29 gennaio, 2007
Ode all'Atene.
17 gennaio, 2007
Ode al ferro da stiro.
Oh, è raccapricciante lo so. Da me, poi. Una lode al ferro da stiro, l'oggetto forse più odiato dalle casalinghe più o meno disperate, dalle costrette alla vita domestica, dalle italiche massaie, dagli angeli del focolare sù e giù per lo Stivale. Ebbene, raccapriccio o no, io credo che in questi giorni, Lui, debba essere in qualche modo rivalutato, sdoganato, ecco. E vado ad illustrare la mia diabolica quanto inusuale teoria all'uopo concepita. Non ne ho fatto mistero, mi sto occupando medesimamente e personalmente della faccende domestiche, del riordino e del rassetto della mia umile magione. Direi che mi piace, almeno per ora. Mio marito nicchia, sostiene che, tra qualche giorno, sbatterò con forza piatti e stoviglie, e, scavalcando un mucchio di biancheria che attende di essere introdotta con leggiadria e mestiere in lavatrice ove troverebbe degna lavatura, mi avvierò alla porta e non mi vedranno per le ssuccessive 8-10 ore. Ma mi sa che ha torto. Per ora. Oggi, riflettevo sulle sorti umane. Stirando, per l'appunto. E' un lavoro non faticoso. Non implica alcuno sforzo, se non il chinarsi a prendere le cose dal cesto e la leggera pressione sul tastino del vapore. Permette di sciogliere come trecce scomposte i pensieri più arditi e complicati, li concilia, non so come dire. Sei lì, sul collo di una camicia e la tua mente vaga, lontana o vicina non è mica importante, basta lasciarla andare. meglio se con una musica di sottofondo, o un film in bianco e nero, quelli che se anche non li guardi non fa niente, basterà alzare gli occhi ogni tanto e il senso della pellicola non svanirà. Ogni capo, un pensiero a sè stante: gli strofinacci e le lenzuola piane chiamano i pensieri semplici e piacevoli. Le camicie e quelle dannate lenzuola con gli angoli, che lasci e prendi e lasci e prendi, e giri e comunque ben stirati non sono mai, portano invece pensieri contorti, un pò bislacchi, da cacciare subito via o comunque non dar loro troppo peso. Occorre poi un attento studio sugli orpelli da usare. Appretto o acqua profumata, urge una sessione nella corsia dei detersivi per farsi una vera cultura in merito, prendendo appunti, acquistando l'intera gamma di quello Al Profumo Di Vento del Nord, di Primavera Giapponese o di Serata Nella Steppa. Una vera e propria Vestale dell'Asse. Da Stiro, ovvio. Come si dice, necessità fa virtù? Ecco, appunto.
03 dicembre, 2006
Ode al panettone.
Direi che è il momento giusto. Appartengo a quel plotone di persone che non aspetta la sera della Vigilia per assaggiare una fragrante fetta di questo prodigioso dolce natalizio. Anche perchè, è vero che la tradizione va rispettata, ma avere un panettone sul tavolo fa già Natale un mese prima e poi, diciamolo francamente, c'è qualcosa di più trasgressivo e paradisiaco e certamente caloricissimo ma assolutamente celestiale di una fetta di panettone intinta con abilità e mestiere in una fumante tazza di caffelatte? No che non c'è. E' stata la nostra colazione di questa mattina, infatti. Fuori una nebbia della forca, dentro, in casa, sul tavolo della colazione già vestito a festa, coi tazzoni a fiocchi di neve e i piatti rossi, la morbidezza sorniona di Messer Panettone. Un mutuo, praticamente. Si può consumare la propria porzione, una fetta sottile, per carità, che già sono a dieta e che è meglio non esagerare in vista di aperitivi, merende, cene e cenoni delle feste. Poi, però, si comincia a raschiare con indifferenza, chiacchierando, la parte della nostra fetta rimasta attaccata al corpo principale, si aggiunge un candito, si pizzica un pò di uvetta. Si continua a parlare, distratti e tranquilli, si raschia per bene la carta marroncina, si raddrizza la fetta, vorrai mica lasciarlo tagliato tutto storto, non sta bene. A piccole rate, a tasso variabile di pasta e canditi, di uvetta e crosticina, la nostra fettina diventerà una fettona, di quelle che potremmo stare digiune per tutta la giornata, e non saremmo comunque denutrite. Il Panettone, si sa, è un vero gentiluomo. Non lo dà a vedere. E sì, abbiamo accumulato 1350 chilocalorie, ma lui, morbido e incantato, profumato e festaiolo, continuerà a lasciarci credere che la nostra era solo una fettina, lasciandoci ignare e soddisfatte. Per un mutuo così, dove devo firmare?
