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22 novembre, 2010

Han rubato la collina.

Chissà chi l'ha rubata, e quando, se stanotte o stamattina presto, ancora più presto di così. Si è nascosta, forse, aveva freddo e si è comprata un vestito, un mantello, uno scialle opaco, senza colore, un cappotto pesante, una coperta. E' sparita la collina, come quella volta il cielo, forse sono sparita anche io, ma cosa dici, uno non è che può sparire così, snap! da un momento all'altro, e allora come si dice quando si fa fatica, fatica a trovarsi, fatica a pensare, fatica anche solo a spingere il tasto del microonde per scaldare il latte, fatica a ripassare le cose che devi fare oggi, sono mille o nessuna, dai, non fare quella faccia, succede a tutti, di iniziare la settimana così, che ti faresti passare sopra da un cingolato pur di non fare, pur di non, pur e basta. Sei donna confusa, irrisolta, un giorno sulla Trump Tower, un giorno in cantina, ma non quelle dorate della Trump Tower, le cantine buie e fredde e piene di topi e di naftalina e di vasi rotti e di giocattoli vecchi e giornali e il carbone, chi lo compra più il carbone, quello vero, quello ovale e nero, non quello della calza della Befana, mi fa schifo anche questo, solo a guardarlo, come lo zucchero filato. Sei donna un pò scema, e lasciatelo dire, che predichi bene e non metti in pratica per te, che sai esattamente tutto, per filo e per segno come si dovrebbe fare per non sentirsi così, per non stare così, per non avere questo peso e questo sentire, sai ultra bene come si fa e invece non lo fai, scema che sei, vigliacca che sei, si può essere vigliacchi anche con se stessi, che è fose più grave, forse peggio, forse, ma chissà, che stamattina niente gira bene, in me, dico, che è una mattina come tante altre e invece di nuovo c'è che non ci riesco, che a me la Trump Tower nemmeno mi è piaciuta, troppo dorata, che forse nemmeno ce l'ha la cantina, e troppo alta, a me gira la testa se guardo troppo in alto e forse la collina ha comprato una coperta troppo grande, così grande che ha coperto anche me.

17 novembre, 2010

Ode ai Biscotti Sbriciolati.

Che si tratti di una biscottiera di design, di una scatola di latta dei krumiri, riciclata per l'occasione, o direttamente dal pacchetto, in cielo, in terra e in ogni luogo, in ciascuna comunità di biscotti, ce n'è qualcuno sbriciolato. E' una regola, non v'è nulla da eccepire. Solo che ci sono certe mattine che la cosa non ti sposta minimamente, che nemmeno te ne accorgi. Altre, invece, che se già sei sulla strada per essere sversa, voilà, la vista dei biscotti sbriciolati ti provoca una crisi di nervi. Beh, non esageriamo, diciamo un lieve disappunto. Dei biscotti sbriciolati invero uno non sa proprio che cosa farsene. E' ancora troppo presto per sfamare Federico il Pettirosso, e allora sì, si uscirebbe sul terrazzo e si porrebbe con tenerezza una manciatina di briciole, ho scoperto che Federico non gradisce le gocciole delle Gocciole, certamente qualcosa si perde, ma chissà. forse i pettirossi non amano il cioccolato fondente? Le briciole di questa mattina sono rimaste lì, sul fondo della biscottiera fatta a biscotto anch'essa, inutilizzabili. Si sarebbe potuto svuotarle tutte nella tazza del latte ma avrebbero finito per formare una poltiglia che sarebbe finita poi giù dal buco del lavandino. Ho cercato i meno disintegrati, quelli che davano ancora una decorosa immagine di sè, ma non ce n'era nessuno della dimensione più grande di un francobollo. Così, ho lasciato stare.

Vero. Ogni biscottiera ha i suoi biscotti sbriciolati. Che sono come i pensieri che non hai voglia di avere.
E ne compri di nuovi, quadrati e rotondi, interi e perfetti, e ce li rimetti dentro, a coprire lo sfacelo delle briciole, non frughi tanto, apri e peschi senza tante storie, sai benissimo che ci sono, i pensieri sbriciolati mica se ne vanno tanto in fretta se non sei tu a svuotarli, se non sei tu a scuoterli con forza dentro al sacchetto dell'umido o anche in giardino, non sulla neve, non ancora. e allora a tener chiusa la scatola di latta sarebbe meglio, i pensieri sono lì, tu prendi quelli tondi, quelli interi, quelli buoni che ha portato ieri l'Amica delle Provette, e lascia quelli distrutti, quelli inutili, quelli senza sapore in fondo a tutti. E spera che il pettirosso arrivi presto.

29 ottobre, 2010

L'incazzo.

