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08 aprile, 2009

E' il caso di dirlo?

Buona Pasqua, intendo. Ma buona di che? Ho comprato delle uova giorni fa, così, per una specie di tradizione, per vedere la sorpresa, perchè si fa così. Zero voglia di zero, di niente, di niente, di niente e di zero. Rende l'idea? Ci si recherà da qualche parte, le previsioni son così così, ma siamo incollati ai tg e alle notizie e i pensieri hanno un colore grigio che sa di magone ricacciato giù, per molte cose. Che giorni di tristezza assoluta, di inadeguatezza, di incapacità, di impotenza. Si fan chiacchiere con le amiche, ci si sforza un pò di dire scemenze per non perdere il giro, perchè altro non si può fare, perchè non trovi nemmeno una parola che serva e che sia utile e che ci stia bene. Per nessuno. Nè per qui vicino nè per là, lontano. Che Pasqua è mai questa, ma quali colombe e quali uova, e le campane e l'ulivo, e la Resurrezione, poi, ma andate a spiegarglielo voi.
Thanks to Little Cotton Rabbits.

03 aprile, 2009

Venerdì.

Ore strane, nelle case della collina. E' un venerdì di cielo vuoto, di pioggia che è lì lì per cadere, ma che non si sa bene se lo farà oppure no. Certo, è brutto. Più brutto, stavolta. Ci si concentrerà sulle cose da fare, che van fatte eccome, mica si può stare tappati in casa a cucinare l'impossibile come ieri mattina, quella torta profumata che ha riempito la cucina di un aroma di cannella e di zucchero, ma che profumo ha lo zucchero, sa di torta, ecco di cosa sa. Oggi è un oggi diverso, di un silenzio masticato, di una specie di convalescenza, da cosa poi, di un sonno ristoratore di mio figlio grande, che dorme e dorme dalle 9 di ieri sera, sul quale sonno ho vegliato, mille volte dalla porta socchiusa, si è addormentato di schianto, vestito, e sua sorella lo ha coperto, silenziosa e compunta, con la trapuntina di Bambi. Ho indovinato i suoi pensieri che uscivano dal respiro schiacciato sul cuscino, ho amato con una forza nuova quei suoi ricci scomposti, ho raccolto e piegato con cura il suo dolore, l'ho messo lì, accanto alle fotografie, ai bigliettini, alle cose. Ci penserà lui. E così come la mia mente rifiuta di elaborare un pensiero che ho fisso da giorni ma che non riesco a formulare, penso a quanto sia tutto così fatale e leggero ed evanescente, e strano e ridicolo, se ci pensi bene, e il destino e il caso e e il disegno che Qualcuno ha già tracciato per te e per i cari che hai, e allora ti chiedi a che serve, e alterni pensieri filosofici a DevoFareLaSpesa, e a quel pensiero, quel pensiero che non riesci a scacciare perchè non ha forma nè colore, ma che è lì, quel pensiero che ti segue come un'ombra me che ti giri di scatto e non vedi più, quel pensiero straziante che non hai il coraggio di dire a voce alta a nessuno nemmeno a te, figuriamoci a lui, ma che sai che sa e allora dormi, figlio, dormi qui, con la coperta di Bambi e i pantaloni da casa, veglio sul tuo sonno e sulla tua vita, con l'amore più grande che so e che posso perchè di piangere basta, ma di amarti, figlio, è tutto quello che posso fare.



31 marzo, 2009

La cura.

