24 ottobre, 2006

Il frullatore.



Non è mistero. Vorrei comprarmi un frullatore nuovo. O un robot da cucina o un impastatore o uno modello Alì Babà che faccia tutte queste cose insieme e che all’occorrenza dia anche il bianco alle pareti e stiri i fazzoletti. Lo desidero. Ne ho bisogno. E già sto facendo qualche giro di ricognizione e raccolta informazioni presso le mie amiche, più addentre, ancora per poco, bellezze, all’affascinante universo della cucina home made. Quello che non volevo era, nel frullatore, di finirci io. E’ quanto mi è successo questa mattina. Capita che uno si sia svegliato in una qualunque mattina a scelta, si sia fatto una bella doccia rigenerante e preparatoria, e lì, sotto il getto trepidino, avesse ripassato mentalmente tutte le cose, non poche, signora mia, non poche, da portare a termine non già nell’intera giornata ma nell’ancor più breve lasso di tempo che copre la sola mattinata. In linea di massima non erano le solite 15 da compiere entro la una, diciamo soltanto sei. Peccato che, alle ore 8 e 40 erano già diventate quarantacinque. Nessuna preventivata, nessuna preparata. Bel colpo. Sicuramente c’è di peggio, la miniera, per esempio, o le piantagioni di cotone. Però, arrivate le 13 uno si chiede se e come arriverà all’ora di cena. Ci si consolerà. Del fatto che l’attività rende scattanti e pimpanti, tonifica chiappe e cervello, non permette ai neuroni di addormentarsi sbadigliando annoiati. E poi, comunque, la doccia di stamattina a qualcosa è servita. Saremo pure state frullate dagli eventi non previsti, avremo fatto la spesa a razzo che è finito il detersivo della lavastoviglie e non se ne era accorto nessuno, saremo anche andate a sentire dai professori del liceo che il tuo figliolo, miracolo, sembra aver messo la testa a posto, e tu non hai avuto cuore di chiedere se per caso si stessero confondendo, avremo gestito 3 o 4 grane noiosissime, ma avremo fatto tutto ciò e un centinaio di altre corbellerie, avvolte in un aurea di frutti di bosco che ci ha reso invitanti e appetitose come un cesto di more di gelso. Che, se ci annusiamo il braccio, un po’ si sente ancora. Cose da non credere.

22 ottobre, 2006

Lo sbrego.


Molte le disavventure che possono accadere a un motorino. Per cominciare, si può graffiare. Succede, non si son prese bene le misure, ed ecco fatto, un bello sbrego sul parafango. Il discorso si complica quando dal motorino si cade, e lo sbrego magari ce l'hai sul gomito o sulla gamba, che la fai lunga e tragica, e mi fai gli occhi da Bambi, che grande come sei hai ancora bisogno di sentirti dire che non ti verrà il tetano perchè sei vaccinato fino al 2015, che è un graffio da niente e che l'acqua ossigenata non brucia. Lo so come sei. La terza opzione, invece, è la più grave. Lo sbrego c'è, eccome, ma non si vede. Ed è quando il motorino, dannazione, te lo rubano. E' successo ieri sera. Hai svegliato tuo padre e me quando sei tornato dalla festa, era lì e non c'è più, l'avevo chiuso, e c'era anche il casco dentro alla sella. Smarrito, spaventato, deluso, ferito. Quello sbrego, lo capisco. Sono quelli fatti proprio lì, in un punto esatto, fra l'anima e il cuore, che si nutrono di rabbia e di delusione cocente, e non ci credi e ti chiedi ma perchè, non era nuovissimo ma tu ci tenevi così tanto, il passaporto per essere autonomo, per quanto si possa esserlo a sedici anni. Se sapessi chi è stato, Pietro, lo picchierei, giuro. Due schiaffi, così, diritto e rovecio, quelli col sonoro, a mano piena, sciaf! Non sono il tipo di madre che vi vuole protetti e transennati, so per certo che le cose della vita, le più sgradevoli, fanno crescere migliori. Ma prego che ti succedano solo cose che io, madre, riesca a spiegarti, a darti una ragione, un senso. E questo, spiegarti non so. Quel che vorrei è che tu non ti lasciassi prendere e che tutto questo ti passasse sopra e di lato e che ti lasciasse così, felice e intatto come sei ora, bello e dannato, romantico e disincantato, musone e irresistibile, così come sei. Il mondo, anima mia, non è propriamente quello che ho apparecchiato e che vorrei per te. Ti deluderà, ti tradirà, ti esalterà, certo, ma mille altre volte ti stupirà per la sua bellezza, la sua stranezza, la sua cattiveria, la sua incredibile malvagità. Ti farà innamorare e ti ferirà. Ma tu, tu non fermarti. Non perderti, mai, cùciti le tasche per non smarrire i tuoi sogni lungo la strada, tienili così, lucidi e perfetti, anche quando tutto il mondo cercherà di strapparteli di mano. Fa di ogni delusione, di ogni dolore, piccolo o grande che sia, di ogni sbrego come quello di oggi, una lezione, una biglia colorata, un modo un pò brutale per diventare un pò più grande, ogni giorno un pò. E quando questo, fra mille anni, potrà esserti diventato insopportabile, tu torna, figlio, torna da me. Perchè non si è mai troppo grandi, troppo forti e troppo cresciuti per non volersi sentir dire, ancora una volta, che è uno sbrego da nulla, che passa e che è soltanto acqua ossigenata. E che non brucia.