Le foglie non scricchiolano più, finito il tempo del rumore sul sentiero, è tutto umido e scivoloso e appicicaticcio, già i ricami della brina, gioielli evanescenti, non da indossare, se li tocchi appena si sciolgono e svaniscono e non li vedi più, non è che ne puoi fare un mazzo e portarli a casa e metterli in un vaso, sarebbe bello ma non si può. I passi sulle foglie umide sono instabili e sconnessi, hai sempre paura di scivolare ma vai veloce, cammini e cammini, senza correre, pesti sul sentiero, guardando a terra, è tutto uguale, molle e fradicio, spiaccicato. Camminare così serve a far svanire l'incazzatura del mattino presto, che è bastata una telefonata ma di quelle giuste, perfette, dorate, chirurgiche, a farti salire l'incazzo. Che non si può dire in altro modo, non c'è sinonimo, o contrario, si chiama così e basta. E' una specie di calore, una fiammata, come quando stai troppo vicino al camino acceso, che ti fa pensare, Adesso Spacco Qualcosa, una forza che non sai nemmeno da che parte arrivi, che nemmeno sapevi potessi sentire, ma che c'è.  Incazzarsi così al mattino presto è meglio, nel senso che poi hai tutto il giorno per fartela passare. Ma mi fa capire che mai io possa avere, o possa aver avuto o potrei mai nella vita  avere bisogno di qualcuno e di qualcosa e che tutto, proprio tutto lo devo fare da me. Ora, ci starebbe un bel vaffanculo, ma di parolacce ne ho già dette troppe e sono solo le 9 e che arrivare a sera tempo ce n'è, e poi il week end lungo e l'ora solare, sì, direi che ho tutto il tempo per farmela passare e stare meglio e a camminare sulle foglie  bagnaticcie, ma piano e dolcemente, magari con la musica,  facendo attenzione a non scivolare e a guardarmi attorno, che splendida nuvola di nebbiolina sottile e di alberi e freddo qualcuno che non so ha preparato per me. 

07 ottobre, 2010

Trenta.


Se ci pensi non li riesci mica a mettere in fila tutti. Uno dietro l’altro, trenta Natali e trenta Pasque e trenta compleanni e ferragosti, trenta di tutto, di niente, trenta volte senza. Il senza che c’è, il niente che c’è, l’assenza che c’è, il vuoto che c’è, se provi a pensarci è diverso da come dicono. Il tempo dovrebbe diminuire, non far più grande, dovrebbe essere meglio, passando i giorni, passando le stagioni, trenta non sono uno scherzo, è una vita, sono due, è l’eternità. Non sono poi così diversa adesso, sono io, così, io senza, ma sarei curiosa di sapere come sarei stata con, invece, cosa sarebbe successo, che giro avrebbe fatto la mia vita, cosa sarebbe cambiato nella me  di adesso, come sarei, così come sono, diversa, sarei curiosa di sapere se riesce a vedermi e se mi ha sentito, qualche volta delle mille che ho parlato con lui, e come sarebbero state le cene tutti insieme, che brutto è stato preparare la tavola con un posto in meno, e poi, mi avresti insegnato a guidare? E come sarebbe stato tutto,  il mio matrimonio, che faccia avrebbe avuto a prendere in braccio il mio primo figlio,  come sarebbe stato Natale con te, mi avresti lasciato farmi quattro buchi alle orecchie? E andare in vacanza da sola? Trenta. Non si cancella e non si impara, forse si soffre meglio ma non si smette mai, la mancanza diventa un soprammobile, un vaso di piombo che lucidi ogni tanto, il piombo lucido non ci diventa, e pesa e pesa, il dolore diventa vuoto e sconfinato, senza margini e contorni definiti, sono grande abbastanza adesso ma sono sempre io, e trent’anni non mi hanno cambiata se ora come allora penso a te com’eri e non so più chi sei, chi saresti adesso, ma amavo quel che eri e così ti tengo, vicino e stretto, forse con te sarei stata migliore, la me che sono adesso l’ha fatta la tua assenza,  il tuo volare via quella sera d’ottobre, la mia gonna blù e il nastrino bianco che ti ho messo sul cuore. 

14 luglio, 2010

Appìccica.

Ci voleva pure questa. Questo, anzi. A me lo scirocco non mi piace per niente. Mi appiccica. Mi strema. Mi fa dormire. Mi fa pensare. Mi fa star male. Ecco, stare male. Mi gira la testa, e zero voglia di zero. E' tutto immobilissimo e silenzioso, e caldo caldissimo, e melenso, e faticoso, fatico anche a fare niente come faccio. Nel senso che le mie azioni casalinghe sono ridotto allo stra-osso, una specie di zingara, quale sono, nel senso che nemmeno rifaccio il letto, così, alla zingara proprio. Quel che mi appiccica sono le cose, gli stessi pensieri da un pò, che son stufa di avere, il resto della mia famiglia che sembra non arrivare mai, credevo passasse così in fretta, mi sono detta, ma cosa sono due settimane, e invece sono quasi tre e conto i giorni e faccio mille programmi, ma so che non va bene, ho imparato che far programmi porta sfortuna, ma una sfortuna che si chiama sfiga, e che quindi è proprio meglio non farli. Mi appiccica che le ortensie son sfiorite, che il Liceale ha mal di gola, mi appiccica che mi sa che stavolta ho sbagliato e ho affogato il basilico nuovo di zecca, mi appiccica che stasera nemmeno le luci di Maddalena sembra che brìllino, io sto bene, certo che sto,e di certo rimpiangerò questa pace e questi due scavezzacollo cui bado in questi giorni, ma non sono fatta per star lontana da tutti gli altri, mi appiccica il vento caldo e i pensieri pesanti che son stufa di avere, intanto, conto i giorni e aspetto il resto della mia stessa vita, non so chiamarli in altro modo.

26 giugno, 2010

Niente.

