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15 aprile, 2014

Improvvisi Iris.

C'ero passata due giorni fa, da lì.
Solo foglie e tronchi sottili. Poco più in là, le canne di bambù con le quali i miei figli piccoli hanno costruito centinaia di lance, capanne, zattere e missili. Degli iris, nessuna traccia.
Ieri, poi, in quel momento bellissimo che è il verso sera, quando hai finalmente l'autorizzazione scritta a fare quello ti va, a trovarti in un posto bello a far le cose che vuoi tu, ecco la siepe degli iris comparire in tutta la sua bellezza aristocratica, l'iris non è un fiore da tutti i giorni, ha quell'aria sofisticata che ti mette un pò soggezione, come quando studi e studi e poi arrivi lì e non sai niente, eppure non sono timida e ho studiato e a casa la sapevo, giuro.

Gli Improvvisi Iris sono apparsi dopo un fine settimana così bello e pieno di promesse e di baci,  di baci e di abbracci e TiVoglioBene, quelli che non ti aspetti, quelli che arrivano dritti dove devono arrivare, al cuore, forse, ma anche più in là, se c'è un posto più in là del cuore, e sono sicura di sì.

Gli Improvvisi Iris avevano fatto una riunione nottetempo e si era decretato fosse quello il momento giusto per fiorire tutti insieme, segaligni e bellissimi, regali col loro portamento altezzoso e poco importava se il loro luogo per spuntare fosse da tempo la radura oltre la rete, quella vicina al campo d'orzo, all'inizio della collina.
Era quello il momento.
C'erano stati molti giorni di sole tutti in fila, e il Ciliegio sì che era fiorito, ma era già tempo di pioggia di petali rosa e il pratino, che la sapeva lunga, non vedeva l'ora di ricoprirsi per un pò di quei gioielli morbidi, di quei fiorellini così delicati. Il Ciliegio è un bell'elemento, non è che puoi dirgli cosa deve fare, ci vuole pazienza, con un tipo del genere.

Così, il Simposio degli Improvvisi Iris  aveva stabilito: Si Fiorisce Lunedì.

Passando di lì, il viola acceso e le corolle eleganti, un pò Hermés, aveva fatto in modo che il mio Verso Sera diventasse straordinario, dopo una giornata sottilmente malinconica, si sta sempre così quando un evento finisce, quando qualcosa che hai aspettato tanto arriva e va via. Come la fine di un incantesimo.

Gli Improvvisi Iris lo sanno.
E si sono fatti trovare lì, al solito posto, un mazzo non reciso mandato da chissà chi, che non devi mettere in un vaso ma che puoi guardare quanto ti pare, se passi di lì, disegnarli, fotografarli e pure parlarci, se vuoi. 

Il Simposio degli Improvvisi Iris ha deciso di rimanere a lungo fiorito proprio lì, nella radura vicino al campo di orzo. Passerò di lì spesso, li guarderò come si guardano le cose preziose ed esclusive, ammirerò la loro perfezione, la loro corolla sofisticata che nemmeno Hermés  saprebbe fare più bella, è un regalo per me questa siepe così viola, che si lascia intatta così com'è, senza coglierne nessuno, sarebbe un sacrilegio.

Nessun Improvviso Iris resisterebbe mai in un vaso di vetro.
E loro lo sanno che io lo so, e allora va bene.





22 gennaio, 2013

Martedì a Colori.

Non mi è piaciuta questa neve. Troppo poca. Se deve nevicare deve nevicare secco, o 1 metro o niente. Questa cosa qui è solo disagio e pavimenti sporchi. Vorrei di quella neve che fa silenzio tutt'intorno, che attutisce i rumori, che riempie di bianco ogni cosa. Invece no. Ci sono mattine in cui vorresti che tutto intorno si fermasse per un pò, che smettesse un pò di girare e girare, e che tutto restasse immobile e perfetto, come la neve appena caduta. Le cartoline che offre gennaio non sono granchè, il pratino è squassato da erbacce e buchi della Talpa, che ci si ostina a lasciare lì, agire indisturbata, a costruirsi un resort che alterna buchi e mucchi. Il bianco della neve è quasi sparito, di bianco è rimasto solo il cielo, come rubato, come cancellato da un mago burlone patito di azzurro, Me Lo Porto Via, e a voi lascio solo color albume misto grigio. Se poi  ci si mette anche la nebbia, è come vivere in una bolla opalescente, e al mattino presto potresti essere dovunque, se guardi fuori non riconosci, non vedi, non sai.

Mattine opache come questa non sono rare lassù nella Casa in Collina. 
Perciò, ci si mette d'impegno a colorarle in qualche modo. La mia scatola di pastelli ha ogni genere di sfumatura, ogni genere di viola, ogni tonalità di verde e di rosa, tutta la gamma dei rossi e dei blu.

Si comincerà con calma, ci si darà il tempo necessario per essere lucidi e presenti e poi via, a dare un senso a un martedì qualsiasi, che chi lo sa, potrebbe diventare speciale. 
Il mio martedì di oggi non è nulla di speciale, e proprio per questo cercherò di dargli io una qualche scossa di meraviglia, i miei martedì sono uguali ai martedì del resto del mondo o di buona parte di esso, e forse questo non è un male, così come non è male che fuori sia tutto bianco, dal cielo all'aria, così puoi dargli il colore che vuoi tu, lilla come il MiniTwist per Cuore di Maglia oppure rosso scuro, come il terzo maglione che ti accingi a fare, uno per figliolo e ancora ne manca uno. Il mio martedì è un pò arancione, come le lingue di fuoco del camino e la brace affascinante che rimane la sera, bagliori e ombre sulle pareti che è un peccato andare a dormire ma rimanere lì a guardarle uno spettacolo casalingo che ti incanta. Il mio martedì voglio che sia un pò blu, come il cielo che lo so, da qualche parte si nasconde e il saperlo lì dietro mi dà un senso di sicurezza, Lo So Che Ci Sei. Un martedì che mi aspettavo, che farò come voglio, cui darò la forma che voglio, il colore che più mi piace. Voglio un martedì viola, color glicine della vecchia casa che se chiudo gli occhi sento ancora il profumo e quella festa di calabroni e api e il loro ronzio, per nulla rassicurante ma così bello, per me. E ancora, rosso ciliegia per uno smalto allegro, che sia di buon augurio per un giorno semplice e senza troppe menate, rosso come le mie Amiche che vedrò oggi, rosso rossissimo per dire al cielo bianco che non importa che tu sia lì, ho pastelli e pennelli e colori a manciate, ho fantasia e piccolissimi sogni, colorerò il bianco della neve e sconfiggerò la nebbia e il grigio e alla fine ci saranno così tanti colori che mi faranno male gli occhi. Ma sarà dal ridere. 