21 ottobre, 2006

Satisfaction.

Viene da stringermi la mano e darmi una bella pacca sulla spalla e dirmi ma brava da sola. Complimentoni, vividi e sinceri, i più cari a formularsi. Per la prima volta nella mia vita, l’ho fatto. Ebbene sì, via le paure, il timore di non essere all’altezza, la confusione tipica di queste vicende. L’ho fatto, sì, e me ne vanto. L’ho fatto e anche in scioltezza, senza sbagliare. Ho assemblato per la prima volta un mobile Ikea. Anzi, due. Una libreria e un tavolo. Sto allestendo il sottotetto, trasformandolo in un delizioso studio per me medesima. Solo mio. Riceverò i ragazzi e il mio sposo ad ore prestabilite, che potranno facilmente annotarsi leggendo il cartello affisso sulla porta scorrevole nuova di zecca. Quel che un tempo era denominata l’avulsa Camera del Disordine, dove si poteva giocare, imbrattarsi di tempera e scrivere sui muri, è diventato, col pomposo nome di studiolo, alternato ai più plebei loggione o piccionaia, un luogo di culto. Ripulito per bene, accatastati con ordine i quaderni finiti, buttati i giochi rotti, i mazzi di carte incompleti, le bambole senza un occhio. Arredato con sobria essenzialità, non superato il budget di euro 100, con quel suo tetto spiovente ha davvero un fascino bohémien. Ivi leggerò, ricamerò, sono già sul natalizio, signora mia, di questi tempi è meglio portarsi avanti, rifletterò sulle umane sciagure, mi ritirerò dopo una giornata da rodeo, in mistico silenzio, mediterò acquisti sconnessi di articoli di abbigliamento e/o accessori, scartabellerò le riviste di moda alla ricerca del prossimo trofeo. Un'isola, insomma. Qualcosa mi dice che questo luogo rimarrà esclusivo per giorni 1, dopodichè tutti verranno a farmi visita. In effetti, non sono molto distante dal resto della casa. La camera dei ragazzi dista cm.23, quindi non è propriamente un luogo isolato. Tutt’altro. Ma averlo è già gran cosa. Aver montato tutto da sola, poi, mi fa sentire una specie di Zaha Hadid di noialtri. Io, la cui avversione alla precisione è nota al globo, maneggiavo con destrezza e rara maestria cacciaviti a stella e brugole, viti e rondelle. Il mondo del bricolage non ha più segreti per me. Di stucco il mio sposo, oramai sono lanciata sulla via dell’architettura e della minuteria. Resta solo un quesito. Dove occultare la manciata di viti che ho avanzato. Ma a questo, penserò poi.

***** FOTOGRAFIA HEADER *****

Quello che cerco.



