16 novembre, 2011

L'Atroce Vendetta del Delinquente Cactus.

Com'è ormai ben noto alle genti, io il pollice verde proprio non lo tengo. Lo ben sanno le mie Amiche, che mi hanno vietato con la voce grossa e il sopracciglio arquato di mai, mai, mai toccare le piante di Cuore di Maglia, quelle che ci hanno mandato per l'inaugurazione della Casa, il 24 settembre ultimo scorso. Da allora, è l'Amica delle Perle ad occuparsene amorevolmente, a decretare, con piglio saccente Uhm, Questa Sta Patendo, oppure Quest'Altra non arriva a Natale e cose del genere. Io non faccio nulla. Le guardo, mi piacciono da morire, abbiamo orchidee dai colori sgargianti e una sanseveria, che bel nome, uguale a quella che avevo in sala quando ho compiuto 5 anni, così demodè ma così meravigliosa, forse, la mia pianta preferita, con tutte quelle spade affilate, bella bellissima, ce l'ha mandata la Cermels, che lei ne sa. Comunque. A me le piante piacciono, beninteso, solo non le so curare, non c'ho lo sbatti, non c'ho pazienza, ma le amo e ho la ferma convinzione che questo amore sia tutt'altro che corrisposto. Infatti, esse mi odiano. La conferma l'ho avuta questa mattina. Ho pensato di fare un'opera buona. Ho una mensolina trasparente che ha ideato anni or sono il mio Energico e Rinnovabilissimo Sposo, c'ha studiato un pò, un progettino e voilà, la mensolina era realizzata, ha preso le misure con tanto di metro, non so se mi spiego. E' una roba complicata, di plexiglass, attaccata al vetro, insomma una roba complicata e basta.  Lì sopra, ci abbiamo messo dei graziosi vasi con degli altrettanti graziosi cactus. Così, Mi Disse all'Epoca, Non Dovrai Prendertene Troppa Cura, I Cactus Vengon Sù Da Soli. Ma stamattina, mentre constatavo che qualcuno, nottetempo, mi aveva rubato il giardino causa nebbia da farci il minestrone, ho visto la faccia dei cactus sulla mensolina tutt'altra che felice. Non più verdissimi, le spine mollicce, insomma, non una bella cera. Così li ho innaffiati. un bello spruzzo del rubinetto, con la doccia, così li ho anche lavati un pochino, e via. Non so se ho fatto bene, me lo dirà poi la Simo, che lei i cactus ci piacciono. Ma di lì a poco, l'efferato evento. Il cactus più grosso, quello che se la tira più degli altri, quello con le spine più lunghe, per intenderci, si è ribellato a tale trattamento. E mi ha ferita, conficcando la sua spina più affilata, la più robusta, la più velenosa, la più crudele nel mio dito medio sinistro. Dolore. Dolore Cosmico. Ho imprecato, come si dice in questi casi, ma si sa, i cactus non sono sensibili ai vaffanculo, nemmeno se ci metti il Ma rafforzativo davanti. E ora son qui, il mio dito dolorantissimo, il cactus lucidissimo e bello innaffiato, son qui che medito quale possa essere il rimedio adatto a tale strazio. Trovato!




15 novembre, 2011

Non scappano.



