04 febbraio, 2008

Quasi.



Non amo affatto il carnevale. Anzi, la trovo una questione così triste, ma così triste, e quasi forzata, e deprimente in un certo senso, no che non mi piace. Una quasi festa, i figlioli quasi tutti a casa, qualcuno sì, qualcuno no, una quasi vacanza, che quasi si poteva andare tutti al mare, ma così, a ranghi quasi completi non si è potuto e allora si è dormicchiato, beati, fin quasi alle 8, si è programmata una giornata di quasi riposo, quasi un week end lunghissimo insomma. Che prevede una serie di compiti quasi piacevoli, una spesa per le Regie Truppe, un giro al mercato, un film alla tv. No, decisamente non mi piace carnevale, nemmeno da piccola, credo, anche se ho ricordi di feste e di scorpacciate di coriandoli e di una batteria di pentolini vinta come miglior mascherina a un ballo, spagnola con mantiglia e nàcchere, mica pasta e fave. No, non amo carnevale. Le immagini dal Brasile mi danno la nausea, i carri di Viareggio mi mettono quasi malinconia, senza contare le maschere immobili di Venezia, quelle coi pizzi e che si tengono sù con la bacchetta, che trovo vagamente inquietanti e che mi mettono quasi paura. Ma. Se carnevale significa avere qualche figliolo a casa, che quasi stasera si può fare un pò tardi, poter disporre di due giorni quasi normali che son quasi vacanza, di far cose un pò insolite per due giorni quasi normali, allora, beh, in fondo in fondo non mi dispiace nemmeno e forse, un pochino, questa festa inventata e un pò fuori luogo mi fa quasi piacere, e quasi son contenta che ci sia, e quasi quasi forse al mare ci andrò sul serio, che quasi mi ci crogiolo in una vacanza regalata e quasi mi piace. Ho detto quasi.

02 febbraio, 2008

Just relax.


Ossì che ci vuole. Il sabato in questa casa è certamente il giorno che mi piace di più, forse anche il venerdì, è una bella gara, ma di sabato tutto acquista una sana mollitudine che non so spiegare, una lentezza che scalda, un dire, Ma sì, lo Faccio Dopo, o Non Lo Faccio Proprio, e non ci sono orari se non quello moooooolto elastico del catechismo della Princess, che magari per la prima volta quest'oggi andrà anche al cinema pomeridiano con le sue amiche. Qualche figliolo a scuola, qualcuno a casa, qualcuno che riederà dal Politecnico in giornata, mi pare, ma niente è sicuro, abbiamo notizie nebulose dal Giovane Holden, faccia un pò quel che ne ha voglia. La grande magia del sabato mattina, intorno alle 10, è che questo fine settimana si può programmare al secondo o non programmare affatto, dire, possiamo andare al mare o stare sul divano a guardare in sù, possiamo cucinare un pranzo a 8 stelle o fare i toast o scongelare una pizza, magari, un hamburger al volo, un'insalatina velocissima o fare gli gnocchi. E poi, possiamo truccarci come la Callas o stare in camicia da notte fino a quando ci va. Possiamo leggere quel libro o ricamare cuori o preparare una torta. Ci si sente liberi, padroni in un certo senso di questa giornata speciale, ecco, decido io tutto, se togliere le tazze o lasciarle lì, se accarezzare il gatto o guardare fuori o cambiare il colore della cucina. Si assapora ogni secondo, di questo ozio dorato, di questo niente che è quasi tutto, in fondo, che permette di dare uno stop alla frenesia della settimana, ai pensieri, ai pesi sulle spalle che qualche volta ti sembra proprio di avere una decina di Castiglioni Mariotti proprio lì, sparsi addosso, un pò sul collo e un pò sul cuore, e non hai mica tempo di scrollarteli, nemmeno la forza, se ne stanno lì, impilati e pesantissimi. Oggi si avrà tempo di tirarli via, di spolverarli magari, di toglierseli di dosso e di metterli, per un pò, nel mobile basso accanto al divano, sotto il tavolo, nasconderli sotto i cuscini o la coperta fatta da te, coi ferri n.25 che hai comprato a Londra, che è pesantissima e se ce li metti nemmeno si vedono, o fuori, sul terrazzo, che tanto pioviggina e un pò si sgualciranno e poi qualcuno, magari, nella notte passerà e li ruberà, così lunedì mattina, toh guarda, non ci saranno più.

01 febbraio, 2008

Eran seicento.


Ma quante sono. E quanto pesano, seicento fragole tutte in fila? Forse, nemmeno i miei fruttivendoli di Piazza Marconi, Sahid e Mohamed, ne hanno mai viste tutte insieme. Seicento. Fa un pò impressione a dirlo. Oggi festeggio seicento post sulle Fragole. E siccome mi va di festeggiare ogni cosa, quest'oggi, mi invento una serie di feste e festine da perderci la testa. Quindi, seicento Fragole. Seicento volte in cui sono venuta qui a raccontare qualcosa, di me o di chissà chi e che cosa, seicento volte che ho scelto un titolo, una foto, e ho passato quei dieci minuti netti a scrivere, scrivere, scrivere, dire e non dire, piagnucolare, lamentarmi come una donna media, esaltarmi per una scemenza stellare, andare in brodo per un nonnulla, giocare, anche, chi me lo impedisce. Spengo così seicento candeline. E oggi festeggerò anche una quantità veramente indegna di cose: è febbraio, tanto per cominciare, e meno male che gennaio ce lo siamo tolto di torno, davvero, non lo sopportavo più. E poi festeggio che oggi ho una borsa nuova, non nuova del negozio, nuova perchè ho cambiato, travasando l'immane confusione che regna da una all'altra. E poi, vediamo... ah sì, festeggio anche che oggi passerò all'autolavaggio, che voglio una macchina lucida lucida per questo febbraio. E festeggio che è venerdì, festeggio che ho ripassato con la PrinciZuccherino il Trentino Alto Adige. Festeggio i miei capelli lunghi, un campioncino di lucidalabbra trovato in giro per casa, festeggio che sì, che dai, che sì che me la sfango anche stavolta, festeggio i pettirossi del mio giardino, che oramai sono una decina, festeggio la Coccoina che ho comprato ieri, la moto del Maturando che è aggiustata, l'esame del Giovane Holden che ha preso 28. E festeggio il sorriso del mio Sposo, i riccioli del Piccolo Liceale, il libro che mi è arrivato questa mattina e mi sa che per tutte queste feste qui ci vuole una torta. Indecisa sul gusto? Mannò! Alle Fragole, per forza di cose. Ma...ce ne staranno seicento?

30 gennaio, 2008

Pronte?

Se pronte, si va. Ah, signora mia, lei non sa quanto può essere terapeutico un pomeriggio da Josephine a knittare e a contarsela, meglio di una massaggio ajurvedico, meglio di uno smalto blu inchiostro, un occhiale nuovissimo, una scarpa luccicosa, un soprabitino che abbiamo adocchiato e che addosso ci starebbe un amore. Orsù, dunque. Si rechi senza indugio, senza esitazione, senza remora alcuna
giovedì 7 febbraio
dalle 15 alle 19
sempre da Josephine
in Via Parma 10 - Alessandria
Le elenco brevemente cosa potrà trovare: un gruppo sempre più numeroso di donne e fanciulle, forse bambine, anche, perchè no, al seguito delle mamme, intente a fare le cose che piacciono di più, pizzi e merletti, sciarpe direi di no, che abbiamo già dato a profusione, ma so di qualcuna che contrabbanderà al mercato nero uno schema per un cappellino di cotone, quelli da spiaggia, quelli che, insieme alla cesta di paglia e al pareo fanno già vacanza, e non faccia la difficile, non guardi in sù adesso, che c'è un'ostrica nel cielo e a parlare di mare, vento e sabbia qualcuno potrebbe, non visto, chiamare il 118 e farmi internare. Suvvia, si rechi colà, nel tempo e nel modo stabilito. Un tazza di thè caldo non si nega a nessuno e nemmeno una chiacchiera innocente, una lezione improvvisata, una risata fragorosa, dopo le tristerie di questo zerootto che abbiamo imboccato a marcia indietro. Ma ci riprenderemo. E se colà troverà qualcuna con un occhiale nuovo di zecca, un'altra con una scarpa sberluccica, un'altra ancora con un soprabitino che è un amore e le mani laccate di blù, vorrà proprio dire che ha trovato la strada ed è nel posto giusto. E non scordi i ferri: sbadata com'è, non ci sarebbe da stupirsi.

Zitta.


Taci. Taci che è meglio. Taci, non hai mai imparato a tacere quando è il momento, scegli sempre l'attimo sbagliato, diplomatica neanche un pò, taci, che parli sempre a sproposito, che anche un monosillabo qualche volta può causare un'esplosione, taci e taci, che non si fa così. Taci, e rimani lì, con la testa sorretta dalla mano, con le briciole davanti, la tazza del latte a metà, il cane che implora un biscotto, tu, riflessa nella porta finestra, e oltra la finestra il giardino e oltre il giardino la collina e oltre la collina, chi lo sa. Zitta. Che lo sai che andrà tutto a posto e tutto si appianerà ma tu non sei fatta per aspettare, procrastinare, rimandare, tu affronti, decidi, fai e disfi. E allora, fai. Continua a fare le cose di sempre, a dispensare baci e rimproveri, sperimentare il pollo thailandese, ricamare i tuoi stupidi strofinacci, aggiungere nuove canzoni all'iPod, ripassare storia e provare poesie. E scrivi, scrivi le tue sciocche cose, chissà perchè lo fai, per difenderti o per accusarti, per capire o non capire affatto, per prendere tempo, ma tempo per cosa, non ti piace il tempo che passa, e a volte lo adori, sei la contraddizione che respira, la confusione in forma umana, vai, vai a farti una doccia e a lavare via tutto, vai e dimentica, vai e anestetìzzati con l'acqua bollente e il bagnoschiuma alla vaniglia, vai, che le cose intorno a te, che tu ti sbatta o no, che tu lo voglia o no, vanno avanti per la loro strada. Tu hai solo da stare lì, buona buona, e i pensieri cacciarli nello scarico della doccia, e continuare con le tue sciocche cose, gli strofinacci e le torte salate, le amiche e le questioni di ogni giorno ma zitta. Solo zitta.