14 novembre, 2006
Ode al pavesino.
Lo adoro. Lo amo. Mi fa tenerezza, anche. L’avulso Pavesino, il povero diavolo d’un Pavesino, un po’ sfigato, si può dire? Il Pavesino non piace a nessuno. E’ il compagno di scuola del terzo banco, quello che non noti quasi, perché non è il secchione del primo e non il furbastro dell’ultimo. Sta lì. Senza pretese, ti guarda dallo scaffale e ti dice, ma dai, ma perché non mi compri nemmeno oggi? Pavesino, ti scongiuro, non fare così, tu non puoi tendermi simili trappole, che sono di fretta e mi sono dimenticata la metà delle cose e non ho tempo di tornare indietro, ho un carrello che pesa quanto una Smart e sono qui ai biscotti per comprare….oh, Cielo, le Macine, i Pan di Stelle, per non parlare dei ruvidi Molinetti e dei sublimi Digestive e tutti quei biscottini che, non offenderti, sanno di qualche cosa. Sai, tengo famiglia, e devo accontentarli tutti, ma ho il cuore tenero e non sono mica sorda alle richieste dei biscotti bisognosi. Io sono super partes, mi nutro a colazione di due assurde fette biscottate, non faccio testo. Ma faccio affari. Così, io e il Pave, ( e sì, signora mia, siamo entrati in confidenza) abbiamo fatto un patto. Io continuerò a comprare burrosissimi e cioccolatosissimi biscotti per i maschi di casa, e serberò un pacchetto di Pavesini solo per la mia colazione e per gli attacchi di sbrano. Il Pavesino, lo sanno tutti, è un biscotto riconoscente. Considerato il suo insignificante contenuto di calorie, mi regalerà alla prossima estate un fisico da very top, cosce affusolate e un sedere, con licenza parlando, che avrà il suo bel perché. Bene, dove firmo? Siglato l’accordo, ma a firmare spostiamoci. Non vorrei che quel curioso Savoiardo, acerrimo nemico del Pave, vedesse la scena. E allora sì, che sarebbero guai seri!
14 ottobre, 2006
Ode alla fetta biscottata.
27 settembre, 2006
Ode al Molinetto.
01 settembre, 2006
Ode al savoiardo.
Gli ingredienti sono semplicissimi. E’ lui ad essere complicato. Un incapace, ecco. Il savoiardo è uno strano biscotto, un bell’elemento, non c’è che dire. Una specie di Wanda Osiris della biscottiera. Se la tira. E’, innanzitutto, il più grosso di tutti. E su questo non ci piove. Soprattutto quello sardo, che è grosso il doppio. In più, ha quell’aspetto segaligno, dinoccolato, tristanzuolo anche; fa pensare a un maggiordomo, peccato che da solo, povero illuso, non serve proprio a niente. Nel senso che a morderlo è ottuso, un po’ gnucco, vagamente insipido e ti dona in men che non si dica la classica “secchezza delle fauci”. Se non fosse per i suoi amici, caffè, crema al mascarpone e cacao, passerebbe la sua vita negli scaffali del supermercato. O tutt’al più verrebbe acquistato da qualche fanciulla che decida, dopo un’estate di scialo calorico, di mettersi un po’ in riga. E poi, con lui si sbaglia sempre. Si inzuppa sempre o troppo o troppo poco. Se lo lasci un attimo di più a sguazzare nel latte, spaf! Ti si rituffa dentro, o meglio, mezzo dentro la tazza e il resto sulla tovaglia immacolata. Una tragedia. Lui, il savoiardo, non fa una piega. Non gli importa della sua scarsa personalità, della sua inettitudine, della sua totale incapacità di combinare, da solo, qualcosa di buono. Ma intanto cova in cuor suo la più atroce delle vendette, il modo più cruento di fargliela pagare. Ma come , a chi? Al suo acerrimo nemico, il mite Pavesino. Riuscirà il Pavesino ad avere la meglio? E’ quanto sapremo alla prossima puntata.
30 agosto, 2006
Ode alla formaggella.
03 luglio, 2006
Ode al Pan di Stelle.