13 febbraio, 2012

Malaticcia.

Ho visto la luna stamattina, attraverso i rami degli alberi, oltre la finestra. Che strano, mi sono detta, non ti avevo mai vista lì, luna dorata di un gelato inverno. Non sono stati giorni belli, questi qui e forse, la luna fra gli alberi voleva essere un piccolo regalo per me, a ricompensa di un fine settimana non proprio lucente. Ho avuto l'influenza, forse un pò ce l'ho ancora, a giudicare dalla mia povera testa vuota, più vuota del solito, che mi sembra a tratti leggerissima e a tratti così pesante che mi ritrovo lunga e tirata sul pavimento. Non è una bella sensazione. Ma agli astanti devo dire che sto bene, che sto benissimo, che non ho proprio niente, qui non mi si sopporta se appena sto un pò male, forse perchè insopportabile la sono per davvero, noiosa come la pioggia, lo so da me, lo vedo. Io non sono abituata a stare male, perciò se ci sto mi sembra strano, ma qualche volta forse mi piacerebbe avere intorno a me uno stuolo di persone che di me si occupano, che facciano insomma come faccio io con loro, la spremuta alle ore giuste, le fette biscottate, le tachipirine e le enterogermine ben dosate, allineate sul vassoio viola dell'Ikea, il cuscino sistemato, anche solo uno sguardo ogni tanto, Hai Bisogno di Qualcosa. Qui non funziona così. Qui se stai bene, bene. Se stai male, ebbè, figliola, non è che dobbiamo stare a perder tempo con te, che in fondo non è nemmeno che stai tanto male, sù. Consideravo questa mattina che ho troppo ben abituato gli abitanti di questa casa, e che forse davvero meriterebbero una madre lagnosa, ma non solo 2 giorni ogni 3 o 4 anni, lagnosa proprio sempre, che si corica nel letto se si brucia col forno, che chiama il medico per un raffreddore o che per un mal di pancia si trasferisce da mammà. Io, stoica, resisto e combatto, e preparo pure il ragù, salvo poi stramazzare nauseata sul divano. Gli abitanti della Casa in Collina non abbiano a temere, si è decisa a tavolino la mia perfetta guarigione, fine della storia. Ma che nessuno si ammali nei prossimi giorni. La vendetta, si sa, è un piatto da servire sul vassoio viola dell'Ikea. Dove allineerò con grazia mai vista una serie di mini vasetti di cactus che sono un amore. Diabolica donna.
tumblr.la douleur exquise.

12 giugno, 2015

Il Lavandino.



Ci parliamo sempre davanti al lavandino. E’ il posto dove non ci sente nessuno, sono  tutti di là a ridere e a parlare e a raccontare delle cose, che bisogna farne per raccontarne, lo dice sempre Pier. Lo dici sempre anche tu. Che spettegolate, che ridere, che piangere anche, i tuoi libri di ricette, tu che lavi ed io che asciugo ma anche il contrario, DoveTieniQuesto? 

Vicino al lavandino con le piantine aromatiche, la menta, il basilico, il peperoncino no, quello ti è morto subito, e ti è dispiaciuto così tanto. Ma ha resistito più del mio. La tua cucina è sempre stata bellissima, design puro e tocchi di grazia, la tua. Le tovaglie a pois, la cura che metti nella scelta delle cose, ho imparato tanto da te, i tovaglioli così, i piatti viola che metti sempre quando vengo qui. Parliamo sempre tanto, metti su cene per 10 in 5 minuti, con Luisa è sempre stata una tua specialità.

Sono qui ancora, davanti al tuo lavandino.
C’è uno dei mille strofinacci che ti ho ricamato io, mi tieni vicino anche se non sono qui, e che colpo è stato, vederlo, per me.
E quante cose, quanti pensieri, quanti bambini, quanti ragazzi,  le pizze, i viaggi, Eurodisney ma quante volte, ce n’era sempre uno in più, ogni volta. E il mare, Londra, le caldarroste, i picnic di ferragosto, la neve, i capodanni, e il mare, quanto mare, e quella festa di domenica. Domenica prossima.

La tua casa è silenziosa.

C’è un uomo distrutto, un ragazzo che piange, una ragazza che si fa forte.
Manchi tu.
Ognuno si aspetta di vederti entrare dal cancello, i riccioli, la spesa, la busta grigia del negozio, che sorridi, luminosa.

E luminosa sei, ma chissà dove, ora, da quando un camion ha schiacciato te, i tuoi sogni, la fede che ora Eugenio, l’amore della tua vita, tiene al mignolo, ammaccata e preziosa. Ancora più preziosa adesso.