Gli amici. Bella questione. Ho molti amici, ho pochi amici, non ho nessun amico. Gli amici sono rari. Inesistenti, forse. O meglio, esistono solo nella definizione personale che ne dà, ognuno di noi., e cambiano, nel tempo. Gli amici di scuola, che mi piacerebbe tanto sapere che fine ha fatto la mia compagna delle elementari, quella con gli occhiali spessi e la coda riccia, che portava fasci di rose alla maestra ed era svenuta dalla paura per fare la vaccinazione antitubercolina, quella che ti lasciava i quattro puntini sul braccio, che io dicevo con un nome così buffo ma come farà a fare male. E poi alle medie, quello carino della 3^I, i pionieri che facevano inglese al posto di francese, che mi mandava i bigliettini chiusi con lo spaghino, come piccole pergamene e che aveva confessato alla professoressa di matematica di volermi sposare. Gli amici lontani, che non vedi mai, ma che basta fare un numero e sentirli ancora lì, adesso, con figli e mogli e mariti e cose, ma sempre vicini alla tua vita, anche se tortuosa, cambiata, complicata, ma loro no, hanno assistito a tutto, hanno pianto e riso, e sanno tutto e non occorre riassumere, ricordano, comprendono, ascoltano. Gli amici persi, quelli che le strade si sono divise, ma come mai, eravamo così simili, facevamo le stesse cose e si stava così bene insieme e poi è bastato un niente e si sono dileguati, ma sei sicura, forse sei stata tu a indicare la strada perché se ne potessero andare via. Capita che nel mondo si faccia un pezzo di strada insieme e poi uno prende per il bosco e l’altro per il mare. Amici di convenienza, di rappresentanza, e di tornaconto. Non conosco il genere, mi spiace. Amici cari. Quelli che vorresti avere seduti accanto al cinema, in aereo e in autobus, quelli con cui chiacchierare delle cose che ti passano per la testa, quelli che chiami quando hai un nodo in gola che proprio non và giù, quelli che stimi, quelli che sono da sempre tenutari dei tuoi segreti, dei tuoi pensieri e dei tuoi guai. Dell’amicizia si è scritto così tanto. Che è un po’ come l’amore, in fondo, che non esiste, che è difficile da trovare, che si esaurisce, che cambia, che delude. Tutto vero, anzi no. Ho pochi amici. Facciamo, una decina? Cerco in loro tranquillità, una famiglia allargata giacchè la mia di origine è un po’ sparsa e scombinata, forse per questo non ho una famiglia ma un plotone, una falange armata dico spesso, che con altri plotoni e altre famiglie crea un piccolo clan, dove stare al caldo, non dover pensare prima di parlare, dove si può stare anche in silenzio e non dire nulla, dove si litiga qualche volta, dove si cucina insieme la domenica mattina. Un amico. Che ti racconta e ti ascolta e ti contraddice e un po’ ti riprende, laddove necessita, e ti spiega senza saccenza e non ostenta una serenità che non ha, e che ti dice sono nei guai sapendo di non trovare un ghigno sornione e beffardo ma una preoccupazione sincera, forse un aiuto, certamente una parola. E non si risente se non chiami da tre giorni, e non si offende se domani proprio del cinema non ne hai voglia, e accetta gli inviti anche all’ultimo secondo, ho cucinato per un reggimento, ci siete anche voi? Amo i miei amici di un affetto profondo e vivace, di una sincerità che si vede, li stimo, mi piacciono. Perché sono intelligenti e carini, perché fanno quasi sempre la cosa giusta al momento giusto, perché amano in blocco tutte le cose che sono, anche quelle sgradevoli, perchè mi conoscono a memoria. Lo stesso per me. Ecco, l’ennesimo trattato sull’amicizia. Ma ci pensavo da un po’. E se dopo una cena insieme di chiacchiere ed esercizi di cucina, passando sul divano che è quasi mezzanotte e si continua a parlare, vi capiterà di addormentarvi di schianto coi vostri ospiti ancora lì, tranquilli. Un vero amico non lo racconterà. Al massimo, inizierà a parlare sottovoce. Per non svegliarvi.

20 ottobre, 2006

Week end fra le lenzuola.