29 gennaio, 2008

La frusta.


Ho un'amica. In realtà ne ho qualcuna, ma nessuna come questa qua. E' come ritagliata da una favola, è il mio alter ego ragionevole, calmo, razionale, organizzato, pacifico. Io arrivo trafelata e lei, con tranquillità stellare, mi snocciola lì tre o quattro soluzioni. Ti Aiuto Io, mi dice. E' di una bellezza un pò nordica, biondarella e occhio ceruleo, di trucco nemmeno l'ombra, a fatica si passa il gloss, e quanto abbiamo riso noi, e che vergogna lei, quando quell'estate l'abbiamo trasformata, zeppe e hot pants, lei che ha sempre le ballerine e il twin set. Insomma, la semplicità eccelsa fatta a persona. Gestisce una famiglia non semplicissima, come la gran parte delle mie amiche, come si dice, chi si somiglia ecc. E', insomma, il prototipo della serenità, della calma cosmica, del raziocinio assoluto, della precisione, della tradizione, dell'innocenza, oserei dire. E proprio perciò, quale non fu la mia sorpresa quando, alla domanda "Cosa hai comprato da Eataly?" lei mi rispose, con indifferenza e candore "Una frusta".
Orbene.
So di essere in un momento particolare del mio percorso terreno.
So di essere in un momento in cui ogni certezza viene, come dire, shakerata e messa sottosopra.
So di avere, alla data, un equilibrio psicofisico non proprio d'acciaio.
Ma.
Per prima cosa, da quando Eataly è diventato un luogo dove si acquistano in tutta scioltezza deliziosi oggettini sado-maso-naso-presi-a-caso?
Senza avvisarmi, perdipiù?
E questo sarebbe nulla.
Ma Lei, Lei, la Dea del Candore, della Semplicità, che a battute da osteria arrossisce sempre un pochino, Lei, cachemire e solitario, girocollo e tweed, rasoterra e foulard, proprio non ce la vedo in guaina di pelle, guepiére rosso fuoco, tacco a stiletto e rossetto Hydrarouge, che intrattiene col suo Illustre Sposo, in piedi sul davanzale della finestra, un incontro carnale a suon di scudisciate.
Attimi di panico.
Durati poco, fortunatamente. Lei mi ha rassicurato. La frusta in questione altro non era che una frusta per uso alimentare, un frullino per la cioccolata, di quelli extralarge, che le permettono di omogeneizzare per bene latte e cacao senza grumi, soprattutto per le grandi quantità.
Sospiro di sollievo. Non tanto per le scudisciate, in casa propria ognuno fa quel che vuole, ma proprio perchè Biancaneve e la frusta, quella frusta, sono un ossimoro niente male. Resta un dubbio. Per quale uso sconcertante e scellerato preparerà tonnellate e tonnellate di cioccolata?
Mah! Mi sa che Biancaneve cova un segreto.
E pure torbido.

28 gennaio, 2008

Alba rosa.

Spettacolare. Da fermarsi a guardare appoggiate al davanzale. Da voler fotografare, anche se è tardi ma che non trovo la macchina fotografica e stamattina sarà un delirio di avanti e indietro, perciò. Un'alba preziosa, un cielo strapazzato di rosini e violettini, mi ci farei una gonna con una stoffa così, un pareo, magari. Un cielo da dedicare. A chi stamattina si è svegliato con un sorriso, nonostante. A chi ha passato la domenica a catalogare, sistemare, suddividere, riordinare, e a fottersi chi dice che riordinare fuori vuol dire bisogno di ordine dentro di sè, che dentro di me va bene così tutto com'è, incasinato e ingarbugliato ma così. A chi ha saltato la colazione e a chi l'ha fatta coi fiocchi e i controfiocchi, chi con l'argenteria chi con le tazze sbeccate. Dedico quest'alba lucida a chi sente che è già un pò primavera, che il sole, il tiepidino e tutto il resto, a chi ha già voglia di mare e fa programmi e progetti e itinerari. A chi cambierà e a chi non cambierà affatto, e a chi sta cambiando adesso, cucina, borsa, città o fidanzato: i cambiamenti vanno presi piano piano, come una medicina che fa schifo, vanno sorseggiati come il Moet Chandon Imperial, vanno affettati sottili come la bresaola. Non esistono cambiamenti senza scossoni, senza nervosismi e senza scazzi, ma sì che lo posso dire, per una volta. E infine, dedico quest'alba confetto e violetta di Parma ai miei figlioli, che si abituino a guardare in sù quando si svegliano, perchè è dal cielo che si può scoprire come sarà il giorno che viene, e tutti i giorni in fila fanno la vita e che devono trovare in ogni singola mattina, in ogni singolissima colazione, in ogni volta che aprono la porta per uscire di casa, una cosa soltanto, almeno una, che sia gradevole e da sorridere, e profumata, anche, e brillante e un pò rosa, come questa mattina qua. La felicità è cosa semplice ma rara, banale eppur preziosa, nascosta, ben nascosta, tra le nuvole del cielo. Da guardare, rubare e custodire, sia di notte che di giorno, sia il rosa che le stelle. Dedicato a chi stamattina sa che non è male, che in fondo in fondo va tutto come deve andare e a chi alle sette e mezza o poco più si è incantato a guardare questo cielo. Come me.

24 gennaio, 2008

Il mio giorno fortunato.

Meglio di così! Ci sono quei giorni in cui sembra che tutti, quasi tutti, o meglio, una notevole percentuale degli abitanti di casa tua ce la metta tutta per farti sentire a tuo agio. Interno giorno, ora di pranzo. Il Liceale, il Piccolo Liceale, quello dai risultati più da Totip che da pagella scolastica, riede dal luogo di cultura. Che forse, andrebbe ben meglio in un luogo di coltura, che so, zappare patate, occuparsi degli ibridi di orchidee in Riviera, e cose del genere. Ma si resiste, sostiene che ce la farà. Insomma, Egli riede alla mensa casalinga. Avevo preparato con tutto l'amore del mondo un tortino di alici, che so bene che era la prima volta e che insomma, non che mi fosse proprio venuto granchè bene. Lui, annusa. Buono, Cos'é? Un Tortino di Alici. Ah, ecco. Beh, Mamma, Buono Ma Non Buonissimo. Sa, come Dire, di Porto. Ma Attenta, Non Di Porto Rafael, del Porto di Genova, Quello Sporco.
Soddisfazione n.1.
Che faccio, lo strangolo? o mi cimento a capire dove diavolo ho sbagliato nell'esecuzione della ricetta?
Ma, a ben pensarci, non è stata l'unica soddisfazione della giornata.
Mattino, circa le 11, passo per un saluto al mio Illustrissimo Sposo.
Come Sei Bella.
WOW.
E che Buon Odore.
DOPPIO WOW.
Sai di... bah, non si capisce. Anzi, sì, Ecco cos'è, sai di...ROSMARINO!
Balbetto. C-C-C-Cooooooosa?
Ros-ma-ri-no???!!
Ma come. Va bene che non ho il mio profumo solito, è un periodo che sperimento, mi soffermo in profumeria e spruzzo e annuso, annuso e spruzzo, per trovare un profumo che rispecchi il mio mood del momento, accantonato per un secondo il buon, caro, insostituibile, adorato Feu d'Issey. Ma giuro che non sono passata nè nell'orto nè da Vissani e che non mi sono affatto profumata con un rametto, non sono mica un arrosto, una polpetta, un'orata al cartoccio, una teglia di focaccia!
Gran giornata, non c'è che dire. Pietanza che sa di porto, non inteso come vino da meditazione, e allure da gastronomia, cucina casalinga, prezzi modici. Bel colpo.
Ma adesso, chi glielo dice a Beyoncè?

23 gennaio, 2008

Ho vinto qualche cosa.