Che strada avrai, in che mondo sarai, e perché mai, e dove andrai, e dove sei ora, e come facciamo noi, cosa faremo qui, che nemmeno è ancora vero, che parliamo di te al presente, che sei qui, qui vicino a me, nella tua cucina e io che lavo i tuoi piatti e tocco le cose tue,  trovo tutto questa volta, senza chiederti, perché chiederti non posso, non posso più,  e abbraccio Lorenzo come fosse mio, e tu i fiori alla rotonda, tu che nessuno ti può vedere e io che ti porto le ortensie del tuo giardino, dimmi come fai ad averle così viola, le ho colte stamattina e ci ho legato il banner della corsa di Parigi, dovevi esserci anche tu.

Così, ci lasci qui, tutti, con il cuore muto che cade per terra
Raccoglili tu, Silvia, amica della mia vita di sempre, raccogli i cuori di tutti e portali via, portali con te, ovunque andrai, ovunque sei. 

Mancherà il mio.

Che si è perso nell’acqua dei piatti e scivola giù, fra la schiuma e l’impossibile, giù da questo lavandino.



08 luglio, 2010

Funziona?

Sembra funzionare. Una sapiente mistura di sonno e mare e acqua e sabbia e rocce e chiacchiere e knitting forsennato ogni volta che mi va, e dovunque mi trovi, sul terrazzo di S. che guarda il porto o a gambe incrociate sulla spiaggia, che curioso vedere una che knitta da queste parti. Mi prendo cura di me e dei miei pensieri, li metto in fila uno per uno, dò loro una rassettata, una spolverata veloce, e quelli che proprio non sopporto li guardo bene, di sotto in sù, me li rigiro tra le mani e, se il caso, li elimino con eleganza, e pure con una smorfia di disgusto, via, tu non mi servi più, di te non so più che farmene, mi hai fatto abbastanza male, diavolo di un pensiero che più che pensiero ti chiamavi angoscia, ma vaffanculo pure tu. Così, con grazia e leggiadria, vivo i miei giorni pressochè solitari nell'Isola del Vento, a fare nulla o quasi, colazioni interminabili, il tempo è un fatto relativo, non so mai che ore sono e non mi importa granchè alla fine. Ho comprato un orologio di plastica viola da un ambulante senegalese, quello che ogni anno mi chiede come sto e come sono cresciuti i miei bambini, fa un pò come il bagnino di Varigotti, qui i bagnini non ci sono, o se ci sono hanno la basettona, l'occhialone  e il muscolo d'ordinanza e tutt'altro guardano che se  son cresciuti i tuoi bambini. La cura per il recupero psicofisico della scrivente sta cominciando a dare i suoi primi frutti, il color sogliola e le occhiaie di una settimana fa non si vedono più o quasi. Così mi ripiglio, ad aspettare la mia famiglia al gran completo, che il chiasso e la fila dei costumi come in colonia mi manca già, che ho pensieri morbidi e gradevoli a formularsi, che mi sento come convalescente o quasi guarita che in fondo è la stessa cosa, che mi guardo e mi sorrido e che questo beato nulla fa così bene alla mia stupida anima, e che so per certo che tra giorni tre questo meraviglioso orologio viola grande quanto un televisore smetterà di funzionare, ma alla fine, dico io, che importanza può avere.

04 maggio, 2011

Piastrelle, ecco cosa.

Mai piastrelle furono più desiderate di queste. Recuperate con grazia dalla deliziosa Elisa che me le ha fatte scegliere da un cassetto di legno, in un negozio dove sono stata, vediamo, quindici anni fa, a scegliere un lavandino di terracotta con le papere. Che ancora ci penso, a quella cucina viola, quindici anni fa una cucina viola era da ricovero immediata nel Reparto Infettivi, non so se mi spiego. Piastrelle, stamattina. Caricate sulla mia automobile trasformata per l'occasione in furgonato/telonato e scaricate dalla Medesima Scrivente Stessa,    che son pesanti i pacchi di piastrelle, oh, se son pesanti. Mai piastrelle furono trattate con più cura, disposte con precisa amorevolissima delicatezza nel luogo dove nessuno le può urtare. Di due colori che adoro, Lavanda e Mare, oggi nessun dono mai avrebbe potuto farmi più felice di così. In questo progetto, ogni giorno imparo qualcosa: che cosa è il massetto, che la guaina non è necessariamente quella che si mette dopo un parto, che prima si mette l'intonaco e poi il lavandino, giammai il contrario. E infine, che il preziosissssssssimo Chanel Riva resiste anche allo scarico di piastrelle. Però, non l'avrei mai detto.

17 marzo, 2015

Volo basso.

                           ph.la douleur Exquise
Volo basso.
Raso il marciapiede.
Che non so nemmeno se è corretto. Credo di no. Ma rende l'idea.

Volo basso.
Plano sulle pozzanghere, sul fiume limaccioso in città che sembra davvero l'Hudson, stamattina, e la mia Amica delle Provette e Biancaneve sanno bene di cosa parlo.

Volo basso. 
Sull'albero sradicato all'inizio della mia strada, Sarà stato il vento delle sere scorse. Che tristezza gli alberi sradicati, e che impressione, un pochino, ma come, hai davvero soffiato così forte e io non me ne sono accorta? che poi, neanche è vero, me ne sono accorta eccome.

Volo basso.
Schivo i sassi e le viole dell'aiuola triste delle rose , ce ne sono una marea, di viole, non di rose, sono nate di nascosto fra la corteccia di pino, quella che non doveva far nascere nessuna erbaccia, eppure, guardale lì, viola scurissimo, non come quelle della collina che sono lavanda appena, che poi, come fanno delle viole ad essere color lavanda mi sa che ci devo ragionare un pò sù.

Scema ma non stupida, lavanda ma non viola, mi balocco fra le centinaia di cose di fare e la zero voglia di farle, come succede spesso, Certo, a guardar fuori nemmeno aiuta, i tetti lucidi, il cielo perso, i pini che si muovono appena, giusto per dire, sono qui, ma si vede lontano un miglio che non ne hanno voglia nemmeno loro. Non è mattina.