Perchè non si può continuare. Senza sosta. Perchè dopo un pò ti fanno male anche gli occhi e il petto, e la testa ti rimbomba e dici che basta, che bisogna fare altro, che non serve a nulla. E anche il tuo cervello vuole altri pensieri, che non siano gli stessi degli ultimi giorni. Così, si cerca di scappare un pò, è difficile ma ci si impegna, questa cosa ha scosso così tanto tutte le famiglie di qui, che è meno di un paese, una borgata, un piccolissimo quartiere, un cortile. Si è fatto il giro del villaggio, due volte, a vedere i fiori nuovi degli altri giardini, gli alberi fioriti. Poi, ci si è accoccolate nell'angolo più angolo del divano, quello più ambito, quello dove si può stare accartocciati o coricati o sghimbesci o dritti, senza muoversi di molto. E poi, si è cercato di impegnare la mente in qualcosa, si è messo duecento punti, forse di più, senza neppure contarli, con la lana viola e grigia regalo di Azzuka per il mio compleanno. Diventerà qualcosa, ancora non so cosa. I pensieri scivolano, si incastrano, si sovrappongono, un magone fisso che non se ne va. E mio figlio grande , questo nuovo figlio che incontro ora, dacchè mai l'ho visto così, e che spero di non trovare mai più nella vita, che mi dice cose che non immaginavo, cose da uomo, da saggio, da disperato, cose che mi fanno essere fiera e onorata di averlo fatto così com'è, io, che ringrazio il Cielo e prego Dio e che vorrei rubare un pò della sua angoscia per alleggerirgli il fardello che sta portando, e proteggerlo dal dolore che sente, lui e i suoi amici, sempre insieme, uniti. Intanto, faccio la maglia, trasformo questo gomitolo in qualcosa che non so, rintanata nell'angolo del divano, e penso ai fiori nuovi dei giardini del villaggio e al vento che ha scosso i rami dei ciliegi e ha fatto un tappeto di petali rosa e bianchi, così Alessandro e Andrea avranno una strada colorata dove passare.

30 marzo, 2009

Piangi.

Piangi. Sono qui, di fronte a te, è un'immagine strana, tu seduto alla tua sedia che abbracci me, in piedi e statica, di marmo e di gesso, tu con la faccia affondata nel mio maglione, dentro alla mia pancia, abbandonato, che singhiozzi e piangi e mi stringi e piangi. Lacrime che si mescolano, le tue e le mie. Che cosa sono le tue lacrime figlio, che cosa sono per me se non punte di spillo conficcate nelle mani, schegge di vetro a trapassarmi il cuore, da parte a parte, lame affilate. Che lacrime sono, disperate e impossibili da asciugare, da cancellare, a dirti, dai, passa, non è niente. Non si può. E’ un grande dolore, per te, sterminato, figlio, e lo è per me, ma il mio fa fatica a contenere il tuo, dolore su dolore, lacrime su lacrime. Che dolore è il tuo, il vostro, di questo gruppo che è nato insieme, nelle case sulla collina, tutte in fila, i giardini ordinati, i ciliegi fioriti, i cespugli gialli, i lampioni. Insieme, a parlare fino a tardi sulle panchine, a far gridare i vicini, le moto, il pallone sul piazzale, gli schiamazzi dei vostri anni intatti e meravigliosi. Tu ora piangi, figlio, e io madre sono di gesso e d’argilla, e ti stringo a me a raccoglierti, potessi farti volare in alto e riprenderti come da piccolo, potessi cullarti cantando piano e toglierti via dagli occhi questa disperazione, scavare come nella sabbia, ripulirti il viso e l’anima da questo strazio e da questo struggimento che mi confonde. E’ un dolore più grande, il tuo, alla tua età ancora non si è abituati a farci i conti, è un dolore più impossibile, più grande del mondo, un dolore rabbioso e ingiusto al quale niente e nessuno può dare sollievo. Ma io ci sono, sono qui figlio, stretta a te, tu stretto a me, lacrime su lacrime, dolore su dolore.

29 marzo, 2009

Senza titolo.

Questo blog rimane zitto e incredulo. Le parole che scriverei qui fanno male ad uscire. E i pensieri che fai fanno male anche se restano lì, se non li trasformi in parole.
Resta poco.
Due ragazzi morti stanotte, gli amici più cari di mio figlio grande, che ha passato la serata con loro e che all'andata era proprio su quell'auto.
La stessa che è finita fuori strada e li ha portati via.
E pensi e pensi, e non ti viene in mente niente e vedi tuo figlio disperato e non sai, non sai mai. Non sai.
Perchè si muore a vent'anni, nessuno lo sa.

01 marzo, 2009

Domenica di marzo.

