16 settembre, 2006

E i cocci sono suoi.


Hanno resistito per 13 anni. Un delizioso servizio da thè giapponese, di una porcellana finissima e quasi trasparente, dei primi del '900. Ovviamente non utilizzato, ma tenuto lì, con cura, le due tazze, la teiera e la zuccheriera. Hanno resistito ai figli piccoli, a labrador cuccioli, a gatti esuberanti. Non a domestiche sbadate. Nel giro di 4 mesi, le tazze sono state, come dire, disintegrate, prima una e poi l'altra. Non ho cuore di buttare i cocci. Temo una maledizione dal Sol Levante. La principessa Masako non sarebbe certo contenta. Così mi dico che non ci si deve legare agli oggetti, che in fondo erano solo due tazze e che insomma, sono pieni i negozi. Non proprio. E non si può certo quantificare il danno. Si amano le cose per quello che rappresentano, perchè ami guardarle e averle lì, perchè ami chi te le ha regalate e fanno parte di quelle 10 cose che metteresti in una scatola per andare lontano. Peccato. E non hanno un prezzo o forse sì, ed è stellare, talmente alto che non si riesce a scrivere, a quotare, che non è Mibtel e non è Nasdaq, ma che ha la quotazione, impietosa e precisissima, che è quella del cuore. Qualcuno mi sa dire, in euro, quanto può costare una carezza? Mi restano due piattini solinghi. Masako, mi dispiace, non posso più invitarti per un thè al gelsomino. A meno che non ti accontenti dei mug di Starbucks. Sigh.

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