Scrivo e guardo fuori. E quel che vedo non è il solito, non è lo stesso paesaggio, e cambia, cambia spesso. Cambiano, gli alberi e le case e le fabbriche e i campi pieni di nebbia, e ancora alberi e foglie gialle e muri e orti e macchine e case addormentate e case sveglie, qualcuno forse sta mettendo sù  preparando un caffè, ma il caffè a casa mia non si prepara, si mette sù, è così che si dice dalle mie parti. Scrivo da un posto da dove non ho scritto mai, che non è il mio divano, o il tavolo della cucina, ma scrivo in movimento, scrivo da un treno, ed è una sensazione strana, come quando fai una cosa che non hai mai fatto, ma guarda, che strano davvero. Scrivere muovendosi non è la stessa cosa. Se scrivi e stai ferma e ogni tanto alzi gli  occhi trovi sempre la stessa cosa da fissare per pensare. Io quando penso tengo gli occhi fissi, sbarrati su una cosa, un vaso, un fiore, penso e mi rigiro l'anello o mi faccio uno strano boccolo ai capelli, è una mania che ho da sempre, e ci pensavo qualche giorno fa, rigiro una ciocca su se stessa e poi la rigiro al contrario, a una velocità supersonica, non so da quando ho cominciato, forse a scuola, chi lo sa. Quando penso faccio così, ognuno c'hanno le sue manie, signora mia, che le devo dire. Scrivere viaggiando è una cosa nuova per me, posso decidere da che finestrino guardare, se l'abitato o la campagna, viaggiare in treno mi è sempre piaciuto un sacco, è come affidarsi, è come perdersi un pochino, dire Guida Tu Che Sono Stanca. Scrivendo da un treno, anche i pensieri non sono gli stessi e non si comportano allo stesso modo, i pensieri fermi e stagnanti che fanno fatica a staccarsi dal divano, da qui sembrano più leggeri e volano fuori, radenti i prati e i campi e i giardini già pronti per l'inverno, sorvolano i mucchi di ghiaia e le  cascine dismesse e i pioppi e i fiumiciattoli e ponti e strade e stradine, sentieri di campagna e laggiù, laggiù in fondo, l'autostrada. E tu lasciali andare, lasciali correre, vediamo se vanno più forte del treno, vediamo chi vince, vedrai, non si perderanno, perchè nessuna parola mai, nessun pensiero mai si è perso in un campo umido di nebbia, la mattina presto, scappato fuori dal finestrino di un treno.

13 novembre, 2011

Strawberry Knittin' Sunday.

 
Le domeniche autunnali di quasi inverno sono un pò tutte uguali, Di quella uguaglianza che rassicura e scalda, come a dire, domani è domenica e so già che cosa farò. Niente. Non farò un bel niente, e fare un bel niente è già una gran cosa. Domenica verso sera, che è notte fonda se guardi fuori, ma noi si è letto, knittato, ri-letto e ri-knittato, chiacchierato, parlato al telefono con un  figliolo a Londra che riederà domattina e mi sembra un mese che è via, è il più piccolo dei maschi, è ancora al liceo, il fatto che vada via non mi sta in testa, pazienza per gli altri, Ingegneri e  Universitari, che è ovvio che via ci vadano ma lui ancora no, per non parlare della Ginnasiale, Principessa Omioddio, che oggi a pranzo un suo fratello grande aveva da ridire su quel rossetto che le aveva visto la sera prima, Non Era Troppo?  Fatevene una ragione, dico a loro e a me, non è più la sorellina con gli orsetti, le trecce, le camicie da notte con gli scoiattoli, le letterine. E' una figliola di quasi quindici anni, ussignur, quindici anni fra 4 mesi, vi sottrae non vista dall'armadio la t-shirt degli AC-DC, e ieri sera era a una festa, un pò di rossetto forse ci voleva, o no? Ma gli uomini, lo si sa, sono un pò tonni in certe cose da femmine e presto lo imparerà anche lei. Orsù dunque, la domenica sera, malinconica come si conviene, bella piatta come si conviene, fra un pò la minestrina o forse una pizza da qualche parte, bella scelta, un Lora's Capelet  già finito e un Travelling Woman quasi, il libro nuovo di Baricco me lo sono mangiato, per così dire. Le cose di casa sono in fondo queste qua, ci si nutre di beato nulla, di caldo, di divano, di un mandarino per merenda, che ci piace così tanto il profumo che lascia sulle mani. I pensieri sono lì, avvolti nello scialle che è quasi finito, stanno caldi e non ne vogliono sapere di venir fuori, che lì stiano, che non si muovano, che domani inizia una di quelle settimane deliranti fra il sù e giù delle miliardate di cose da fare, devo ancora finire di compilare il censimento, ma si sa, il mio censimento è bello lungo da fare, siamo quasi mille, alla fine. Ho pronti per me giorni tranquilli di freddo invernale, giorni di idee da portare a termine, di shopping on line la sera tardi, di libri e libri sul comodino. Ho storie da raccontare, ho un libro da scrivere, ho sognato che pubblicavo con Feltrinelli, che scema sarò mai, ho decine di camicie da stirare, ho un viaggio da fare a Natale, ho un vaso pieno di bottoni, amiche da vedere, regali da fare. Un bell'inverno che si vede da qui, dal finire della domenica, i figli grandi già sparsi, la più piccola quasi, la mia vita così com'è, bella anche nel beato nulla, anzi, forse proprio perciò.  Buona, domenica.