Troverò un senso.
Troverò un modo.
L'ho trovato sempre, ogni santissima volta.
Mi sembravo persa, e non la ero.
Mi sentivo persa, e non la ero.
Toglievo dal cilindro un coniglio, un amuleto, un incantesimo, una caramella mou.
Farò così anche oggi.

Per cominciare esco a farmi un mazzolino di viole e le metto sul tavolo.
Poi mi mando un bacio nello specchio.
Poi, scarico la lavastoviglie.

Volo basso.
Mi sa che a incantesimi stiam messi male, e anche le caramelle mou sono finite.
Chi lo sa, forse, c'è un buco nel mio cilindro.

05 dicembre, 2012

Il Mondo Difficile.


La mattina si prospettava calma e lucente, era bello uscir fuori la mattina presto, è come un mondo parallelo, la notte è appena andata via e ha lasciato tutto in ordine, tracce di buio certo, ma è tutto bello liscio, il prato e i suoi ricami di brina, e quel cielo, pesante ieri e oggi, ma guardalo, rosa a strisce, e uno squarcio di arancio prepotente, c'è anche del viola, evabbè, tu vedi viola dappertutto, si sa. 

Mi sono fermata e ho fatto una fotografia di questa meraviglia, di questo spettacolo impagabile che è l'alba vicino a casa mia, la Ginnasiale era in orario, non cambiava nulla fermarsi un attimo e scendere, e fare una fotografia, per fermare questo attimo di delizia e di pace, brevissima, in momenti come questo, duri per tutti, strani per tutti, aridi e stupidi e da arrabbiarsi ogni momento, e da deprimersi e da intristirsi e da cambiare le abitudini e riderci sù, come ho fatto ieri con la mia Amica delle Perle.

Che nessuno si arrenda E' un mondo difficile, è un mondo strano, pieno di insidie e dispiaceri, e di cose sgradevoli, quando non lacrime e freddo e solitudine.
Io ho il mio mondo caldo, non importa se diverso da prima, anche se tutto cambia, niente cambia per me.
Questo mondo assurdo non è roba mia, è per chi si arrende, e se qualche volta l'ho fatto anche io, piagnucolando come una scema, ora non lo voglio fare più.
Ho il mio mondo bello, fatto delle cose che piacciono a me e che sono le più importanti e preziose,
Ci provi pure, il mondo, a farmi del male, a mandarmi bollette stellari che mi fanno saltare sulla sedia, ci provi il mondo ad essere cattivo con me, a darmi contro, a provare a vedere chi vince.
Vinco io, stupido mondo che non mi appartieni, vinco io che mi sorrido, vinco io che non mi faccio prendere dalle cose che mi fanno male, vinco io scegliendo le cose più belle come i mandarini sul banco del mercato, sembrano tutti uguali e invece no, scelgo io le cose che devo fare per stare bene, le persone che piacciono a me, quelle che mi basta abbracciare strette per capire che niente cambia, che niente si logora, che niente finisce, mai. 
E avrò sempre la mia forza, quella che non mi lascerà mai, quella che non si farà spaventare da nulla, quella che mi farà sempre aver voglia, davanti ad un'alba come questa, di fermarmi a fotografarla per tenere i suoi colori sempre con me.

06 agosto, 2013

La Mancata Fioritura dei Gerani



Ci si era messa d'impegno.
Aveva scelto con cura maniacale tra le piantine del vivaio e del mercato, quelle con la sfumatura giusta, dal bianco al viola intenso, passando per il fucsia e il rosso acceso.
Li aveva sistemati sul davanzale, annaffiati con cura, sorvegliati, ne aveva tolto i fiori rovinati con un gesto deciso come le aveva insegnato sua nonna, alla base del gambo, così.
I gerani sono fiori grati a chi li cura bene e danno il meglio di loro stessi con sole, acqua, acqua, sole. Null'altro.
I gerani le piacevano.  Ne aveva trasportato uno dalla montagna al mare pur di tenerlo con sè, dandogli  perfino un nome, Felice.
Era convinta che i gerani avessero molte potenzialità, non soltanto quella di stare imbambolati sui davanzali.
Si chiedeva perchemmai non si avesse notizia di qualcuno che avesse donato un mazzo di gerani. Eppure, mica era vietato.
Da qualche tempo però, i gerani del suo davanzale non c'erano più.
O meglio c'erano, ma soltanto le foglie.
Nessuno dei vasi aveva più un solo fiore, e tutto quel gran lavoro di cromia e di sfumature non era servito proprio a nulla.
Si fece qualche domanda.
Li aveva innaffiati sempre? Si disse di sì.
Li aveva liberati dai fiori rovinati? Si disse di sì.
Li aveva forse trascurati per qualche altro fiore? Si disse di no.
Li aveva soffocati forse con il fertilizzante, come quella volta delle ortensie? Si disse di no.
La faccenda si faceva complicata.

Poi, le venne in mente di quella volta, qualche settimana fa, che le punse vaghezza di svolgere la tenda a rigoni, invisa a tutta la famiglia, uguale a quella di tutte le altre case, che se ne stava sempre arrotolata su se stessa. E che diamine, mormorò fra sè e sè, se non la svolgiamo d'estate, quando mai? Nessuno amava quella tenda, qualcuno aveva anche proposto di toglierla, tanto non si utilizzava mai ed era così triste, a righe grosse bianche e marroni, ma Ella decise ugualmente di farla entrare in funzione, non che ce ne fosse bisogno, ma così, per provare.

Da lì, l'illuminazione.
La tenda aveva tolto ai gerani il sole necessario, tutta la luce bella che faceva fiorire i fiori rossi, e fucsia, e bianchi e rosa pallido e bianchi e viola.
Se ne rese conto un mattino, riavvolse la tenda triste a rigoni ed aspettò.
Non passò molto tempo, e i bocciolini di geranio cominciarono a spuntare tra le foglie verdissime.