E’ un biscotto che significa vacanza. Secondo una strana e immotivata regola di casa mia, lo compro solo d’estate, chissà perché. A vederlo così, il Pan Di Stelle evoca, nella sua rotondità, con tutte le stelline glassate sopra, la volta celeste, per l’appunto. Ma la vera caratteristica che fa di Lui un’eccezione nell’affollato mondo nei biscotti da colazione, è il Modus Intingendi. Sacrilego intingerlo per metà, potremmo riassumere la sua filosofia di vita in Tutto o Niente. Il Pan Di Stelle, infatti, si tuffa intero. E di piatto. Questa semplice manovra consentirà al commensale di osservare lo splendido spettacolo cromatico dato dal contrasto fra i candore del latte e l’elegante color cacao. Un abbinamento perfetto. Il tempo di immersione nel Bianco Universo sarà facilmente individuabile e avrà il suo compimento soltanto quando il Pan Di Stelle dolcemente imbevuto e le candide stelline (undici, lo sapevate?) si mimetizzeranno perfettamente con la superficie lattea. Osservare il galleggiare di un Pan Di Stelle è terapia consigliata anche nei più ostici casi di ansia e/o depressione e/o nervosismo diffuso. Un farmaco, praticamente. E già liberalizzato. Dovrò informare Prodi.
03 giugno, 2006
Ode al pigiama.
Certamente da rivalutare. Non un indumento. Piuttosto, uno status. Il pigiama, in serate come queste, si va a collocare in una scelta ben precisa, una corrente di pensiero, un movimento culturale. Il pomeriggio è stato movimentato da 2 partite di calcio 2? Niente paura. Dopo una serata tranquilla e la pizza alle 19, eccoci a casa. I fanciulli sparpagliati, non un granchè da fare, l'indecisione su come impegnare il lasso di tempo che và da qui al sonno ha un nome: il pigiama. Mettersi in pigiama è una sorta di messaggio subliminare, che tradotto vuol dire, sì, sono ancora in circolazione, ma posso decidere, e la cosa assolutamente certa è che l'ultima cosa che avrei voglia di fare è uscire di nuovo. Che si sappia. Mettersi in pigiama alle 9 di sera è stato visto nei secoli come un peccato mortale. Adesso è l'assoluta controtendenza, considerando l'aggravante del sabato, mentre il resto del mondo si apparecchia da corsa ed esce nel mondo, noi, nella pace del nostro divano, nel silenzio delle mura domestiche o al limite in terrazza, trasgrediamo di un piacere sottile. L'attenzione va ora focalizzata sul modello. Già, perchè nell'immaginario collettivo il pigiama è di flanellona pesante, a colori pastello, magari disegnato a funghetti o piccoli tostapane. Orrore. Il pigiama in questione dovrà essere, tanto per cominciare, di seta o rasatello. Lucidino, ecco. E poi, taglio maschile e colore deciso. Un bel rosso lacca, magari. O un blu Cina. Si è così pronti per un sabato sera molto alternativo, a casa. In fondo, una settimana sulle Montagne Russe va conclusa in un certo modo. E con la seta, è noto a tutti, si va sul sicuro.
30 maggio, 2006
W il wafer.
Nel 1970 avevo 7 anni. Ero una graziosa bimbetta coi capelli lunghi, la Graziella e sono cresciuta con serie turbe psichiche per non avere mai avuto in dono il Dolce Forno. Son cose che segnano, c'è poco da fare. La merenda, all'epoca, non si sceglieva negli scaffali del supermercato, ma era la mamma a comprarla dal droghiere della piazza. Il wafer ha fatto così il suo prepotente ingresso nella vita dei bambini di allora. Il tempo dei Loacker era ancora lontano, c'erano soltanto due gusti, alla vaniglia e al cioccolato, ovvio, ed erano venduti in pacchettini rettangolari e sottili. Li ho ritrovati, in un discount. All'esorbitante prezzo di 64 centesimi di euro. Son soddisfazioni. Il wafer è beffardo. Gioca d'astuzia. E' un vero protagonista, un battitore libero, una primadonna. Non si può intingere, non si può spalmare, fa tutto da solo. Amministratore unico, il wafer trova il suo vero e assoluto tripudio in una semplicissima operazione che forse ho inventato io e che scuoterà le anime dei più. I puristi grideranno allo scandalo, ma son qui a confessarvi, in questa serata di fine maggio, che la scrivente conserva il wafer in frigorifero. E lo consuma a multipli di due, ben sposando il friabile con la frescura sottile, la morbidezza del ripieno con il rigore del ghiacciatino. Concetto difficile ma non difficilissimo. E di sicuro effetto. Consigliato per tacitare lievi arrabbiature con qualche z, riprendersi da una giornatina niente male, premiarsi un pochino. Male non fa. Alla sola condizione di non leggere le calorie. Il wafer, accidenti, ne ha una cifra vergognosa. Come farebbe ad essere così buono, se no?
27 aprile, 2006
Il grissino.