Lo sai che cos'è il niente? E' il nulla, il forse, il chissà, il chissàcome. Il niente è una follia, ti prende quando non sai, quando non vuoi, e hai forza sì, e hai carattere, sì, ma quanto vorresti non avere nulla e stare lì, a farti passare addosso le cose, i giorni, i guai, le questioni di tutti, perchè i pensieri e le angosce ce li hanno tutti come te, scema, pensavi forse di avere il privilegio di non aver pensieri mai? E' un'estate che non và giù, che  gira e gira nel lavandino come l'acqua dei piatti, e fa rumore, troppo o sta in silenzio, troppo, e non sai come fare a dire è estate, non ne hai voglia nemmeno di lei, nemmeno del vento, nemmeno del mare, che stavolta non mi guarirà come ogni volta, stavolta non sarà come le altre volte, con le valigie da fare sorridendo, con i sandali e i parei a fiori, mi viene il vomito al pensiero eppure vado eppure provo eppure sì, cosa ci farei qui invece, a stare in ginocchio in qualche angolo, a buttare all'aria tutti i programmi e tutte le partenze e i ritorni e il chiasso e l'allegria, e tutti i progetti, non se ne fa nulla di nulla. Stavolta non mi medicherò l'anima con l'acqua salata e le chiacchiere e la sabbia, non mi riempirò gli occhi di quel mare che amo tanto, ho da curare il mio cuore e i miei pensieri, la mia vita e quella di chi con me la vive, la mia vita che non è soltanto mia, giostra o precipizio, in equilibrio, a scivolarci sopra o ad inciamparci, a correre e farsi mettere con le spalle al muro, ti ho fregato, questa volta. Niente, perciò, niente che mi attiri o mi respinga, sposto solo le mie questioni per vedere se da laggiù si vedono meglio o peggio, o non si vedono affatto, qualcuno diceva che i problemi diventano leggeri se visti da un'altra prospettiva, ma io non ne ho voglia e un pò mi dispiace, non ne ho voglia e un pò mi vergogno, così, sto in ginocchio sui sassi che sbucciano, muta e spettinata, il cuore gonfio, la testa confusa e nell'anima, niente.

23 giugno, 2010

Cielo nero.

Cielo nero, e Nuvola lo sa. Ma sa che cosa. A guardarlo fa paura, nessuna stella o luce o costellazione, nemmeno la luna, che c'è, ma è velata e non sorride, si è vestita di stracci e non ha luce, non ha riflessi, non ha nulla. Cielo nero, e Nuvola lo sa che il vento soffierà, per lei. Il vento arriverà, lo so, e spazzerà ogni cosa, porterà via questo sentire, che niente sembra calmare, io lo so che passerà, già ma quando e come e fino a quando si avranno sogni di burrasche e giostre e barche affondate, e fino a quando si apriranno li occhi e si guarderà il soffitto invece che gli alberi di fuori, il soffitto se lo guardi ti si schiaccia contro e si fa pesante e fa pesante te contro il materasso, e ti spinge giù, fin sul pavimento e dal pavimento alla cantina e dalla cantina a dentro la collina, che guardi il soffitto che si allontana e allontana, ma hai terra dappertutto e la mastichi  e la sputi ma la terra fa così. Cielo Nero, senza sonno e senza senso, pensieri e pensieri e storie intrecciate e il mondo che sembra rallentare e accelerare in un secondo e distruggersi e ricrearsi, gonfiarsi e sgonfiarsi. E dove, dove troverò la forza mai, di scrostare tutto questo, di togliere la ruggine, la cenere dal camino, il caramello del pentolino bruciacchiato, nessuna luce e nessuna stella e nessun vento riuscirà, nessun vento spazzerà, nessun vento riuscirà mai.

29 marzo, 2010

Se prego a che serve.

Ci ho anche provato. Ci avevo, anzi, stamattina, e anche ieri, a pensarci bene. Ho cominciato e smesso almeno dieci volte, così non va bene. Che qui, nessuno dimentica e allora magari non ne parla per un pò, ma poi tutto diventa così prepotente e vivo e il ricordo così ruvido e ingombrante che si fa fatica ad evitare, non si può, nè si vuole. Il giorno, è lo stesso di un anno fa, persino il tempo, fiori un pò dovunque e aria bassa, ma limpida, come sciacquata, pulita. C'è una messa, dicono, da qualche parte, in paese, forse, o al camposanto, forse ce ne sono addirittura due, perchè due erano loro e allora due sono le messe. Ma io prego da me. Prego sommessa, a mente, senza nemmeno bisbigliare, è così che mi hanno insegnato. Ma prego perchè. Prego a chi. Prego cosa. Prego per cosa. Prego e ringrazio? Di non essere io la mamma di uno dei due? Che non so cosa dal Cielo ha voluto così, che non fosse lui, che non fosse il mio, che non fosse lì? Prego chi? Un Dio in cui credo e che non trovo? Un Dio che punisce e dispera? Un Dio che è troppo lassù e distante e che forse nemmeno mi sente, adesso? No, invece, adesso ascoltami. Io non so se le mie parole arrivano fin lì dove sei tu e non so nemmeno dove sono loro adesso, se nella luce che dicono sia Tua o sopra le nuvole, o a quella Festa Eterna a guardar giù, a guardare dall'alto quelli che hanno lasciato qui, sgomenti e straziati, occhi asciutti, fiori freschi e passi stanchi sui ciottoli del camposanto. Ascoltami, se pregare non so, se dire non so quel che sento davvero, ascoltami le parole che non escono da me, ma che penso e immagino e restano lì, come attaccate, ascoltami i pensieri, ascoltami i singhiozzi di mio figlio che sento ogni tanto dalla porta chiusa, ascoltami le fotografie e i cd che tiene sul tavolo da quel giorno, ascoltami i silenzi, ascoltami la rabbia e la tristezza, ascoltami il parlare fitto sulle panchine, fino a sera tardi. Ascolta, Dio del Cielo, ascolta se vuoi, ascolta se vedi e sai, ascolta e consola, e tu solo che puoi, abbràcciali, abbràcciali per me.

