11 giugno, 2009

La fine.

Ma come, non è cominciata solo l'altroieri? Non è due giorni fa che è iniziata? No, bellezza, sono nove mesi o giù di lì, nove mesi di sveglie, carrucole per tirarli sù, giustifiche, libri dimenticati, voti, note, udienze che odio con tutta l'anima, quaderni, spartiti, ripassi, quei dannati PromessiSposi nelle vacanze di Natale, fogli da disegno che non compro mai quelli giusti, compassi e dizionari. Fine. da oggi pomeriggio, signori miei, si conclude questo delirio. Un giorno memorabile, dacchè di vera e propria seratona si parla, concerto sulla pubblica piazza e poi domani la cena di classe e poi ancora e ancora e ancora. E oggi, il Knit Cafè, l'ultimo per la Scrivente prima dell'estate. Insomma, c'è da fare. Noi qui ci si è organizzati per bene, si cerca di ammucchiare da qualche parte cose e cose da portare via, in vacanza, sono giorni che si stilano elenchi ben attenti a non dimenticare niente di indispensabile ed insostituibile, il piano ferie di questa scintillante famigliola è cosa da studiare con attenzione a tavolino, che la Chrysler di Marchionne è una partita a rubamazzo. Ben perciò, la fine della scuola arriva giust'appunto come una benedizione, ecco una cosa cui non dovrò più pensare da domani, da oggi, anzi, da questo preciso istante che è l'ultimo giorno di scuola e che domani dormiranno finalmente e io non dovrò chinarmi sui loro letti con baci e pazienza prima, e poi sgolarmi dalle scale, Siete Svegli??? Insomma, si starà meglio. Ma. C'è sempre un ma alla fine di ogni anno, è vero, appena iniziata si aspetta che finisca, ma poi, alla fine, si è contenti sì, ma di quella contentezza che non si chiama proprio felicità, di quella allegria controllata, sì, finisce la scuola, va bene, però un pò mi dispiace e poi quei tigli lì davanti lungo il viale, che mi ricordano gli stessi delle elementari, quando uscivano col grembiulino e le trecce, dovrebbero farli fiorire a dicembre, i tigli, e sarà per quello che li associo sempre alla fine della scuola e a un pò di malinconia, un pochino mi dispiace, non so bene come e perchè, ma mi dispiace e forse, dico forse, un pò dispiace anche a loro, e sono certa che sia così, ma loro non me lo diranno mai ma io so, loro sanno che io so, e allora va bene.

10 giugno, 2009

Sassolini.

Sono quelli che trovi in fondo ai cassetti, nel cestino del bagno, sono quelli bianchi e piatti, o gli smeraldi, come li chiamavo da piccola, le schegge di vetro arrotondate dal mare, che raccoglo da sempre e conservo, pietre preziose di un valore che conosci solo tu, perchè sai bene quando li hai presi, e ti ricordi di quando e di quando, e di quella volta. Poi ti scordi che ci sono e che bello quando li ritrovi, li sciacqui un pochino e tornano brillanti, bellissimi, preziosi. Questa fotografia, controluce e fuori fuoco, è stata scattata ieri sera dalla Princi, in un terrazzo al fresco di un acero, le mattonelle lucide, una cena sontuosa da regine. Ma potrebbero essere i due banchi in fondo a sinistra, col diario di Linus, i bigliettini per copiare, le mele per l'intrervallo, un gettone del telefono per chiamare casa, la cinghia per i libri, il tratto pen verde e i quaderni Hollie Hobbie. Loro ci sono state sempre, nella gita a Firenze e nel cortile di casa mia quando piangevo e che bene mi ha fatto vederle tutte lì. Loro sono ancora loro, come sempre, come allora, e questo affetto chiaro e mai passato si sente così bene quando ci abbracciamo, quando ci diciamo Ma Sono Così Contenta Che Sei Qui, quando guardiamo le bambine che si scapicollano sull'altalena e diciamo Beh, Tanto Diverse Non Potevano Venire. Ridiamo come allora, fino alle lacrime, e si vede, e abbiamo fatto tanti di quei versi per questa foto come quella volta in Piazza della Signoria. Noi 4, i due banchi in fondo a sinistra, le stesse risate, le stesse battute, le stesse anime bianche, mai scalfite nonostante, gli stessi sorrisi. Sassolini preziosi, ritrovati per caso, di un valore così grande che lo sai tu.

07 giugno, 2009

Alghe.

