01 ottobre, 2019

La Palestra.

Da poco, abito accanto a una palestra. Alla palestra di una scuola.
Ho spesso la finestra aperta, non mi arrendo ai temporali alle pioggerelline, nemmeno al frescolino di inizio autunno. E' la mia personale guerra contro la fine del tempo bello dell'estate.

Domani è il mio compleanno.
Mi faccio gli auguri da sola ogni anno, cerco di capire che tipo di persona sono diventata ogni anno che passa, se invecchio o se cresco, o tutt'e due, se quello che mi accade me lo merito oppure no, se il bene e il male mi cambiano e in che misura. 

La risposta non la so mai.
Mi guardo allo specchio e vedo sempre la mia faccia, ho i capelli lunghissimi, non mi va di tagliarli, non mi è mai piaciuto tagliarmi i capelli, mi faccio la treccia e poi la giro sul davanti, vuol dire proprio che sono lunghissimi.

Ho di nuovo mille idee e mille progetti da realizzare, mille cose da fare, mille libri da leggere e da scrivere, il mio è sempre lì, a volte lo rileggo e mi viene un pò da piangere, ma davvero ho scritto quelle cose lì? e poi la smetto, ho imparato nell'ultimo anno che smettere di piangere ti salva dal mondo.

Mi piace ascoltare i rumori delle case. Mi piaceva nella Casa in Collina, dove sentire la mia vicina urlare coi ragazzi mi faceva sentire meno sola. Certo, ho urlato un sacco anche io, ma non sono certa che lei fosse altrettanto contenta.

Da qualche giorno, entrano rumori nuovi dalla finestra aperta, quella di lato, dove ci sono i gelsomini e il Basilico Stremato da un'estate di stenti nelle mani scellerate di un figliolo che non c'era mai.

E' il rumore della palestra.

Ci ho riflettuto un pò, e ho pensato che la mia vita, da adesso in poi, la vorrei proprio come una palestra. 
Con i fischi se sbagli, con le grida, le risate, il rumore del pallone sul pavimento, che fa allegria, lo stridore delle scarpe di gomma, l'eco delle parole belle che ho sempre voglia di sentire, i nomi, le canzoni, i punteggi ovattati, non so mai esattamente che cosa ci facciano in quella palestra lì, ma non è importante, alla fine.
E' un mondo a sè, un microcosmo affascinante, che non posso spiare perchè ha i vetri opachi ma ne sento il rumore e l'unica cosa che so è che quel rumore mi piace, sembra un pò un' astronave, se ci pensi.

Voglio per me dei giorni lisci, che di gasati ne ho avuti abbastanza, dei time out per dirmi Fermiamoci Un Secondo, dei conti alla rovescia per partire di slancio, dei blocchi di partenza dove concentrarsi e dire Ce la Posso Fare, dei materassi morbidi dove cadere dopo un salto altissimo, un cronometro per misurare le volte che non sono più io e farli durare sempre meno, dei traguardi belli, dove tutti sono contenti e sì ci arrivi sfatta e col fiatone, così tanto che nemmeno riesci a bere o a parlare, ma che bello è correre così.

Una palestra.
Stasera sentirò ancora meglio quel rumore, di solito sono fuori che annaffio le piante. Anche il Basilico Stremato. Gli racconterò la storia della Palestra, chissà che non si riprenda un pochino anche lui.

e cose belle, finalmente, a me.




01 luglio, 2019

Lo sai.

L'ultima volta era con te.
È passato un pò di tempo, sono passate cose e persone. Non sei passata tu. Non sei passata più. I miei giorni di mare senza la certezza di te, di quel tuo pareo rosa a fiori che mi piaceva così tanto, di quella tua crema profumata e dei tuoi riccioli scomposti sotto la maschera, Ma Cosa Guarderai Lì Sotto, Boh. 
Ti penso.
Ed ogni cosa mi fa ricordare, un pò ridere, un pò piangere, un pò tutt'e due. 
Non imparerò mai la differenza fra scotte e drizze, ma ho imparato bene i venti, faccio dei nodi da manuale e sto zitta durante gli ormeggi.
Ed entrare in porto la sera, la preghiera pagano del ritorno, del silenzio, del sole del giorno, imprigionato sulla pelle con la crema e il sale. 
Entriamo Presto, dicevi, stare in porto ti piaceva, così come amavi il mare e l'avventura, di quella volta al Giglio che sono stata malissimo e tu volevi ad ogni costo andare a Giannutri con il mare forte. 
È da un pò che sei andata via, stamattina c'era un arcobaleno sul mio cuscino, lo so che non torni e adesso ho capito, ma le estati con te, con la tua famiglia e con te, sono state le più lucide della mia vita.

Da lì, da dove sei e guardi giù, e vedi il mare bello che vedo anch'io, e il cielo di un azzurro mai visto, da lì, sorridi ancora, sorridi a me, ridi ancora con me, lo so che non torni, mi accontento di quell'arcobaleno sul cuscino.
E so che lo sai.



25 aprile, 2019

Per Sempre Glicine.

E' stagione di glicine.
Lo amo, e tanto anche.
 Il colore, la forma, il suo modo di essere. 
Non si può cogliere, non si può tenere in vaso, sta pochissimo fiorito, di solito, è nascosto, pianta desueta ormai, si trova nelle case vecchie, meglio se abbandonate, dove può crescere come vuole, entrare nelle finestre spalancate, lui e le sue discendenze di calabroni.

Una volta, ho fatto la Mappa dei Glicini, per essere certa di ricordarmeli tutti, tutti quelli che conoscevo.
E per un pò ne ho posseduto uno, in una casa lontana, cui avevo messo nome Nonostante.

Presto farò un altro giro della città per vederne qualcuno. 
Il Giro dei Glicini si fa all'imbrunire, nei posti abbandonati, dove non tutti possono entrare.
Il mio preferito è quello della caserma, ma non è più rigoglioso come un tempo, deve aver preso freddo, non so, o qualcuno deve avergli teso una trappola, e lo ha fatto morire.
Chi mai al mondo può essere tanto malvagio da far morire un glicine.