10 novembre, 2011

Oggi.



E' un pò come volare. Non sai mai bene quando inizia, non sapresti dire, ecco, comincia qui. Sarà la stagione, un pò tutti sono malinconici a novembre, un pò tutti si sentono un giorno potentissimi e il giorno dopo fragilissimi, leggeri, carta velina da stropicciare, o peggio, carta da forno bruciacchiata, che si disintegra se la sfiori, c'hai fatto caso? Complicata che sono, tortuosa, dai ragionamenti contorti, oppure cristallina, trasparente, un vetro appena pulito, il cielo dopo il vento. Succede, mi dicono, è la stagione, sono le donne, in fondo, non sono così, è difficile spiegare? Non so. Non so se è la nebbia di oggi e le foglie gialle, che messe insieme fanno un bel quadretto, non proprio leggerissimo. E' il silenzio di questa casa, oggi tutti in vacanza che è il Santissimo Patrono, ma tutti chi che sono la Princi dorme beata nella sua stanza, e uno di qui e l'altro di là, il Liceale in visita al suo Amore, gli altri due sparsi per il Regno Sabaudo, non è mica San Baudolino lì. Sarà che non sopporto le luminarie, gli stivali di gomma, l'ignoranza diffusa, le pentole lasciate lì da ieri sera, non sopporto la mia faccia scema, bianchiccia, insignificante, che ho visto stamattina nello specchio del bagno. E non sopporto il giardiniere, che ha deciso di tagliare i rami proprio adesso, proprio qui, e quel zzzzrrrrrrr della motosega mi trapana il cervello, mi agita, mi innervosisce. Mi concentro e volo via, trovo la strada in mezzo alla nebbia e alle foglie gialle, trovo il sentiero per uscire da qui, da questo peso che ho, da questo respirare corto, da questa insofferenza riflessiva, nel senso che non sopporto nemmeno me, troppo silenzio o troppo rumore, troppa calma o troppo caos, potessi sollevarmi e guardare tutto dall'alto, potessi salire al decimo piano, ma no, più in alto, per vedere l'effetto che fa, l'effetto che faccio io accoccolata sul divano, un giorno di niente scuola, troppo di tutto, troppo di niente, fragile e scema, ortiche e seta, ghiaia e diamanti,la nebbia mista al sole  oggi è così che va.

07 novembre, 2011

Fango.



Sono giorni fermi, immobili, dove le abitudini che hai, le cose che fai, tu e gli abitanti della Casa in Collina, sono un pò filtrate, come dipendenti da qualcosa che non si sa cosa sia, si è in collina e nessun fiume e nessun smottamento e nessuna frana, ma è tutto lì in agguato, lì vicino, vicinissimo, in città si sente di più, c'è poca gente in giro, l'ho visto stamattina, e quelli che ci sono sono tutti lì, a guardare il fiume marrone e tutto quello che il fiume porta, i tronchi, le assi e tutte quelle cose, sembrano zolle o cosa sono. E' acqua cattiva, acqua limacciosa, acqua schifida, che nemmeno la schiuma rende migliori, mai visto la schiuma sul fiume, eppure c'è. Sono giorni che si guarda in sù, si vedono centinaia di notiziari, si è passato il fine settimana a casa, a tranquillizzare le persone lontane, a dire No, Stiamo Bene, certo che stiamo bene, noi siamo al caldo, non cerchiamo le nostre cose nel fango, nessuno di noi è stato in pericolo, e ci si sente così fortunati a vedere e a sentire quel che è successo poco distante da noi, in centro poi. E ci si sente fortunati sì, ma piccoli e assurdi, e così stupidi, così incredibilmente materiali, lo vedi, passa tutto così in fretta, sei in centro con tuo figlio e l'onda ti succhia via, scivoli lontano e non ci sei più. Rifletto, mi dò un tono, lavoro un pò ai miei progetti, sono ansiogena, lo so, guardo se piove, guardo le previsioni, dico ai miei figli Non Andate Nel Pericolo, ma il pericolo quale sarà mai, e dove, poi. In giornate così si vorrebbe far qualcosa, e forse qualcosa di minuscolo si è fatto, si pensa e ripensa a Genova e a Monterosso, ma pensare non serve a niente, si aspetta la piena anche qui, si guarda il fiume che è già stato così crudele nel '94, esattamente come ieri, il 6 novembre. Che strane pieghe ha il destino, che strani, stupidi giochi fa la natura, che ricorda il giorno esatto, Sono Segni, dice qualcuno, ma segni di che, io non vedo segni, vedo solo acqua, limpida dal cielo e sporca dal fiume, e vedo gente che guarda giù,dal ponte, gente che guarda sù, il cielo, e gente composta e degna, disperata e silenziosa che scava e scava a cercare nel fango quel che resta. O quel che ha perso.

