16 ottobre, 2006

Per amore e per forza.


Detto, fatto. Un invito per andare in barca a vela, quando da settimane in casa mia non si parla d’altro o quasi, che di Bavaria e Grand Soleil, e di piedi e di posti barca, beh, è stata una succulenta quanto gradita occasione per il mio sposo e me, anche perché ci si ritrovava a festeggiare il compleanno di un Amico di quelli che non se ne trovano tanti. Così, si parte. Affidata la figliolanza al figliolo universitario, dietro compenso, signora mia, al giorno d’oggi, nessuno fa niente per niente. Il mio sposo elettrizzato, io bardata come da manuale: scelta accurata della calzatura, un modellino argenteo Prada Luna Rossa, che famosa son per aver fatto una camminata in montagna con sandaletto a zeppa e top di seta. Stavolta non ho sbagliato, o quasi. Cerata e felpa in tinta, maglie a strati, occhiale giusto. Pronta. E’ inziato tutto nel migliore dei modi, andatura sciolta, vento discreto, mare un po’ agitato, in realtà, skipper rassicurante che schiudeva per me un mondo che ahimè, dovrò imparare a memoria. E cazza e lasca, e fiocco e randa, e via così. La foto documenta che mi sono messa al timone per, vediamo, un quarto d’ora? E ho provato l’ebbrezza di governare un veliero in mezzo al mare. Emozionante. Meta, l’isola di Bergeggi, dove si è data àncora e consumato un lauto pranzo a base di focaccia ligure, mandarini e pandolce genovese. Fin qui, la perfezione assoluta. Al ritorno, la catastrofe. Caratterialmente e contrariamente alle apparenze, la scrivente non è per le avventure estreme. Mi butto ma soffro in silenzio. Famosa è la scena di me che prego ad occhi chiusi quando, caricata a forza su un canotto, calcatomi in testa un orrendo caschetto e un giubbotto salvagente nemmeno di Gucci, mi hanno scapicollato giù dalla Dora Baltea a fare rafting. Non fa per me, che ci devo fare? 39 nodi di vento e mare incazzato. Io, raggelata dall’ansia, tutti ridevano e se la divertivano un mondo, io pensavo al mio divano e ai miei ricami e ai miei libri e ai miei figlioli abbandonati a casa, tristi, laceri e affamati. Fradici i miei bei jeans Parasuco, fradici i capelli, fradicia la felpa sotto la cerata, secchiate di acqua ogni 3 minuti, occhiali bagnati e inutili, acqua perfino nelle mutande, con licenza parlando. E mio marito al settimo cielo. Gulp. Mosso a compassione, il festeggiato ha ben pensato di porre fine al mio supplizio, che di penitenza ne avevo già fatta abbastanza, e ha riportato a terra me e la mia Amica della Pastiera, in preda a una leggera nausea e, forse, anche lei poco avvezza a simili avventure, anche se, va detto, più coraggiosa di me. Tesi. Non son fatta per la vita di Lupa di Mare. Non son fatta per la vela. Ci verrò, certo, per sincero e assoluto amore coniugale. Uscirò solo con mare piatto e bonaccia. Cucinerò per tutto l’equipaggio. Mi occuperò della cambusa e confezionerò dei parabordi all’uncinetto che sono un amore. Terrò lustri fiocco e randa, li stirerò, se necessario, avrete sempre in sottofondo musica chill out e profumo di incenso. Ma vi supplico, nella buriana no. O perlomeno, avvisatemi. Che così non mi faccio la messinpiega.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Ma eri troppo carina imbronciata sulla barca. non c'è verso, la classe non è acqua, signora mia, e riesci a piacere anche quando non vorresti.

P.S. ti ho iscritta al corso. si parte mercoledì 15 novembre... e chi ci ferma più.

Un beso dalla tua amica della pastiera.

diamanterosa ha detto...

Tengo a precisare: il corso è di cucina, giammai di vela.:-) Grazie, infiniterrime.

Sandra ha detto...

Anche io, anche io!!!! Uff.. ;-)
diamantina mia... così mi piaci!
baci

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