E' così difficile. Si mescolano insieme, il dolore degli altri e il tuo. Due giorni di fiori, di singhiozzi, di incenso, di preghiere, di ricordi. E' così difficile consolare, te ne stai lì come una scema senza dire niente, abbracci, stringi, accarezzi piano, ma non serve, non serve mai. Se il dolore non è tuo più prossimo, anche se c'è, hai il privilegio e la lucidità di essere più forte, di poter dire faccio un caffè, di portare un torta che nessuno ci pensa mai a queste cose, andiamo un pò sul terrazzo, dai, a guardare il traffico che c'è di sotto, che ne so, qualunque cosa. E' così difficile. E si torna alle cose di sempre, la messa è finita e si va in pace. Si dormirà di un sonno di sasso, di sogni frastagliati e coloratissimi, con l'evidenziatore, quasi. E' la prima domenica di marzo, pioviggina, la tavola della colazione è ben apparecchiata, con le rose un pò passate ma ancora così belle che è peccato mortale buttarle via. Lo Sposo già sul pezzo, i figlioli dormienti, la Bruna Fidanzata essa pure, avvinghiata al Junior Ing., che s'ha da fare, le coppie moderne son fatte così. E' una domenica che ci si sente un pò convalescenti, un pò ammaccati, la tristezza pian piano evapora, diventerà malinconia sottile e poi se ne andrà del tutto, sovrastata dalle cose di ognuno. E' così che funziona, e meno male. E' una domenica in cui non si farà assolutamente nulla, si seguirannno ritmi oziosi e lentissimi, si farà un arrosto, forse, si sparecchierà, non è detto, una lavastoviglie, massì. Sarò tutt'uno col divano, mi sfonderò con mille pagine di Almudena Grandés, mi lambiccherò il cervello con Norah Gaughan, riordinerò per bene i miei gomitoli e il mio cassetto. E' scritto anche nelle istruzioni, dopo tutto quel che è stato, la prima domenica di marzo si vive così.

27 febbraio, 2009

Gira.

Gira il mondo gira nello spazio senza fine. E' questa la canzone che me lo ricorda, avevo due anni sì e no, eppure me la ricordo, così come il gelato da Rodolfo e le mattonelle bianche e nere del vicolo, l'aiuola di menta e quell'odore di salmastro, il mare era lì così vicino. Gira il mondo gira, girano le cose, la vita, sorrisi e lacrime, abbracci e abbandoni, baci e addii. E' un giorno triste, per la mia famiglia e per me, per la mia bionda zia che ha perso l'amore della sua vita, quello lottato, quello strappato, combattuto, e vinto, da quasi cinquant'anni accanto a lui. E' più di una vita e più di un amore, e noi da fuori, possiamo solo guardare, provare a immaginare. Non sapremo mai. Di quanto amore, di quanta infinita tenerezza, di quanti giorni e ore e minuti sono fatti tutti questi anni insieme. Viene da chiedersi cosa succede adesso, di quale solitudine, di quali lacrime, di quali singhiozzi disperati, silenziosi , di quali sguardi persi e lontani, quali giorni ci saranno e quali sere e quali minestre e quali risvegli e quando e come. Lui, ad ogni battesimo dei miei figli, ad ogni Comunione, ad ogni festa di quelle importanti, i suoi occhiali dorati, la sua borsa da medico, il suo passo da corsia. Lui, ora c'è e tra un attimo non c'è più e tu cerchi e cerchi e non lo trovi, chiami e non risponde, e nessuno di noi ha avuto il tempo di salutarlo per bene, e allora aspetta, prima di andare via, aspetta che ti canto una canzone ...gira il mondo gira nello spazio senza fine...

11 febbraio, 2009

Paura del vento.