Era così anche per lei
Si rese conto di avere qualche volta una tenda sulla testa che le impediva di essere quella che era per davvero, facendo di lei solo un fascio di foglie verdi e tristi e senza colori.
il sole non passa attraverso le tende a righe bianche e marroni.
i gerani non fioriscono se tenuti all'ombra
il cuore fa uguale

mai come quel giorno si sentì così geranio
bastava solo attendere la fioritura, quella nuova.

con la tenda a righe bianche e marroni ci fece un falò.










28 novembre, 2007

Basta già.


E' come un pizzicore, una specie di prurito, gradevole, per carità, mica quello delle zanzare. Ci si è fermati un momento, il ritmo è calato, e con lui anche l'ansia, quella frenesia cattiva, quella sorta di malumore progressivo. Ora, di progressivo c'è soltanto la calma, la serenità, da ascoltare piano ad occhi sbarrati, per paura che se ne vada di nuovo, da raccogliere, tutto quello che c'è, tutto quello che serve, come quando sparecchi le briciole dal tavolo e le raccogli con la mano, si prende tutto, vale tutto, anche e soprattutto le più piccole cose, come le perline quando le perdi dal barattolo, come la sabbia, infinita e sterminata eppure così piccola. Rastrelli, piccolissimi momenti, una telefonata con un'Amica e un giro al negozio dell'Amica Risanata, andiamo un pò a vedere che faccia che c'ha e come sta, adesso, un fiore, G., un fiore di campo. Proprio lei, quest'oggi, un altro piccolo granello per farmi stare bene, non ci vogliono mica le grandi manovre sa?, basterebbe anche un mazzolino di quel suo basilico che ha sul balcone, cara signora, lo sa, vero? Così, si colleziona un album di cose belle, finalmente, semplicissime, si sgrana, un piccolo rosario di sorrisi, e ci si scopre, ma guarda, all'improvviso contenti, come dirlo , tranquilli, non so, in pace, ecco, e senza più guardare in quel cestino, che bene non fa. Una bella sera, da qui, da questa aiuola colorata. Aiuola, e perchè mai? Son Viola Del Pensiero, così mi chiama la mia Amica, fiore semplice e colorato, vellutato e da guardare, da non cogliere che si sciupa, molto viola, anzichenò.

22 maggio, 2015

La Leggenda delle Ciliegie Presuntuose.

Si parlava a frasi fatte
Niente è per caso
Niente è per sempre
Niente e basta

Era tempo di ciliegie, lassù, alla collina
Non si coglievano, no, non ci si armava di cestini o ciotoline da riempire.
Si coglievano dall'albero e si mangiavano lì, sul posto, accanto al Gelso, quello dove ci si poteva nascondere sotto, e da lì vedere tutto, non visti.

Ma da vedere non c'era niente.
Solo colline,cielo, case lontane e un prato incolto lasciato andare chissà perchè, erbacce e soffioni, e fango quando pioveva, e zolle arse dal sole che sì, sarebbe arrivato a luglio, perchè luglio arriva sempre, non lo sai?

Niente.
I temporali degli ultimi giorni avevano fatto la loro parte, avevano squassato il cespuglio della salvia fiorita, sparpargliato i petali delle rose, fatto casino ovunque, casino si può dire.

Le ciliegie invece no.
erano rimaste lì, attaccate ai rami, rubini preziosissimi di un gioiello troppo grande, senza fare una piega, senza dire ba, erano rimaste ben ancorate, solinghe, in fila per  due, qualche volta a gruppi.

Anzi.
Il temporale le aveva lucidate per bene, come prima di una festa, e sembravano ora più belle di prima.
Belle e dolcissime.

Sembrava facile.
Le ciliegie erano tante, sì, ma quelle che si raggiungevano agevolmente dal prato stavano per finire.
A guardare in sù, un migliaio di sfere rossissime, si pavoneggiavano fra le foglie, contro il cielo mauve quasi viola del pomeriggio,  o nell'azzurrissimo della mattina presto. Erano più belle nel verso sera.

Le Ciliegie Presuntuose, nessuno le avrebbe colte mai.
Troppo belle, troppo in alto, troppo complicate.

Si sarebbe potuto provare, con una scala a pioli, o ad arrampicarsi sul tronco instabile del ciliegio più Grande
Ma era un rischio da non correre.
Nessuno al mondo sa, quanto infido e traditore sia un albero di ciliegio, ancorchè carico di preziosissimi frutti.

Le Ciliegie Presuntuose, disilluse e immacolate, sarebbero rimaste lassù, sarebbero diventate catering per banchetti di uccelli voracissimi e golosi, avrebbero dato il meglio di loro stesse a party di api e calabroni, pur belle e lucide e dolcissime, nessuno le avrebbe colte mai.

Ci si accontentò delle ciliegie sui rami bassi.
A guardare bene, fra le foglie e i rami piccoli, ce ne erano tante anche lì.

Le Ciliegie Presuntuose si lasciano dove sono, contro il cielo del temporale, mauve che sembra viola, nel verso sera.



07 giugno, 2010

Due a due.