O forse dovrei dire che sono stata nominata? Per il Make My Day Award, intendo. Dedico questa vittoria a...no, che non va bene. Ringrazio....beh, sì, qualcuno devo pure ringraziare. Gallina, Raffaella e Cat. Che mi hanno nominata. Che hanno pensato a me. Che passano quasi quotidianamente a frugare nel mio cestino di Fragole. E che magari un pò sorridono, un pò ci pensano e un pò si preoccupano, anche, ma che cosa avrà mai questa qua, questa mattina e poi mi dicono, lo sai, succede anche a me, uguale. Bene benissimo, grazie di questi awards. Grazie di leggere e di commentare, o anche solo guardare le figure, non importa. le cose che scrivo sono una specie di cura, per me, una pillola, venti gocce di un'ambrosia che calma, o dà una scossa, o scrolla o consola, accarezza o scuote forte, rimescola raccontando dei pezzi di cose, delle storie che proprio favole non sono, ma uno può decidere, sì che sono vere, no che non lo sono. Così.
E adesso, gli Awards li devo dare io.
La regola è che si deve decidere, insomma sì, chi sono quelli che vado a cercare ogni mattina, chi sono quelli che dico, ok, andiamo a vedere che cosa ha scritto stavolta, che sono due giorni che non ci vado e magari mi sono persa qualcosa.
Sono solo cinque.
I miei cinque premi, le mie cinque medaglie, le mie strette di mano e la pacca sulla spalla, i miei abbracci e le mie congratulazioni vivissime. Perchè cinque? Per lo stesso motivo per cui linko soltanto quelli che leggo veramente e non per fare scambi di cortesie, io linko te, tu linki me e la cosa mi fa tanto Mastella e non mi piace per niente.
So, vai con la base.
Sesto Poteredi Johann Rossi Mason (suona benissimo, non trovi?)
Un Tocco di Zenzero di Sandra Gourmet, che ne avrà già ricevuti una milionata, ma pazienza.
Fux, che la Franci mi telefona se appena sente a naso che c'è qualcosa che non va.
Patio Andaluz, ma del resto, con l'arrivo di Antonio il blog lo facciamo al telefono, tra una pappa e una passeggiata, che facciamo prima.
Calme et Cacao, alla mia amica parigina, che presto, presto, presto, mi sa che mi accompagnerà medesimamente a comprare i macaron da Ladurèe. Ma il passeggino sui Champs Elysèes lo spingo io, cocca.
In realtà ci sarebbe anche Adrenalina, e Knitaly e un altra mezza dozzina, ma allora, facciamo che consegno il Make my Day Awards a tutti i miei link e non se ne parli più.
E distinti saluti.
Ho finito.

Luna accesa.

Ma come, ancora lì? Eppure è già mattina fatta, sono le 7 e 34 e lei è ancora lì, tondissima e luminosa, affascinante, come sempre, ho scritto così tanto della luna che nemmeno me lo ricordo, forse dovrei cercare bene in tutte le Fragole, di quante cose le ho detto, di quanti pensieri le ho regalato, poca cosa, in confronto a tutti quelli che si sono alternati a scriverle odi, poesie, canzoni d'amore. Stamattina era lì, ancora . E' stato un regalo. Nonostante avessi i capelli bagnati e fossi schizzata fuori come al solito, le cose in mano, le chiavi trovate all'ultimo momento e un libro perso, e un 3 da firmare, stamattina tutti miei i figlioli da condurre a scuola. Mi è bastato guardare in sù, un cielo lucidissimo come di vetro, è stato il venticello di questa notte, lo sentivo, con gli occhi semichiusi, che sussurrava alle finestre, Coraggio, Domani Ci sarà Il Sole, niente nebbia e niente freddo e niente caligine sulla città, niente grigio che ti stende e ti fa sentire pesante e insopportabile. E col sole, Lei. Una palla di luce lattiginosa, è luna piena, questa volta, la luna dei desideri e delle storie d'amore, dei lupi solitari, la luna nel pozzo, la luna delle fate e degli gnomi, degli incantesimi e delle follie. Un gioiello del mattino, a strappare un sorriso leggero leggero, i capelli asciugheranno in fretta e pazienza se saranno elettrici e ballerini. Sarà un bel giorno, lo so già. Merito e magia di quella luce nel cielo, di quel sofficino, di quella lampada da notte sul comodino che Qualcuno stamattina ha dimenticato di spegnere.

22 gennaio, 2008

Il brodo.


Un pò brodo un pò champagne, si diceva. Manca la definizione per quel che ci sta in mezzo. Si prenda una giornata tranquilla, non troppe le incombenze, i figlioli a scuola tutti in fila, ma quanti sono, accidenti, e io che dispenso baci e merende e Stai Attento e Sei Un Fiore sulla porta domestica, in camicia da notte e calzettoni rosa, un'immagine non proprio da calendario, ma che stamattina quel che ho visto nello specchio diciamo, mi è piaciuto. La mia faccia, intendo. No, non sono brodo nè medusa, quest'oggi. Forse neanche aragosta, ma ci sto lavorando. E sorrido, un pò di più. Canticchio, anche. Saltello. Faccio i gradini a due a due. Che è un bel segno. Diverso da quando mi trascino, da quando caracollo invece di scendere, da quando sbuffo e sbatto le cose e urlo, o sto zittissima, che allora, è meglio che urli, và. No, che non sono brodo. Sono acqua tonica, chinotto, forse, sono una dei quindici al mondo cui piace il chinotto, i miei figli fanno le smorfie, Ma è Amaro, Mamma! e allora? A me piace, fine. Sono una tazza di thè tiepido all'arancia e cannella, il giusto di dolce e di spezia. Sono un bicchiere di Ferrarelle, nè liscia nè gasata, un cucchiaio di sciroppo per la tosse che non ho, una caramella alla menta forte, una Golia, di quelle con la carta. Sono un biscotto Digestive, una fetta di crostata, quella dalla ricetta segreta di sabato sera. Sono un vino da meditazione, oggi, un Passito di Pantelleria, quello da chiacchierarci per ore, da servire nei bicchierini della nonna. Poche bollicine, ma estro da vendere, fantasia, credo, voglia, per forza. Mi riprendo in fretta, sono capace di altissimi e bassissimi nel giro di una mezz'ora, magari. No, più ci penso e più mi dico, nè brodo nè medusa, confermo. Più di là che di qua, più verso il bello che verso il nuvoloso, più Shuttle che pattini a rotelle, più Parigi che Quarto Oggiaro, più Vuitton che bancarella dei cinesi, più sushi che tortellino. In brodo? Giammai!

21 gennaio, 2008

Medusa.


Molle. Mollissima. Non velenosa, quello no, non pizzico e non ùrtico. Ma son medusa, pensieri da medusa, cioè nessuno, slancio di medusa, cioè meno di zero, attività cerebrale da medusa, inesistente. Certo, faccio e rifaccio, corro di qui e di là, ma lo faccio per inerzia, ho ben paura. Una specie di calamita mi attira nei luoghi che devo frequentare, un navigatore invisibile mi guida nelle strade che devo percorrere, svolta a destra e hai raggiunto la meta. Ma di mio, c'è poco. Confido, nell'influenza che gira e gira, sarà quello, mi dico, ma non ho nemmeno la tosse, nè sternutisco, nè ho i brividi. Sono sana. Fisicamente. Mentalmente e psichicamente un pò di meno. Ogni tanto cerco. Di fare un progetto, niente di complicato, per carità, una tovaglia per la colazione, una Cena dei Cuori come quella volta, che ne so, la centesima sciarpa. Rimane tutto lì. La testa di una medusa non è granchè, non permette di formulare più di due pensieri alla volta, non molto spaziosa, rimane solo posto in piedi, come una volta nei cinema d'essai. La volontà di una medusa è ridotta al minimo, lei fluttua e vola nel profondo degli abissi, pizzica ogni tanto, incede con eleganza nel blu più blu del blu. Io, medusa del Monferrato, procedo a tentoni nella nebbia a banchi, cerco di darmi un tono, cucino e cucino, non ho abbastanza testa per leggere più di tre pagine per volta, mi inebrio col detersivo dei piatti al pompelmo rosa e spero in un qualcosa qualsiasi, che la shakerata dei giorni scorsi non ha sortito effetto alcuno. Passa, eccome se passa. Nel frattempo, ho chiamato Mago Merlino, si attende incantesimo, la formula magica, l'abracadabra che trasformerà una scialba medusa in una strepitosa aragosta. E se si sbaglia e divento vongola? O peggio, cozza? Brrrrrrr, meglio non pensarci. Ecco, i brividi, avevo ragione. E' influenza, niente di più.

18 gennaio, 2008

Shake!


Scròllati, ovvero. Dàtti una shakerata. Ripigliati. Non c'è tempo per niente, adesso, non c'è tempo, lo vedi?, tutto ti travolge se stai lì come una sogliola, ad aspettare, a commiserarti, a dirti che tutto è così storto e così triste, e la gente così insensibile e cattiva, qualche volta, e il Cielo, ah, il Cielo, possibile che per una volta non guardi giù, sul serio, possibile che ci sia davvero tutto questo soffrire e questo strazio e questi singhiozzi, e queste storie così gravi che nemmeno sembrano vere? Tu, dàtti un tono. Tìrati fuori, rìsollevati, ritorna ai blocchi di partenza, coraggio, non vedi, non vedi come le cose prendono subito un altro colore, se non stai lì, ferma e zitta, a piagnucolare come una scolaretta che non sa la lezione, no invece, la lezione la so eccome, l'ho studiata e la so a memoria, cantando, come le tabelline, come la poesia del Cinque Maggio e un'altra tonnellata di poesie, mi è sempre piaciuto studiare le poesia e memoria, e insegnarle ai miei figli, qualche volta ne dico qualcuna sottovoce, piano, però, e più lunghe sono e meglio è. E' una specie di terapia, una pastiglia, quando voglio concentrarmi su altro. Chi la cocaina, chi gli Inni Sacri di Manzoni, son cose così, che ci posso fare. La so, la so, questa lezione che non finisce mai, questo esercizio a casa, in questa scuola piena di troppe verifiche a sorpresa, come, non c'erano le programmate? i turni di interrogazione? avrei potuto studiare meglio, e invece no, devi studiare sempre e saperla sempre, ed essere sempre pronta e non impappinarti mai, e non pensare di copiare, perchè il programma è così vasto, e tu studia, studia e studia, che non c'è mai un ultimo anno, non c'è mai un vero esame, e poi sei promosso, no, ci sono esami tutti i giorni e tutti i giorni è più difficile, sempre più difficile. E per studiare ed essere bravi bisogna essere a posto, vivaci, pronti, brillanti, belli lucidi, e non schiacciati e spappolati e sciolti e squagliati. Coraggio, hop! hop!, niente è mai davvero come sembra, nemmeno tu, nemmeno nessuno, e non c'è molto da fare se non studiare e studiare, allenarsi a non piangere come una mammola, a non fermarsi e dire non ce la faccio, a non dirsi Non sono Brava in Queste Cose. Ci vuole un passo di danza, un respiro profondo, una passata di rimmel e un bel bicchiere d'acqua. Anzi, un bel cocktail. E ben shakerato, chetelodicoafare.

