15 gennaio, 2007

Coraggio.


Tutto daccapo. So bene che non è un problema serio, certo che lo so. Però, per me, è una vera necessità. Il fatto di avere un aiuto in casa non consiste nell'opportunità di stare lì, libera e bella, a darmi lo smalto e fare zapping sbadigliando in vestaglia e pantofole, magari coi bigodini (orrore, non li ho mai messi in vita mia, ecco la sesta cosa che di me non si sa). Ma mi permetterebbe di andare, infinita libidine, a lavorare. Ma si vede che in questo periodo, gli astri mi sono contro e così, anche Svetlana, la spia che venne dal freddo, fisico da top e fanciulla poco incline a lavare pavimenti e preparare pastasciutte, mi ha dato il benservito, ieri sera, dopo una sola settimana di lavoro, col suo bell'accento russo che ti aspetti da un momento all'altro che ti dica Ti spiezzo in due, come in Rocky NonRicordoCheNumero. E così, bonjour, sono la Schiava Isaura, qui per spazzare, spolverare, aspirare, sbattere, lavare, stendere, lucidare e riordinare. Non che non mi piaccia. Beh, sinceramente c'è di meglio, ma non posso mica lasciare la mia casina in balia di acari e polvere e disordine cosmico? E' solo una questione di organizzazione. Un grazioso cestino provenzale contiene tutti i prodotti e gli strofinacci che occorrono. Un bel jeans e una T-shirt, meglio se a maniche corte. Capelli raccolti con un mollettone con gli strass, un velo di fard e una passata di gloss, signora mia, metta che càpiti così, a sorpresa, mio marito a farmi un salutino, mica posso avere un look stile Mrs. Doubtfire? Tirerò a lucido questa mia magione, almeno fino a quando non troverò un'altra ancella. Già, ma quando? Nel frattempo, c'è la spesa da fare, e portare il cane dal veterinario e due/tre telefonate di lavoro che proprio non possono aspettare. Ce la farò. Ho un Cd di Giovanni Allevi che mi rimette in pace col mondo, un sms del liceale che mi informa che ha preso 7 in matematica e fuori, oggi, non c'è nemmeno la nebbia. Coraggio, sarà una passeggiata. I sogni son desideri. Chi lo diceva?

13 gennaio, 2007

5 cose che non si sanno di me...


Non so mica se mi conviene. Ma, come si suole, colgo la palla lanciata da Cabiria, e partecipo con massimo entusiasmo a un altro di questi graziosi giochini in cui ci si imbatte ogni tanto...
E il fatto che l'invito mi sia stato inviato da Perec, aggiunge un che di divertente ed intrigante a tutta la vicenda, perciò, voilà.
Ecco le cinque cose cinque di me che, forse, era meglio non si sapessero tanto in giro.
1) Ho un passato da alcolista. A 9 anni, golosissima di cioccolato, ho sgraffignato di nascosto dal mobile della sala, quello con sopra la tv in bianco e nero senza telecomando, con il primo, il secondo e la Svizzera, una scatola di cioccolatini Mon Cheri alla ciliegia. Col liquore, ovvio. Ne ho mangiati una decina. Dopodichè, ho iniziato a dire frasi sconnesse, a scoppiare in risate fragorose e senza motivo e a parlare come Don Lurio. Mia madre, seriamente preoccupata, sospettava un improbabile attacco di meningite, ma, avendo scoperto le cartine rosa metallizzato tra i cuscini del divano, ha compreso. E giù di Citrosodina. Inutile dire che mi sono addormentata di schianto sul divano suddetto, e al mio risveglio sono stata sgridata per benino, con il divieto di raggiungere i miei amichetti in cortile per giorni due. Ed ora mi vedo costretta ad ammettere con orgoglio e vergogna che quella è stata l'unica volta in vita mia che mi sono ubriacata. I miei figli non ci credono e intuisco il motivo. Ma come si fa ad avere una madre che si è ubriacata coi MonChèri? Meglio rimuovere. E fare finta di niente..
2) Leggo i quotidiani al contrario. Cioè, non proprio. Leggo la prima pagina, poi li metto al contrario e inizio da lì. Spettacoli, locale, sport, fino alla pagina della politica, saltando la Borsa, della quale non me ne importa una beata. E non sopporto che nessuno lo legga prima di me, e se lo fa non lo deve stropicciare. E non tollero che chi lo legge prima di me mi anticipi le notizie. E detesto che qualcuno mi legga da dietro, sbirciando sulla mia spalla, io seduta e lui/lei in piedi. Son guai seri. E poi, udite, leggo i necrologi. Qualche volta di sfuggita, qualche volta mi ci applico. Ma deve essere un retaggio dell’infanzia trascorsa con mia nonna materna che accoglieva mia madre al ritorno dalla spesa con la frase Chi è Morto? con una punta di sottile soddisfazione nella voce, a dire, beh, finchè lo chiedo, và tutto bene.