Che cosa sia esattamente non si sa. E' una specie di fettuccia, una specie di cotone, non si capisce bene. Al mercato del lunedì me l'hanno tirata dietro, come di dice, perchè nessuno, proprio nessuno la voleva. A me piaceva. E le galline mie amiche, a fare le smorfie, Ma Che Schifo, Che Roba E'?. In effetti sembrano alghe, di quelle verdine che rendono gli scogli scivolosi. Però, l'effetto non è male. Si lavorano coi ferri che ferri non sono, numero 12, armi improprie in realtà. Non so bene a cosa daranno origine, io non so mai che cosa diventerà quello che sto facendo, si chiama variazione in corso d'opera: potrebbe essere una gonna, un piccolo top da sfoggiare nel bel mezzo del Mediterraneo, tanto chi mi vede, una stuoia per prendere il sole, una bandiera, uno straccio da lavar per terra. Qualunque cosa. La cosa bella è farla. Va sù che è un piacere, pochi giri ed è già a metà, e poi ha questo effetto arricciato che mi piace tanto. Si può fare guardando la tv o parlando al telefono, minimo sforzo, massimo risultato. Provare. I gomitoli di alghe li vendono al mercato per pochissimi euro, il saldo del saldo del saldo, anzi, gli fai pure un piacere se glieli togli di torno, non li vuole nessuno, un motivo ci sarà.

Mucchio selvaggio.

Così è di moda. Si prenda una sera di giugno appena iniziato e si dia ufficialmente inizio alle danze, inaugurando una piscina sù in Valle, dove si danno appuntamento tutti e dico tutti gli studenti delle scuole medie superiori. Così funziona. Qualche genitore li accompagna, qualcun altro li và a prendere, si muovono in gruppo, in branco, sette/otto/nove. Precettata per il ritiro a notte fonda,circa le 3, la Scrivente è stata vista uscire in sottoveste e pantaloni della tuta, ballerine glitterate e felpa, che quassù fa freschino, cosa crede. Certo, un incontro torbido, così combinata, no che non lo potevo avere, ben si rassicuri il mio Sposo dal Mar dei Sargassi. Ho caricato sù alla spicciolata, un gran numero di figlioli, ridanciani, chiacchieroni, bellissimi e educatissimi, per piacere-grazie-scusa-permesso. Destinazione: la mia magione, dacchè era il turno del mio figliolo ospitarli tutti quanti per la nottata, bed&breakfast. Hanno ammonticchiato con cura le scarpe in ingresso, e con grazia giù dal prezioso tappeto. Hanno chiacchierato fitto fino a una certa, facendosi sssshhhh!!!!! a vicenda quando qualcuno alzava troppo la voce, ma di notte, si sa, anche il brusio è un rumore gigante. Fate quel che volete, non incendiate la casa, io vado a dormire. Così li ho trovati, addormentati e affastellati sul divano, qualcuno aveva scelto uno dei letti vuoti sparsi qua e là, nella casa in collina. Il cane sorvegliava, con l'aria matura di chi sa molto bene come vadano queste cose. Li ho guardati dalla scale, mi sono piaciuti e li ho immortalati, di nascosto, cercando di fermare questo momento perfetto di pensieri semplici, questi giorni di fine scuola, di ritorno fradici dalla festa in piscina, questi ragazzi che crescono e corrono e volano lontano, e che a trovarli la domenica mattina sul mio divano, mi ha riempito l'anima di una tenerezza che non so, di una specie di privilegio, di un magone che sorride.

04 giugno, 2009

Misery non deve morire.

E non è neppure il mio compleanno. Niente o quasi da festeggiare oggi, se non il sole, l'estate, il tiglio, l'esame della Fanciulla, il fatto che ho corso e corso e corso senza fermarmi sbuffando e imprecando, per un bel pò. Fatt'è che la mia Amica Afef mi ha coperto di regali: 2 per l'esattezza. Un olietto magico alla menta, alla calendula, alla cocaina e a chissà così'altro, da spalmare generosamente, addosso defaticante, corroborante, idratante, sberluccicante e via così, così di menta che alla fine sai di Gomma del Ponte, e Lei, Misery, così l'ho chiamata, lì per lì, perchè di miseria si tratta, mia pianta preferita in quanto viola e chevvelodicoaffare, che ne avevo già parlato qui di quanto mi piaccia e l'adori vieppiù. Così, Afef, che è più furba di una faina, ha capito che sono invidiosa marcia della sua sterminata collezione di piante, di quel benjamin-sequoia che c'ha in casa, così come lo sono del terrazzo della mia Amica delle Perle, con fiori e fiorini a grappoli e distese, chilometri e chilometri di vasi rigogliosissimi. Perciò mi ha fatto dono di Misery. E io la conservo gelosamente per i giorni che qui resterò e quando mi vedrò costretta ad assentarmi per un pò, la affiderò a mani sapienti, anzi, ho già indetto un bando di concorso fra le mie Amiche, chimmai vorrà prendersi cura della mia Misery, la riprenderò intatta e perfetta una volta tornata, annaffiatela con cura, accuditela con amore e devozione, e parlateci ogni tanto, che lo sanno tutti che Misery Non Deve Morire. Se no, il libro, Stephen King, ma cosa lo ha scritto a fare?