04 marzo, 2010

Il cuore con l'elastico.

Ci si sforza a dare un nome alle cose, catalogarle e definirle, sono questo, sono quello, questo mettilo lì, l'altro spostalo di là, incasellato per bene, definito, si sa cos'è. E' il business, bambina, sono i casi della vita, il destino, le cose, i sentieri che il Cielo ha tracciato per te, l'esistenza stessa. Che importa se il mio cuore và in pezzi e si frantuma e si sfascia, e nemmeno lo sento battere più, non come quelle volte che impazzisce, adesso è lì, sembra sonnecchi in un angolo come fa il gatto, ma non dorme mica, è che non respira e non si muove, sta lì e basta. Sono passata da un posto dove ce l'ho lasciato, il mio cuore, un pezzo di me, un pò della mia storia, ognuno di noi se ne porta appresso una, di storia, e se la inventa ogni giorno. Ho lasciato il mio cuore in questo posto e adesso sono qui e mi sento estranea e a casa, e ho un magone così forte che non riesco a fermarmi e non mi fermo infatti, è come se all'improvviso tutto si fermasse, e non ricordo nulla e ricordo tutto, ogni quadro, ogni angolo, ogni singola mattonella scheggiata, e di scheggiato ora ho solo il mio cuore che non ne vuol sapere di venire via con me e vorrei un cuore con l'elastico per riportarmelo via, me lo legherei per bene al polso, come si fa coi palloncini e coi bambini, e io che bambina non sono, ho sola voglia di uscire di qua e alla svelta, che m'importa della storia che ho scritto qui e di tutto quello che qui dentro è successo, delle puntate della mia vita che ho registrato qui, è un film che nessuno vedrà mai, ma adesso fatemi andare, fatemi andare via che mi è scaduto il tempo, ho finito l'aria dentro al serbatoio, vado via e non so nemmeno se mai ci tornerò, un cuore con l'elastico ma l'elastico si è rotto e il mio cuore, forse non tutto almeno un pezzo, è rimasto qui, nascosto sotto una mattonella scheggiata.

11 febbraio, 2010

Per te.

A giocare con le parole come faccio di solito, questa volta non mi riesce mica tanto. O meglio, no, è sbagliato, non mi riusciva ieri, quando sono venuta ad abbracciarti e mi hai aperto la porta e detto Ma Tu Sei Matta. Sì, la sono, un pò, ma ti ho sentito così disperata che alla fine non è stato proprio niente per me. Ho parlato di tutt'altro, infatti, fatto un pò la scema, mi riesce naturale qualche volta, c'è chi dice che scema la sono sul serio, e come dar loro torto, alla fine. Ho girato intorno, sotto e di lato, guardando fisso i tuoi occhi persi e disperati, smarriti in un'ansia che non ci provi nemmeno a nascondere, Sembra Che Non Succeda A Me, mi dici guardando il vuoto e io che ho la mia mano nell'incavo del tuo gomito, seduti al tavolo della tua cucina, mi hai preparato una tisana mentre ancora ero in autostrada e ti ho detto Sono Lì Tra Un Pò. Ti tengo così perchè sei la mia Amica di Sempre, ti conosco da trent'anni e forse di più, ed è una vita a pensarci bene, forse di più. Io posso comprendere e sapere, quel tuo pianto leggero e delicato, sei bella anche così, un pò pallida e scarmigliata, con l'Amore della Tua Vita che ti guarda di là dal tavolo e mi fa sentire così di troppo. Anzi no. Io appartengo a questo posto, e questo è il posto mio, ed è qui che devo stare adesso, vicina a te, a dirti Aspetta a Preoccuparti, e voler fermare quella testa che scuoti e scuoti, a sorridere a tua figlia che è te all'età sua, la stessa che ci ha viste così vicine a festeggiare insieme i compleanni, il mio un pò dopo, il tuo un pò prima. Ti tengo così e vorrei dirti tante cose che non so, darti tante cose che non ho. E frugo e frugo, e non trovo nulla per te, nulla se non un bene soffice su cui puoi stenderti, nulla se non un abbraccio lungo e immobile, nulla se non un messaggio stupido questa mattina, che ti ho pensata tanto e che ti ho lasciato la mia sciarpa ieri perchè così, anche da lontano, sono lì vicina a te.

25 gennaio, 2010

La neve non bagna.