16 gennaio, 2008

Il nodo.

Mandi giù e mandi giù. Inghiotti, a più riprese. Cerchi anche di respirare, dal fondo, di quei sospiri che partono da giù in fondo, dalle scarpe, magari. La tristezza è una cosa che non governi. Come l'amore. Come la morte. E lo sanno tutti, non ci si deve lasciar prendere dalle cose, un amico che và via, un altro, un altro dolore e un altro vuoto, un'altra inspiegabile partenza improvvisa, per dove chissà e passando da dove, poi. Non piango, stavolta. Non piango perchè soffro piano, e in silenzio, non piango perchè non voglio che questo dolore che riguarda solo me, solo noi, mio marito e me, non si abbatta come un macigno sui miei figli e su questa casa, su questa azienda, come la chiamano tutti, su questa colonia, su questo piccolo universo dove ognuno ha un ruolo ben preciso. E io ho il ruolo del sorriso, delle merende e del calore, delle coperte della buonanotte e della serenità. Piangere è un lusso che non si deve e non si può. Non sempre, almeno.Ma è un dolore sordo e che non spiego, una nostalgia struggente, una serie di fotogrammi e diapositive che si sovrappongono e si sciolgono come cera. Che strazio è, che irrimediabile è, che ingiusto è, un uomo che muore. Ti lascia stordito e senza parole di nessun vocabolario e con troppe domande e nessuna risposta, e ti fa sentire in una tempesta, in una barca che non si governa, come la morte. Come l'amore.

15 gennaio, 2008

E baci.


E baci, sottili, di plastica e pioggia, di sale, di seta, di lana e taffetas. Baci, nascosti, rubati e in regalo, son baci di zucchero, un pò finti un pò veri, ma in fondo, che importa, son baci sinceri. E baci, a quintali, tre come a Parigi, tre le caravelle, tre i Magi dal Cielo, ma guarda, lo vedi? è zucchero a velo. I baci son Fragole, sospiri e risate, serissime e sceme, son come le fate, di sacro e profano, rossetti e magoni, bacini e bacioni a chi passa di qua. Un bacio negato è un peccato mortale, un bacio distratto sa anche far male, ma questi, che dolci!, veloci e fugaci,in fondo, se guardi, son solo dei Baci.

Niente paura.


E' un regalo del mio illustre Sposo. Che mi piacciano i pinguini, ormai, è risaputo al globo terraqueo, e non è tutta 'sta grande novità. Ma questo qui è un pinguino speciale, si nutre di musica e di coccole, balla e si muove se collegato al pc, e se ogni tanto si sente solo gli si deve dare una carezzina, schiacciandogli due volte il naso. Ci mancava il pinguino, mi viene spontaneo, ma l'ho adorato dal primo momento che l'ho visto. Dà una nota esotica alla confusione violacea del mio studio, lui, col suo rigore in bianco e nero, con quell'aspetto buffo e dinoccolato. Certo, è un delirio. Balla e balla sul mio scanner nuovo di zecca, muove la coda e le zampe e anche se non ha la bocca mi dice, Take it Easy, Baby. E niente paura. Niente paura se hai l'umore altalenante, se alterni momenti così diversi, brodo e champagne, cachemire e carta vetrata. Niente paura, è tutto sotto controllo, tutto così assurdamente tranquillo e monitorato e si sta bene, in fondo, dentro questo rigore, dentro questa caldissima semplicità, avvolti in questa coperta di certezze e di affetto, di amore e di tutte le cose che ci stanno in mezzo. Niente paura, siamo tutti qui. E ci sarà sempre per te chi ti ascolterà e che ascolterai, chi avrà il tempo di un caffè al volo e una chiacchiera piccantissima e innocente, come solo sanno essere le chiacchiere del mattino presto, molto prima delle 10. E un'amica che ti chiamerà, apposta per dirti che c'è qualcosa di viola, oggi in vetrina, anzi, di antico, (!) e che in fondo non vuol dire niente ma vuol dire così tanto a chi parla e ascolta anche col cuore. C'è un colore di pioggia, là fuori, un colore che non promette granchè di buono. C'è un pane fragrante in cucina, miliardi di progetti sul tavolo di vetro e lui, che balla e balla sullo scanner. Niente paura, niente paura, ci pensa la vita, mi han detto così. E da oggi, ci pensa anche il pinguino, mi sa.

14 gennaio, 2008

Rane nel cervello.


E' tutt'altro che una bella sensazione. Le rane nel cervello, famose in ogni dove per rendere assolutamente immota, stagnante e senza il minimo sussulto una giornata, meglio se di lunedì, ma non influisce, potrebbe anche essere mercoledì, in fondo. Le rane nel cervello sono quelle che ti fanno rispondere E' Uguale, ad ogni domanda che ti viene posta. TI fanno far le cose con un automatismo che non è il tuo, camminare nel gelo ciondolando, anche se spedita e un pò di fretta, strascinando ( lo so, non è italiano ma la s è un rafforzativo della vicenda) i piedi come se pesassero tonnellate, ed è tutto una fatica, ma una fatica, ma una fatica. Tutto dipende da loro, dalle rane che ti ballano nella testa, che si intrufolano nelle sinapsi cerebrali e saltano e gracidano e stanno lì con la loro faccia da rana, gli occhi falsi, e fanno in modo che da un polo all'altro della tua testolina le notizie e i comandi arrivino distorti o non arrivino affatto. Non si comunica, qui, Houston abbiamo un problema e non è mica di neuroni, son belli svegli e all'erta, ma è proprio questo fango, direi, queste sabbie mobili che ho in testa, questo stagno senza ninfee eleganti ed eteree ma solo acqua sporca e bottiglie di plastica, limaccioso e fangoso, che non mi permette quest'oggi di formulare un pensiero che abbia un senso, avere uno stimolo che sia uno, dare una scossa al mio encefalogramma che più piatto di così. Passa, ossiccerto che passa, verso sera, magari, cioè alle 4 quando è quasi buio e le rane vanno a dormire e la smetteranno. Mi consola pensare che in fondoinfondo,l'unico bel ragionamento che mi salta fuori oggi è il seguente: Meglio avere le rane nel cervello che un cervello da rana. Ma di ciò, signora cara, non sono nemmeno tanto sicura. Del cervello, intendo.

11 gennaio, 2008

Scarnebbia.


Che non piove, non nevica e non c'è la nebbia. O forse un pochino sì. Ma è quel tempo atmosferico che nessun colonnello saprebbe definire, di quelli, qualcuno in divisa, qualcuno col cravattone, che gesticolano come prestigiatori alla tv per far vedere le colline, il moto ondoso in aumento, i venti da nord, l'anticiclone delle Azzorre. Pioviggina, più o meno. Sul venditore di rose, abbracciati ai loro secchi e con lo sguardo perso, glieli comprerei tutti ogni mattina, quattro euro per un mazzo di rose un pò passate, ma di un bel colore aranciato rossastro. Pioviggina sui ridicoli cani coi cappottini e i guinzagli in tinta, sulle loro padrone più ridicole di loro, pioviggina sugli uomini assiepati davanti al Comune, che ogni volta ti fanno pensare che ci sia una manifestazione o che ne so, e invece no, stanno lì a chiacchierare e a niente fare, e a guardare la gente che passa e il tempo, anche, non quello atmosferico, stavolta. Pioviggina sulle luminarie ancora appese, sui saldi noiosi, sui negozi sfitti. E pioviggina su una me che conosco bene, quella che c'è quando la pratica è voluminosa, quando la vicenda si complica, quando il gioco si fa duro. La me di queste volte è quella che esce di casa senza spararsi fuori, quella che ci mette tutta la calma del mondo, la pazienza, la comprensione e la benevolenza. La me di queste volte è una donna precisa e inconsueta, una specie di giannizzero, un lanzichenecco laborioso ed operoso, un soldato semplice con mire da generale. Determinata e astuta come una faina. Organizzata quanto un furbo contrabbandiere macedone. Un pò fuori, ma forse è proprio questo che mi salva, ed è proprio su questo, su questo mio essere così assurdamente ridanciana ed incosciente e canterina e fatalista, che piove. Anzi pioviggina. Ma no, scarnebbia.

09 gennaio, 2008

L'ora del tè.