Come faceva? Un Anello per domarliUn Anello per trovarliUn Anello per ghermirli e nel buio incatenarli. Ecco, una roba del genere. Solo che noi qui, si fa con gli scialli. Uno scialle per contare, uno scialle per sciallarsi, uno scialle da rincretinire, uno scialle da fare in tutta scioltezza. Uno viola glamour, l'altro nero peccato, uno di cotone e seta, morbidissimo, l'altro ruvidino, appena appena. Un Forest Canopy e una specie di Azzu, dacchè sono stata così attenta, ma così attenta alla lezione di Emma al Camp. Cito testualmente: " Se si vogliono esasperare i vertici si fa così, se si vuole una forma più a punta si fa colà", mica caramelline, sa? Sono una bravissima allieva, ho studiato, ripassato, provato e riprovato. E disfatto, eccome se ho disfatto. Ma l'esperienza insegna che i lavori complicati non si fanno chiacchierando, che non si può proprio uscir fuori sul muretto con le istruzioni appresso, che non si può guardare il Roland Garros durante, che se ti perdi un yarn over sei bell'e fritta. Così, si approntano due bei progetti, uno semplice e uno complicato, uno da chiacchiera e l'altro da concentrazione maxima, uno con ferri di legno di rosa e l'altro con quelli trasparenti, uno con schema e l'altro senza, da fare a muzzo, come  dicono i miei figlioli maschi grandi, belli e dannati. Così, gli scialli si fanno due per volta, uno semplicissimo, uno da sbattere la testa contro il muro. Entrambi, però, grandissimo trend dell'estate che viene, da avvolgercisi con gesto teatrale nelle sere di stelle e venticello, da avere bianco, nero, viola, turchese, verde smeraldo e grigio perla. E da fare due per volta, ovvio. Aspetta, ma...i colori sono 7. Ohi ohi, a questo non avevo pensato.

25 febbraio, 2019

I Fogli Bianchi.

Scrivo a penna.
Con la stilo, spesso. O con la Bic Cristal. Blu. Sempre blu. 
Ho anche degli inchiostri, viola, arancio e turchese, ma le boccettine sono così belle che li uso pochissimo.
A volte mi è capitato di rimanere ferma e zitta davanti a un foglio bianco, soprattutto se si trattava di numeri. I numeri hanno una logica che non mi appartiene. 
Mai sono stata ferma davanti a un foglio bianco, se quello che dovevo scrivere erano parole, storie, letteratura, parafrasi, cose. Le parole mi affascinano, mi trascinano, mi avvolgono, mi cullano e mi fanno giocare e ridere e suonare. Tutto insieme. I numeri, no.

Ho fogli bianchi davanti a me, qualche volta.
Quando non so cosa dire, o forse lo saprei anche dire ma ho paura.
Quando non so che cosa fare, e vorrei avere al sicurezza di tanti, quelli che sanno tutto, come funziona il mondo, Marte, il Firmamento. 
Ho fogli che lascio bianchi quando le cose mi sembrano così belle che a toccarle le sgualcisci, e le sgualciresti anche se ne scrivessi, e allora, lascio il foglio così com'è.

E immagino.
Invento.
Che non è come scrivere e cancellare subito dopo, resta il buco nel foglio, e tutta quella gomma cancellata, che orrore, la mia compagna di terza elementare, la Stefania, era la nipote del cartolaio e un giorno arrivò a scuola tutta tronfia, aveva una gomma nuova con una specie di spazzolina per liberare il foglio, una volta cancellato. Chissà cosa c'entra.

Lascio i fogli bianchi nella mia vita di prima, e in quella di adesso, prima perchè ho cancellato, adesso perchè ho tante cose belle da scriverci, appena nate, sofferte, sorprese, soffuse. Che belle, le parole con la S.

lascio i fogli bianchi perchè voglio il privilegio di scriverci ogni giorno a mente quello che mi va, quello che mi piace di più, quello che più mi fa contenta. Se non so, se non sono del tutto certa, o semplicemente perchè mi dico MaNonPuòEsserePossibile, allora, non scrivo niente.
Nè in blu, nè in arancio, nè viola, nè turchese.

I miei fogli bianchi sono la parte di me che preferisco, sono la vita, la bellezza, il sole bello di oggi dopo giorni di letto e di stare male, sono il verde di un posto incredibile, sono la calma accesa di una panchina sotto gli ippocastani, sono le scritte sui muri che mi ostino a fotografare, sono le persone che ti dicono GuardaCheCielo e che fanno di un giorno qualsiasi un giorno da dire MaSìChePuòEsserePossibile.

La felicità non si ferma quasi mai.
La contentezza, quella sì.
Ed è quella che mi trovo in tasca, in giorni normali, stropicciata in fondo alla borsa della spesa, fra i biscotti e la liquirizia, che trovo nei miei passi e che si legge nei miei fogli bianchi, in controluce.

Nei fogli bianchi c'è tutto il mondo, Marte e il Firmamento.
Nei posti al sole, nelle panchine fra gli ippocastani, invece, anche.


09 agosto, 2011

Violarancio.



Da sempre, due colori che amo, insieme. Ho anche un anello con una pietra viola e una arancio. Si sa, son cose interessanti, così, a metà di una mattinata di vento deciso, di mare turchesissimo, di colazione protratta, di amici in visita, di figlioli dormienti, dacchè han fatto tardi in vedetta a vedere l'alba, son già due sere di seguito, la cosa che mi preoccupa è che sono sempre in numero pari e ben distribuiti, tre maschi/tre femmine, questo andare alla vedetta non mi convince, sarà mica per caso come il mio andare alla Torretta di Varigotti nell'estate del '78? Solo, loro son più grandini di me all'epoca, ed è ben questo che mi dà pensiero. Comunque, qui si lavora, eccome. Si ricoprono vasi, si fanno scialli on demand, e ier sera c'è punta vaghezza di metter sù un gonnino arancio, che con l'abbronzatura c'ha il suo perchè, e allora ci si è ingegnati, si è fatto finta di chiamarsi Fassio di cognome, e il gonnino ha già preso forma, certo, appena appena, ma insomma, si ha già in mente come verrà. Qui si lavora eccome. Ci si telefona con Lei, si preparano già una quantità di cose per la fine di settembre, insomma, il vento di qua porta bei pensieri, belle cose da fare, bei colori da mettere insieme e bei progetti. Nel frattempo, il mare laggiù mi guarda e sorride, increspato appena appena, lucido, di velluto, turchesissimo. Che con l'arancio e il viola, ci sta un amore.