Voglio essere glicine anche io.
Voglio crescere, imparare ad arrampicarmi sui muri scrostati, sui mattoni, sui tetti. 
Voglio fiorire, per poco, a primavera, voglio farmi amici i calabroni, le api e ogni genere di insetto, voglio avere foglie verdissime e lucidissime, e rendere regale una casa crollata, un tetto scosso, un cortile con le sedie rotte e i sacchi di sabbia lasciati lì, uno straccio sporco steso alla finestra e i vetri rotti.

Sarò glicine.
Il colore pastello che sfida il grigio del temporale, le nuvole cattive che rovesceranno fra non molto scrosci di pioggia da guardare dai vetri, il lilla tenue che fa bene agli occhi e al sentimento, ne coglierò un grappolo, perchè il glicine non è fiore, non è corolla, ma mille corolle insieme in una perfezione architettonica che non ha pari, l'eleganza della confusione, la dolcezza dell'abbondanza, il non sapere se è stelo o ramo o tutt'e due.

Farò il Giro dei Glicini prima che sia maggio.
Ne coglierò uno e lo terrò fra le pagine di un libro, a seccare.
E sarò glicine per sempre.


06 aprile, 2019

Lucciole.

Ho sognato un prato pieno di lucciole.
Chissà che vuol dire.
Io non so interpretare i sogni e a volte mi capita di fare dei sogni così belli che mi fa fatica svegliarmi e la sera dopo spero di ritrovarli, da qualche parte, quando torno a dormire. Che scema.

A me, le lucciole sono sempre piaciute.
Con mio fratello, d'estate, era una gara a che ne vedeva di più. Di catturarle non se ne parlava, o soltanto per pochissimi minuti, per guardarle dentro al bicchiere e poi lasciarle, libere di volare ad illuminare le notti profumate d'estate.
Sono preziose.
Sembrano esserini da nulla e invece no. Sono le uniche che brillano, le sole che lasciano un segno, non hanno nemmeno bisogno di ronzare, per mettersi in mostra.

Amo le lucciole, ne avevo già scritto qui, per quel loro modo di cercare di illuminare il mondo con lucine minuscole, è impresa titanica, ma a loro non importa, volano e volano, brillano e brillano, e sfidano il buio pesto e la solitudine, sfidano il caldo torrido delle notti estive, sfidano il mondo, pur di danzare, brillando.

Non so se qui dove vivo ora ci saranno le lucciole quest'estate, ma ho già parlato coi gelsomini del terrazzo, quelli che oggi hanno cominciato a fare una siepina appena accennata, che diventerà una Sequoia Gelsomina fra pochi mesi. Mi hanno detto che forse ne ospiteranno qualcuna per farmi contenta. 
Non mi resta che aspettare l'estate, i ghiaccioli all'anice, i sandali e le lucciole.
Perchè ci saranno, lo so. 
I gelsomini non mentono mai.

13 marzo, 2019

La Notte dei Desideri

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Non lo so perchè, stasera vale tutto. E' primavera, non la è, e chi può dirlo, chi lo sa, chi si arroga il diritto di decidere, giro senza calze da settimane, è un classico ormai, e dal senzacalze non si torna indietro, no. 
Come da molte altre cose.
Stasera che niente è bello in tv, nè film nè serie degne, nè libri, in realtà, sere che si ha solo voglia di frivolo e di leggero, financo un pò cretino, ho riso con un'amica nel telefono, Non Ti Ho Insegnato Niente, forse no.

Avrei voglia di un ballo e di una festa. Non per forza tutt'e due, E un abito di tulle e dei sandali pieni di brilli e tutti tempestati di pietre preziose, d'oro e d'argento, che valgon cinquecento.
Ho voglia di una musica bella, non importa nemmeno se non c'è, la faccio io, a bocca chiusa, senza sapere le parole, na na na, za za za, viene ben uguale.

Girerei su me stessa fino a veder tutto intorno a me girare, girare forte, e ridere, anche, che bello è ridere forte e senza motivo, un pò da sbronza, per una cosa che hai detto o fatto e qualcuno che dice Che Cretina, ma te lo dice con dolcezza, e allora si autorizza.

E poi vorrei un mazzolino di viole, di quelle che avevo nel Pratino e nell'aiuola delle rose, devo andarle a cercare anche qui, chi l'ha detto che le viole non crescono in città, le cercherò, sono sicura di trovarle, da qualche parte. 

Regina del Nulla, dei Castelli senza Senso, Principessa delle Sciocchezze e dell'Ansia Stupida, Dea del Vento ma non quello teso del mare, quel vento gramo che rovina tutto, che sradica gli alberi e fa cadere i cartelloni e riempie le strade  di cartacce e polvere.

Stasera volo fuori da questa finestra senza tende, ancora, perchè ancora non ho deciso se le voglio oppure no, è bello guardare fuori, puoi avere il cielo sempre lì, se ti sporgi un pochino puoi perfino toccarlo. Stasera volo via, raggiungo un posto incantato su una collina, e no che non è un castello ma un casolare abbandonato, dove qualcuno ha acceso tre candele, spazzato il salone, messo una rosa in una brocca sbeccata e mi canta una canzone.

Io scendo dalla bici,l'appoggio a un albero senza combinazione, mi liscio l'abito di tulle con le mani e faccio attenzione a non scivolare coi sandali che brillano nella semioscurità del sentiero. Non ho paura, non ho mai paura a entrare nelle case abbandonate e stasera qui c'è una festa.

