Pago le gite. Pago l'andar via. Pago il fatto che per due giorni due, e dico, solo due giorni due, non sono stata ad occuparmi della casa in collina. Cose e cose mi han portata lontana da qui, una consegna di Cuore di Maglia, per cominciare, e altre vicende, per finire. Ora, il delirio. la tempesta dopo la quiete, il dovere dopo il piacere, come si dice. Ovunque io posi il mio occhio castagna, cose da fare, da riordinare, da sistemare. Esagerata. Forse, ma non troppo distante dal vero. Pago la mia vaghezza nel ciondolare ieri, nullafacente, nel sole. Le vetrine, i tavolini fuori, persino la passeggiata verso un colorificio in periferia mi è sembrata una meraviglia. E io c'ho il passo veloce, bello deciso, mica da lumaca, sa? Pago la leggerezza, pago il mio sentirmi un pò in gita, il non guardare l'orologio, il fermarmi se mi va, andare se mi va, sfogliare duecento libri in libreria, entrare da San Carlo ad annusare tutte le candele Dyptique, e il rito impagabile del cappuccino più buono che c'è. Così, pago. E non in moneta sonante, che sarebbe così semplice. Magari. Io pago in Merito, Glassex e Folletto. Nel senso che stiro e ammiro, spolvero, e intrattengo rapporti torbidi con l'aspirapolvere. Non è gran cosa, detta così, ma quassù, nell'umilissima magione della scrivente, sembra che a stare assenti due giorni dalle domestiche faccende, il marcar visita, il prendersi due giorni di permesso giammai retribuito, sia peccato mortale. Espierò le mie colpe quest'oggi, complici i nuvoloni che si avvicinano inesorabili, stirerò e stirerò sino a farmi venire la tosse asinina, luciderò argenti e ottoni (!), spazzerò e pulirò, rassetterò e riordinerò. E alla fine, stremata nel morale e nel fisico, il ferro da stiro fulminato, un flacone vuoto e il mio amante verde finalmente zitto, mi lascerò svenire sul divano. Sventurata me.
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