13 ottobre, 2010

L'erbario.

Ma Come Fai Mamma. Già. Come faccio non lo so neppure io, bambina. Ci sono cose di miliardi di anni fa che ricordo alla perfezione e altre invece no, che è passata solo mezz'ora o un giorno soltanto. Io conosco le piante. Le erbe. I fiorellini del prato.Beh, non tutti, certamente. Un bel pò. Quanto basta per far meravigliare la PrinciRubaScialli. Lo vedi? Questa è la coda di cavallo, e quest'altra la Borsa del Pastore, non so il nome latino, ma lo so in emiliano, va bene lo stesso? Appartengo a quella generazione di alunni volonterosi, non troppo studiosi, le scuole medie negli anni 70, gran rivoluzione intorno ma noi belli sciallàti alla Scuola Media Statale GiuseppeMariaGiulietti, che ci mettevi tre ore a fare l'intestazione dei quaderni, meno male che ho un nome cortissimo. Ebbene, alla scuola Media Eccetera si faceva l'erbario. Che tradotto voleva dire: Bene, ragazzi, ora andate a casa, stremate genitori e nonne e fatevi accompagnare su per i bricchi a cercare le erbe più astruse, mettetele con precisione tra due fogli di giornale, piazzateci sopra cinque o sei volumi di Conoscere, che era Wikipedia, solo da sfogliare, e aspettate una settimana. Poi, incollatele con attenzione sul quaderno e descrivetele con parole vostre. Meraviglia. A me che non sono scientifica per nulla questa cosa mi piaceva assai e mi dispiace così tanto che il mio erbario e quello di mio fratello siano andati perduti in qualche trasloco. Il quaderno diventava spessissimo, pieno di colla e e profumava di fieno e lavanda. Li avrei conservati volentieri, per mostrarli ai miei figli, per riguardarli io, vedere la mia calligrafia di allora, ho perso anche il quaderno della prima elementare, il 1 ottobre 1969, San Remigio: una pagina di i, e il disegno di un imbuto sghembo colorato di viola, avrebbero dovuto capire da allora che qualcosa non andava, e forse a cercar bene nel mio erbario avrebbero trovato ben pressato e descritto, una rarissima specie di fungo allucinogeno. O qualche altra erba misteriosa. Fatto sta ed è che ora me la tiro un sacco, con la Princi, a declamare il nome di fiorini e erbettine, anche se di qualcuno so soltanto il nome in dialetto. Ma alla Gelmini, mi sa che non gliene importerebbe granchè. Così, con questi pensieri agresti e semplici , testè mi accingo ad iniziare come si deve una bella giornata d'autunno pieno, e a pensare che forse di erbe ho abusato, il cielo mi ascolti, se di mattina presto mi viene in mente l'erbario e le ricerche e l'enciclopedia Conoscere. Tutta colpa di quell'imbuto viola.

20 dicembre, 2006

Più viola di così!


Oh, certo che lo so. La foto non rende giustizia. Ma è tutto un turbinio di violettini, di lillini, di zucchero viola, di farfalle glicine, di matassine di cotone che vanno dal lilla al lavanda chiarissimo, di caramelline Stratta, di tovaglioli lilla, di una tazza violetta, di uno smalto coi brilli che un amore, di un talco profumatissimo e violissimo. Che grande invenzione i pacchi postali! Soprattutto quando finalmente arrivano a destinazione. E poi, li apri con attenzione, chiedendoti ma che ci sarà, senza strappare troppo la carta, lentamente, perchè la sopresa duri a lungo, un pò di più. Grazie ad Alessandra di Viaggio di Luna. Aspettare, a volte, non è poi così male.

26 novembre, 2006

Fiocco rosso.

Mai più senza. Il corteggiamento è stato lungo, ma alla fine, LUI, è mio. E per sempre. Una specie di matrimonio, io vestita carina, jeans aurei e magliettina smilza. Alla ricerca di una ricetta per la nostra prima sera insieme, che potesse essere davvero indimenticabile. Viola, in sovrappiù. Deliziosi muffin ai mirtilli, un impasto di un colore da perdere la testa, ci avrei pitturato anche la candida parete di fianco, se avessi potuto, un punto di viola signora cara, che era un amore. Letta la ricetta su Kitchen, una rapida verifica degli ingredienti con la testa infilata ora nella dispensa ora in frigorifero, un figliolo che mi dettava e la Princi che aiutava, lesta e felice di questo nuovo giocattolo che troneggia da sabato sul ripiano della mia cucina, con il filo arrotolato e fermato con un fiocchetto di velluto, un elettrodomestico che ha un che di umano, che guardiamo ogni tanto come si guarda un parente stretto, un nuovo nato, un cucciolo appena arrivato. I muffin, buoni. Gustati per la prima colazione di domenica. Quando sono scesa ho guardato per bene che ci fosse ancora, e che avesse passato la notte tranquillo, nella nuova casa, fuori dal suo imballo e dopo quel lungo viaggio. E che nessuno si fosse intrufolato, nottetempo, per trafugarlo e strapparlo alla sua nuova famiglia. Fidarsi è bene, signora mia, e a pensar male si fa peccato, ma conosco due o tre individue (si può dire?) che farebbero carte false per averlo, nella loro casa arancione, o nel palazzotto, o nella dimora montana. Perciò, lo blindo. E' vero, faccio peccato, ma a pensare male ci prendo sempre. Non fa così anche lei?

20 giugno, 2006

Niente male.