Contro ogni più rosea e lucida previsione. Si stava così bene, da settimane, mesi oramai, e qualche magone e quelche tristeria ma così, così forte no, non più almeno. Si pensava che sì, forse se ne era davvero fuori, forse si era davvero un pò guariti ma guariti da che cosa poi, si crede forse che nessuno al mondo abbia le stesse cose, gli stessi sintomi, gli stessi assurdi pensieri, le stesse ansie e anche di più? E' un giorno di vento. Che mi piace sul mare e che non reggo in città, almeno, non questo, gelido, sferzante, mi piace il venticello di aprile che porta quassù il profumo del mare, dei fiori, dell'erba nuova. Di questo, ne ho paura. Così mi rintano nel luogo più segreto, e progetto e scrivo e lavoro, e il solo pensiero di uscire di casa mi fa rabbrividire, ma mica di freddo. Di quei brividi invisibili, che si hanno soltanto quando non trovi il senso a certe cose, quando ti senti che stai male ma non così male, quando non gira eppure è tutto a posto, quando hai la testa pesante e gli occhi stanchi e la faccia verdina, ma prendi gli antibiotici da una settimana, quello sarà. Questa è una di quelle volte che si catalogano alla voce Magoni, che a descriverli li sai bene, è poi a scacciarli che fai fatica, che hai inventato una quantità di similitudine per spiegarli agli altri, ma li spiegi agli altri per spiegarli a te, e allora i vetri e i chiodi, e questo senso di inadeguato e di imperfetto, e queste colpe che ci si dà ogni tanto, E' Colpa Mia, non puà esser che così. Questo è uno di quei casi in cui è meglio tacere, che è meglio stare immobili ed aspettare che passi, che è meglio andare avanti con ricercata lentezza per la propria strada,e non cercare ad ogni costo di riempirsi la testa con millecinquecento attività, ma fare il minimo che si può, come si può, al meglio che si può, catalogando il tutto alla voce Magoni, e alla fine dar la colpa al vento, che è meglio così.

03 febbraio, 2009

Regina del Silenzio.


Che strano, complicato aggeggio è la mente. I pensieri, le cose, si arrabattano nel cervello, giocano, si rotolano e si nascondono, fino a venir fuori quando proprio pensavi di non trovarli lì, quando credevi di non averli più o di non averli affatto, o a a dire, ma guarda un pò che cosa vado a pensare. Si parla di lei. Stamattina di più, a decidere,a condannare, a organizzare l'ennesimo viaggio verso il dove. Forse l'ultimo. Non ho pensieri in merito. O meglio sì, ho l'opinione fredda e calcolatrice di chi guarda da lontano, di chi non è coinvolto, se fossi io farei così, se succedesse a chi amo non so. Forse sarei così vigliacca o stolta o stupida o assassina o peccatrice ma non lo siamo tutti in fondo, e allora una giustifica collettiva, è quello che ci vuole, per nasconderci dietro alle opinioni, per dire, fra il tempo e i saldi, cosa faresti se. Lei sorride. Dalle foto che hanno i giornali e i tiggì, lei sorride, di un sorriso impossibile, bianchissimo e felice, che non ha più da molto. Chissà che vede e che sente, chissà che storie racconta e se ha ascoltato quelle che hanno raccontato a lei, chissà se sa. Chissà se sa che al di qua di dove è lei si cerca un posto per farla volare via, più in alto del dove di ora, nel persempre, se il persempre c'è. Non so che farei io, nè giudico nè pontifico nè sentenzio. Solo mi chiedo se. Se davvero lei preferirebbe quel silenzio di ora al silenzio di dopo, se la luce di dopo alla luce di ora. Luce sarà, nel paradiso che ognuno di noi si è disegnato apposta, a suo uso, per sè. Sorridi, Eluana, col tuo nome da fotoromanzo che nessuna madre darà mai alla sua piccola per non ricordare il tuo poco destino. Sorridi, e vola, e guarda giù, chi sceglie per te, chi stacca per te, chi decide per te, regina del sorriso immobile, regina delle storie non ascoltate, regina di luce nella Luce, regina del silenzio.

26 gennaio, 2009

La fata Turchina.

Ma che razza di giornata sarà mai, che razza di week end confuso e teso, bello, certo, si era tutti insieme, ma come un pò ammaccato, come la mela nel cesto, velato, da pensieri striscianti, nervosismi impercettibili, che ci si è adoperati tanto per nasconderli, ma che c'erano, eccome se c'erano, e che sono anche sfociati in urla, a tratti, prendendosela con questa o quella cosa banalissima. E' una vecchia tecnica, a volte funziona: si passa una mano di vernice sulle preoccupazioni, sui problemi così grandi, ma così grandi che non trovano spazio su uno stupido blog, e si fa di tutto per colorarli un pochino e galleggiare, per renderli più leggeri e un pò dimenticarsene, fare finta che non esistano, solo per un pò. Li accantoni, fai la scema, fai cose e cose, ma poi eccoti lì, in pigiama, seduta al bordo del letto, a guardare il dovunque, come schiacciata, a non sapere come e dove. E no che non è tutto un giardino di rose, gigli e pettirossi, no che non è la casa fatata degli elfi e degli gnomi, e no che non è tutto zucchero e miele e melassa e dolcetti. Saranno giorni pesanti e preoccupati, e avrò un peso sul cuore come da un pò non sentivo, e avrò da volteggiare e saltellare, squittire e canticchiare, perchè solo così galleggio, solo così non mi lascio andare, perchè "mi sono insegnata" a così fare per trovare la strada, io, fata Turchina di gomitoli e rose.