Ho una coroncina di viole e gli occhi che ridono, ballerò fino a tardi, finchè mi girerà la testa, e mi sentirò felice e perfetta, fino a quando nella vita avrò voglia di inventarmi feste per non pensare, di immaginare abiti di tulle soffice che danzano con me, sandali che luccicano e coroncine di viole,  quelle viole, dell'aiuola in città, che domani vado a cercare e sarà l'unica cosa che di questo sogno, mi resterà.





08 marzo, 2019

Otto Marzo

Mi piace scrivere. 
Metto in fila le parole, i pensieri, le questioni, e vederle scritte, a volte mi sembrano diverse.
Non migliori, non peggiori, diverse.
Stasera, mi scrivo.
Scrivo a me, con una penna bella e un foglio spesso, magari senza righe, tanto, so andare dritta anche senza.

Cara me,
volevo scriverti una lettera oggi che è una festa strana, dove tutti un pò sorridono alle donne, ti fanno passare sulle strisce, dove vendono le mimose agli incroci, dove alla posta hanno tutti i mazzolini nella plastica e il nastrino rosso, che seccheranno e finiranno nel cestino fra qualche settimana.
Ho avuto anche io la mia mimosa, oggi. e tanti messaggi dalle amiche, e un abbraccio bello in corso Roma, da un'amica che non vedevo da un pò.

Cara me, 
scrivo per dirti che mi piaci.
Mi piaci come passi dal fuoco al fango, come ti nascondi nel niente quando stai male, come non esci di casa per mesi quando devi asciugarti gli sputi dal viso col dorso della mano. Sputi di donne, come te.

Mi piace come sai chiudere gli occhi senza dormire, quando invece dormi e sogni  Parigi, il mare, un bosco incantato.
Mi piace come ti inventi storie nuove da raccontare e raccontarti, quando ti senti dentro a un film che non vorresti finisse mai, mi piace come studi, cambi, canti, leggi, come ti guardi allo specchio, le occhiaie blu e gli occhi pesti dei giorni scorsi, e l'unica cosa che pensi è che forse devi spuntare un pò i capelli.
Mi piaci col rossetto, CheTiStaCosìBene, mi piaci quando porti il cane in giro vestita a caso, quando sei in tirissimo coi tacchi che non vedi l'ora di togliere sotto al tavolo, quando cammini scalza per casa e balli e ridi anche se magari è l'ultima cosa che avresti voglia di fare.

Mi piace come guardi fuori dalla finestra, da quando hai un balcone ci stai spesso e guardi giù e tutto intorno e hai scoperto un albero con le gemme a ridosso della scuola davanti a te  e lo sorvegli e pensi, fiorisci, albero, fiorisci in fretta, un pò mi manca la collina e i suoi fiori, fiorisci, fallo per me.

E' l'8 marzo e festeggio così, mi scrivo una lettera, la scrivo a quella me che sono diventata nell'ultimo anno, che sono cambiata e sono sempre la stessa, che ho pianto così tanto che mi faceva male il cuore e avevo l'anima spaccata in dieci milioni di pezzi finissimi, che ho perso e che non riesco a riattaccare, e allora di anima me ne sono costruita un'altra, che fatica, che sforzo immane, ma se ti scrivo stasera è perchè ce l'hai fatta e sei tornata quasi quella di prima, prima che il mondo ti schiacciasse, prima che ti seppellissero mentre ancora respiravi, e fango e sabbia in bocca e dentro agli occhi e ovunque che nemmeno a urlare ti riusciva più, ma non vedete, sono io, e  invece mani a soffocarti, mani a schiacciarti e pugni e calci, calci di donne, come te.

Cara me, raccogli ora  piccole felicità fatte di niente, quelle preziose, quelle semplici, un biglietto, un pallino di mimosa, una telefonata, ComeStai. E ama, ama come sai, ama come hai fatto sempre e forse anche di più e più forte, ama e sorridi, e affronta tutto quello che verrà con una forza profumata e impara tutto, e ascolta tutto, e studia, studia ancora cos'è la vita, la gioia e il cielo, le mappe e  le stelle, le scie degli aerei che ti piacciono tanto e leggi le carte, i sortilegi svaniscono e le favole non finiscono mai.

Che bizzarre sono le donne, certe volte.

Che sanno scrivere anche senza righe, un foglio bianco e una penna bella, la sera dell'8 marzo, una lettera a se stesse per farsi un regalo.








25 febbraio, 2019

I Fogli Bianchi.

Scrivo a penna.
Con la stilo, spesso. O con la Bic Cristal. Blu. Sempre blu. 
Ho anche degli inchiostri, viola, arancio e turchese, ma le boccettine sono così belle che li uso pochissimo.
A volte mi è capitato di rimanere ferma e zitta davanti a un foglio bianco, soprattutto se si trattava di numeri. I numeri hanno una logica che non mi appartiene. 
Mai sono stata ferma davanti a un foglio bianco, se quello che dovevo scrivere erano parole, storie, letteratura, parafrasi, cose. Le parole mi affascinano, mi trascinano, mi avvolgono, mi cullano e mi fanno giocare e ridere e suonare. Tutto insieme. I numeri, no.

Ho fogli bianchi davanti a me, qualche volta.
Quando non so cosa dire, o forse lo saprei anche dire ma ho paura.
Quando non so che cosa fare, e vorrei avere al sicurezza di tanti, quelli che sanno tutto, come funziona il mondo, Marte, il Firmamento. 
Ho fogli che lascio bianchi quando le cose mi sembrano così belle che a toccarle le sgualcisci, e le sgualciresti anche se ne scrivessi, e allora, lascio il foglio così com'è.

E immagino.
Invento.
Che non è come scrivere e cancellare subito dopo, resta il buco nel foglio, e tutta quella gomma cancellata, che orrore, la mia compagna di terza elementare, la Stefania, era la nipote del cartolaio e un giorno arrivò a scuola tutta tronfia, aveva una gomma nuova con una specie di spazzolina per liberare il foglio, una volta cancellato. Chissà cosa c'entra.