Una bella abitudine. O forse, solo voglia di qualcosa di diverso. Un rito, che so, un momento di pace, senza pensare a niente, apparentemente, soltanto, si guarda fuori dalla finestra, la collina un pò di panna un pò di farina. Si ha una serie di tè da scegliere, aromatici, classici, tradizionali ed esotici, verdi, bianchi e rossi. Proprio non si è resistito a comprare anche quello alla menta, ha un aroma forte, ma che ci fa.E il calore, poi, quello che senti abbracciando la tazza con le mani. Puoi stare lì, a guardare lo zucchero che si scioglie piano, mescolando per dieci minuti, anche, mentre la mente và fuori, si rotola nella neve, si inzàcchera nel prato fradicio di foglie, si alza a guardare in sù, il tempo basso, la nebbia fina. E poi, c'è la musica. Il cucchiaino sulle pareti, e il rumore della tazza sul piattino, sdling!, uno nota leggera ed elegante, complice, in un certo senso. Inebriante. Si può fare di tutto, davanti a una tazza di tè. Si può dire che freddo, e saremmo bugiardi, il freddo passa se bevi un tè, passa la tristezza e la tosse, e l'influenza, nel caso in cui. Si può leggere e chiacchierare, interrompendosi soltanto per un sorso, un sorso e un soffio, che bello è soffiare sul tè bollente, e un altro, ad ascoltare. Si possono fare progetti, litigare in qualche caso, spiegare una regola di inglese e ricamare. Sono giorni di casa, giorni un pò difficili, dove conti fino a diecicentomille, dove a volte ti sembra di farcela e altre volte invece no, ti ritagli via da tutto e inventi e scrivi, e cucini e ti concentri e ti dici, ma sì, ma sì che ce la faccio, chi ha mai detto che era facile. Così, ci si premia di cose, ci si fanno regali che prima non sapevi, e preziosi, davvero, si accudisce un pò di più questa casa in collina, ci si sentirà forti, più forti di prima, zucchero viola, please, e affidi i tuoi pensieri al tintinnare compunto e scivoloso che fa sul piattino la tazza del servizio buono.

08 gennaio, 2008

Il diavolo.

Ma no che non veste Prada, nossignore, non adesso, almeno. Che io non ami i primi giorni dell'anno non è del tutto vero, nutro per essi dei sentimenti alternati, di noia e sbadigli o di premonizioni di disastri di immani proporzioni, o di sfavillante, compulsa e convulsa iperattività, fiducia nel futuro e nel prossimo mio, o voglia irrefrenabile, qualche volta, di allestire un falò e di sistemarci, accuratamente s'intende, qualche personaggino non proprio adorabile. Gennaio và così. Stamattina mi sono presa un paio d'ore, la figliolanza allargata, oh yes, signora mia, qui i figli crescono come funghi, come dice? no, no, non scruti i miei vestiti in cerca di rotondità sospette, non sono mica Nicole Kidman, ho vinto un figlio nuovo, cresciutello e già svezzato, fanno cinque, madame, sì grazie, l'unica cosa che non mi deve dire è proprio Auguri e Figli Maschi. Sgrunt! Così, stamattina, regina incontrastata del focolare domestico, profumi e balocchi per meeeeeeeee! A Natale, qualche Anima Diabolica ha pensato bene di regalarmi un orpello che ancora non non aveva trovato posto nella mia collezione di trucchi: un eye liner e, per giunta, viola melanzana. La libidine. Ben si sa, io son maldestra, non sono usa a pasticciarmi gli occhi, se non con il divino, che non lascia traccia o quasi. Così, stamattina, presa da raptus, indecisa se rifare i letti o darmi un'aria glamour, non si sa mai, può arrivare una sventola di postino da un momento all'altro, certo, lo riconoscerei, suona sempre due volte, ma che ci vuoi fare....ho compiuto l'insano gesto. Autodidatta. Ho scoperto in me doti nascoste. E posso con candore affermare che niente, niente, nientissimo al mondo tira più sù il morale di questo coso qui. Modalità d'uso: tenere la mano ben ferma, allungare verso l'esterno la palpebra e tracciare con tenerezza una righina sottile, avendo cura di sgnàccare un pò di più (do you need translation?) quando ci si trova a metà del percorso, e poi di nuovo assottigliare. Più facile a dirsi che a farsi. Occhio da pantera, sguardo languiderrimo, un pò tangenziale, ma appena appena. Così, in questa immensità, in questo delirio di ansie e squinternamenti, ho rifatto i letti che sembravo Carla Bruni. Beh, quasi. Mancava solo Sarkozy. E le piramidi, ovvio.

07 gennaio, 2008

Ti racconto.


Hai gli occhi ancora non aperti del tutto, come lo sono gli occhi che ancora avrebbero dormito un pochino. Ma vuoi raccontare, vuoi dire, questa mattina di gelidissimo gennaio, che non si ha voglia ma che si deve, saltar fuori dal tepore sicuro del tuo letto alla vita di sempre, la scuola, il pianoforte, le tue amiche chiassose con cui balli nei corridoi, le coccole al gatto. Parliparli, le parole escono ancora avvolte da quella magia che ha la notte appena passata, rimbalzano senza rumore, come le palle di gommapiuma, bolle di sapone, fiocchi di neve. Eravamo in una casa ma non era la nostra casa e noi non eravamo noi, i miei fratelli erano più piccoli di così e c'era anche Margherita che era piccolina e tu mi avevi nascosto un cd e io volevo trovarlo, poi la torre di Londra suonava e io avevo fretta perchè dovevo andare a scuola e tu volevi giocare ancora ed era tardi, così poi mi sono svegliata, anzi no, aspetta, c'era anche che pioveva. Mi perdo, bambina, Mi perdo nel tuo racconto, nelle parole che mi hai regalato stamattina, senza neppure alzarti, dal tuo cuscino con la corona da principessa, coi tuoi pupazzi intorno e i tuoi cuscini e la faccia stropicciata e i capelli arruffati, e i tuoi occhi color dell'erba a primavera. Mi perdo nelle tue carezze incerte, nel tuo abbraccio piccolo, Ciao Mami, nella tenerezza che hanno tutti i tuoi risvegli. Mi perdo quando mi dici Ho Fatto Un Sogno, perchè i sogni, tu lo sai, sono le favole che i bambini raccontano ai grandi per farli sentire più sereni.

05 gennaio, 2008

La collezionista di.

Sciarpe, è già stato, tempo fa. E' presa un pò a tutti, questa febbre da sferruzzo, chi si sente imbranatissima, chi laureata cum laude come la scrivente, in fin dei conti, qualche volta un pochino ce la si deve anche tirare, eccheccavolo. Si produce, alacremente, si sperimentano punti e trecce e forme e ponpon, con quell'aggeggino trovato a Londra, si ricevono ordinazioni dalla PrinciOcchiDiBosco. In realtà, da lei e da lei soltanto. Sono fioccati i NoGrazie alla mia domanda Volete una Cuffia? Farà Freddo nei Prossimi Giorni, e sapete com'è, pure i Giorni della Merla, e il gelo dall'Atlantico. No Grazie. Davvero, magari per andar per mare, senza fiocco, lo faccio in un'ora scarsa. NoGrazie. E tu, per andare al Politecnico, col freddo che fa a Torino, puoi scegliere il colore, lo spessore, ho perfino due gomitoli di cachemere. NoGrazie. Così, sferruzzo e basta solo per noi due. La Princi e me medesima. Fors'anche ce ne scappasse una per il bambolotto. Abitanti di questa casa mi congratulo con voi. Ingrati. Fedifraghi. irrispettosi del lacvoro e della creatività altrui. E ignari delle tendenze, non già. Ormai, è tutto un tricottare, un dirittare e rovesciare, un knittare insomma, e voi, voi, privilegiati che potreste avere anche le mutande, con licenza parlando, fatte a tricot, ripetete come un mantra NoGrazie, NoGrazie. Ok. Le terrò per me. Terrò in caldo la mia frivola testolina, i miei pensieri più segreti, e anche quelli che segreti non lo sono nemmeno un pò, quelli che si fanno guardando per terra, quando si cammina senza una meta vera, quando si deve andare in un posto ma non si sa ancora dove, e si gira e si gira, o si è un pò in anticipo, o talmente in ritardo che correre sarebbe inutile e si guardano le vetrine senza vederle, e mentre si pensa e si pensa, e i pensieri, lo sanno anche i sassi, se non li tieni per bene, sono dei mariuoli veri e scappano fuori, salgono via, come la schiuma dello champagne, esondano dal cervello e volano via, volano e volano, così alti che non li acchiappi nemmeno a piangere greco, e allora, che storia è se i tuoi pensieri vanno via, vuol dire che non eri nemmeno degna di averli formulati, se non sei brava a tenerli, è proprio così difficile da capire? Un berretto sulla testa basterà. Staranno lì. Al caldo, anche, e rivestiti di colori molti glamour. Così, li avrò sempre con me. Anche stasera. Che mi dispiace che le vacanze di Natale siano così finite, che il gatto ha gradito la sabbia dorata del presepe, che domani bisognerà tutto sbaraccare, le luci, le stelline e i campanelli, e che non so bene come sto, non so nemmeno se sono in anticipo o in ritardo, ma tanto, che m'affanno a fare, correre non servirà.

04 gennaio, 2008

L'odore della neve.


Così nevica. Forte, a fiocchi piccolissimi che sembrano spolverati da qualche parte, un tappeto sbattuto, una tovaglia scrollata giù da una finestra in alto in alto, non regolari, non prevedibili, cadono giù come capita, senza un disegno vero, come hanno i fiocconi grossi, che nevica per una mezz'ora e poi smette. Apri la finestra, quella sugli alberi, sui pini appesantiti da tutto questo bianco, da questo gelido calore, ma come fa, è fredda eppure scalda, è il suo mistero, in fondo, la neve è un pò magica, fa tutto soffice, fa tutto bello, nasconde le cose e le trasforma. In meglio, credo. Mi piace camminare nella neve, non quella dove scii, ce n'è così tanta ed è scontata, no, mi piace quella di città, quella a sorpresa, quella che cade sulle cose che conosci a memoria, e te le ridà vestite di nuovo. La neve si respira, anche, se ti concentri capisci che ha un odore, un profumo di freddo e di cielo, in fondo è proprio da lì che viene, di cosa può sapere, se no. Sa di nuvole, sa di altissimo, sa di ghiaccio e di infinito. E respirandola ti spazza via i pensieri della notte, ti riempie l'anima di cosa non lo so ancora, forza, sembrerebbe, e entusiasmo, quello che metti in ogni cosa che fai, una per volta, è la tua filosofia, mai affrettarsi e mai preoccuparsi, non ti riesce mai bene, in realtà, ma cosa c'entra. Ci sono ancora tre giorni di calma assoluta, di figli dormienti, di vecchi film alla tv, di pranzi improvvisati, di coperta e divano. Tre giorni, tre episodi, tre regali impacchettati, tre rose d'inverno, preziose ed intatte, avvolte per bene da una soffice corona di neve.