Nevica zucchero o cosa? La chiesa è quella del centro, farò un pò di strada a piedi, è così bello camminare sotto la neve, ho un cappello calcato sulla testa, non mi bagnerò, la neve non bagna, men che meno questa qua. Siamo in anticipo, c'è il Liceale con me, e alcuni dei suoi amici scapestrati, ma dolcissimi, un pò spersi, preoccupati su cosa dire e cosa fare. Suo marito arriva subito, lo vedo in mezzo a tutti, sorride e sorride, abbraccia e abbraccia, bacia e bacia. Sono Contento di Vederti, e si stringe a me, un pò si aggrappa, come. Balbetto qualcosa, io non sento mai che cosa dico in questi casi, può anche darsi che sia stata zitta, non lo so. I figli no, non me la sono sentita. Lei è alta e sottile, bionda come lei, lui un pò più piccino, ancora di più stasera, biondo come lei. In chiesa c'è il mondo, si dice così, ci conosciamo un pò tutti in questa città, anche io che son foresta. Trovo i genitori di qualche asilo e di qualche elementare, abbiamo passato anni ad aspettarli fuori, condiviso gite, settimane bianche, pidocchi, recite, lamentele, mandiamo una pianta alla maestra. Hanno tutti gli occhi lucidi e un pò di neve addosso, questa neve che non bagna e non si scioglie. Che scomode le panche della chiesa, sto in piedi che è meglio, ho in tasca il Rosario che ho comprato a Parigi, lo sgranerò per lei. Non stacco gli occhi da quel banco. Che se ne fanno, dell'incenso e di quei mazzi di fiori, che se fanno dei Coraggio, delle pacche sulle spalle, delle carezze, degli sguardi di pietà, ma di quella vera, ho pietà per te, bambino biondo, perchè mi han detto che ancora non ci credi che la tua mamma sia volata via. Che se ne fa lui, di quel libro delle firme dove non firmo mai perchè mi fa orrore, e lei, bellissima, coi capelli pulitissimi e quel fermaglio vezzoso, la borsa a tracolla e lo sguardo fermo, altero, asciutto. Ha solo 17 anni. Anche lei. Ricordo. So. Ricordo e so. Dura poco, questa preghiera, a fatica si esce uno per volta da una porticina stretta, fuori, nel buio della strada, le macchine che passano e non sanno, il vigile, altri abbracci e altre mani, baci, occhi lucidi, civediamosempreinquesteoccasioniqui e la neve, ancora la neve, quella neve di zucchero che non bagna e non si scioglie. Ciao, Anna.

18 gennaio, 2010

La visita di Tiberio.

A dire il vero, già stamattina l'ho incrociato, all'alba o quasi, nel viaggio verso la scuola, quando la macchina è ancora così ghiacciata che fai fatica persino a parlare e i ragazzi sono lì, imbaccuccati, addormentati e immobili, che non sai se è il caso di parlare , per non svegliarli. Lui, TIberio, ha attraversato baldanzoso la discesa di casa, quella che da VillaVillacolle porta a quel che si chiama Anello, il quale Anello poi porta allo Stradone e lo Stradone in Città. o ovunque si voglia. Quasi ovunque. Lui, Tiberio, mi ha zigzagato davanti come fa di solito, confuso anche lui su quale direzione prendere, se quella del Prato o quella del Bosco. Poi, è sparito. Se non poi, riapparire al fondo del pratino, quello che si vede dalla finestra della cucina, e mettere il muso dentro il cancello, per assicurarsi che nessuna belva, cane o gatto che fosse, si trovasse nelle vicinanze. E' un coniglietto socievole, ma a certe bestie non dà confidenza. E' entrato in giardino, ha camminato un pò sull'erba molliccia, stremata da tanto gelo, poi ha proseguito sui resti della neve, ce n'è ancora un pò, ghiacciata, che non si scioglie tanto facilmente. Camminava a piccoli balzi, portando a spasso quel suo codino tondo, bianco e morbido, anche a guardarlo da qui. Vorrei imparare anche io. A camminare sulla neve gelata senza sentire freddo, e non sprofondare mai, fosse neve o fango o tutt'e due. Vorrei sapere come ci si destreggia quando il terreno è sconnesso e nemico, se devi andare veloce per non affondare, o se devi muoverti con studiata lentezza, senza perdere di vista il cancello per scappare, arricciando il muso per sentire meglio che aria tira, guardarsi intorno a scatti precisi ed eleganti e far finta che la neve sia panna, morbida e dolce, far finta che il pratino non sia ghiacciato ma comodo e ospitale, far finta che tutto intorno sia luminoso e sorridente, e che tutto gira esattamente come vuoi tu. Sono uscita per prendere accordi, Tiberio, Insegnami Come Fai, ma niente da fare, il rumore della finestra lo ha intimorito. Bel coniglio che sei, le orecchie ti fan così, come cantano i miei figli, scappi via subito e non ti lasci avvicinare da nessuno, nemmeno da me, che ti metto le carote vicino al ciliegio. So per esperienza che i conigli non hanno un buon carattere. Men che meno Tiberio. E a camminare scalza sulla neve, nessuno mi insegnerà mai.

21 dicembre, 2009

Il fuoco e il gelo.