Lascio i fogli bianchi nella mia vita di prima, e in quella di adesso, prima perchè ho cancellato, adesso perchè ho tante cose belle da scriverci, appena nate, sofferte, sorprese, soffuse. Che belle, le parole con la S.

lascio i fogli bianchi perchè voglio il privilegio di scriverci ogni giorno a mente quello che mi va, quello che mi piace di più, quello che più mi fa contenta. Se non so, se non sono del tutto certa, o semplicemente perchè mi dico MaNonPuòEsserePossibile, allora, non scrivo niente.
Nè in blu, nè in arancio, nè viola, nè turchese.

I miei fogli bianchi sono la parte di me che preferisco, sono la vita, la bellezza, il sole bello di oggi dopo giorni di letto e di stare male, sono il verde di un posto incredibile, sono la calma accesa di una panchina sotto gli ippocastani, sono le scritte sui muri che mi ostino a fotografare, sono le persone che ti dicono GuardaCheCielo e che fanno di un giorno qualsiasi un giorno da dire MaSìChePuòEsserePossibile.

La felicità non si ferma quasi mai.
La contentezza, quella sì.
Ed è quella che mi trovo in tasca, in giorni normali, stropicciata in fondo alla borsa della spesa, fra i biscotti e la liquirizia, che trovo nei miei passi e che si legge nei miei fogli bianchi, in controluce.

Nei fogli bianchi c'è tutto il mondo, Marte e il Firmamento.
Nei posti al sole, nelle panchine fra gli ippocastani, invece, anche.


18 febbraio, 2019

La Conservazione dei Petali.

Sono una accumulatrice seriale.
Di cose, nastrini, carte, vasetti, stilografiche, quaderni, sentimenti, libri, oh, quanti libri.
E fiori.
Come accumuli i fiori, ancorchè recisi, le chiese.
- Li conservo, li tengo. Secco le ortensie a testa ingiù, a natale le brillo con l'oro o con l'argento,  tengo un fiore di ibisco in almeno una decina di Sellerio, quelli letti d'estate, l'ibisco non c'è dove vivo io, l'ibisco non sopravvive a nebbia e gelo.  Scoperto solo quest'anno il fiore del cappero, in un posto incantato, in un posto del cuore che al mio cuore frantumato ha dato balsamo e ambrosia e che non vedo l'ora di ritrovare, per mare o per terra, chi lo sa.
E i fiori recisi?, quelli del vaso?
- Sono stati i tulipani, gli ultimi. Erano un rosa caramella, dolci come le caramelle dolci, sono i fiori del supermercato che appena a casa diventano di serra olandese, di negozietto sui canali di Amsterdam che sa di muschio e fiori, per forza, di cosa vuoi che sappia un negozio di fiori, se non di fiori, di mazzo adagiato con cura al cestino della bici, olandese anche lei, e pure il cestino.

Li ho messi nel vaso quadrato dell'Ikea, i gambi ben ordinati, e li ho guardati sorridermi nei giorni, dal mio tavolo nuovo di zecca, ancora non conosco così bene questa casa e vado per tentativi, e costruisco ogni volta piccoli angoli da amare, la cornice, la poltrona, i dischi di vinile...
I tulipani stavano lì, sono stati lì un sacco, cambiavo loro l'acqua ogni giorno, accorciavo loro il gambo, appena appena, qualche volta sussurravo qualcosa, CheBelliCheSiete, cose così.
Io ci parlo coi fiori, anche senza tachipirina in dosi massicce, come in questi ultimi giorni.

I tulipani mi osservavano dal tavolo, assistevano alle mie colazioni con lo sguardo perso oltre i palazzi, oltre la scuola che ho di fronte, oltre le scie degli aerei. 
E piano piano, si allargavano, per mostrarsi a me in tutta la loro meravigliosa perfezione, un pò come le persone, quelle che a te si affidano esattamente come tu ti affidi a loro, quando tu racconti pezzi di te, quando lasci incustodito il cancello che porta dritto alla tua anima e quelli invece di girarci intorno entrano piano e si siedono lì, e ti ascoltano, e si raccontano e poi dicono E'Tardi, MiSaCheVado, e a te dispiace che vadano via, ma ti lasciano un pò di loro e tu, a loro, un pò di te. E chiudono piano il cancello per non farlo cigolare.

E'così che si fa con le persone. Quelle belle,intendo.

I Tulipani Rosa sono stati molti giorni qui con me, e stamattina, intorno al vaso, sparsi, era tutto un fiorire di petali e pistilli, i tulipani non sono eterni, come le candele, l'odio, l'amore e la tosse.
Ma non ho avuto cuore di buttarli.

Conservo tutto, soprattutto vasi di vetro, e lì ho adagiato con grazia i petali di quei tulipani rosa dolci, color caramella. E l' staranno, fino a quando vorrò, e niente è scalfito della loro bellezza, di quando facevano corolla e miracolo, mazzo e colore.

Li ho tenuti perchè non voglio dimenticarmi di quanto siano stati belli, quel giorno nel mio carrello, nella mia cucina, sul mio tavolo, per tutte le volte che mi hanno reso più bella una mattina storta per il solo fatto di incontrare il mio sguardo, per il solo motivo di essere lì, rassicuranti, romantici, perfetti.
Conservo ogni singola cosa che mi ha fatto del bene, e se ci penso ho tante cose anche lì, chi accumula sentimenti lo sa, e questi petali sono la prova che nel mondo creato anche una manciata di colore racchiusa in un vaso può dire tanto. 

Il cancello della mia anima cigola sempre, entra meno gente, ma quella che entra mi porta sempre un fiore, un libro, una carezza. E se ne va con fiori, carezze e libri, oh, quanti libri.
In ognuno di essi, un fiore seccato.
I petali dei Tulipani Rosa, quelli no.

E dove li tieni?
- Li tengo sul tavolo, li guardo ogni tanto, e non mi dimentico.




06 febbraio, 2019

Sorvolo.