04 novembre, 2011

Umido Novembre.



Il cielo cade giù, stamattina, ti vine da metterci le mani sotto, come quando cadono i libri dalla libreria, o le lenzuola del ripiano in alto, quelli che metti solo quando è Natale e non ci sono mai le federe vicino, le devi cercare nel cassetto o nell'altro ripiano, che è così difficile cercare le lenzuola, se nell'armadio sono tutte bianche e hanno solo il ricamino diverso, e poi ti serve sempre l'ultimo della pila Se invece son colorate il problema non si pone, solo che poi a furia di frugare e frugare sono tutte messe male e nemmeno più si chiude l'armadio. Mah, si diceva con mestizia, è il 4 di novembre, Armando Diaz e tutto il resto, mi ricordo che a scuola ce l'avevano fatto studiare a memoria, che cosa strana. Non che faccia freddo, certo che no, ancora senza calze per far inorridire le mie Amiche del knit cafè, ieri pomeriggio, ma mi sa che qualcuna l'ho convertita, e alla fine avevo ragione io, che le calze si mettono solo a dicembre inoltrato. A guardar fuori il cielo sa di colla, nel senso che sembra colla, un barattolo di Coccoina che non si usa da un pò, bianca sì, ma tendente all'opaco, non so come dire, se ti concentri riesci a sentirne anche l'odore di mandorla, uno dei profumi a me più cari in assoluto, insieme al Vicks e al Borotalco. E' tutto così immobile che si fa fatica a credere che quello fuori non sia un cartellone, un quadro, magari, che ti verrebbe voglia di stare nel letto a fare tutto, la colazione,  lavorare, mangiare, parlare con qualcuno al telefono, fare la maglia, o fare niente. Invece no. proverò a fendere questo biancore di nebbia e di acqua, che è venuta e che verrà, proverò a vedere se vince lui o vinco io, provo a portare un pò di scompiglio fra le foglie gialle e umidicce, scuoto i miei pensieri e scuoto me, metto disordine in questo silenzio intatto, non si muove nulla, lo farò io, sono brava a mettere disordine, anche quando non voglio, anche quando faccio di tutto per tenere a posto, anche quando cerco le lenzuola con le rose, è tutto perfetto nell'armadio e un attimo dopo il delirio, le lenzuola le ho trovate, ma ho una federa soltanto, metterò la musica a manetta, questo bianco di fuori non mi piace, ho un rossetto nuovo di zecca, fra poco vado a vedere se anche in città il cielo è coccoina, e  alla fine, chi l'ha detto che le federe devono essere uguali e poi nessuno al mondo mai controllerà il mio armadio delle lenzuola.

02 novembre, 2011

Non so.