Sono diventata brava ad accendere il camino. Non è cosa da tutti. Sono piccole, stupide, insulse soddisfazioni in questi due giorni sospesi, il ghiaccio sulle strade, la neve, la nebbia, e il gelo, anche quello, non solo atmosferico. Amo questo periodo dell'anno, mi fa sentire di più l'odore della mia casa e di casa mia, che non ha lo stesso significato, anche solo cambiando l'ordine del pronome possessivo. O meglio, lo amo a momenti alterni, adesso sì, adesso no, mi piaccono cose e ne detesto altre. Mi piacciono le luci, i brilli, i pacchi e non sopporto le telefonate e le millecinquecento discussioni di ogni anno, sempre le stesse, sempre le solite, potrei scriverle a memoria. Scocciata, ecco, direi che son così, scocciata, un pò delusa, esclusa e fraintesa. Non mi piace. Così, mi perdo in cucina, guardo fuori tutto il bianco che c'è, è finalmente tornato il pettirosso, il che significa che fa freddo sul serio e non per finta. Ho dei pacchi già scartati sotto l'albero zen, altri intonsi, altri destinati e chissà quando riuscirò a destinarli. Le vacanze sono in parte già iniziate. il mio Illustre Sposo e il Junior Ing, alla fine riederanno alla versione natalizia della loro magione, e qualcosa si combinerà pure tutti insieme, noi famiglia rom di ogni Natale che viene, noi troppi e chiassosi e sempre così impegnati, noi che abbiamo tutto e che non ci serve niente, nemmeno un abbraccio e un Buon Natale, nemmeno il contare quanti agnolotti per la Vigilia o forse l'insalata russa è meglio se la fai tu. Noi, sempre fuori da ogni festa e da ogni conteggio di posti, noi che alziamo la media, noi che è sempre la stessa menata e che sono stufa, stufa, arcistufa, a questo penso avvolgendomi nel caldo odore di legno, abbracciandomi da sola, stringendomi addosso questo maglione rosa con le trecce, guardando un fuoco arancio e rossastro che ho imparato ad accendere così bene.

11 dicembre, 2009

Le luci e il gelo.

Non esiste un vero momento in cui si terminano gli addobbi di Natale. Hanno un inizio, sì, Oggi Farò l'ALbero, si dice, ma poi, ogni occasione è buona per aggiungere qualcosa. Si scarta un pacchetto e si annoda il nastrino alla maniglia del forno, si comprano all'Esselunga fascine di sterpi brillantinati, da metter dove? un posto lo troveranno. Questo non smettere, questo accanirsi a mettere cose nasconde in realtà ben altri significati. Si cerca in ogni modo di non pensare alle solite, noiose, sfiancanti questioni che il Natale ogni anno porta con sè, nel cestino della frutta secca, i datteri, il torrone e i mandarini. Pensieri sottili, vigliacchi e striscianti, che ti sei allenata così bene negli anni a scacciare, ma che invece no, non te la danno vinta e piano piano, meno prepotenti di una volta, ma non per questo meno pericolosi, arrivano, come il presepe, come l'albero grande della piazza e la slitta illuminata. Sono pensieri che conosci così bene, e che non vorresti mai, ospiti sgraditi come gli orridi babbinatale che scendono dai camini. E confezioni per te l'ennesimo Natale privato, privatissimo, con le persone che ami che sono tutte qui, nella casa sulla collina. Per questo, col gelo del mattino, scarmigliata, mezza in pigiama e Superga coi brilli, natalizie anche loro, spargi luci sui davanzali, a stordirti con l'aria fredda sulla faccia, a illuminare un buio che sai a memoria, a sollevare questo peso sull'anima, luci che scàccino via questo vuoto assurdo che senti, questo senso di tempo perduto, questi orridi babbinatale che scendono dal camino.

07 ottobre, 2009

Pizzi e briciole.

Contro la malinconia. E' una giornata particolare questa qui, per me. I dolori, quelli grandi, quelli veri, non è che scompaiano col passare del tempo. Solo, ed è brutto a dirsi, un pò ti ci abitui, come una convivenza forzata, a dire, c'è, me lo tengo. A volte di più a volte di meno, ci sono giorni in cui nemmeno lo senti, altri invece che te lo trovi seduto lì, e fino a sera non và via, un ospite sgradito ma conosciuto, sai bene com'è fatto. E ogni anno è un anno in più, li conti, accidenti, ventinove, ventinove, è più di una vita, quanta ne è passata e passerà, ho avuto gli anni suoi quando è andato via, e spesso mi trovo ad immaginare come sarebbe stata la mia vita se quel giorno non fosse arrivato mai, dove sarei, che farei, se le cose che ho sarebbero uguali, e se e se. Non posso dire di essere triste, oggi, non è la parola giusta. Un pò vuota, forse, come senza corrente, come se rivivessi un pò quel giorno, come se avessi ancora la gonna blù a pieghe e quel nastrino, e allora, per darmi forza, ho iniziato subito una sciarpa leggerissima, di un color malva che adoro, è un filo sottile e un punto difficile, bisogna stare concentrati, non ho neppure tolto la tovaglia della colazione, e il gomitolo si è riempito di briciole, ma ho voluto la mia mente impegnata per un pò a contare, prima di cominciare una giornata così, coi fiori freschi e il camposanto, nel pomeriggio. E' un giorno come tanti, ce ne son stati ventinove da allora, e quel dolore è seduto lì, in cucina, con le briciole e il thè che si è raffreddato nella tazza con le ortensie, e quel pizzo leggero che devi stare concentrata e contare, e lo so fare, l'ho fatto mille volte di già, eppure, stamattina non mi viene.

21 settembre, 2009

Non è più tempo.