21 dicembre, 2008

Il bastone e la carota.

E non ci pensare. Non è mica niente, in fondo, Ma come, ancora non ti ci sei abituata? Sù, sù, via quella faccia da tonno in scatola, via quella'espressione da medusa, ma dove ce l'hanno gli occhi le meduse, qualcuno glieli ha mai visti? E' domenica pomeriggio, che siamo tutti qui e tutti insieme, dacchè il JuniorIng. è rientrato nella casa paterna dopo una mini vacanza di scialo con la sua IngegneraFrescaDiLaurea. Coraggio, coraggio, c'è la partita alla tv, le scuole chiuse e nessun compito per domani, è già vacanza di Natale, tra poco ti chiederanno una merenda, una cioccolata, forse, non fare quelle spalle curve e quel muso da scema, se proprio vuoi, puoi aprire un regalo, quello lì col fiocco bianco, viene mica Babbo Natale a controllare, no? E poi puoi sempre dire a tua discolpa, vedi, BabboNatale, avevo bisogno di tirarmi un pò sù non sapevo bene se ero arrabbiatissima o tristissima o immagonitissima o tutto insieme, e allora, lo so bene che si aspetta il 24, ma dai, non ho fatto nulla di male in fondo. Ma no che non ci si abitua, no che non serve a dire, Ma è Sempre Così, e allora smettila, smettila MaSmettila! come ti dice la tua Amica delle Perle, smettila di correre dietro, smettila di scodinzolare, smettila con questo entusiasmo scemo, smettila di aver già organizzato in 8 minuti una pranzo per 10 che non ci sarà, rimarremo noi, solo noi, noi e basta, che è meglio così, ma tu smettila, smettila, smettila. Ora, fatti una doccia, magari un bel thè con quella bella teiera a fiorellini viola che è un regalo di Natale e che ha resistito anche troppo sotto l'albero zen, che tanto si sapeva, che tanto è sempre così, e che giuro che non verso una lacrima, giuro che mi ci sono fatta una corrazza che lucido per bene ogni sera, e non pensate più a me, e fatte finta che sia sparita e con me tutti i miei, e allora e perciò, andate un pò tutti a farvi friggere. Meduse comprese.

19 dicembre, 2008

Zingari.

In fondo, lo siamo in pò tutti. Noi, però, di più. Noi che abitiamo la casa in collina, così aperta a mille amici, al caldo, nel morbido del divano, col fuoco, le chiacchiere, i ragazzi, le cose. Nessun parente. Un pò orfani, di nonni e di zii, di zie, anche, di quelle che al compleanno ti regalano il pigiama, che ti fanno il dolce la domenica pomeriggio, che si ricordano, le uniche, l'onomastico di tutti. Di nonne, il soldo per i dentini, la medaglietta del battesimo, di discorsi un pò lontani, a stupirsi sempre di come usano il computer, e di quella cosa con la musica che hanno nelle orecchie, nonne a scuola di telefonino, i finti rimproveri per i pantaloni scesi, per le gonne troppo corte, per quel filo di trucco. Noi no. Non abbiamo zii, non abbiamo nonni, e se ce li abbiamo è come non averli. Strano. Ho imparato a non pensarci troppo sù, pazienza, mi dico, ho provato e riprovato e sofferto come si soffre quando si chiede un affetto che, inspiegabile, non c'è. Ma a Natale, accidenti, com'è diverso. Che belli i miei Natali da ragazzina, la tovaglia ricamata e l'insalata russa, e mille cose e mille dolci e mille piatti, chi fa questo e chi fa quello, e a contare le dozzine di agnolotti in cucina, basteranno? e il panettiere che portava in bici il pane per 3 giorni, e io che arrotolavo per bene i tovaglioli, scrivevo i segnaposti coi pennarelli, facevo il centrotavola col Das e i rametti di pino e la neve finta e l'oro spruzzato e la candela rossa e la letterina sotto il tovagliolo e la poesia recitata in piedi sulla sedia, mio padre coi lucciconi. Un bel niente. O meglio, no, un bel tutto, siamo così tanti, noi qui, ma siamo noi e basta. Per uno strano meccanismo del destino noi siamo sempre solo noi. Noi troppi per invitarci, noi che abbiamo i nostri impegni, noi che poi i ragazzi escono e io che cosa faccio lì, noi che tanto non ci serve niente, che abbiamo tutto, che siamo qui, nella casa in collina, lontana da tutto e da tutti, così complicata da raggiungere, la nebbia, poi. Noi, che nessuno arriva con le pentole, che nessuno ci chiede Quanti Agnolotti Allora, che non stiliamo menù con nessuno, tu fai questo e io faccio quello, noi, che per non pensarci dobbiamo andare via, zingari nostro malgrado, bello, bellissimo, ma un pò triste, in realtà, noi, orfani di affetti di famiglia, noi, falange armata contro il mondo intero, noi, perfetti, lontani, in ogni caso, soli.

