01 marzo, 2009

Domenica di marzo.

E' così difficile. Si mescolano insieme, il dolore degli altri e il tuo. Due giorni di fiori, di singhiozzi, di incenso, di preghiere, di ricordi. E' così difficile consolare, te ne stai lì come una scema senza dire niente, abbracci, stringi, accarezzi piano, ma non serve, non serve mai. Se il dolore non è tuo più prossimo, anche se c'è, hai il privilegio e la lucidità di essere più forte, di poter dire faccio un caffè, di portare un torta che nessuno ci pensa mai a queste cose, andiamo un pò sul terrazzo, dai, a guardare il traffico che c'è di sotto, che ne so, qualunque cosa. E' così difficile. E si torna alle cose di sempre, la messa è finita e si va in pace. Si dormirà di un sonno di sasso, di sogni frastagliati e coloratissimi, con l'evidenziatore, quasi. E' la prima domenica di marzo, pioviggina, la tavola della colazione è ben apparecchiata, con le rose un pò passate ma ancora così belle che è peccato mortale buttarle via. Lo Sposo già sul pezzo, i figlioli dormienti, la Bruna Fidanzata essa pure, avvinghiata al Junior Ing., che s'ha da fare, le coppie moderne son fatte così. E' una domenica che ci si sente un pò convalescenti, un pò ammaccati, la tristezza pian piano evapora, diventerà malinconia sottile e poi se ne andrà del tutto, sovrastata dalle cose di ognuno. E' così che funziona, e meno male. E' una domenica in cui non si farà assolutamente nulla, si seguirannno ritmi oziosi e lentissimi, si farà un arrosto, forse, si sparecchierà, non è detto, una lavastoviglie, massì. Sarò tutt'uno col divano, mi sfonderò con mille pagine di Almudena Grandés, mi lambiccherò il cervello con Norah Gaughan, riordinerò per bene i miei gomitoli e il mio cassetto. E' scritto anche nelle istruzioni, dopo tutto quel che è stato, la prima domenica di marzo si vive così.

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