3) Non mi piace la frutta lavata. O meglio, la frutta bagnata. Non lavo mai le mele d’inverno e le pesche d’estate. Qualche volta, giusto per non prendere una qualche infezione o rara malattia tropicale, mi inganno da sola: le lavo, le asciugo e le mangio il giorno dopo, fingendo di dimenticarmene. La mia Amica Logopedista direbbe che sono psicotico-ossessivo-compulsiva, ma io, che non so proprio bene che cosa significhi, credo che esageri un pochino, so che mi vuole bene e non faccio altre domande.

4) Ho un rosario nella borsa, che porto sempre con me. E un altro accanto al letto,in una scatolina, regalo di un’Amica Cara. A volte, lo recito sottovoce, un po’ di nascosto, non so. Sono stata militante di Azione Cattolica e catechista e soffro da morire a non poter avvicinarmi a nessun Sacramento, confessione compresa, E neppure fare da madrina di battesimo o testimone di nozze, per espiare la colpa di aver sposato in Municipio un uomo divorziato, e, benché i miei figli siano cresimati e battezzati, essi sono nati fuori dal matrimonio cattolico e quindi Nostra Romana Chiesa di me non sa proprio che farsene. E io ci piango ogni volta.

5) Sono un’ansiosissima e lo sanno anche i sassi. In tempi non sospetti, prima delle Torri Gemelle e quindi una decina di anni fa, mio marito viaggiava spesso in aereo. Dato che per me ogni partenza, sia transoceanica che il tratto campo di calcio- scuola media, è passibile di tamponamenti a catena, voragini improvvise, inondazioni non previste e terremoti di catastrofiche dimensioni, ero usa telefonare all’aeroporto per tranquillizzarmi(ancora non avevo scoperto la valeriana e altre corbellerie). Un giorno, e fu l’ultima volta, chiamai Napoli Capodichino, per avere notizie sul volo dove viaggiava beato e ignaro, il mio sposo. L’omino che mi rispose restò un attimo in silenzio e poi mi disse, con marcato accento partenopeo, “E chevvulìte, signurì, che l’aereo abbia caduto?” Lì per lì non ci avevo pensato, ma credo che l’omino, rientrato a casa, abbia raccontato al desco famigliare che quella mattina una stordita aveva chiamato per sapere se l’aereo Torino Napoli fosse arrivato, e che in giro era pieno di gente bizzarra e che non aveva niente di meglio da fare, e tutta la famiglia ha convenuto con lui che in effetti quella lì doveva essere parecchio strana. Se lo facessi ora avrei già la Polizia alle calcagna, mi sa.

Di me non si sa molto altro. Ma dato che questo Meme si accontenta solo di 5 cose, direi che mi è andata di lusso. E a voi, anche.
E la mia palla, a spicchi viola, la lancio con grazia a Sigrid, Ruben e Daniela.
Vediamo un pò.

Quando le sorprese.