Strano giorno questo qui. Inizia la settimana ed è già mercoledì, è una festa tristissima, forse nemmeno la è, ma certo non ho bisogno di un giorno come questo per pensare a chi non c'è, io non vado al camposanto in questi giorni, non mi piace, ci vado quando ne ho voglia, da sola, senza nessuno e spesso sono soltanto io nel vialetto con la ghiaia e qualche vecchietta con l'innaffiatoio e i fiori, a maggio le rose del giardino, ce ne sono tanti di giardini con le rose là dov'è il camposanto e dove vado per sentirmi figlia di un papà che non c'è più e Dio solo sa quanto poco la sono stata, figlia così, non era proprio il momento di andar via, ma forse non è che il momento lo sia mai, in fondo, ma avrei voluto vederlo invecchiare, vedere se fosse ancora così dannatamente bello anche a 50 anni, e poi a 60 e via così. Non so che fare in un giorno come questo, mi verrebbe da andare a correre nella nebbia, a me piace di più correre con la nebbia che col sole, oppure non so se mettermi a ribaltare casa, togliere le fodere dei divani e lavarle con cura, i vetri, le tende, e tutte quelle menate che si fanno quando si decide di pulire casa da cima a fondo, di solito si fa quando non si vuole tempo per pensare, mai quando la casa è lurida, nessuna casa lo è mai, si pulisce sul pulito, che frase tristissima da dirsi, se è pulito esci, vai fuori, fatti un giro in un giardino, guarda due vetrine, leggi un libro, che pulisci a fare, mah. Quindi non so. Se fare le Grandi Manovre o mettermi tranquilla, tranquillissima in un angolo di casa, un libro nuovo, iniziare un maglione marrone che la Princi Omioddio mi chiede da un pò, cucinare qualcosa, mettere una bella musica e magari stirare. Novembre non è un gran mese, meno male che passa in fretta, forse più di febbraio e anche quello non è che mi stia simpatico, non so se passi prima dannandosi o stando fermi, se riflettere  o far di tutto per non pensare, se fare e fare o star lì, imbalsamata, bell'e abbrustolita come le castagne della piazza. Non so se muovermi o stare ferma, non so se agitarmi o essere in grazia di Dio, nel frattempo scrivo e scrivo, le fodere dei divani mi sa che le tolgo uguale, tanto asciugano in fretta e non si stirano, ribalto casa ma nemmeno tanto, che strano giorno, triste sì, e questa è l'unica cosa che, per certo, so.

28 ottobre, 2011

La Scatola col Gatto.



E' una scatolina di latta, di quelle che possono contenere dal nulla, a tutto. Comprata a Parigi, da Merci, qualche anno fa, e portata in dono a Lei, la Principessa Omioddio, la figliola più piccola, l'unica femmina, l'unica e basta. Per lei, da subito, palloncini rosa sulla porta a dire che sì, era arrivata, quel 4 marzo di quasi quindici anni fa. Quindici anni quasi. Anzi, facciamo quattordici e mezzo, e un pò di più, che suona meglio. Suona meglio per me. Questa scatola le piacque subito tantissimo, ci teneva i nastrini per le trecce, le stringhe con la tastiera del pianoforte, le mollettine coi fiocchi. Stamattina, svuotando il cestino della sua stanza, l'ho trovata lì. Buttata via. E subito mi sono ricordata, Ho Messo in Ordine, Mamma, me lo ha detto ieri salendo le scale di corsa. Solo, non ho compreso subito cosa volesse dire quel suo mettere in ordine. Ha buttato via tante cose,  pastelli spuntati, penne che non scrivono, e degli orecchini con Hello Kitty. Ha buttato un portachiavi ad orsetto, una serie di elastici con le ciliegie e le banane, un cerchietto di pelo con le orecchie. E la scatola col gatto. L'ho recuperata, dentro avevo un biglietto dell'autobus e un topolino fosforescente. La userò io, ci terrò la mia sterminata collezione di stitchmarkers, in fondo questa scatola è così bellina, mi sono detta. Poi ho pensato. Non sei più da scatole coi gatti, figlia, me ne accorgo quando apro la porta della tua stanza e tu sei lì, me ne accorgo da come stai seduta, un pò di sbieco, come me,  me ne accorgo da come alzi gli occhi, da come ti scosti i capelli dal viso, con quel gesto che i tuoi Fratellacci Maleducati imitano centinaia di volte, per farti arrabbiare, Occhioni Verdissimi e Capelli di Seta. Cose te ne fai di questa scatola col gatto, che ti sembra tanto da bambina stupida, adesso, ma che forse riscoprirai tra un pò, magari all'università, chissà. Ho messo in ordine, che tradotto vuol dire, sono diventata grande, sono grande, non ho più bisogno di scatole coi gatti per conservare le mollettine, non mi faccio più le trecce, e quelle orride mollettine con le banane, ma per favore. Un figlio maschio cresce quando dalla sua stanza escono le note dell'heavy metal, quando ti bacia e punge, quando lo vedi radersi una mattina nel bagno blù. Una figlia invece, cresce quando butta via le scatole coi gatti. Me lo devo segnare, da qualche parte.                                   


27 ottobre, 2011

Vetro che vola.