Che è una bella parola.
Sorvolare è più di volare.
Sembrerebbe volare più in alto, ma so bene che non è così.

 Amo le scie degli aerei.
Amo gli aerei in generale, mi piacerebbe prenderne uno in questi giorni, per andare chissà dove, non lontanissimo. Forse è solo voglia di volare.

Amo il cielo in questa stagione, soprattutto verso le sei di sera, più o meno, che ha colori meravigliosi, un pò blu, un pò rosa, un pò arancio, proprio oggi che ho scoperto che c'è un aggeggio che serve per definire il colore del cielo. Solo il blu, però.

Ho amato il cielo di stasera sulla città, una ciglia di luna minuscola, e una scia lì vicino, e là in fondo un sapiente gioco di colori, la perfezione, la meraviglia, c'è qualcosa di più bello di così?

Mi piacerebbe sorvolare il mondo e guardare giù, in aereo guardo sempre dal finestrino, le nuvole, i paesaggi, le montagne, perfino la pista di atterraggio che ce ne sono alcune che ti sembra di atterrare nel mare proprio. 

E anche il mio aereo lascia la scia, e chissà se quando sono io a sorvolare le campagne e le strade, c'è qualcuno sotto che individua la scia e pensa Chissà Dove Va, Chissà Che Storie Porta Quell'Aereo.

Non si vola solo nel cielo, qualche volta sono i momenti belli a farti volare, a farti camminare leggera e perfetta, sono le notizie, i sorrisi delle persone, gli abbracci, o anche solo gli sguardi, gli occhi, ci sono occhi che dicono tutto senza parlare.

Mi piace volare anche stando ben salda a terra, mi piace indovinare le traiettorie, inventare storie e situazioni e fare viaggi fantastici senza aver nessun bagaglio e nessun biglietto.

Sorvolo così, le cose belle della vita, quelle che decidono di arrivarti quando pensi che sia tutto normale, che sia tutto così e che non cambi più. Sorvolo le sorprese, i piccolissimi traguardi, le piccole gioie di ogni giorno, le scoperte, il mio minimo e il mio massimo, è un gioco che facevo da bambina, lo facevo coi miei figli a  tavola la sera, lo faccio ancora adesso, certe volte.

Avrò sempre la forza di guardare le cose dall'alto, avrò sempre la fantasia per inventare tutte le storie del mondo, è un antidoto contro la malinconia, le persone malinconiche sono vasi da innaffiare di dolcezza e vederle sorridere è un regalo vero.

Avrò sempre storie da raccontare, cieli da guardare, scie da indovinare, aerei da seguire e più di tutto, la voglia di sorvolare.
Perchè così come contento è più di felice, così sorvolare è più di volare.







29 gennaio, 2019

Come cipria.

Siediti qui che ti racconto delle cose che non sai.
Hai la voce stanca, chiudi gli occhi e non pensare a niente.
Ma pensare a niente non si può. Lo sanno anche i sassi, lo dico sempre, ci sono espressioni che ti porti dietro da anni, o che impari. Anche Zero in Cassa, o Chiusa la Genova Nizza, o quel mio Veramente? 

Ci sono momenti ai quali non sai dare un nome, che scendono piano su di te come neve gelata, qualche volta, o pioggia battente, o dolci come zucchero a velo o belli e lucenti come cipria scintillante, come brillantini a Natale.
Momenti che sembrano perfetti e di fatto lo sono, e non fa niente se fa troppo freddo o troppo caldo e forse nemmeno lo senti, anzi di sicuro. E parlo, parlo tanto e tu non senti, oppure fai finta, lo so che fai finta certe volte, perchè non scappa niente nemmeno a te, e guardi di sottecchi, un pò di lato, un pò di storto e allora so che hai sentito e ascoltato che no, non è la stessa cosa.

Ci si regala momenti di pura follia, di calma accesa, di quiete che non è quiete ma tempesta perfetta, si trasformano minuti in ore infinite e ore infinite in lampi veloci, navicelle spaziali per attraversare galassie e mondi invisibili, e  Mondi Giusti e Mondi Sotterranei. E mondi Belli.

Piove bellezza su questi giorni, gennaio è un mese con millecinquecento giorni, ognuno fa piovere quello che vuole, quello che gli piace di più, se rubini o petali, o neve o grandine, o sassi verdi trovati al mare o biglie di vetro da strofinare per esprimere desideri. Non si avverano mai, ma è un gesto che fa bene al cuore, che bello è quando ti dicono Chiudi Gli Occhi e Ed Esprimi Un Desiderio e in quel momento, in quell'istante preciso sei padrona del mondo e puoi decidere tutto, nessuno saprà mai il tuo desiderio o se hai barato come fanno tutti e di desideri ne esprimi sei, sette, cosa credi, che non lo sappia nessuno?

Piove neve domani, così dicono  sarà tutto bianco e silenzioso, e ci si sentirà un pò in vacanza, un pò in pace, un pò Vorrei ma Come Faccio che Nevica, e dentro di noi, un sorriso grande come una casa.

Piove cipria sulle cose di adesso, leggera, opalescente, che fa belli musi color seppia e occhi pesti, cipria che fissa risate belle a ridere di niente, ridere di niente è un privilegio, non lo sanno fare tutti, e spesso è una fortuna, qualche volta qualcosa in più.

Soffio cipria sottile sulle cose più belle, le illumino e le tengo per quando farà troppo buio e mancherà la luce, e si camminerà a tentoni per trovare l'interruttore o la candela, che ne ho mille e quando servono non le trovo mai.

La pace e l'allegria sottile meritano un posto preciso nella vita di ognuno. E' un esercizio di stile, ogni giorno che nasce merita una piccola festa, ogni alba, ogni tramonto d'inverno che ti lascia senza parole, e allora, se non si sa dove andare si va verso di lì, dove il sole è una frittata luminosa e ti fa dire Ma Che Meraviglia E', e tutto prende senso, il sole, la cipria, lo sanno anche i sassi.

ora, lo sai anche tu.