In un periodo dell'anno in cui il 99 per cento della popolazione compresa tra i 18 e i 75 anni, in previsione di impietose prove costume si mette a dieta, parlare di cibo assume via via sembianze da peccato mortale. Ma tant'è. Non so se avete mai fatto caso, ma il momento immediatamente successivo alla spesa, se essa viene fatta in prossimità dell'ora di pranzo, è una strisciante e subdola trappola. Ella passò dal fornaio, quello che fa i grissini così buoni, adorati dalla famiglia tutta. Li comprò e commise l'errore di sistemare il crepitante involucro, non già nel baule dell'auto, a distanza di sicurezza, ma proprio lì, accanto a sè. Lo sgranocchio del grissino è specialità tipicamente femminile, nel lasso di tempo che và dalle 12 e 30 e le 13. Osservare intorno per averne conferma. Il grissino si sgranocchia con gusto, in un momento di sbrano, come lo chiamano i miei figli, che lo yogurt delle 10 è lontano e i figlioli escono a rate dalle rispettive scuole, in un giovedì come questo, e del marito non si ha notizia, almeno se riederà per pranzo oppure no. Il grissino si gusta non già con gli incisivi, che fa troppo Lavinia Borromeo, ma di lato, di guancia, insomma. Per salvarsi in tempo, a casa, ci gusteremo (!) un meraviglioso finocchio scondito, a fettine sottilissime. E domani, doppia razione di aquagym. Un'unica raccomandazione è d'obbligo. A misfatto compiuto, spolverarsi con grazia e noncuranza: le briciole sul decolletèe, che volgarità.
25 aprile, 2006
Ode al Digestive.
E' di una rotondità oserei dire inquietante. Sublime, se tuffato nel latte. Sacrilego l'atto di spezzarlo in due per meglio intingerlo, ma si può ovviare allo sconsiderato inconveniente attrezzandosi per tempo con una tazza consona. Un mug, meglio. Esistono infatti biscotti da tazzina, da tazza da thè, da mug e da scodella, com'è noto, ormai. Il Digestive la fa da padrone delle dispense più attrezzate delle cuoche provette o aspiranti tali. Impareggiabile nella preparazione di cheescake di varie foggie, gusti e aromi. Non ultimo il lemon & chocolate, che mi ha permesso di fare una sfolgorante figura a una recente cena. Da provare. Risolve con brillantezza e ruvida eleganza, un pomeriggio di noia e trasporti degli infanti vari verso la città, meta cinema e feste di compleanno: un caffè molto macchiato, quasi un cappuccino senza schiuma, tiepido il giusto, conferirà a Sua Maestà il Biscotto una morbidezza impagabile e un sentore esotico che lo impreziosirà. Unico cruccio. Avvicinatevi con attenzione e dilpomazia al reparto biscotti. Il Digestive è solo quello McVitie's, l'unico, il solo. Esiste infatti in commercio una versione tarocca, per dirla con un termine tecnico, che fa finta di essere Lui, ma non ha la pomposa e altisonante dicitura By Appointmet to Her Majestic Queen Elizabeth II. Solo un numero del Servizio Consumatori. Una tristezza. Svelato l'arcano, o si compra il Vero e Solo, o, al limite, ripiegare sui Pavesini. Risparmiando in calorie.
16 marzo, 2006
Ode alla Macina.
La Macina è puro lusso.
La togli dalla biscottiera e già senti in sottofondo le note solenni e sottili de Il Gladiatore.
La Macina non si inzuppa, si "puccia".
Essa entra, sublime e perfetta nel latte puro, macchiato in qualche caso da una nuvola di caffè, sia esso solubile o espresso, nella fattispecie.
La Macina dà il meglio di sè medesima nella scodella, quella dei collegi, giammai nei mug. So di persone che perpetrano il rito in scialbe tazzine da caffè, ma non ne voglio parlare.
Con rara maestria, si individuerà nel tempo, i secondi necessari per darLe tripudio, non troppo croccante, non troppo molliccia. Questa frazione è nota agli adepti come Il Tempo della Macina.
La Macina è bipartisan.
Gira voce che Essa accomuni gli schieramenti, siano essi no global o sì global, cravattona o maglioncino, MontBlanc o TrattoPen.
E, di questi tempi, ben lo si sa, son soddisfazioni.
10 marzo, 2006
Il sofficino.
ll sofficino c'ha il suo perchè.
Odore di dicembre.
Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...
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C'era un libro, una volta, così intitolato. Mi pare fosse di Luca Goldoni, indagherò. Colgo l'occasione per spiegare. In realtà da s...
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La Casa in Collina, con tutti i suoi abitanti, era da sempre teatro di storie e leggende, di piccole e grandi tradizioni, qualcuna impara...