03 giugno, 2009

Wool & The Gang.

Testè inaugurato a New York questo knitting bar. Notizia trovata su Elle di giugno. In uno di quei pomeriggi dove ti riprometti di fare solo cose frivolissime, provando una lezione alla Princi che mi dicono Ma Fino A Quando La Chiamerai Princi e io Fino Al Compimento Del Trentottesimo Anno D'Età. Uno di quei pomeriggi in cui ti illudi di non avere un bel niente da fare, abile come sei ad accantonare con grazia e dire Questo Lo Faccio Dopo, Domani, Fra Un Anno, Chissà. Nessuna transumanza in vista, forse una seratona in programma questa sera, l'inaugurazione della Piazzetta tutta nuova di marmo e alabastro e tutta tempestata di mosaici e statue e archi e santuari e palazzi e minareti e basiliche e scalinate. Uno di quei pomeriggi in cui butti un occhio distratto alla pila di magliette da riporre nell'armadio, al cartello che hai appiccicato sul muro O Vi Prendete le Cose O Le Butto Via, a quel riordino armadi che hai rimandato da giorni, a quello schema che vuoi provare e non hai testa, che forse è ora di pensare seriamente alle cose da portare in vacanza, che di giri e voli e incastri e partenze e arrivi e incontri ce ne saranno una tonnellata, e allora, ma allora e quindi, ma guarda fuori che bel sole che c'è, e che profumo di tiglio e il grano verzolino, e le finestre spalancate e le rose e i fiori. E con tutto questo, la collina lì fuori, la Fanciulla che suona che domani ha l'esame, il sole e il venticello, che tempo sarà mai sprecato, sprecatissimo, se usi questo pomeriggio a riordinare pile di maglie, indovinare di chi sono le mutande di Superman che giacciono da giorni nella cesta delle cose stirate, e allora, e perciò, fai cose frivole, e leggi sciocchezze, che vanno i costumi con gli anelli e le zeppe di corda, e pensa seriamente quel copricostume tricot che ti piace tanto, e a quanto ti sarebbe piaciuto essere all'inaugurazione di quel knitting bar in Bond Street, o di possedere quel kit con i ferri di legno e bambù, e leggi e cincischia e ciondola e ozia, che di casa in disordine non è mai morto nessuno.

01 giugno, 2009

Il regalo.

Sorprese e novità, semplici cose da nulla nel lungo week end di inizio giugno. Ci si ferma un pochino, dopo una settimana feroce di cose e giri e faccende e questioni. Questa famiglia qui, e va bene che sono grandi e va bene che non sono più da seguire a vista d'occhio, ma insomma, un bel daffare lo da comunque. Così, si è aspettata la domenica e ci si è fatto un regalo. Improvvisato, in realtà, nemmeno programmato e come tutte le cose fatte così, bellissimo, appunto. Sono venute da me, di passaggio dall'outlet, cariche di pacche e pacchettini. Ho scritto loro la strada con un sms, affinchè non si perdessero lungo la strada fino a Villa Villacolle. Compagne di scuola, di classe, di banco, amiche da una vita, insieme dalle elementari con una di loro, quella che ha perso buona parte del suo tempo a spiegarmi i profitti e le perdite, ma che io, zuccona, non ho mai imparato. E lei, che avevo già incontrato tempo fa, ritrovato, riabbracciato. Ci siamo raccontate, abbiamo riso come sceme sedute in cucina, hanno visto i miei figli, Uguali A Te, abbiamo ritrovato le noi che eravamo e che non sono cambiate. Sono ancora io, sono la Laura, con l'articolo, come mi chiamate voi, sono quella di sempre, che scriveva e scriveva, e faceva tutti e tre i temi del compito di italiano, e scrive scrive, oggi, per dirvi di quanto bello è avervi trovato, di come sia bello trovarvi così, cresciute e intatte, uguali, i guai, i figli, le cose che non hanno cambiato i vostri occhi che brillano, gli stessi che trovavo nel terzo banco a sinistra. Nessuna malinconia, una buosa dose di gossip innocente, e come farselo mancare, fidanzati passati, amori eterni, e ti ricordi quella volta che. Un bel regalo nel week lungo end del 2 giugno, noi tre, cresciute, si dice, ma uguali, tu sempre la Manù, tu sempre Carol, e io sempre la Laura, con l'articolo.