Arrivano così, inaspettate, altrimenti avrebbero un altro nome. In realtà io sapevo che Gourmet aveva in serbo per me un pacchettino, ma, per l'appunto,mi aspettavo un pacchettino, una cosa da infilare in borsa, ringraziando felice, che so, un barattolino di marmellata, un vasetto di sale o di conserva. Ebbene, è arrivato tutto insieme. Sel de Guerande, Lenticchie blasonate, spezie per la tajine, composta di peperoni e di ananas, riso carnaroli di nobilerrima provenienza, insomma, un trionfo di leccornie, molte fatte da lei, ed elegantemente accomodate in un vassoio di cartapesta home made che ha già trovato una sua collocazione nel salone di casa mia. La meraviglia. Anche io, c'è da dirlo, avevo il mio bel pacchettino, che aveva passato tutte le vacanze di Natale sotto il mio albero zen, in attesa di giungere alla legittima proprietaria. Ora, i rispettivi pensieri sono a dimora. Speriamo di poter ripetere spesso l'esperimento, di ricambiare questo invito a pranzo graditissimo, nonostante la dieta ferrea che mi ha fatto guardare sospirando il dolce di nocciola e cioccolato che lo chef del Cubico proponeva. Ma va bene. Conserverò gelosamente anche il libriccino di lasagne e torte salate. E, già che ci sono, occulto la tavoletta di cioccolato alla cannella. Con le iene che mi girano per casa, qui, niente è al sicuro.

12 gennaio, 2007

Perchè Fragole.



Mi chiedono spesso. Perchè proprio Fragole? E perchè Infinite, poi. Che strano titolo, che vorrà dire? Mi piaceva. Per il suono che ha, perchè adoro le fragole così come sono, senza panna, senza limone e senza zucchero, intere, da mangiare in un morso solo, una per volta, come le ciliegie , e lasciarci solo quel ciuffetto verde che le rende graziose e un pò buffe, eleganti, quasi. Fragole perchè hanno una bella forma, un pò a cuore, tanto per dire. E Infinite perchè non cominciano e non iniziano, non c'è un C'era una volta una fragola e nemmeno E così le fragole vissero felici e contente in un cestino fatato. E perchè mi piace il suono di Infinite, è una bella parola, sottile, dolcissima, non separi quasi mai le labbra per dirlo, e non si grida, è più bello sussurrato, appena appena, solo un pò, infinite. E alla fine perchè, a ben pensarci, le fragole sono un pò come me. Mi somigliano. Le vedi e dici, beh, discrete ma insulse, un pò vuote, danno allergia, qualche volta e sono troppo care. Poi scopri, in un mercato di Torino, che a metà gennaio le fragole costano un euro al cestino, bella scoperta, vengono dal Marocco, mica dall'orticello dietro casa, anche se con questo caldo, non mi stupirei nemmeno tanto, chi può dirlo. E insulse, no, proprio no, e qui un'altra bella scoperta, tirano sù il morale a trovarle in tavola, hanno proprietà digestive e sono piene zeppe di vitamina C. Eh, signora mia, che sottile lezione questa mattina. Mai fidarsi delle apparenze. Nemmeno al mercato, badi benissimo. Nemmeno con le fragole. E nemmeno, manco a dirlo, con la scrivente. Voilà.

10 gennaio, 2007

Non si è vista.


Che peccato, ce la siamo persa. Doveva farsi vedere questo pomeriggio alle 5, l'ho sentito alla radio, e già mi ero in un certo senso preparata e un pò emozionata, anche, come tutte le volte che succede qualcosa di straordinario che riguarda la Volta Celeste, che mi attira e mi affascina e un pò mi spaventa, come tutti, credo, per la magia e il mistero e per la nostra totale, completa, assoluta impotenza e ignoranza, anche un pochino, in una materia così...così...celestiale, appunto. Insomma, le questioni delle stelle, delle eclissi e delle comete mi piacciono un sacco, che male c'è? Forse perchè ad Hale Bopp, nella foto, ho legato la nascita della mia picci, anzi, le abbiamo ricamato una storia che nemmeno Asimov, raccontando a Emma che l'aveva portata la cometa, con la sua scia luminosa e bellissima, che vedevamo ogni sera dalla finestra di Pila, a fine febbraio di quel millenovecentonovantasette e le dicevamo, ma quando ci lasci quella bimba che hai lì, seduta a cavalcioni sulla tua coda d'argento? Alla fine, il 4 marzo, la cometa si è decisa e prima di sparire ci ha portato questa bimba burrosa con gli occhi di lago. Beh, insomma, la cometa di oggi invece, non si è proprio vista. Non già perchè fossimo fuori portata, ma Lei, la Cometa, si deve essere un pò scoraggiata. Ma come, si è detta, vivo a due passi dalla Via Lattea, da casa mia posso vedere con facilità Saturno e i suoi anelli, Marte e il suo lago, e pure quella smorfiosa di Venere, e dovrei andare proprio lì, a vegliare per un pò quella distesa di cotone, anzi no, forse si tratta di panna montata scaduta, o meglio, quell'abito da sposa lavato male in tintoria? La nebbia e la pioggia e il buio di questo pomeriggio le hanno fatto cambiare idea, alla Cometa. Ma io, io che con le Comete, come dire, c'ho feeling, io che quando non so cosa dire, un pò balbetto e un pò tossicchio ma alla fine me la sfango sempre, a Lei, vorrei dire una cosina. Spero, Cometa che passando sulle nostre teste e decidendo di non farti vedre, abbia almeno lasciato cadere un pò di quella polverina argentata che ci piace tanto. E' vero, la vendono in barattolini all'Ikea, ma non è mica la stessa cosa. La tua polverina ci serve, sai? Ci serve a fermarci un pò, e a pensare. A non vivere le nostre vite di corsa, a non sprecare giorni e cose, a sorridere un pò di più, a parlarci di più, accontentarci di quel tutto che c'è. Ci serve un pò di giudizio, serve per fermarci un secondo a pensare prima di ferire, serve a non essere privi di contenuti e di traguardi. E di sogni, anche. Spero che mi ascolti. Domani, cercherò la sua polverina nell'aiuola delle rose, guarderò per bene dietro al vaso della miseria e tutt'intorno al rosmarino. L a troverò, lo so già. La conserverò in un barattolino che terrò sul davanzale, e che luccicherà, da lontano, per mille giorni ancora, fino al prossimo inverno, fino alla prossima favola, fino alla prossima Cometa.