23 gennaio, 2019

Il Falò e la Cometa.

E' una parola bella, rumorosa. Secca.
Fa allegria.
Ricorda quelli sulla spiaggia a Varigotti, quando ancora i falò sulla spiaggia si potevano fare, gli amici che ritrovavi ogni estate, quelli di cui ti innamoravi ogni estate, quelli che nemmeno ti guardavano ogni estate. Quelli che ti aspettavano per ore sul molo. Così funzionava.
 Intorno al falò si parlava tanto, si cantava tanto, ci si baciava tanto. Non io che a 15 anni ero imbranata come una foca, così si diceva. E solo nell'estate del '79 ho dato un bacio vero per penitenza. Il giorno dopo, giù a scrivere una lettera infinita alla mia amica Cristina, la carta da lettera della Holly Hobbie, tutta cuoricini e ghirigori, per comunicare l'evento. Una scema.

Non tutti i falò, però, hanno ricordi così (e qui ci vorrebbe un'altra parola con l'accento).
Non tutti si fanno col fuoco. E sono i più dolorosi.

Ho fatto pochi falò di cose nella mia vita, anzi, a pensarci, forse qualche fuocherello qua e là, niente di serio.
Uno solo, da un anno in qua. Vero, possente, straziante. 
E' divampato in fretta e io non sono stata lì a guardare, come si fa col fuoco, che ti ipnotizza. Ma i falò delle cose non sono come il fuoco del camino, dal tappeto,la sera, col vino rosso, gli amici o un libro, o anche niente, a guardare le scintille e la legna che da normale diventa incandescente e poi si sbriciola.

Ho fatto un falò di cose, biglietti, auguri di compleanno Ti Vogliamo Tanto Bene, di situazioni e di feste. I sentimenti no, quelli non si possono bruciare, sono come la plastica, vanno in un falò a parte e forse nemmeno funziona. Ho bruciato discorsi e regali, e confessioni e sfoghi e consigli e lettere, e fotografie e sorrisi e risate e pianti e consolazioni e chiacchiere e divertimenti e discussioni.
Ho bruciato tutto. Lo hanno fatto in molti, mi sa. Va bene così.

Ho bruciato parte della mia vita, del mio sentire, sono stata all'inferno e sono tornata indietro, ho letto questa espressione da qualche parte, e mi ha sempre colpito per la sua immediatezza, per la sua realtà, per la sua irrimediabile verità, l'inferno, si può immaginare un posto peggiore? C'è fuoco anche lì.

Ho cancellato o tentato di farlo, mi sono lavata via gli sputi che avevo addosso, ed erano tanti, mi sono medicata dai tagli, ho disinfettato stilettate, ho messo il ghiaccio sugli schiaffi e la crema sui lividi. Qualcuno si vede ancora. 

Ora, sto bene. La strada è lunghissima ma sono in pace con me. Chissà se è così per tutti.

Ora, ho nel cuore una cometa. Anche questa è una frase bellissima, la cometa è speranza e cammino, e luce e bellezza. E nascita e cose nuove, e cieli belli e belle stelle.
Ecco, quello.
Ho un cielo bello davanti a me, non vuol dire che sia facile, ma bello, questo sì.
Ho ripreso la mia vita da dove l'avevo lasciata, le ho tolto la polvere, mi sono lavata la faccia, spazzolata i capelli, messo una maglia nuova e un profumo dolce di Passiflora.

Il mio falò l'ho dimenticato.
E vivo quel che c'è, la nebbia e l'eclissi, le mattine di gelo e il sole, la fontana ghiacciata della piazza e nuove cose, nuovi libri e nuovi progetti, e nuovi quaderni e nuovi pensieri da scriverci sopra.

La mia Cometa è lì, e indica la strada.
Re Magio senza doni, profuga in un deserto immaginario, la strada è lunghissima, riparto da qui.






14 gennaio, 2019

Il Talento.

Non credo di averne, nessuno.
E se ne ho qualcuno, è per cose insignificanti e totalmente inutili. 
Ho talento per imparare le canzoni a memoria e le poesie. Di fissare le scie delle aerei fin quando non scompaiono, o si dissolvono nel cielo. 
Ho un talento spiccato e naturale per perdere le cose, prendere multe, dimenticare le chiavi.
E dimenticare me.

Sono giorni freddi ma mica tanto, sono giorni strani di nuove condizioni e nuove situazioni, prima fra tutte la cose che vedo dalla finestra appena apro gli occhi. E sono altre finestre e altre tende e un balcone delizioso che ha ancora una cometa illuminata. Anzi, adesso controllo se c'è ancora. 

Nuove direzioni e nuovi pensieri, belli, liquidi, come gli occhi delle persone che sanno essere straordinarie nel loro modo semplice di esistere e di guardare, e di arrendersi dolcemente alle cose della vita. Non è da tutti, non l'ho mai imparato, non so se ci riuscirò mai.

Gennaio è un mese ingrato e meraviglioso, è il mese dei grandi inizi e dei progetti interstellari, e poco importa se alla fine non se ne farà niente. Ho un talento sublime per fare sogni grossi come case, voli supersonici fra le nuvole più belle dell'Universo Creato, io, Sognatrice Indiscussa, Regina delle Cose Inutili di Tutte Le Terre Emerse, che si schianta  con fragore al suolo, di faccia, sbammm! e zero talento ad indovinare che sarebbe successo, meno di zero.

Ho un cuore stropicciato dentro una busta di plastica. Lo tengo lì, al caldo, qualche volta lo accarezzo e gli dico piano che andrà tutto bene, ma lo dico da così tanti anni che alla fine, il mio cuore non mi crede più.
Ha fatto un degno lavoro, per me, ha amato tanto, soccorso, accudito, consolato e insegnato. E ha sofferto, più di ogni altra cosa al mondo. Ed è stato così felice da non crederlo possibile. E poi disperato e stanco, da desiderare di fermarsi, da non farcela più.