10 dicembre, 2008

L'altra vita.

Sono passata a salutarti, così, perchè ti ho visto dalla vetrina, che avevi lo sguardo perso di fuori, a guardare i passi della gente, la strada gelata, le cose di fuori, il niente. Ti ho abbracciata e ti ho stretta, non si chiede come stai a chi come te non ha più cuore per rispondere, che sorride e sorride, ma senza occhi a luccicare, come una stanchezza opaca, filtrata da un dolore sordo e così grande che si fa fatica a trasportare di qua e di là, e si cerca e si prova, come a spostare uno scoglio, ci hai mai provato? o a spingere la macchina con la marcia, che non si sposta, è ovvio. E' un dolore che conosco e che so, so perchè l'ho mescolato anche io, ci ho abitato anche io, mi ci sono addormentata e svegliata e lavata e vestita, accanto a lui. Per questo forse, questa cosa mi ha così stordito, e ci penso così spesso. Leggi Ancora le mie Fragole? No, mi dici smarrita, come a scusarti, Appartengono a Un'altra Vita. Che vita vivi adesso, che vuoto mescoli a colazione e fino a sera, che persa che sei, che cosa ti racconti e racconti alle tue figlie, che risposte trovi e dove. Il Cielo non ha ragione, qualche volta, e spara a caso, e sceglie senza una logica chi far piangere di più. sulla terra. Io non ho le parole giuste per te, anche se me ne sono raccontate tante, ero una ragazzina e mi ci vedo così tanto nella tua più grande. L'altra vita forse è giusto lasciarla Là, dov'è. E vivere questa, fino in fondo, a mangiare questa malinconia devastante fino all'ultima briciola, fino a quando a passare le mani sulla tovaglia non ne troverai più nemmeno una. Il dolore non si rimanda, si sbriga come una pratica pesante, subito. Durerà. Ma mi conforta quel tuo sorriso stanco, so che lo sai e che sei pronta. Non passerà, se passare vuol dire mandarlo via. Solo, non ti devasterà così come fa ora, non ti schiaccierà, ma ti sarà vicino, accanto, di lato. Non ci si abitua, ma ci si allena per farlo, per sempre, per tutta la vita. Io non avrei il coraggio che hai tu, la forza che hai tu, il rigore, la compostezza, la dignità. E non riesco a dirtelo perchè mi sale un magone che mi squassa e non è mai il luogo e il momento. Il Cielo spara a caso, è vero. Ma insieme alle lacrime manda una Luce, uno sguardo che accompagna e scalda, una presenza che senti e vedi solo tu. E allora diglielo, quando puoi, quando la Luce si fa più forte, diglielo che grande moglie che ha, e che grandi figliole. Ma tanto, dal Lì dov'è, ma sì che lo sa.

06 dicembre, 2008

Zucchero a velo.