Potrebbe essere il titolo di una serie televisiva. O di un film piccante. Ma niente di piccante e torbido c'è in questa mia decisione. Le idee malsane arrivano quando meno te le aspetti, improvvise, come la puntura di una zanzara. Sei lì che fai altro e zac!, magari cercavi una federa che non trovavi o una copertina leggera nell'armadio della biancheria. E lì, rinvenendo una maglia che da secoli cercavi e cercavi, che hai chiesto al mondo intero se per caso l'avessi scordata da qualche parte, hai deciso che forse, quel luogo candido tanto più candido non era. Troppe mani mercenarie e straniere e incapaci ci avevano frugato ed era ben meglio dargli una sistemata. Mi sto mettendo un ginepraio, lo so. Ma l'armadio di casa mia, quello adibito alla custodia del corredo nuziale (!), dei lenzuolini dei bambini, dei copripiumoni, delle coperte di pile, delle trapunte, sembrava, ieri sera, un bazar di Ouarzazate. Cinture di accappatoi senza il loro padrone, guanti di lana, pantaloni di pigiama dati per smarriti (che a parte gli hotel, dove diavolo si possono perdere mai dei pantaloni di pigiama? Che il mio sposo, padre e compagno esemplare, abbia una storia torbida a mia insaputa? E se sì, consuma le sue nefandezze tutto a modino, portando con sè pure il pigiama?). Mah. Fatto sta ed è che la decisione è presa. Rimetterò ordine nelle lenzuola. Nell' armadio delle lenzuola, specifichiamo. Così, avrò le federe rosa con le lenzuola rosa, che sembra un'ovvietà e invece non la è per niente, non a casa mia, almeno. Sembra un lavoro da niente, ma so già che mi occuperà un bel pò. E qualche scatto di rabbia, nel constatare il disordine che vi regna sovrano. Però, un aspetto positivo lo troverò pure in questo frangente. Alla domanda "Come passi il week end?" risponderò con finta noncuranza "Fra le lenzuola". E avrò fatto, manco a dirlo, la mia aurea figura.

18 ottobre, 2006

Un regalo per lei.



Mi somiglia. Anche se ha gli occhi verdi di suo padre. Ma è me. Forse più precisa, più ordinata, più razionale. Ma vanesia e femminile. Nonostante l'improba convivenza. Scarpacce da calcio e ciabattine coi pinguini. T-shirt dalle scritte improponibili e pigiamini con Biancaneve. Cori da stadio e canzoncine tenere. Lei, resiste. Agli attacchi ai suoi pupazzi, alle volte che la sfiniscono di battute che forse non comprende, ride per educazione, di una risata d'oro e d'argento. E i disegni. A tonnellate. E i bigliettini sparsi, per me, lasciati nei miei cassetti, sul comodino, in bagno. Braccialetti coi campanelli, e fiori e stelle e cuoricini. Adoro di lei quel suo non scomporsi mai, di soffrire, ogni tanto, ma fare finta di no. E' di zucchero. Sa ascoltare, mi racconta i suoi sogni, mi chiede della mia scuola e com'ero io e che cosa facevo. E più di tutto, più spesso, mi chiede di quanto ami suo padre, di quanto sia contenta di averli, i suoi fratelli e lei. Li giustifica, quando escono sbattendo la porta, Avrà Preso un Brutto Voto, Mamma. Li adora, assolutamente, li vede grandi e bellissimi, e non rivela a nessuna fanciulla il loro numero di cellulare. E canticchia per la scala e salta la corda in salone e avvolge il gatto nella coperta. Dolcissima e spietata, poesiole tenerissime e sequele di parolacce, ove richieste. Vezzosa, le scarpe dorate, le maglie di Zara, i bagni lunghissimi, di vaniglia e borotalco. Dorme in un letto pieno di cuscini, glieli regalo ogni tanto, una piccola collezione. E ogni tanto, ricamo per lei. E' il cuore più vicino al mio, ci specchiamo insieme al mattino, e mi specchio in lei, ricordo i miei 9 anni, la bicicletta e il cortile, e vorrei per lei una vita di rosa e di meringa, soffice e luminosa, com'è lei. Questo che ho finito stasera è il mio ultimo regalo, la bustina per la tovaglietta della mensa. E avrei potuto scrivergli una frase di un suo cuscino, A Mother's Love Knows No End. Ma questo, anche in inglese, lo sa già.

Si và.