Arrivati in tutta scioltezza. La famiglia a ranghi serrati, "solo" 2 figlioli e "solo" un micino, Philadelphia, ancora troppo piccina (o piccino????) per stare a casa accudito dai vicini. La nostra fama deve averci preceduto, a sorpresa, in nave ci è stata assegnata la Suite Imperiale Dodici Stelle Ultralusso TipTap Gold, che tradotto vuol dire un letto matrimoniale e due lettini. Viola, per giunta. Si vede che si sono detti, beh, questi qua sono stati già abbastanza bersagliati nell'ultimo mese, facciamoli iniziare le vacanze comme il faut. Certo, arrivavamo da Vienna, il che vorrà ben dire un qualche cosa, no? Che dire, tutto liscissimo, più che perfetto. C'è un solino smilzo ma niente ci fa, ha fatto freddo fino a ieri, si racconta. Così, in questo primo pomeriggio di un giugno qualunque, dò ufficialmente inizio alle vacanze duemilasei. Che ne sarà di me ancora non mi è propriamente chiaro, considerando che, così, tanto per dirne una, la deliziosa signora peruviana alle dipendenze della mia turbolenta famiglia, ha ben pensato di rassegnare le sue dimissioni circa 6 ore prima della nostra partenza alla volta dell'Isola. Un gioco da ragazzi. Si sopravvive, certo. Ho giusto comprato un set di spugnette viola ciclamino che si intonano a meraviglia con il rosa del lavandino genovese (e sottolineo, genovese) della cucina. Se Cenerentola dev'essere, che sia quantomeno con una discreta dose di charme. Dovrò solo risolvere il problema del Cif. Il giallo, signora mia, è troppo out quest'estate. Anche in Perù. Ma questo, avrei dovuto immaginarlo.

16 luglio, 2010

Studio le stelle.


Ma le stelle mica si studiano, si guardano e basta. A meno che non ti senta astrofisica, o qualcosa del genere, e allora sì, sapresti il nome di ognuna e cosa fa e dove va. Dove va? Le stelle non vanno da nessuna parte, se ne stanno lì da fantastilioni di anni, e da allora sono belle e luminose e affascinanti e quando cadono, poi, la meraviglia. E’ una notte che son sveglia, i due scavezzacollo tornati dalla festa in spiaggia, ho perso il sonno o ho perso me, e allora sono fuori e guardo in su, in nessuna parte del mondo c’è un cielo  come questo e tutte queste stelle a manciate, a mucchietti, e a strade ben definite, le indovino, qualche nome lo so ma nemmeno tanti. Studio le stelle per sapere di me, per sentire se sto meglio o no, per verificare lo stato dell’arte, come quando togli il cerotto e vedi che cosa c’è sotto, era un taglio da niente o una ferita profonda, chi lo sa, sono tutte uguali, alla fine, quando guariscono. Può essere lo squarcio più grande o un taglio da scema affettando i pomodori, il segno resta lo stesso, preciso e netto, e nemmeno il sole lo fa andare via. Certo, non fa più male, ma ancora non lo so se davvero sarà così e allora devo pensarci, devo vedere, tornare a dormire che è quasi mattina, così, i pensieri si rovesciano sul cuscino come una latta di vernice, e lascerò che scendano  per terra, sul letto e sulle mattonelle del pavimento, non ho mai pensato a che colore siano i miei pensieri, neri più del nero, certe volte e rosa certe altre, viola molto spesso, mai gialli, forse grigi, ogni tanto, e di mille sfumature. Ma stasera i miei pensieri sono fermi, morbidi come di velluto, non so bene se piacevoli o no, non so bene se domani li troverò ancora, vernice seccata sul pavimento e negli spazi fra le mattonelle, so soltanto che sono blu scuro, blu quasi nero, direi, e hanno un sacco di puntini che brillano ma ho copiato dal cielo e allora non vale.

31 ottobre, 2010

La HalloTorta.

La Princi si reca ad una festa. Niente dolcetto o scherzetto, per fortuna, ho smesso, grazie. Ho intagliato zucche per anni e anni, e mangiato zucca per i  giorni e giorni successivi,  messo ceri alla finestra, non possiedo più un solo lenzuolo bianco che sia uno, che i miei maschi hanno fatto i fantasmi e già che c'erano vestivano pure gli amici loro, ho truccato streghe e streghine, bistrato occhioni lacrimanti, comprato denti da vampiro e ragnatele spray, consumato rossetti viola e Rouge Chanel, e scusate se è poco, il sangue Rouge Chanel ha tutto un altro effetto, mi aiuti a dire. Ho disegnato occhiaie, fatto capelli verdi, mantelli neri, attaccato ragni finti alle Dr.Martens, impallidito fanciulli che con la barba non è proprio il massimo, sono andata in giro per il villaggio con la lampada e la canzone della famiglia Addams e uno stuolo di bimbetti e mamme sventurate come me. Ora, me la cavo con una torta. Semplicissima. Non ci vuole una scienza, la genialata sta tutta nello stampo, riesumato dalla credenza di sotto e che avevo anche scordato di avere, forse. Mi piace. La Princi ha voluto metterci del suo e ha riempito gli incavi di occhi naso e bocca col cacao. Bellabella. E' una giornata da vomitare, se guardi fuori, freddo non fa ma piove piove e piove e pioverà anche domani, ma noi che ce ne importa. Ho un arrosto bell'e pronto, qualcuno dorme ancora, qualcuno è sveglio da ore e ore, io scrivo, leggo, e vado piano a leggere perchè non voglio che il libro che sto leggendo finisca troppo alla svelta, se mi fossi data ascolto lo avrei finito già ieri, ma voglio tenerlo lì ancora un pochino. Faccio due robe qua e là, una lavatrice, forse, stirare manco imbalsamata, cazzeggio, folleggio, nella calma quieta e avvolgente di questa casa, sto per finire un Forest nero, cercherò un progetto da fare subito dopo. Niente mi smuove, niente mi scalfisce, sto bell'e sciallata per due giorni interi, pensieri e menate, fuori di qua.
Comunicazione di servizio:
a grande, oceanica richiesta, la ricetta la trovate in un altro dei mie deliri, cioè qui.

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...