03 gennaio, 2008

Frivolezze nella tormenta.

Da avere. E subito, anche. Un must per il 2008. Assolutamente irrinunciabile. Prima però, bisogna ben capirne il funzionamento e l'utilità. Grande spolvero ed enfasi ha dato Shu Uemura a questo aggeggino, anche nel film, o meglio nel gigantesco spot pubblicitario, che è stato Il Diavolo Veste Prada. Ho idee confuse a riguardo, sarà che sono in vacanzissima, sarà che siamo piacevolmente blindati a Villa Villacolle da una tempesta di neve che turbina e vola e imbianca e ci fa guardar fuori rabbirividendo e uscire sul terrazzo solo per sfamare Federico, sarà che si è tutti ancora in pigiama, qualcuno dormiente e che la scrivente nessuna voglia ha di cose serie. Tornando a lui, sfidate la tormenta e recatevi alla profumeria più vicina, se Milano in Via Brera, se Londra in Covent Garden, signora cara e scusate se è poco, da questo omino giapponese che ha appunto reinventato questo orpello: Il piegaciglia. Sissignora. Ora, il piegaciglia era assolutamente indispensabile negli anni diciamo 60, i tempi del Piper, insomma. Poi, è finito nel cestino, in fondo al cassetto, e nessuno se l'è più filato. Inutile dirlo, con rispetto parlando, io lo posseggo. Ma, ahimè, mi vedo costretta a confessare, qualcuno mi spieghi con precisione...a cosa serve? Io ho provato, davanti allo specchio, confrontando il prima e il dopo, ma le ciglia sono assolutamente identiche, sia senza che con. Con ciò non voglio asserire con noncuranza che la natura mi ha dotato di ciglia già di per se stesse curvate alla perfezione ma sono forse impedita e non faccio un uso proprio dell'aggeggio in questione. Si sa, son problemi da togliere il sonno. E in un giorno così, con la neve sulle lucine di Natale appese alle finestre, col camino che scoppietta e una certa buona dose di compiti di vacanze da imporre alla figliolanza, una minuscola sciocchezza ci voleva proprio. Senza contare che magari nel pomeriggio mi verrà proposta una passeggiata in collina, con piumino e berrettone di lana, per improvvisare una battaglia di palle di neve. Ci andrò eccome. Ma prima, avrò cura di piegarmi per benissimo le ciglia. Devo forse farmi insegnare da un giapponese come si ottiene uno sguardo da gattona?

02 gennaio, 2008

Rema.




Lo sapevo, lo sentivo, non so bene come. Ci sono cose che fai in automatico, come se un omino invisibile ti ci tirasse per la maglia, fai così. Così ti trovo, le parole non escono liquide come fai di solito, sono come di gesso, come impantanate e fanno fatica ad uscire. E quando escono, non sono da sole, ma insieme ed un pianto che sa di resa, di stanchezza infinita, di noncelafacciopiù, di risorse esaurite, di nessuna voglia di cercarne. Fermati, adesso, e trova il coraggio di vedere, di scoprire, di far sapere che adesso, quella che ha bisogno sei tu. Che anche le pile di Wonder Woman si esauriscono e vanno cambiate, che l'entusiasmo e la forza di crescere un figlio e accudire un marito e tutto il resto non si trovano propriamente nei banchi del mercato. Fermati, hai il raro dono dell'intelligenza, della forza, dell'ironia, giochi con le parole come con i Lego, come quando da bambine le rovesciavamo nel cortile. Ora, medica quel tuo cuore malandato e quella tua anima che troppe volte non hai avuto tempo di ascoltare. Ora, pensa un pò a te e a quello che sei, a quello che vuoi davvero, senza pensare che se ti fermi tu si ferma tutto il delicato ingranaggio che tiene sù una famiglia complicata come la tua. La magia delle donne è proprio quella di non smettere mai di remare, voga verso la nave, Spugna, voga verso la nave, il segreto delle donne è il sapersi inventare, a seconda delle volte, degli umori, delle situazioni, una specie di ricetta, un vestito nuovo, un nuovo trucco per sembrare più lucenti, un nuovo sorriso, una faccia nuova, un sospiro e via, il naso incipriato, i capelli spazzolati, una soffiata di naso. trova questo segreto, ti presto il mio, se vuoi, cercalo, adesso, da adesso. Da subito. E fa che niente e nessuno, Manu, ti facciano venir la voglia di smettere di remare.

31 dicembre, 2007

E così.


E' un anno, lo sai? un anno che passa, cancella, rimuove, scolora e sconquassa. Un anno di cose, profumi e canzoni, di vecchi rancori, di nuovi sorrisi, di lacrime, giochi, conquiste e sconfitte, di favole tristi, di storie sfacciate, eleganti, così, dicembre trentuno, che sembra di sabato ed è lunedì. Di spese e risate, di sonno e di veglia, biscotti, frittate, passato per caso, in un attimo o un secolo, mezz'ora e tre mesi, qualcuno di più. Di amiche che ho perso, e che invece ho trovato, di compiti e voti, di urla e di prediche, di sbuffi, di tuffi, di mare e di sole, di acqua gasata, granite e di thè. Ti chiamo, ti aspetto, ti abbraccio e ti bacio, auguri anche a casa, ma auguri di che? E pagine nuove son tutte da scrivere, l'agenda profuma di colla e cartone, si buttano cose, si cambia, domani, ma come si cambia in un giorno, così? Un anno banale o speciale, chissà, lì dietro la porta, domani sarà. Così, buoni buoni, si cresce un pochino, i miei desideri son quelli di tutti, le cose più semplici, chiare, perfette, è un anno rotondo, non vedi anche tu? Stasera, di fuochi, di brilli e di tacchi, di sete fruscianti, di cose così, un giorno qualunque, di ghiaccio e di brina, che sembra di sabato ed è lunedì.

30 dicembre, 2007

Holiday Breakfast.


Che silenzio c'è, questa mattina, in una cucina qualsiasi, in una casa qualsiasi sulla collina. Si scendono piano piano le scale, solo il ronzio della fontana del presepe, e il disordine caldo della sera prima davanti alla tv, una tazza per la camomilla, i regali scartati in ordine molto sparso sotto l'albero zen. Da sotto le scale, uno sposo assonnato e felice accoglierà con un abbraccio una sposa in pigiama, che lusso è stare in pigiama quanto si vuole, coi capelli arruffati, il sorriso stropicciato di chi avrebbe dormito ancora un pò, ma che si è alzato per non perdersi il silenzio della mattina. Si è apparecchiato con cura la sera prima, da sempre, oramai, si sparecchia la cena e si apparecchia la colazione, più natalizia, questa volta, i sottopiatti rossi, i biscotti preferiti accanto alle tazze di ciascuno, le vitamine, le arance, marmellate e cereali. Le vacanze di Natale hanno, in questa come in tutte le case, una specie di soffice magia, non è mica come le altre domeniche, questa qui, lo sanno tutti, e in viaggio certo non si può creare la stessa atmosfera. E' odore di casa. Di caffelatte e di mandarino. Di dormire quanto vuoi. Di bighellonare senza programmi di sorta, di chiacchierare sottovoce per non svegliare il resto della ciurma, non sentono mica ma chiacchierare sottovoce rende più intatta e morbida e protetta questa mattina di niente, che non è festa ma è come se. E poi vederli spuntare uno ad uno dalle scale, indovinarli dallo scalpiccio, questi figli scellerati e adorabili, questi fiori in vacanza, queste anime belle che non sai bene di quanto amore li ami, perchè è un amore che non si pesa, che non si conta nè misura, questi regali quotidiani di un Cielo che ogni tanto ti stupisci di quanto buono sia stato con te.

28 dicembre, 2007

And so, this is Christmas.

Il mio, almeno. Il nostro. Un pò Mamma ho Perso l'Aereo un pò Quella casa nella Prateria. Bello da sciogliersi, in ogni caso. Scoprire, ancora una volta che siamo una falange armata, che siamo forti e invincibili, e un pò fuori, anche. Un Natale diverso dagli altri, ma forse per questo più caldo di tanti altri, seduti a tavola col vestito bello, con l'insalata russa, il panettone e le zie. Un Natale così.

Che magico, Covent Garden alla Vigilia, in giro solo noi o quasi, un artista di strada cantava "Hello, Is It Me You're Lookin'For?" Sì, certo, stavo cercando proprio questo, le persone che ho qui con me sono le sole cose che voglio al mondo.

E abbiamo girato e girato, con pioggia e sole, e abbiamo riso, riso tantissimo e camminato e sù e giù, e siamo stati bene e non abbiamo perso nessuno in metropolitana, i ragazzi sembravano più in gita scolastica che in viaggio con la famiglia e ovunque canzoncine di Natale e atmosfera di Natale, e cose di Natale ma che strano Natale è questo qua.


Adesso, c'è da riordinare tutto, biglietti, scarpe, magliette impossibili, libri, ferri da maglia n.25, cose, bustine di zucchero e fotografie. Tutto quello che è stato, per un Natale così perfetto da sembrare davvero un film, per un natale come il nostro, per un Natale così.
E così.