Senti? Piove. E' da stanotte, da ieri sera, che mi sono addormentata di schianto, è stata una settimana lunga e faticosa, chissà come la stanchezza viene fuori sempre alla fine, quando ti fermi un pò, la domenica. Senti? Piove. E poi è stato un fine settimana un pò insolito, io e lei da sole, ho sempre così voglia di fare la figlia ogni tanto e la faccio così poco, così mai, che quasi mi dimentico di esserlo ancora, una figlia. Ho riscoperto gesti antichi ai quali non sono più abituata, il suo modo di girare quel suo ragù meraviglioso, che a me non verrà mai come il suo, eppure è uguale. Il suo sedersi sulla punta della sedia, il suo modo di legarsi il grembiule. Io non sono come lei, e questa lontananza di anni e chilometri non fa che accrescere la diversità, l'arrabbiarmi così tanto per certe cose che non comprendo, il suo schierarsi sempre e comunque da una parte sola, il suo non voler sapere quasi niente della vita che ho. Certo, mi manca, e anche se ho imparato negli anni a farne a meno, qualche volta mi verrebbe così voglia di sedermi con lei, e affidarle il mio destino, raccontarle le mille cose che mi girano nella testa, se ho paura o sono felice, o angosciata o entusiasta. Non è più tempo. Delle confidenze in bagno, della complicità che c'era, di quando al telefono la scambiavano per me. E rimane solo il tempo che passa, la consapevolezza di aver perso dei giorni preziosi, le porte sbattute in faccia, sulla mia, l'amarmi, certo, ma nascondendolo così bene che quasi non me ne accorgo. Ha perso tanto di me, della mia vita, dei miei figli e della mia storia, che pure ha inventato lei, e io non so se è colpa mia o colpa sua, e vorrei rimediare e cambiare tutto e ricominciare da capo, e ancora raccontarle e confidarmi, ma sarebbe un altro peso sui pesi che ha già, certo che non mi dimentico quanto ha sofferto, ma lo abbiamo fatto insieme e sembra non ricordarlo più, che il suo dolore era anche il mio, e allora che non si preoccupi per me, che per me mi preoccupo da sola, che alla fine una strada la trovo come sempre, e che a lei racconterò solo le cose che la fanno ridere, e quel che vuol sentire, perchè sono una donna fatta, ormai e ho imparato a non piagnucolare e che di consolarmi e difendermi e starmi vicina, forse non è più tempo.

15 settembre, 2009

Non passa.

Ha un esame domani. Ha studiato poco e lo sa. Me lo dice, anche. Ma non è solo questo. E' triste, da due giorni in qua, inconcludente, insofferente, silenzioso. Non è da lui. Non chiedo, giro intorno, faccio tentativi. Abbiamo aggiunto una coperta al suo letto, mi ha aiutato. Si è fermato di scatto e mi ha abbracciato forte, quasi mi fa male, con quelle braccia robuste che ho fatto proprio io. Mi abbraccia così solo quando piange. E infatti. Non chiedo. Non chiedo ma so. Io Non so Come Fare, Mamma, Ho Dei Pensieri Assurdi. E io so. So di che pensieri si tratta, che fa questo mio figlio, so di che burrasca tremenda è pieno il suo cuore, a volte meno, a volte di più. Oggi, di più. So di quel suo dolore, so di quelle lacrime ricacciate giù tante volte, o lasciate scendere quando nessuno vede, quando sono tra loro, tra amici, alle panchine. So che ne parlano tanto, ancora e sempre. Piange. Piange le sue lacrime di diamante che non vorrei vedere mai, che strazio per una madre un figlio che piange, soprattutto se da dire non c'è nulla, proprio nulla. Provo, azzardo un discorso strampalato, il senso della vita , il ricordo in chi resta, e l'amore, l'amore che è l'unica strada, l'amore che consola e scaldae accarezza e fa sentire più forti anche quando senti di non farcela più. Mi arrabatto, cerco di uscirne, in qualche modo, ma com'è difficile, e faticoso, sento le parole pesanti e senza senso. Si asciuga goffo gli occhi con la manica, lo fa sempre, e in questo gesto ritrovo il mio bambino a tre anni, eccolo qua. Come sarebbe semplice se ancora avessi tre anni, figlio, come sarebbe liscio e senza ostacoli il mio consolarti, il mio soffiare sul ginocchio, il mio fazzoletto bagnato sulla testa, il mio massaggio alla pancia. Passerebbe subito. Così no. Io non sono brava a consolare e non trovo le parole giuste, mai. Questo, poi, è un nodo tanto grande e impossibile da disfare, che nessuno al mondo sa darti la strada, la soluzione, un fazzoletto bagnato per sollevarti, accudirti e stringerti, e scolorire un pò questo dolore che non passa.

19 agosto, 2009

Partenze.