Si posa piano sul cuore, o dove ancora non lo so. Come sulle pere al forno, sulla torta paradiso, Piano, pianissimo, a piccoli fiocchi, leggeri, indefiniti, nella dimensione e nel colore. La tristezza non ha colore, e forse non si chiama nemmeno così, non è l’ansia, che quella la conosco così bene che la potrei disegnare, così, a mano libera, senza nemmeno i quadretti, eccome se la so, se la conosco. No che non è ansia: quella ti piomba addosso come un sasso, come i blocchi della neve che si scioglie e che volano giù dal tetto e sbattono di colpo sul terrazzo, su divanetti colorati della primavera, sulla mia pianta di salvia che di certo morirà, che sciagurata, lasciare la salvia fuori nel vaso, con questo gelo, ma era così bello vederla lì davanti alla finestra. Questa che ho non è ansia, è più piccola e sottile, è polvere, quella che trovi sotto il letto dopo un giorno di vento, sottilissima, impalpabile, coma cipria, borotalco senza profumo che ti cola giù, giù, fino in fondo allo stomaco e ti fa stare zitta e un po’ addormentata, ehi, ti svegli o no. E’ una malinconia romantica, nel senso più letterale del termine, troppo leggera per farti piangere davvero, ma per che cosa, poi, e troppo pesante per farti sorridere. Ti fa stare un po’ così, imbambolata, senza espressione e senza corrente, c’è qualcuno che ha staccato la spina, per caso?, triste di una malinconia soffice, malinconica di una tristezza che non traduci, che non sai, leggera eppure incomprensibile, e tu sei lì, a fare le cose di sempre, le stesse che ti rendevano allegra e ciarliera solo poche ore fa e che adesso ti fa dire, ma come, ma dove, ma quanto accidenti pesa questo stupido, inutile zucchero a velo.

19 ottobre, 2008

Ti abbraccio.

E no che non sono i biscotti, che non vengono mai, che è meglio comprarli, gli abbracci, a me i biscotti vengono male, non so. Sono gli abbracci quelli veri, quelli che adesso si mandano anche per telefono, ciaounabbraccio. Sono gli abbracci che passano dalle braccia, appunto, che partono dal cuore e ti fanno stringere chi hai davanti, dondolandola un pochino, coraggio che ce la farai, Mi Aiuterai? Certo che ti aiuterò, sarò qui vicina, mi dispiace di vederti così, Amica Delle Provette e di tante cose insieme, mi dispiace di sapere che sei così, perchè so bene come sei, come stai, che cosa provi. Gli abbracci scaldano, ti fanno bene, ti proteggono per un secondo, quando ti abbracciano socchiudi gli occhi e non guardi da nessuna parte, perciò per un secondo ti sembra di essere invisibile come i bambini che si nascondono dietro al tovagliolo e fanno cucù. E quando abbracci forse guardi nel vuoto, ci hai mai pensato, si possono fare due cose insieme ma abbracciare no, guardi un punto che non c'è, se ti chiedessero che cosa vedi diresti, niente, non vedo niente perchè non guardo niente, abbraccio e basta. E le cose che si dicono negli abbracci, le parole che non sente nessuno, quelle che si sciolgono nei maglioni e nelle sciarpe, sono parole segrete e soffocate, parole che si sentono appena ma che rimangono lì, così appiccicate, per giorni e giorni ancora. Abbraccio, questa amica del cuore che ha il cuore spaccato, la abbraccio perchè è triste, e ha bisogno di noi qui, in questa chiesa con l'organo silenzioso e l'odore di incenso. Noi, le tue amiche, siamo qui su queste sedie, un pò più dietro di te, che se ti volti ci vedi, con le parole soffocate che si dicono dentro agli abbracci e con gli abbracci più stretti, silenziosi e fermi, quelli che di parole non ne hanno nemmeno bisogno.

07 ottobre, 2008

Ciao.

E' un'ombra invisibile. Un peso impercettibile, presente. In un angolo, qualche volta, che sembra sparito, che sembra scolorito, che sembra solo ma non è. Che strani giochi fa, che sono anni che ti sforzi di ricordare e di mettere insieme, è passato così tanto tempo e le cose che che ti restano sono così poche, che hanno perso la luce lungo la strada, e ricordi sì, ma vorresti ricordare di più. Te ne è mancato il tempo. Di collezionare cose da ricordare, ecco, le metto lì, le riaprirò quando sarà il momento. Passano, i giorni e gli anni, e non è mica vero che passa, è sempre lì, a volte non lo ascolti, a volte, nemmeno te ne accorgi che c'è, e invece è lì, eccome. E ti rende così strana, più strana che triste, in realtà, a immaginare come sarebbe adesso se, e cosa farebbe adesso se, e coi nipoti e con me, e con mia madre e con mio marito, magari ci parlerebbe di calcio, di politica, di cose. Ma parlare coi se non è mica divertente, e sono così tanti anni che dico se e se e se, e non so nemmeno se oggi andrò al camposanto, forse domani, forse chissà, e se e se, se ascolto questa grande sconfinata malinconia, se ho poche cose di lui da ricordare e raccontare e sempre le stesse, se passeranno ancora mille anni e io ancora qui, intrattabile e strana, a pensare e immaginare e a dire ma quant'è che non sei qui papà.

