raso, qualcuno che rimaneva impigliato nella siepe laggiù, accanto al vaso grande del ficodindia.
E grida, e passi sulla ghiaia piccola del viale e signori distinti, e signore vere, il vezzo di perle e i guanti di filo la domenica, e il velo di pizzo prezioso per andare a messa.
Profumi di timballo e torte per la merenda, limonate fresche in pomeriggi torridi,e rosolio in bicchierini fragilissimi, serviti in vassoi tondi d'argento bello, posati con cura sul tavolo in ferro battuto accanto alla voliera.
Era la casa del notaio Puglisi, un omone alto e baffuto, in paese stimato e rispettato uomo di buonsenso, così come la moglie Agata, insegnante di pianoforte e cuoca sopraffina. Sue le torte, le conserve, i biscottini e quei cannoli meravigliosi, fatti con la ricotta fresca che le portava il fattore, Salvo, devoto aiutante della famiglia.
Il notaio e la signora Agata avevano cinque figlioli, Cosimo, Antonio e Michele, e le gemelle Immacolata e Anna.
Ora la casa era silenziosa, abbandonata, e con lei il giardino.
E chissà quale tempesta aveva rovesciato quel vaso, quello grande delle piante grasse che ora crescevano disordinate e assenti lungo tutto il muro, o che strisciavano lungo il selciato fiorito di muschio o che tentavano di salire sul muro oltre la finestra.
Ovunque erbacce, piante secche, e lattine, vecchi giornali portati lì da chissà quale vento, financo un triciclo arrugginito.
L'ibisco, invece, fioriva e fioriva.
A dispetto di quel degrado, di un rosso fiero, con i suoi petali perfetti e fuori scala.
E la pomelia, non lontana, con le foglie come zampilli verdi a coronare i fiorellini bianchi e profumati, coi quali le bambine di casa Puglisi si adornavano i capelli per giocare alle principesse.
Il giardino abbandonato non raccontava nessuna storia.
Ma a guardarlo, nella sua elegante desolazione, faceva pensare e, a suo modo, confortava.
E dava consigli, sottovoce, bisbigliando appena.
"Raccogli ogni fiore, ogni bocciolo, ogni piccolissimo germoglio, così come ogni ramo secco, pianta arida o zolle arse dal sole d'estate.
Non ti fidare mai dei rampicanti, sono campanule graziose e delicate alla vista, ma sono erba cattiva e arrampicandosi sul pino lo hanno soffocato in un falso abbraccio di bellezza e lo hanno fatto morire.
Non cedere all'inganno dei fichidindia, sono frutti dolcissimi ma hanno spine infide e velenose e raramente puoi raggiungere i loro tesori senza trovarti poi le loro spine sulle dita o sul palmo della mano.
Sorridi invece al rosso dell'ibisco, è quanto di più sicuro tu possa trovare in una siepe di rovi e rosmarino, è un fiore che non ha paura, che non capisce le regole dei giardini abbandonati e continua a fiorire perchè sa che può cambiarle e trasformare un abbandono in una nuova fonte di vita e di colore.
E piangi, piangi pure, piangi forte quando il tuo cuore sta per rompersi in mille pezzi, quando non riconosci più la strada che va dal cancello alla porta di casa, sono solo pochi passi ma sembrano mille, mille e mille ancora.
Piangi forte, quando non ti sente nessuno, siediti qui, fra queste bottiglie vuote e queste cartacce, e asciugati gli occhi, quando senti che non hai più respiro vuol dire che è ora di smetterla anche di piangere, non darla vinta alle erbe secche e alle ortiche e a nessuno al mondo, perchè nessuno al mondo è padrone del tuo destino più di quanto non lo sia tu stesso.
Nessuno sa come si vive nelle vite degli altri, ma forse questo giardino sì.
Ne ha viste tante, di vite, la severità del notaio, la dolcezza di sua moglie e il baccano meraviglioso dei bambini.
E te lo racconta, e ti fa pensare e un pò sognare, su questa scala di pietra piena di petali della jacaranda sfiorita, lo vedi, c'è un gradino sbrecciato, saltane uno, poi due, poi tre, e poi quattro.
Sei grande abbastanza per saltarli tutti insieme.
Il giardino lo sa e adesso, lo sai anche tu.
Perciò, sorridi.