E alla fine, il freddo, quello vero. Anzi no, non proprio quello pungentissimo, quello da calze, quello da guanti di lana pesantissima, che ne avevo fatti anche di lana leggerissima e pure coi buchi, ma che razza di guanti sono questi qua. Sono belle mattine, sono mattine di una semplicità che scalda, sono bei giorni di cose normali, di amiche in giro a cercar gomitoli, di inviti a pranzo estemporanei, inaspettati e perfetti, nella tovaglia pastello, nelle risate, nel clima da collegio che c'è, eppure siamo madri e spose esemplari, come dico sempre e di pasticci e menate e grane e questioni ne abbiamo una tonnellata a testa, ben suddivise, ma alla fine ci prendiamo il tempo per far le sceme e tutto il resto per un pò sembra lontano. Mi piace la semplicità  che arriva d'autunno, con le caldarroste  e i piumini nel letto, con le piccole cose che fanno grande una giornata normale, un vaso di vetro che diventa cristallo prezioso se lo sai vedere nel modo giusto, piccole soddisfazioni che fanno l'anima bella, momenti di niente che sanno di caldo, come il profumo del pane, dei biscotti cotti nel forno, nel caffè della mattina presto, il cielo rosa, il prato bagnato, le foglie. Sono mesi che colleziono vasi di vetro, la marmellata, la Nutella, li sciacquo per bene, li uso per i fiori, per il basilico del mercato, per le ortensie seccate, perfino per i bottoni, ci metto un nastrino, se ho tempo preparo per loro un vestito così chic che perfino Marie Claire li ha messi in copertina, certo non i miei, ma insomma, è quasi uguale. Mi piace pensare che ad ogni vaso dò una storia nuova, un destino diverso da un volo bislacco nella campana del vetro. Così i miei pensieri. Vasi di vetro messi a nuovo, guardati da un'altra prospettiva, da un'altra strada, un altro sentiero, colorati, messi meglio, un nastrino, un pò di cotone, un nuovo significato. Lo vedi, c'era scritto Barilla e ora è pieno di cioccolatini di Gobino, ci sono le ultime rose della siepe, c'erano i sottaceti e adesso il rosmarino, era vetro ora è cristallo, era ansia ora è calma accesa, era un niente ora è un gioiello, un pensiero trasparente che non si frantuma insieme ad altri mille, che non finisce, non ancora, almeno.



24 ottobre, 2011

La Leggenda del Reggiseno Ristrutturato.



Avvertenza: questo non è un post da postribolo, nè per maniaci sparsi sul web, niente di niente. E' semplicemente una storia vera, accaduta ai giorni nostri, lassù, nella Casa in Collina. Personaggi ed interpreti. Uno solo, io. Anzi no, due: io e un reggiseno. Non c'è nulla di torbido in questa storia e chi si aspetta cose turche ne verrà prontamente deluso, è una storia insulsa, alla fine, ma ha dell'inimmaginabile. Ora, accade giorni addietro che, uscendo un prezioso reggiseno dalla lavatrice, dove lo lavo con amorevole cura, ciclo stradelicatissimo, supercashmere slow motion, sapone di Marsiglia misto a champagne, noto con lieve disappunto ("Azz!") che i gancetti dell'indumento si sono, come dire, schiacciati, svalvolati, piegati su se stessi, non so come come abbia potuto succedere ma è la realtà dei fatti, vostro Onore. Inservibile l'indumento tanto amato. A prescindere dal fatto che ultimamente, le mie Amiche ed io ci sia convertite alla legge del Non Si Butta Niente, e ci scambiamo volentieri trolley strapieni di vestiti, dalle figliole cresciute a quelle ancora che devono crescere, dai figlioli grandi a chi i figlioli ce li ha più piccini, da un pantalone che mi ha stancato a chi invece ci piace un sacco, le ballerine che fanno male a te a me invece stanno un amore, e via così. Pratica molto diffusa negli USA, qui non è ancora così famosa ma mi sa che ci diventerà, giocoforza, eppoi le mie Amiche ed io siam troppo avanti, questo si sa. Ma torniamo a Lui, il Reggiseno Sgancettato. Che fare? Di buttarlo non se ne parla proprio, fa ancora il suo più che onorabile servizio, eccome se lo fa, intendo, e così sono stata folgorata dalla soluzione.
 Mi reco baldanzosa nella merceria più vecchia della città, quella che vende ancora le cerniere RiRi, per intenderci, che erano quelle che mi metteva mia mamma negli astucci che facevo coi jeans rovinati o all'uncinetto alle scuole medie.