09 gennaio, 2007

Vertigo.

Sarà che ci siamo svegliati al volo. Sarà che stamattina qualcuno aveva rubato la collina, sostituendola con una tenda grigiolina non bella a vedersi. Sarà che non ne avevo voglia e basta. La vertigine è una sensazione sfaccettata, non sai mai se stai bene o se stai male, in fondo star sospesi può avere anche i suoi vantaggi, a dire, guarda qui, vi guardo tutti dall'alto o dal basso e mi gira tutto intorno in una danza silenziosa e soffice che vedo soltanto io, e che mi fa sentire, in un certo senso, privilegiata. E nessuno sente neppure questo ronzio celestiale, questa eco che ovatta il rumore del traffico e i passi sulle scale e la musica alla radio. Mi gira la testa, oh yes, ma non sto mica male, scelgo di non farmi troppo prendere dalla non voglia, dal non entusiasmo, dalla mia non propensione per alcunchè, quest'oggi. E la lascio andare, così com'è. Presa, scossa, buttata e frullata in una fredda mattina di inizio gennaio, farò le cose una per volta, spuntandole dall'elenco stilato sulla mia agenda nuova di zecca, dove ho solo scritto il mio nome e la mia mail. Mi sono spruzzata più profumo del solito, ho raccolto i capelli e ho dato il via alle danze, vitamine, spremutine, merendine, e via, in ufficio. Frullata o non frullata, con la testa che và a farsi un giro e vive di vita propria, con questa sensazione da Houston Abbiamo un Problema, mi manca giusto una bella tuta da astronauta per essere pronta all'allunaggio. Qualcuno telefoni a Tito Stagno, che stavolta sulla luna ci andiamo per davvero. Profumatissime, perdiana!

07 gennaio, 2007

La Tombola degli Orrori.