I cuori guariscono sempre, loro sì che hanno talento.
Sanno sempre esattamente la direzione da prendere, sanno con precisione che se vai di lì troverai un prato e se invece vai di là una siepe di rovi. Più in là ancora, una cascata di acqua cristallina e spumeggiante e di là ancora una palude di sabbie mobili.

Eppure, ci vanno lo stesso.
E forse, il segreto sta tutto lì.

Vivere, vivere a manciate, a sorsi lunghissimi, come l'acqua gelata d'estate, vivere a sacchi, a cesti stracolmi come quelli del frutteto, vivere e non fermarsi, nemmeno quando ti manca il respiro e dici, Non Ce La Farò Mai.

Voglio imparare dal mio cuore, voglio avere il suo talento nel riconoscere le cose della vita che arrivano quando non sai, quando non credi, quando hai freddo, fame e sonno e invece guarda lì, che meraviglia che c'è.

Trovo un'altra direzione, prendo questa strada che non so, ho un talento superbo per indovinare la strada giusta, non è vero ma faccio finta, il mio cuore sussurra e mi dice, Vai, E' Tutto Ok, è La Strada Perfetta, ma lui che ne sa, che da lì dov'è nemmeno vede fuori.

Ma io lo sento sorridere.
La cometa del balcone di fronte è ancora lì.



06 gennaio, 2019

Disfo l'albero.

Lo faccio oggi, subito.
Altrimenti, rimarrebbe lì per giorni, e disfarlo sarebbe un compito gravoso e non mi ricorderei per questo di quanto mi sia piaciuto.
Guardarlo,anche se senza lucine e con le gocce di vecchi lampadari e i nastrini dei regali, guardarlo, dal posto d'angolo del divano candido, è casa nuova anche per lui, in fondo, si è dovuto ambientare.

Lo disfo oggi, subito, l'ultimo giorno di queste vacanze d'inverno, che se ne sono andati tutti, e la casa è silenziosa e un pò vuota. 
Lo disfo, avvolgo tutto con cura e lo sistemo nella scatola, quella che ha ancora scritto Natale Rosso 200004 con la grafia incerta di non so quale bambino.

Si guarda avanti, lontano, si fanno piccoli sogni di neve, in questo mese lieve che è gennaio, si procede lenti verso l'allungarsi delle giornate, ci vorrebbe solo la neve e la sua luce, perchè anche la neve ha la sua luce, tutta bianca com'è..
Si fanno liste di cose, o anche solo a memoria, a volte faccio liste delle parole che mi piacciono, basilico, sorriso, Elelys che era una fabbrica in Val D'Aosta, sillabe, frantoio. Chissà perchè mi piacciono le parole e il suono che hanno, al di là del senso e del significato. Chissà.

E' una domenica più domenica di tutte le domeniche dell'universo creato.
Disfo l'albero con calma olimpica, un pò alla moviola, mi fermo a guardare le cose, e quello che mi piace di più è guardare dentro il boule de neige, dopo averlo scosso un pochino.
Si crea una tempesta perfetta al suo interno e tu puoi decidere dove vorresti essere, se Parigi o in piazza Genova, e osservi tutti i minuscoli fiocchi di neve, e pensi che lì dentro è così bello stare, in quella bolla al riparo da tutto.

Ognuno ha il suo boule de neige personalissimo e privato, il luogo del cuore dove rifugiarsi per non sentire, per non ascoltare, per non vedere altro che fiocchi e brina, e strade bianche e sentire i rumori ovattati, e tutto il bianco intorno che ti fanno male gli occhi dal bianco che c'è, come quando piangi tanto, o pensi tanto a qualcuno, o prendi freddo in bici o in moto, sì, anche gli occhi fanno male, certe volte.

Affido al boule de neige qualche segreto, prima di riporlo nella scatola del Natale, accanto allo gnomo e ai campanellini, gli racconto che è stato un bel Natale e lo ringrazio, di vero cuore, per avermi ospitato al suo interno.

Ho vissuto in una bolla, di calma e di pace, e di cose belle e semplici, e di calore.
E ho cambiato idea.
Disfo l'albero, sì.
Ma questa bolla resta.
Resta.

Di quella volta che un boule de neige salvò la vita a una sognatrice disordinata.



02 gennaio, 2019

Brilli.

E stelle e paillettes e luccichii, e brilli, brilli ovunque, nelle penne, nei quaderni che ho comprato per scriverci chissà cosa, le lettere che non spedisco mai e i racconti che mi racconto da sola, quando viaggio in treno o quando devo aspettare da qualche parte.

Mi piacciono i brilli e ogni cosa che luccica, avevo una collezione di pennine meravigliose che scrivevano di glitter, ho avuto tovagliette di perline, e portachiavi e collane di perline rotte una volta in una strada coi sanpietrini e mai più ricomposta, troppo complicata l'operazione di recupero delle perline minuscole.  E pioveva pure.

Ho avuto dei pantaloni di paillettes, tre o quattro natali fa, e  sembravo Pollicino, perchè seminavo brilli ovunque, sulle scale e per la strada e in macchina e ovunque passassi.

Mi piacciono le cose che luccicano.
La lana che brilla, i cappelli, le sciarpe, ho sempre una cosa che brilla addosso, per non perdermi nella nebbia, mi sa, o per non perdermi io stessa.

Mi son persa mille volte e per mille volte ho ritrovato al strada. E l'ho percorsa all'inverso, anche se non so leggere le cartine, ma conosco i nomi dei venti e so da dove arrivano e dove portano.
E leggo le stelle, leggo le carte e le scie degli aerei, leggo le foglie secche, leggo le impronte nel bosco, leggo le mani e soprattutto gli occhi.