La merceria è un posto strano, ci trovi le cose più malinconiche del mondo, l'elastico delle mutande, per esempio, giuro di aver assistito alla vendita di 1 metro di pizzo per sottoveste, non so se mi spiego In questa merceria, pieno centro storico, anzi, ex ghetto di questa città, c'è una parete piena di bottoni che fa perdere la testa, e i cassettini di legno e una serie ci cosucce che ti fan sentire al 24 ottobre del 1950. Arrivo con il corpo del reato, Devo Aggiustarlo, E' Possibile? E qui, la meraviglia. La signora della merceria estrae dal bancone un cassetto pieno di delizie, gancetti di varie misure, e anche appositi anelli per infilarceli, in tre colori soltanto, nero, bianco e beige, fine della storia e poi ancora quegli aggeggi per il reggicalze, da attaccare alla guepiére, signora mia, quando proprio si vuole attaccare al lampadario, per dire. Costo dell'operazione euro 1. E io che non so cucire mi sono cimentata e voilà, il Prezioso Reggiseno ha i suoi bei gancetti nuovissimi. E io mi sento tanto un donnino anni 50, di quelle parsimoniose e timorate di Dio, che hanno una ricetta segreta e si fanno la messimpiega coi bigodini. Però, son contenta. Primo perchè mai avrei immaginato che un reggiseno potesse avere dei pezzi di ricambio, e secondo perchè sono riuscita a cucirlo, che per me è una vera conquista. E si calmino gli animi dei pettegoli, degli assatanati  e dei poveri di spirito: a casa mia, nemmeno ce l'ho, il lampadario!

23 ottobre, 2011

Sarà l'autunno.



Ma sì che scrivo. Scrivo ma non qui. Chissà dove poi. Scrivo anche con la penna, certo, ho comprato un'altra stilografica usa e getta, che scrive blù ma profumato, ma non profumato di qualcosa, profumato di inchiostro, eccerto, di cosa se no, e mi piace così tanto scrivere a mano, ogni tanto. Mah, sarà l'autunno. Che fa essere così, a tratti frivole a tratti pensierose, a tratti con la voglia di un bel libro, a tratti di sfogliare i fashion blog, di aver voglia di tacchi scintillanti e un attimo dopo di una sneaker leopardata, per dire. La domenica è trascorsa con grande sciallo, con la tranquillità che è solita della domenica, appunto, ci sono non uno ma due scialli già iniziati, uno con un filato così prezioso che quasi mi vien male a lavorarla, se sbaglio è un casino, sto concentratissima, non chiacchiero, butto ogni tanto uno sguardo alla tv ma non seguo il film, seguo il pattern con un'attenzione che non mi riconosco, ma questo filato mi piace così tanto che non posso, semplicemente non posso disfare e sciuparlo, per niente al mondo. Sarà che sono letargica, non ho voglia di andare in giro la domenica, siamo tutti qui, è così bella la domenica in questa casa, che perfino sistemare la lavanderia con la Ginnasiale diventa un bel momento di chiacchiere, e di vicinanza, con lei che sembra ogni giorno sempre più me, perfino ieri mi hanno detto Si Vede Proprio Che è Sua Figlia e lei sorride di quel sorriso che scioglie, me, suo padre, e anche qualcun altro, mi sa. L'autunno porta con sè una serie di piccolissimi riti, di voglie che vengono solo d'autunno, ma certo, mica ti viene voglia delle coperta sul divano in piena estate. O magari del camino, che è ancora presto, non fa ancora così freddo. Domenica d'autunno, c'era un pò di sole, l'ho sentito sul terrazzo quando ho controllato che lenzuola si fossero asciugate, avevo voglia anche di castagne, non sono buone quest'anno, mi ha detto il contadino, se non piove nemmeno i funghi ci saranno. A me non importa granchè. Mi bastano le persone che ho qui adesso, i miei gomitoli, le mie cose più piccole, del fatto che piova o no non me ne importa un bel niente, ho un libro nuovo da iniziare, lo farò stasera, magari, andrò a letto presto perchè mi piace leggere prima di dormire, ci sono anche le stelle, nessuna nuvola, ma non mi dispiacerebbe mica, in fondo,  se piovesse anche le castagne diventerebbero buone, e spostando un mucchietto di foglie secche si potrebbero trovare centinaia di funghi profumati, così anche il contadino sarebbe contento.

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...