17 agosto, 2008

Io non so.

Non so i misteri dell'alba. L'avvicendarsi del buio e della luce, della luna e del sole, le stelle, poi, non me le spiego da sempre. Non capisco, le correnti, le maree, le eclissi, i meccanismi, giganteschi o infinitesimali, le formule dei numeri, l'infinito, l'immenso, le cose. Se prego non so, se sto zitta non so, se volessi dire e non dire, se pensassi chissà, se succedesse a me, a mio marito e a me. Ho parole confuse proprio lì, ho silenzi e tristezza, ho pensieri per sua moglie e per le sue figlie. Ho il rammarico di non poterle abbracciare, per quel che servirebbe, di non poter dire, coraggio, di non poter fare niente, da qui, col pensiero che nemmeno da lì qualcosa si può fare. Improvviso e irrimediabile, insondabile e incomprensibile, come la magia della vita e il mistero della morte. Che cosa fare non lo so. Non farò niente, infatti. Ma tu Gianni, morire così...

29 luglio, 2008

Prego.


Sottovoce. Di sbieco. Prego che non so. Prego veloce, sgrano quel rosario che porto sempre con me, quello per cui le mie amiche mi prendono in giro, ma come, giri col rosario nella borsa, sei scema? Prego e basta. Prego coi lucciconi. Prego con un nodo qui che è da ieri sera. Prego senza smettere nemmeno per soffiarmi il naso. Prego. Perchè è l'unica cosa che posso fare. Ma tu, non mollare. Andrea, non mollare.

05 maggio, 2008

Un calcio nel culo.

E no che non è una giostra, peccato. E poi, avevo promesso, nessuna parolaccia scritta qui, e invece eccomi, sboccacciata, a chiamare le cose col loro nome e il suo vero nome è questo qua. Di quello che ho preso oggi, una notizia magnifica, di quelle che dici, come? proprio io? e un calcio nel didietro, come al solito,come sempre. Non che volessi frizzi e lazzi e banda e cose, e cicciccì e coccoccò, non ci sono abituata, non mi hanno abituato mai, e anche se qualche volta anche un abbraccio mi farebbe piacere, un brava, che ne so, un modo per farmi sentire un calore che ho perso, se mai ce l'ho avuto qualche volta, che si è dissolto come i profumi dei campioncini che trovi in fondo al cassetto del bagno. Sono grande, ma insomma, ho le cose che ho, cosa frigno come una lattante, cosa mi fa stare così male, adesso, cosa mi fa sentire adesso così triste e amareggiata e così come sto. Un altro calcio e quanti sono non lo so, che a contarli mi si incrociano gli occhi, e il cervello pure, da dove comincio, allora, che le mani non bastano e un foglietto nemmeno, a tenere il conto, non sono brava con i numeri, lo sanno anche i sassi. Di quella volta che, e quell'altra che e quell'altra ancora, poi. Triste a dirsi, triste a riceversi. Io sono quella che tanto fa lo stesso, io sono quella che in fondo devo pensare che è fatta così, io sono quella che cosa voglio, in fondo. Vorrei che mi dispiace, vorrei che resta dell'amaro, dopo, vorrei che mi chiedo ma perchè, il mio urlo nel telefono, sai mamma, questo e quello,e invece, invece niente, come se avessi detto stasera faccio la frittata, ah ecco. Che scema che sono che ancora non ho imparato, che scema, scema, scema che sono a voler raccontare le cose mie, ma se non racconto una cosa così! E questo che cos'è, se non un gioco al massacro, che cos'è se non un nodo qui in fondo al cuore, che cos'è se non un altro, chiamando le cose col loro nome, un altro, inspiegabile e dolorosissimo, calcio nel culo.

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...