Risvegli alla moviola. Non ce la posso fare, non ce la posso fare. Eppure, ce la si fa sempre o quasi. Si comincia a tirar fuori dal letto un braccio e poi si sprofonda con la faccia sul cuscino per spremere ancora pochissimi secondi di pace perfetta, prima che inizi la sarabanda. Spremute, vitamine, colazioni, e su è giù per le scale, e le mie scarpe? e baci volanti sulla porta e grugniti e scatti e sbuffi e posso mettermi il lucidalabbra per andare a scuola? Spiegare che a scuola si và candide come angeli e soltanto a 18 anni compiuti, magari, al liceo, si potrà osare uno smaltino incolore e una passata di lucido, per adesso accontentiamoci del burrocacao, grande lusso, alla ciliegia. Le mattine a casa mia sono a metà tra una puntata di Zelig e una tragedia greca. Non so bene dove è meglio collocarsi. Comincia, ineluttabile, un'altra giornata di giri di giostra, di frullamenti vari, di impegni e di questioni da gestire, appuntamenti e vicende, piacevoli e meno. Si sopravviverà con grazia, inventandosi lì per lì, piccoli accorgimenti per tirarsi fuori, anche solo una mezz'ora. Chiamare, magari il Parrucchiere Famoso per un cambio di stile, non urgente, per carità, ma auspicabile, ogni tanto. Che di massaggi e palestra, cara la mia signora, non se ne ha mica il tempo, sa? Che le giornate dovrebbero essere di 30 ore, per riuscire a fare qualcosa anche per sè, non capita anche a lei? Così, ci si organizza. E si sfrutta l'attesa in piscina per chiacchiere rilassate, e qualche bonaria malignità, che male c'è. E si progetta un acquisto importante, un frullatore cosmico, magari, o uno stivale da combattimento. I pensieri aiutano, lo sanno tutti. Ma attenzione a non fantasticare ferme al semaforo. Il clacson dell'auto dietro vi scuoterà, riportandovi meste alla lista Things To do. E il gesto che vi verrà spontaneo, signore care, non è da voi. Per niente.

16 ottobre, 2006

Per amore e per forza.


Detto, fatto. Un invito per andare in barca a vela, quando da settimane in casa mia non si parla d’altro o quasi, che di Bavaria e Grand Soleil, e di piedi e di posti barca, beh, è stata una succulenta quanto gradita occasione per il mio sposo e me, anche perché ci si ritrovava a festeggiare il compleanno di un Amico di quelli che non se ne trovano tanti. Così, si parte. Affidata la figliolanza al figliolo universitario, dietro compenso, signora mia, al giorno d’oggi, nessuno fa niente per niente. Il mio sposo elettrizzato, io bardata come da manuale: scelta accurata della calzatura, un modellino argenteo Prada Luna Rossa, che famosa son per aver fatto una camminata in montagna con sandaletto a zeppa e top di seta. Stavolta non ho sbagliato, o quasi. Cerata e felpa in tinta, maglie a strati, occhiale giusto. Pronta. E’ inziato tutto nel migliore dei modi, andatura sciolta, vento discreto, mare un po’ agitato, in realtà, skipper rassicurante che schiudeva per me un mondo che ahimè, dovrò imparare a memoria. E cazza e lasca, e fiocco e randa, e via così. La foto documenta che mi sono messa al timone per, vediamo, un quarto d’ora? E ho provato l’ebbrezza di governare un veliero in mezzo al mare. Emozionante. Meta, l’isola di Bergeggi, dove si è data àncora e consumato un lauto pranzo a base di focaccia ligure, mandarini e pandolce genovese. Fin qui, la perfezione assoluta. Al ritorno, la catastrofe. Caratterialmente e contrariamente alle apparenze, la scrivente non è per le avventure estreme. Mi butto ma soffro in silenzio. Famosa è la scena di me che prego ad occhi chiusi quando, caricata a forza su un canotto, calcatomi in testa un orrendo caschetto e un giubbotto salvagente nemmeno di Gucci, mi hanno scapicollato giù dalla Dora Baltea a fare rafting. Non fa per me, che ci devo fare? 39 nodi di vento e mare incazzato. Io, raggelata dall’ansia, tutti ridevano e se la divertivano un mondo, io pensavo al mio divano e ai miei ricami e ai miei libri e ai miei figlioli abbandonati a casa, tristi, laceri e affamati. Fradici i miei bei jeans Parasuco, fradici i capelli, fradicia la felpa sotto la cerata, secchiate di acqua ogni 3 minuti, occhiali bagnati e inutili, acqua perfino nelle mutande, con licenza parlando. E mio marito al settimo cielo. Gulp. Mosso a compassione, il festeggiato ha ben pensato di porre fine al mio supplizio, che di penitenza ne avevo già fatta abbastanza, e ha riportato a terra me e la mia Amica della Pastiera, in preda a una leggera nausea e, forse, anche lei poco avvezza a simili avventure, anche se, va detto, più coraggiosa di me. Tesi. Non son fatta per la vita di Lupa di Mare. Non son fatta per la vela. Ci verrò, certo, per sincero e assoluto amore coniugale. Uscirò solo con mare piatto e bonaccia. Cucinerò per tutto l’equipaggio. Mi occuperò della cambusa e confezionerò dei parabordi all’uncinetto che sono un amore. Terrò lustri fiocco e randa, li stirerò, se necessario, avrete sempre in sottofondo musica chill out e profumo di incenso. Ma vi supplico, nella buriana no. O perlomeno, avvisatemi. Che così non mi faccio la messinpiega.