E così.
E così, in una Londra viola e nera e colorata e luccicante, un delirio di facce e persone e cose e passi e sacchetti e saldi e sorrisi e caffè e lingue e sorry e chador. Magnifica, direi.
E' stato bellissimo. Così bello che quasi dimenticavo, accidenti, Buon Natale, ma sono in ritardo, e allora non vale più. So sorry, appunto.

20 dicembre, 2007

Luna di giorno.


E lì, Appiccicata, adesiva, di carta velina. Trasparente, un pochino, la devi cercare, non è che guardi in alto e la trovi subito. E' preziosa, mica si fa trovare così facilmente. In questi giorni, c'è. Anche alle 2 del pomeriggio. Provare a cercarla. E' uno strano gioco del destino, un amuleto per la chi la vuole, porta fortuna, coraggio e calore, si trova, si trova, a cercarla col cuore. E' una finta, un inganno, una sciocca bugia, sembra una fata e par che la sia. Porta sogni, civette, bacioni e babà, porta consigli, porta conigli, porta preziosi nascondigli, forse sbadigli, magici intrugli, porta conchiglie, stupide biglie, mazzi vistosi di rosse giunchiglie. Non sembra una luna a vederla così, forse tra un attimo si stacca da lì, nessuno sa bene se c'è o se non c'è, ognuno, dal cuore, la tiene per sè. Nasconde un segreto che ancora non sa, sembra che piova ma non pioverà, la luna di giorno è fatta così, sembra soltanto, un pò no, un pò sì.

19 dicembre, 2007

Il treno.


Mi piacciono, i treni. Lo so, sono sporchi e rotti e in ritardo, quasi sempre, e affollati e maleodoranti. Ci andavo a scuola, in treno. Ci ho letto, studiato, cantato, dormito, pianto, riso, pensato e pensato, dondolata dal vagone, come dice Guccini, a guardare fuori, gli alberi, gli orti, le luci nelle case, i panni stesi, le macchine ferme ai passaggi livello, i campi da calcio, le cose che sembrano essere di un altro mondo, non del tuo, che è tutto lì, nel vagone, appunto. Mi piace viaggiare in treno. Mi piace la gente che c'è, le storie che portano in giro, dentro la valigia che si mette sù, dentro le teste che appoggiano sulla stoffa lisa dei sedili, dentro i giornali che è un proprio un'impresa leggere in treno, meglio un libro. Ho viaggiato moltissimo, in treno. Ci viaggerei ancora. Oggi, soprattutto. Andrei alla stazione e prenderei un biglietto, qualunque, direi all'omino dello sportello Faccia Lei, Roma, Parigi, Cinisello Balsamo, Reggio Calabria. E partirei. Mi accomoderei in uno scompartimento semivuoto, aprendo a fatica la porta scorrevole, o in quei sedili tutti in fila, con scritto Trenitalia. Mi siederei e mi lascerei trasportare, guardando fuori, lasciando liberi i pensieri di andare dove vogliono, sui fili e sulle nuvole, al di là. Scapperei, insomma. Succede spesso a molti, di voler andare via, solo per poco, per un giorno o poche ore. Non si può. Per il momento, l'unico treno che sento è quello che mi passa dentro, velocissimo, che non si ferma a nessuna stazione, che fischia e sbuffa e sibila, proprio qui nello stomaco, un treno immaginario eppure così chiaro da ascoltare, che sfreccia così veloce che non riesci nemmeno a vedere le facce di chi ci sta sopra, dove vanno e chi sono e cosa fanno, e a cosa pensano, chissà.

18 dicembre, 2007

La molla.

Ci vorrebbe una molla. Anzi, due. Da fissare sotto le scarpe, e fare doing! doing! per uscire di casa. Per buttarsi nella centrifuga dei giorni che ci sono fuori. Per avere l'ispirazione anche solo per portare i ragazzi a scuola, fare le cose da fare, che ti piacciono o no. Qualcosa che ti faccia venire la voglia, insomma. Fuori, vento e gelo, dentro, un disordine appena accennato, la coperta con gli orsi che hai messo alla Princi ieri sera, quando si è addormentata stecchita sul divano, qualche foglio sparso, le tazze della colazione, la scatola delle vitamine. Allo specchio, una faccia color totano, capelli inanimati e sguardo vacuo, come a dire, ma che ci faccio qui. All'opera. Doccia sferzante, una nuvola di profumo di fiori, una passata di brilli dovunque. Scongiurando l'effetto stellacometa alle 8 del mattino, se proprio non si riesce a sentire niente di natalizio, almeno si sarà provato, luccicanti e sfavillanti, a trovarlo da qualche parte. Quanto allo sguardo, beh, ci si deve fare coraggio. Si prova a mettere in fila una serie di pensieri, vediamo quale ci farà sentire un pò meglio, ci si canticchia una canzoncina sottovoce, (noooooooooooo, LastChristmas, nooooooooooo), si sceglie dall'armadio qualcosa di non banale, non come quelle volte che si pesca a caso, una camicia, una maglia e chìssene. Così, coi capelli vaporosi, sberlucciche e profumate, si è pronte per un altro giro di giostra. Forse la voglia non ci sarà comunque, ma è l'intenzione quella che conta. Il pensiero, no? Ci si è già portati avanti: i pensieri cupi e torvi di poco prima, hanno lasciato il posto a quelli più frivoli, quelli che non sai nemmeno tu da che parte arrivano, che hai solo quando sei al semaforo, magari, e quando ti chiedono A Che Pensi, quasi ti vergogni a confessare. Le molle sotto alle scarpe forse non le avevi fissate molto bene, ma sei stata brava a cercare di pensare ad altro. Però, proprio niente male quel Sarkozy! Vale tutto, bellezza.

17 dicembre, 2007

Non è Natale se.


Se non senti per sette volte al giorno Last Christmas degli Wham!
E anche And so this is Christmas di John Lennon.
Se "Quest'anno non regalo niente a nessuno".
Se "Mi mancano ancora 11 regali e poi ho finito".
Se "Cosa fate a Capodanno?".
Se alla tv non c'è Telethon, e tutti con la sciarpa colorata.
Se i tg non fanno i servizi su cosa mangeranno gli italiani.
Se i tg non fanno i sondaggi Panettone o Pandoro.
Se i tg non comunicano che a gennaio tutto sarà molto più caro.
Se in giro non ci sono decine e decine di Babbi Natale.
Se la pasta sfoglia Buitoni non ha le palline disegnate sulla carta.
Se il Mulino Bianco e la Nutella non fanno le confezioni con le stelline.
Se da Ikea non vendono la casetta di Hansel e Gretel.
Se "Ah, guarda, quest'anno mi riposo".
Se "Figurati, siamo in ventidue al pranzo".
Se nei negozi non ti salutano con arrivederciauguri.
Ne ho un pò nausea, di già.
E manca ancora una settimana.

15 dicembre, 2007

Vento da nord.


Gelo. Gelo vero. Di quello che si vede, col vento persino, un vento rabbioso e sibilante, che sbatte di qua e di là i rami dell'abete, forse anche i tronco se guardi bene. Si vede stando a letto, in un sabato mattina un pò prima di Natale, guardi fuori, da sotto una coperta caldissima, con la princi che ci si è infilata stamattina presto, lo Sposo uscito nel gelo e nella brina coi figlioli grandi, che di sabato a scuola ci vanno eccome. Fai un check, delle cose che vorresti fare, di quelle che vorresti e non ne hai voglia, di quelle da fare e basta senza farsi troppe domande, forse, ma forse, ma sì. Di bello c'è che ci sarà il sole, che farà brillare le stelline appese alle finestre, che il vento ha scompigliato e arruffato, ma loro, regali, non si sono mica arrabbiate. e poi, che elegante è un addobbo un pò spettinato, una cascata di lucine che sembrano messe alla rinfusa, niente in questa casa è tradizional-natalizio, l'albero nero, la fascina con le palline tricot, e poi il presepe, ingegneristico, fatto con tutti i fiocchi e i controfiocchi, il piano regolatore, la cascata con l'acqua vera e il mulino che gira, la divisione tra ambulanti e lavoratori, l'arrotino non è mica vicino al pescivendolo. E i pastori, già i Re Magi, ma pazienza, non andiamo tanto per il sottile, il Gran Visir del Presepe così ha deciso. Questo vento freddo freddissimo farà bene a noi di casa. Piccole compere di Natale, le ultime, credo, regalo cose fatte da me e poco altro, come ogni anno, del resto. Le prove della recita della Princi, una sera tranquilla, dopo i tanti amici di ieri sera nella Casa nella Prateria nuova di zecca. Il vento gelido spazzerà, ripulirà, farà lucido e brillante il cielo e il prato davanti a casa, conforterà le anime buone che vivono sotto questo tetto, le ammanterà di speranza e di coraggio, regalerà loro una piccola, sorda tranquillità, una calma sottile dopo la tempesta, la voglia di sorridere e di stare al caldo, che di strada ancora ce n'è e di voglia anche e di vento quanto ne vuoi, forse, ma forse, ma sì.

14 dicembre, 2007

La bolla.