Si parte a scaglioni, a plotoni, a piccoli gruppi, a due a due, in fila indiana, dalla Casa Nel Blù. Mai siamo stati così in pochi, lo Sposo ed io ce lo dicevamo stamattina a colazione, che strano, così pochi figli, e raramente tutti insieme. Chi va e chi viene, chi parte e chi arriva, chi trànsuma, staziona, fa un saluto e se ne va. Chi doveva stare mezz'ora e si ferma una settimana, chi ha il biglietto di andata e giammai per il ritorno, chi fa finta di non trovarlo, chi neppure lo cerca. E' una grande soddisfazione, questa, per questa casa, che è nata per questo, in fondo. Una vacanza così, dove non ci sono orari precisi ma dove tutto funziona con precisione chirurgica, meticolosa sicronia, pur essendo la metà di mille, tutto va avanti da sè. Le lavatrici, gli stendimenti, le lavastoviglie di soli bicchieri, le colazioni da collegio, la Nutella da Cinque Chili che fa la gioia della mia Vicina del 12. Sì, da non scordare i vicini, gli amici, i non residenti ma i viandanti, Che Fate?In Quale Spiaggia? La bellezza di questa estate che sta finendo più o meno, sta tutta qui. E' nel salutare con il magone la Biondina Riccioluta, l'unica che sa domare il mio Imbizzarrito Figliolo Giurisprudente. E anche l'Amico, biondo anch'esso, che ormai è parte integrante di questa chiassosa famigliola, che estate sarebbe se no. Ad ogni partenza c'è sempre una lacrima minuscola, che si vede appena, non amo i cambiamenti di stato, e mi immagonisco, sempre. E questa casa di vacanza, quella che sa di mirto e di menta e di limone, corbezzoli e candele, cuscini e orchidee, questa casa , isola nell'Isola, si svuota piano piano, saluta appena con uno svolazzare di tende, e fa finta di nulla, ma chi ci ha vissuto sa che un pò di magone viene anche a lei.

25 luglio, 2009

Lenzuola.

No che non è stato un giorno sprecato, no di certo. Di mare, ancora non se ne ha voglia, con tutte le cose piccole e grandi da fare in questa casa, con una lentezza esasperata, come la spesa di questa mattina. Questo vento villano e meraviglioso, che schiaffeggia e sussurra, ha cullato i pensieri di un pomeriggio, fra lenzuola candide di lavatrice, profumate, quelle spesse, freschissime, del corredo di mia nonna, quelle che non stiro perchè mi piacciono stropicciate, con l'orlo fatto a mano da lei, da ragazzina, dalle suore. Ho schiacciato il mio cuore sul cuscino, con la raccomandazione a non fare troppo le bizze, a non mettersi a ciondolare come fa di solito, quando sono così, ma così come, se non lo spiego nemmeno a me. Così che mi sembra tutto pesante e faticoso e impossibile e ingombrante e fastidioso. Così che è tutto un magone, anche qui che sarei da uccidere, in un posto così, a stare così. Non farei altro che dormire, dormire e dormire, anestetizzando ogni sensazione, tanto, non è proprio che siano granchè, ultimamente. Le lenzuola di mia nonna mi hanno accompagnato in un sonno confuso e colpevole, mi sento sempre così in colpa quando dormo troppo, solo che quest'oggi non mi è sembrato di perdere tempo. Fuori, il vento scrollava gli ulivi e gli oleandri, con raffiche precise e sorprendenti, sbatteva porte e rovesciava cose. Dentro, io dormivo il mio sonno bianco di lino e di spigo, una cura primitiva a tutti i mali del mondo, la sola strada che conosco, per ora, per tirarmi fuori da qui. Speriamo funzioni.

17 luglio, 2009

Vengo dal cielo.

Non come quella volta. Stavolta, vengo dal cielo. Ho seguito il paesaggio che cambiava sotto di me, il mare mi ha accompagnato fin quasi a casa, come a non volersi separare da me, anche solo per un pò. Ho indovinato le isole, quelle viste e quelle no, ho galleggiato nell'Egeo da molto sopra, l'ho visto dall'alto, senza toccarlo, questa volta, senza che mi bagnasse. E da sopra ho visto le nuvole, morbidissime, panna appena montata, che da sempre mi affascinano e mi fanno venire voglia di tuffarmici dentro, che scema, tuffarsi nelle nuvole. Mi sono innnamorata dell'Italia stesa nel mare, coricata ed offerta, meravigliosa, là c'è Brindisi, indico col dito, e non è la cartina, è proprio vera. Torniamo a casa. C'è il guasto, certo e quel pezzo di ricambio che non arriva in tempo. E di guasto ce n'è un altro, molto più grave, forse, che mi fa paura, che risveglia in me un magone e un'ansia che non ricordavo di poter provare ancora. Mi viene da dire Houston, Abbiamo un Problema, per quella scellerata qualità o follia che mi viene da sorridere anche quando sono nei guai, quando mi sforzo a minimizzare, a dire che passerà e che passerà presto, e che forse sono stati i miei figli ad abituarmi così, a dire Non è Niente prima ancora di aver visto la sbucciatura, e a dirlo lo stesso mentre magari li accompagnavo a farli ricucire, una volta un mento, un ginocchio, una frattura al braccio destro il primo giorno di scuola, come dimenticarlo. Non è niente, passerà. Ma io ho paura lo stesso. Non è grave e c'è di peggio, certo che lo so, e quel che c'è è che stiamo bene e che si rimedierà in qualche modo. Ma io adesso, con le cartoline stropicciate in tasca, delle isole che ho visto, vissuto e portato con me, e che a stento adesso ricordo, sono qui, nella mia casa in disordine, che penso e ripenso e ho un nodo che mi soffoca, e che vorrei una nuvola per tuffarmici dentro e non uscirne più.

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...