Ormai, un appuntamento fisso. Da tre anni in qua, il giorno dell'Epifania ci si raduna a casa di qualcuno e si dà luogo all'attesissima Tombola degli Orrori. Il procedimento è molto semplice. Chi di noi non ha in casa da tempo immemore quel vaso finto cinese della zia Palmira che non abbiamo cuore di buttare, anche perchè, con la raccolta differenziata, non sappiamo bene se vada nel vetro o nei Diversamente Smaltibili? E chi non riceve, ad ogni Natale, qualcosa di veramente orrido e inguardabile? Bene, la Tombola è nata così. E' un riciclo, invero. Un'arte sopraffina per disfarsi del brutto che, se brutto per noi, non è detto affatto che lo sia. Ho vinto l'anno scorso delle tazze a forma di cuore che mi hanno mandato in visibilio, e delle quali vado fierissima. Ma anche l'occasione per fare un pò di bene: la vendita delle cartelle, infatti, darà origine ad una somma che quest'anno spediremo ad una missione in Africa per i bambini malati di Aids. Bella cosa. La T.d.O. ha un suo cerimoniale ben specifico e delle regole ferree. Per esempio, non si conosce mai il numero esatto dei partecipanti. più si è e meglio è. Ciascuno degli invitati deve portare con sè uno o più Orrori, catalogati in base al valore (ambo, terno, cinquina o tombola) e ben impacchettati per l'effetto sorpresa che non è certo da sottovalutare. E qualcosa da mangiare per la cena che ne segue. Fatto. Il resto è divertimento allo stato puro. Ieri, casa mia ha ospitato la Terza Edizione della Tombola degli Orrori 2007. Con gli amici più cari, le persone che contano davvero per me, le amiche dei quindici anni, andavamo in due in motorino e adesso, guardaci lì, a parlare di figli e di vecchi fidanzati. Un bel pomeriggio. A chiudere questa kermesse di feste e festine, a ricaricarci per questo anno che viene, a prepararci, che domani ri-iniziano le danze, quelle vere. Ho messo insieme molte delle persone che amo. Non tutte, ma quasi. E pazienza se se ne sono andati via con vasi orribili, libri di porcellana e orrende bottiglie. Una se la sono dimenticata nel mio frigo, insieme ad un salmone di dimensioni quasi umane. Brindiamo con una pregiata bottiglia di Mò Esce Antonio a quel che vogliamo. Alla festa di ieri, alla tombola folle, agli affetti che erano qui con noi e a quel che di bello ci sarà. Che sarà tanto, lo so.

03 gennaio, 2007

Buttare via.


E solo da calcio. E qualcuna da calcetto. E parastinchi. Che non vanno più bene a nessuno. Tre figlioli calciatori hanno il loro perchè, cara la mia signora. E questa distesa di scarpe inutilizzate e ahimè, ormai inutilizzabili perchè, come si dice, piccoli piedi crescono, la dice lunghissima. Oggi, col mio sposo, mi sono dedicata ad una emozionante pratica, che si fa raramente, invero, perchè comporta un notevole dispendio di energia e molto tempo a disposizione. Non già un nuovo capitolo dell'Ars Amatoria, signora, non mi faccia arrossire, bensì, ecco, non so come dirglielo...il riordino del garage. Lo so che non è propriamente una poesia, ma va fatto e allora si fa. E si fa di sci, di ogni misura, ne ho contate 13 paia, e scarponi e bob, e tute da sci, e pantaloni da sci e occhiali da sci e guanti da sci e caschi da sci e biciclettine e biciclettone e mountain bike e monopattini e cap da cavallo e pattini in linea e zainini da asilo e cartelle con scritto Classe I, e scarpette da ballo e tutù minuscoli e zaini da liceo e cerate da vela e cuffie da piscina e cose, cose, cose dovunque, non buttate mai, tenute lì, conservate. Questa pratica non mi entusiasma. Mi costringe a buttare cose che davvero non userei mai e vorrei tenere solo per ricordo, di quella volta che e allora io e allora lui e poi alla fine. Fosse per me non butterei niente. Ho ancora il mio Ciao blù classe 1978, non venderei le macchine, ho ancora i biberon e i ciucci appiccicosi dei miei figli, i lenzuolini con i ricci ricamati e tutte le bavaglie coi loro nomi, sono una novantina, ne farò una coperta, mi sa. Ma buttare serve. Serve a capire. Serve un pò a crescere, a staccarsi, a guardare in là, ad aspettarsi le cose più belle, ancora più belle di quelle che sono qui. E allora, chiudo gli occhi e butto via, non cancello, ma butto via, e riordino, fuori e dentro, e faccio spazio, e invento una nuova stanza, un salotto anni 60, coi mobili di recupero e la specchiera sulla credenza, dove leggere e stare con gli amici e accendere il camino, e uno studio tutto mio, dove ricamo e scrivo e progetto e penso, e faccio di un garage disordinato e pieno di cose un magazzino ordinato e con un senso, e una dispensa che nemmeno Palazzo Reale. E fra mille anni, quando di nuovo riordinerò, che di nuovo avrò accumulato e mai buttato, ritroverò cose e penserò ancora a quella volta che e allora lui e allora io, e ricomincerò da capo, e rifarò tutto. Sorriderò. Perchè forse, ritroverò parecchie delle cose che ho qui ora. C'è da giurarci.