Ho pensato tanto, si pensa sempre tanto nei giorni di fine d'anno, e alla fine,l'unica cosa che sono riuscita a fare è stata buttar via l'agenda dell'anno passato, io, che ho ancora i diari di quando avevo sedici anni.

Ho pensato che non voglio propositi, per il 2019. 
Non dirò, Farò Così o Farò Cosà, non dirò Divento Questo, Divento Quello.
Resto io. Resto quella che sono.

Mi piacciono i primi giorni dell'anno, carichi di promesse e di cose intatte, nuove, da scoprire.
Mi piaccio io, mi piacciono i miei quaderni nuovi che luccicano, le penne d'oro e d'argento, i brilli, perfino l'agenda quest'anno è dorata, perchè sia festa bella tutto l'anno, perchè tutto sia come deve essere, e vada come deve andare, con l'augurio di essere dannatamente contenta sempre, perchè contenta è più di felice, essere contenti è uno stato dell'anima, ed è l'anima che voglio, leggera, trasparente, che vola, che luccica.

E piena di brilli. 
Arriverà la nebbia e non mi perderò.




29 dicembre, 2018

Indiani e cowboy.

Ho sempre amato questi giorni, un pò vacanza e un pò no.
I giorni in cui ti chiedi Ma Che Giorno E' e non fa una grande differenza alla fine.
Transumanze di figliolanza e fidanzati di figliolanza e amici e amici di amici, Passavo di Qua. Già, perchè adesso da questa casa ci si può passare anche per caso, non come l'altra che ci dovevi venire apposta.
Amo i giorni che vanno da Natale a Capodanno, quando hai tutti i regali scartati ma sempre sotto l'albero, sono regali fino al 6 gennaio e lì devono stare.
Che hai avanzi di cose un pò dovunque, ciotoline di cioccolatini e nastrini e carte ripiegate, o appallottolate, ne ho rinvenute un paio dietro al divano, che affanno comprare le carte dei regali, sono così belle e poi finiscono miseramente abbandonate e dimenticate, non come i nastrini, quelli li conservo sempre, ho imparato da mia nonna, e infatti non li compro mai, riciclo quelli che ho e conservo quelli che mi arrivano.

Sono giorni di cose sospese, di colate di brilli ovunque, si progetti iniziati o lasciati a metà, ho un ricamo con la scritta Merry Chr, che così rimarrà fino all'anno prossimo, io ricamo di Natale solo a Natale e non è una gran furbata, i gionri di Natale non sono mica mille,  ma io devo essere ispirata, se non non funziona.

Questi giorni, rifletto. Riflettiamo un pò tutti in realtà, si fanno bilanci e conti, io no, è noto al mondo che i conti non li so fare, ma quelli con le cose mie, con le mie giornate e la mia vita. beh, quelli sono gli unici che mi riescono per bene.

Diciamo che non è stato l'anno migliore della mia vita.
Diciamo anzi che è stato bruttino
Diciamo altresì che è stato unammerda.
Perciò, caro 2018 non sono triste se te ne vai. Anzi.

Ho provato a precipitare e a risalire, a riprecipitare e a risalire ancora, con le mani rovinate dalla pietre del burrone, e le scarpe non adatte, io non ho mai le scarpe adatte, ho i tacchi in montagna e le sneakers alle feste. Sono stata sott'acqua, non respiravo ma stavo lì, con gli squali a mangiarmi e io immobile a farmi mangiare. Sono risalita con un respiro profondo che più che un respiro era un grido, infinito, impossibile da contenere, inimmaginabile. Ho provato a respirare forte, ho provato a saltare, a correre, a girare su me stessa, ma ero di pietra e roccia e nessun movimento mi riusciva.

Ho dovuto imparare di nuovo.
A camminare, a respirare, a guardarmi allo specchio, a farmi la treccia, a mettermi il rossetto e a cantare in cucina la mattina presto, sottovoce, mentre mi chiedo chi mai ha fatto il caffè e stretto così forte la caffettiera che non si apre, e qualche volta sono io e mi faccio i complimenti da sola.
Perchè ho dovuto imparare a credere ancora in quello che sono.

E ora che te ne vai, 2018, devi portare con te ogni cosa, ogni lacrima, e sono state tante, ogni vomito, ogni notte che sono stata sveglia e ogni volta che ho dormito troppo, ogni volta che mi sono lasciata cadere sulla sedia, sfinita, solo per aver salito le scale.
Portati via le carte, l'odio, le frecce e i pugnali, non erano di plastica e giocare agli indiani non mi è piaciuto mai, ed era mio fratello che faceva il cattivo ma cattivo cosa se poi mi prestava il cavallo per scappare e poi mia madre cercava la scopa e c'ero sopra io.

Vattene, 2018. Lasciami la bellezza dei tramonti dall'autostrada, le persone che ho incontrato, i miei libri e le mie penne, i miei ricami a metà, i miei gomitoli arruffati che non ho voglia di dipanare, la mia casa col citofono e i cuori alle finestre. Lasciami i miei affetti, quelli che guardano di sottecchi se sorrido oppure no, lasciami le mattine in cui mi sento ancora quella di prima, quella degli unicorni e delle poesie a memoria, lasciami il mio disordine e questo cuore affaticato e stanco e che non smette, non smette mai di sognare e sentire, di scrivere e credere nelle cose, nella gente, negli amuleti contro la tosse, nella magia della luna piena sopra alle case, nella zingara che balla intorno al fuoco, mi ha letto la mano ma non mi ha detto nulla, ha sorriso e ha continuato a ballare, ha una cavigliera di campanellini e un tamburello e io so che cosa ha da dirmi.

Dimmi zingara che questo anno che arriva non mi farà del male.
A me, che non ho mai fatto male ad anima viva, giocare agli indiani non è mai piaciuto.

ero sempre l'indiano, quello che moriva.
E anche se mio fratello mi prestava la scopa, io, non sono mai scappata.

E buon nuovo anno a me.







Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...