14 ottobre, 2006

Ode alla fetta biscottata.

Falsa. Fedifraga. Insulsa. Infingarda. Beffarda. Però, insostituibile, nel suo genere. La fetta biscottata, dopo la Multipla, l'Isola dei Famosi e George W.Bush, è il più grande inganno che mai posò piede, o briciola, sul globo terracqueo. Ha un bell'aspetto, nulla da eccepire. Quel suo quadrato elegante, un pò stondato in cima, che a vederla così diresti che è una fragrante fetta di plum cake appena tolto dal forno. Menzogna! La fetta biscottata è quanto di più insipido possa mai consumarsi, in un giorno qualunque, all'allegro desco della colazione domestica. Triste, direi. Ma obbligatoria, se si vuole cercare di seguire un regime alimentare povero di calorie,(scena con lei che ha il petto squassato dai singhiozzi). Si consuma, tuffandola mestamente nella tazza del latte, come un comune, succulento biscotto. La versione del tuffo nel thè và riservata unicamente in caso di influenza e/o mal di pancia, il che aggiunge un che di straziante all'intera questione in oggetto. Lei, la Cenerentola della dispensa, sopporterà in silenzio gli improperi a lei diretti. Vi ricambierà, facendosi trovare nello scaffale del supermercato, in mille versioni diverse, al farro, ai cereali, al malto d'orzo. E rimanendo, fragrante e croccante, fino all'ultima fetta, passando a pieni voti il crash test del volo mattutino del pacchetto dal tavolo. Attenderà, umile e silenziosa, con quella modestia un pò guerriera alla Lucia Mondella , il giorno del suo matrimonio. E allora sì, sarà il tripudio. Si ricoprirà di nutella, bene ai bordi e bene agli angoli, compiendo romantici ghirigori col cucchiaino, azzardando inedite opere d'arte, crema su fetta. Verrà portata in trionfo, da due dita soltanto, che la sorreggeranno con delicatezza, ai lati. E se la dolcezza paradisiaca che la ricopre, esonderà un pochino, niente panico. Si potrà, con un gesto furtivo, risucchiare con grazia proprio lì, dove l'ambrosia è caduta. L'avulsa Fetta Biscottata, maritata Ferrero, sarà felice. E voi con lei.

13 ottobre, 2006

Stasera.



Il venerdì, di solito, noi si riceve. Nel senso che, finito il delirio della settimana, è piacevole invitare gli amici e cucinare per loro. Magari qualche volta si prende una pizza e via, ma stasera mi sono dedicata con passione e devota cura alla preparazione di una cena coi controfiocchi. Il menù molto presto qui. Per il momento già la tavola a vederla mette allegria. Siamo tanti. Bella scoperta, siamo già in tanti noi medesimi e in condizioni normali. Se poi si invita una famigliona più o meno come la nostra, si fa presto a scambiare la nostra cucina per la mensa di una colonia. Ma che meraviglia. Si starà insieme, chiacchiere e un pò di gossip, delicato, appena appena. C'è un momento, però, prima di tutto questo, che ha qualcosa di affascinante e di magico insieme. E' la mezz'ora prima che gli ospiti arrivino. Si controlla la tavola, è tutto pronto, si appiattisce un tovagliolo con la mano, si controlla il forno, si allinenano bene le posate. Un piccolo regalo per gli amici che tra poco saranno qui. E una pace, silenziosa e soddisfatta, proprio lì, vicino al cuore. Bello davvero.

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...