31 dicembre, 2006

Buon.

Buone giornate di vacanza. E di neve, se c'è. E di mare, qualora. Buoni giorni normali, di scuole e di uffici e di riunioni e di scadenze. Buone bollette da pagare e spese da fare e camicie da stirare. Buone pastasciutte, a mezzogiorno o mezzanotte, buone cotolette alla milanese, buoni risotti col vino giusto, buoni prosciutti di Parma e Culatelli di Zibello. Buoni libri da leggere e viaggi da fare, buoni amici da ascoltare, da vedere, da chiacchierare. Buone sere tranquille e sere da paura, buoni film da vedere, divano o anteprima, buone feste in montagna, buone maglie di cachemire, buone borse di Gucci e scarpette di Prada. Buone multe per divieto di sosta, buone tasse, buoni raffreddori e influenze e carenze di ferro e anche quelle d'affetto, che nessun botticino dal gusto di chiodi guarirà mai. Buoni smalti colorati, buoni sorrisi da vendere, buoni giorni di sole, e di nebbia al mattino, buoni tramonti sul mare, buone barche a vela, buon vento da nord ovest, buone doccie all'aperto, buone sere di mirto e di stelle. Buone favole da raccontare, buoni figli da sgridare, coccolare, amare sopra ogni cosa, buone battutacce in cucina, buone bugie, buoni abbracci da scaldare, buone domeniche mattina che dormono tutti, buone colazioni che durano tre ore, buon pane croccante e crostate di marmellata, che si è un pò bruciacchiata ma va bene così. Buone canzoni da imparare, buone poesie da insegnare, buoni giorni, buone notti, d'amore e di sonno, di sogni e magie, di pigiama e di baci. Buoni bigliettini, trovati o lasciati, buone telefonate, buone lettere spedite, o ricevute, o strappate, buone sorprese, buoni regalini inaspettati. Buone idee, buoni progetti e buonissimi sogni, da farne a tonnellate, più lucidi che mai. E buoni sentimenti, buoni amori, buone tenerezze e buone amicizie, e buoni affetti, e buoni perdoni e buoni sorrisi. E frizzi e lazzi, lustrini e brilli, paillettes e cotillons, e meno otto e meno nove, e tutte proprio tutte le cose che in un giorno normale che sembra speciale, in un giorno che è domenica e molto di più, una persona normale, felice e un pò fuori, possa mai augurare a ciascuno di voi.

30 dicembre, 2006

A proposito.