Si và così. Galleggiando, fluttuando, volando un pò. I pensieri, beh, quelli mica se ne vanno in un secondo. E hai un bel dire, sì certo, niente di nuovo, lo sapevamo già, lo sappiamo da sempre, lui, il figlio che viene da lontano, ha un mondo tutto suo, una vita tutta sua, fragile e complessa, una realtà dove non fa entrare nessuno di noi, nè l'Universitario, nè il Maturando, nè il Liceale, nè la Princi. Nè suo padre. Nè me, che non sono nessuno o quasi. E sua madre, poi. E' disarmante e candido, come lo sono i bambini che imparano a camminare, peccato che è il più grande di tutti e che sia così difficile. L'amore, certe volte, non basta. E' complicato, persino da spiegare, da capire dal di fuori, da comprendere fino in fondo, se non si vede, se non si sa. Noi qui siamo silenziosi, anche se niente di nuovo ci è stato svelato, è arrivato così, dal Paese della Samba e del Caffè. Lo amiamo così. E così siamo in pena per lui, che non ne vuole sapere di questa casa e di questa vita, che ha già la sua, semplice e difficilissima, e che si chiude in quel suo mondo fatto di insicurezze e di animali, che sa a memoria le bandiere del globo intero, e che ogni tanto si ferma e si eclissa, in una bolla invisibile, lì con noi eppure lontanissimo, come a seguire un richiamo impercettibile, un profumo di caffè e le note gioiose e assordanti di uno strano, indistinto, infinito carnevale.

12 dicembre, 2007

L'uomo che piange.


Non mi capita spesso di vederlo così. Anzi, mai. Non è mai facile vedere un uomo piangere, soprattutto se non ti ci ha abituata, sei sempre tu quella che frigna, ogni tanto, lui mai. E' sempre forte, diretto, determinato, granitico. In ogni decisione, in ogni frangente, in ogni occasione è sempre quello che, apparentemente, mantiene calma, lucidità e coerenza. Tranne. Se ne stava lì, frantumato sotto un peso enorme, polverizzato, curvo, sotto una cosa più grande di lui. E io. Che posso fare, se me ne sto a guardare e basta, se ti abbraccio e ti dico che passerà, ma cosa e come non lo sa nessuno, che posso dire, ferma in piedi davanti a te, a cercare alla rinfusa parole che vadano bene, ma dire, che cosa, poi. Serve l'amore, tutto l'amore che c'è qui dentro e tutt'attorno, le cose che abbiamo fatto e costruito, e disfatto e rifatto, e rischiato e perso e ritrovato e cambiato e affrontato, serve nasconderti le piccole grane degli altri figli, serve a sollevarti un pò da tutto il resto, ma che ti sollevo a fare, se hai sul cuore un sasso che non sai smuovere, se hai negli occhi lo smarrimento e quella tristezza amara, profonda, irrimediabile. Che strane le tue lacrime, scendono velocissime, lo sapevi? e poi si fermano solo un secondo, appena sulla spalla, prima che il maglione le assorba, qualcuna, e qualcun'altra invece, rimane lì, maleducata. Custodisco le tue lacrime di stamattina, che sono anche un pò le mie, forse. Le parole le ho perse per la strada, mi sa, ma ti dico sottovoce che sono qui vicino, e che ti cullo e che ti ascolto, e sono qui, che passa presto, vedrai, che non sarà come sembra, vedrai, che come te non so che cosa fare. Che come te, ma tu di più.

11 dicembre, 2007

L'uovo.


Lo sa il mondo intero, mi piace la nebbia. Quella di fuori, però, quella guardata dalla finestra, dal caldo. Avvolge e nasconde, ammanta e scolora. Stamattina è dovunque. Sia fuori che dentro. E non è il fumo del camino e nemmeno il vapore dei broccoli, e quel dentro, non è quel dentro lì. E più dentro ancora. C'è una specie di nebbia fitta, intorno al cuore, credo, una distesa di sofficità sgradevole, un'anestesia, non saprei definire, un gelo, anche. Che mi sembra di far tanto e non faccio proprio niente, come pedalare dentro al guscio di un uovo, pedalo e pedalo e non arrivo da nessuna parte e giro intorno e sbatto di qui e di là, un uovo non è mica così spazioso, scema che sei, pensi forse di trovare una strada? Sto lì, in un uovo immaginario, con le pareti biancastre e nessuna via d'uscita, e accuse, prese in silenzio come si fa la domenica col prete, La Messa è Finita, Andate in Pace, tu stai lì, come un broccolo, davvero, e non vedi l'ora di uscire, che freddo le domeniche d'inverno nella Chiesa della collina. Prendi e taci, prendi e porta a casa, e stai lì, adesso a lambiccarti, voce del verbo lambiccare, il cervello e a chiederti, dove ho sbagliato, dove sbaglio, dove sbaglierò. Le risposte si trovano a cercarle bene, ma la prima cosa da fare è smettere di fare il broccolo, e soprattutto smetterla, smetterla, smetterla di pedalare e pedalare dentro un assurdo uovo pieno di nebbia. Assurda, anche lei.

08 dicembre, 2007

E alla fine arrivò Zara.

Le ragazze lo aspettavano da tanto. Le signore, anche, in un certo senso. Curiose e attirate da tutto quello sfavillare, da tutto quel gran parlare, dalle favole metropolitane che ne hanno accompagnato l'apertura. Gli unici che non la volevano proprio erano loro, i negozianti. Dicono di aver visto qualcuno aggirarsi tra gli scaffali nuovi di zecca con le lacrime agli occhi. Zara impaurisce. Ma solo un certo tipo di negozi ha da temere. Quelli dalle commesse simpatiche come un herpes, simplex o zoster non fa differenza, quelle che continuano a piegare maglie e non ti degnano di uno sguardo o al limite ti apostrofano, Se Ha Bisogno Chieda Pure (ma nella nuvoletta sulle loro teste leggi, sì, va bene, ma meglio se non chiedi che stamattina c'ho i mazzi miei da pensare e non ne ho voglia). Quelli che appena entri e chiedi una cosa cominciano a scuotere la testa e fare di no, e nemmeno ti dicono Mi Dispiace, che dovrebbe dispiacergli molto, in fondo mandano via un cliente scontento, e invece ti fanno sentire una demente, ma come mi è venuto in mente di chiedere quella roba lì? certo che mi è venuto in mente, è fotografata su mille giornali, possibile che proprio loro non ne abbiano mai sentito parlare. Zara è la giustizia. Farà giustizia, nel mondo delle commesse dagli occhi bistrati e poco altro, di nero vestite e con lo sguardo interessante quanto un cacciavite, è vero che non c'entrano, ma chi le ha assunte, se non il proprietario, chi le ha addestrate se non il Capo Supremo, a sua immagine e somiglianza? Se è scorbutico il capo, sarà scorbutico il collaboratore, è una legge di natura. Granitici resisteranno egregiamente i negozi più caldi, dove si può entrare, provare mille cose e uscire con un sorriso, magari a prendere un caffè con le ancelle, amiche tue, che ti hanno dato una mano, venduto settimane orsono due scarpe da viale che sono un amore. Resisteranno con grazia quelli dalle commesse che sorridono, che non ti dicono Ciaodimmi, che anche se non ne hanno più voglia, sei sempre per loro un cliente speciale. Zara è lì. Ancora non l'ho visto, ma dicono sia luccicante e pieno all'inverosimile. Mi piacciono le cose di Zara così come quelle di Gucci, e pazienza se il cappotto ha perso tutti i bottoni e ha già le tasche bucate, che si pretende per 49,90? Fa pur sempre la sua bella figura. Zara equipara. Le Snob e le Squattrinate, le une per posa, le altre per necessità, Zara calmiera, le Dive e le Semplici, le Dame di Carità e le Donne Normali, le Impostate e le SenzaOgm, le RadicalChic e le Special Guest, le Equosolidali e le Griffatissime. Zara mi piace. Diventerà come spesso accade, non solo un enorme negozio ma un luogo dove riflettere, aggirandosi tra le gonne, accarezzando i cappotti, spostando le camicie per vederne bene il collo. Ci si troverà al mattino, prima di un caffè o di un appuntamento, nella pausa pranzo o mentre si aspettano i figlioli a danza, a musica, a calcio. Sarà una meta d'obbligo e poichè si mischieranno stili e marche, durata e qualità, fuori di lì, dentro di là, proprio di fronte e magari un pò più in là. E nel nostro armadio, accanto alla gonna a palloncino che abbiamo preso per vedere di nascosto l'effetto che fa, ci sarà sempre posto per un pantalone più serio e un golfino che proprio non potevamo lasciare lì. E che con le scarpe da viale, cara la mia signora, fa proprio un figurone.

Ma guarda un pò qui.



Ci siamo quasi. A vederli tutti in fila, strofinacci, strisce per la porta, cuscinetti e tovagliette, non sembra nemmeno a noi dell' Officina di aver ricamato tutta quella roba. Ma è così. E domani è il grande giorno. La prova, in un certo senso, visto che il vero mercatino di Natale sarà domenica 16 dicembre, in piazza Santo Stefano ad Alessandria. Ma noi, che non vogliamo arrivare impreparate a tale evento, ci alleniamo, per così dire, anche domenica 9, al pomeriggio, e sempre in Santo Stefano. Merita un giro. Deliziosi strofinacci natalizi e non, cuscinetti da sistribuire bellamente sul divano della festa, strisce da appendere alle porte per dare il benvenuto nel calore della propria casa, e le tovagliette, vera novità di tutta questa avventura, che sono anche segnaposti e regalino, da arrotolare e portarsi via dopo il pranzo, avendo cura di non spiaccicarci sopra nessuna uvetta del panettone. Se no, non vien bene.

Così, non fate i pigrissimi. Mentre fate un giro per vetrine lucenti e sciccosissime, spingetevi senza indugio fino da noi. Il nostro è un gazebo candido, tutto tempestato di palline e stelline e cose. COME, DI CHE COLORE???????

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...