Esprimi un desiderio. E fai cinque buoni propositi per l'anno nuovo, si fa sempre, non è vero? Riordinare i cassetti, i fili da ricamo, una specie di inventario, buttare i vestiti vecchi e le vecchie presine consunte dall'uso e gli strofinacci, anche quelli, e le tazze sbrecciate e le maglie di lana che fanno i pallini. Buttare via, un pò come per dirsi che, in fondo, si stava male con tutta quella roba vetusta intorno, ci dava brutti pensieri e rimandava brutte immagini. Via, un sacco nero, di quelli grossi e tutto dentro senza guardare, non quelli lillini che sono trasparenti, se no ti vien voglia di salvare quel vaso o quella t-shirt che ti piaceva tanto. Resettare, come ho fatto a non pensarci, riprendere da capo, freschi come rose e freddi come spie, lontani, distanti, cucirsi il cuore nella fodera del cappotto, nel cappuccio della felpa e non ascoltarlo, per un pò. Mi vogliono superba? Lo sarò, eccome, più di sempre, altezzosa e un pò vigliacca, si dice stronza, in realtà. Benissimo, pronti, via. Non la sono stata mai, o forse non abbastanza. ho sempre cercato di salvare quel ridicolo senso di appartenenza a qualcosa che non esiste più da molto, e da adesso, da prima, da ieri, cercherò di appiccicarmi addosso questo nuovo ruolo. La mia famiglia è questa qua, mio marito e i miei bambini, bambini? ma dove, sono alti due metri e belli come il sole di giugno. Nient'altro mi serve. Avrò spalle su cui piangere lo stesso, avrò discorsi difficili da dividere con le persone che sanno davvero come sono, che strano, non il tuo sangue, però, che buffo scherzo della vita, le persone uguali a te non sanno nemmeno da che parte sei voltata e quelle che hai incontrato solo l'altroieri sanno come stai al solo suono della tua voce al telefono. Che storia. Butto via tutto. Le offese di ieri, le falsità, il mio implorare attenzioni che non merito, si vede, Non mi sentirò sola, c'è forse un modo per sentirsi più sola di così, certo peggiore ma in ogni caso diversa, più attaccata ai gesti d'affetto, alle piccole sorprese, alle piccole cose che ti fanno sentirse un pò voluta, amata, circondata di bene, al sicuro, insomma. Bene, negatemi pure tutto ciò, sono anni che lo rincorro e non l'ho mai acchiappato, eppure ero brava a prendere farfalle, da bambina. Si resta bambini in un certo senso, si ha sempre voglia di un abbraccio caldo, sempre voglia di una carezza. Non sono stata abbastanza brava, meritevole, non sono stata nominata per il Premio Bontà Duemilasei. Ho ingoiato rospi, prestato soldi mai rivisti, fatto finta di niente. Non abbastanza. E adesso, la Scocciata Stronzissima Superba, mette sù una bella corazza, diventa algida e merdosetta sul serio, sparisce dal giro, nel sacco nero butta anche le cose che le fanno male, che la fanno piangere in autostrada con la nebbia e i TIR, e se nessuno si preoccupa di sapere se per caso è spiaccicata contro qualche guard-rail, ma cosa importa, ho le spalle grosse e sopravviverò. A casa mi aspetta l'amore quello vero, che ho fatto io, che ho voluto. Di tutto il resto non me ne importerà più fico secco. Si cambia, signori miei. E vaffanculo pure alla farfalle.

26 dicembre, 2006

E anche questo Natale...


Resta poco. Quasi niente. L'affanno, la magia, l'attesa dei giorni passati non lasciano traccia. Non gradevole, almeno. Ci si rende conto che, nonostante i proponimenti e il dirsi, sarà diverso, sarà bello, sarà come vorrei io, tutto è uguale, irrimediabilmente uguale all'anno scorso e a quello prima e a quello prima ancora. Certo, la famiglia è stata spettacolare e preziosa, e non solo nei regali, il clima che mi aspettavo, la sera della Vigilia, la scena per Babbo Natale, giurando di aver visto la scia luminosa della slitta proprio lì, dietro il ciliegio. Ma è il giorno che mi ha deluso. Che mi fa pensare. Che mi dà l'ennesima riprova. Che per l'ennesima volta mi sono un pò sforzata, a inventare argomenti che non ho, ad evitarne altri, ad arrabbiarmi in silenzio, sorridendo, perchè è Natale, appunto, e perchè tutti gli altri, seduti a questo tavolo, coi lustrini e le candele, proprio non se lo meritano. E' passato. E adesso, la scenografia dei piatti sistemati per bene è solo una pila di stoviglie da lavare, e sai, non ti ho preso niente perchè tu hai tutto e farti regali è difficile, e ringraziamenti finti e fuori luogo, complimenti di plastica e ovvietà. Le portate che hai cucinato dalle 8 del mattino sono avanzi che balleranno fuori e dentro dal frigo per una settimana e a vederli ti viene la nausea. Ripiegherai per bene le carte dei regali e i nastrini e i bigliettini e li conserverai, chissà perchè, in una scatola. Un altro Natale è arrivato e se ne è andato. Si sono avute cose belle, bei momenti e bei sorrisi, ma anche qualche piccola mancanza, qualche risaputa offesa, qualche semplice dolcezza negata. E non ci si abitua mai. I pacchi scartati sono lì, sotto l'albero zen. Le persone care dormono tranquille in una mattina di festa, che ieri sera abbiamo fatto tardi dagli amici a finire i loro avanzi, come tradizione, e altri amici ci aspettano in montagna quest'oggi. Preziosi, come regali. Della tradizione "con i tuoi", non resta niente. Solo candele, diventate brutte sculture di cera sciolta e le briciole, da scuotere via insieme ai lustrini.

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...