28 maggio, 2009

Summer Knit.

Uno degli ultimi, prima della pausa estiva. Dopo le grandi soddisfazioni dei giorni scorsi, oggi il KnitCafè al BioCafè di Vicolo dell'Erba si tinge di frivolo, di frivolissimo. Certamente si farà ancora una volta il punto della situazia, si raccoglieranno le ultime produzioni di copertine estive e cappellini da passeggio, ma so che sottobanco qualcuna proporrà uno schema di bikini, una borsa da spiaggia, un cappellino per la battigia, persino un pareo traforato del colore delle alghe. Come spiegarlo, le donne del knit sono siffatte, così vanesie, ma così vanesie e vanno in rete alla ricerca dei filati piu' strani e degli schemi piu' cool, che di Susanna proprio non ne vogliono sentir parlare. Noi al Bio si và di Zimmermann. E scusate se è poco.

Quasi estate.

Direi che ci siamo. Quasi. E' quasi estate se fai più fatica a tirar sù i figlioli dal letto, che studiano e studiano, verifiche a raffica, una dietro l'altra, e nezzuna voglia di farle, c'è da aggiungere. Se si và in giro vestiti leggerini, leggerissimi, deliziosi sandalini ultraflat, zeppe da stangona, capri pants, cestine di paglia, occhialone da Croisette, trucco inesistente. Se ci si sofferma davanti alle vetrine di costumi e parei, non molte in verità, ma che fan sognare di crociere e flutti, spiagge immacolate e angurie gelate sotto il solleone, bordi piscina, notti di lune tonde e stelle cadenti. Quasi estate. E i miliardi di cose da fare assumono un altro gusto, un pò con la mente si è già via, ci si concedono piccoli lussi, piccole impercettibili lentezze, cene fresche preparate coi figlioli, chiacchiere in terrazza, piccole cose. Ovvio, i Momenti da Manicomio certo non mancano, come si farebbe se no, e allora si attende la sera tardi, quando hai sparecchiato anche l'ultimissima briciola ed esci fuori nel pratino ad annusare per aria, il gelsomino e le rose, una brezza leggera, una specie di pace estiva, quasi estiva, a onor del vero, che l'ho sempre detto e mi danno della pazza ma ci son sere che da qui, insieme alla menta e all'erba bagnata, si sente anche il profumo del mare.

25 maggio, 2009

La Leggenda dei Pastelli Dimenticati.

Erano tanti. Diversi. Di ogni marca, colore e lunghezza. Qualcuno temperato, altri senza punta, altri ancora mangiucchiati in cima. Alcuni avevano ancora scritto il nome del legittimo proprietario, e da questo si capiva che erano stati i primi pastelli, di un primo astuccio, di un bambino in prima elementare. Vivevano tutti insieme in una scatola di latta viola, di quelle per i documenti, una specie di cassaforte che negli anni aveva contenuto nell'ordine bollette, carte, libretti delle vaccinazioni, contratti, macchinine, vestitini delle bambole, carte dei Pokémon e che adesso era diventata ufficialmente la loro casa. I legittimi proprietari erano dei chiassosi, adorabili bimbetti che bimbetti non erano più e li avevano perciò relegati nella parte più alta della casa, una specie di solaio, dove finivano le cose che non si aveva cuore di buttare. Nessuno li adoperava più. Difficile usare i pastelli all'università, o al liceo. Così, stavano lì, insieme, a farsi buona compagnia. Un giorno, qualcuno volle vederli, parlare con loro, usarne qualcuno, così, giusto perchè non si sentissero inutili. Dopotutto, erano stati comprati con grande solennità, all'inizio di ogni anno scolastico, scelti con cura, regalati a Natale, magari, di quelle scatole complete con dieci rossi e venti blù, di ogni gradazione e tonalità. Aprendo la scatola, si sentiva già profumo di legno, di colla, di temperato, non so, di punte spezzate, di carta assorbente, di cartella, di merendina spiaccicata. Ogni pastello aveva una storia da raccontare, ognuno di un bambino diverso. E quanti disegni, treni, pesci, foglioline e alberi di Natale, e aerei e mari e lune e soli e famiglia, è nata mia sorella, disegna la tua famiglia, e poi hanno fatto il loro padre con le scarpe grosse e me sollevata da terra, come a volare. E poi i cieli, che meraviglia è il cielo disegnato da un bambino e quanti colori, sia il tramonto o le nuvole e il vento perchè sì, i bambini disegnano anche il vento, che i grandi non sanno nemmeno da che parte si inizia. Che grande scoperta i pastelli del solaio. Conservano nei loro ricordi le manine distratte che li hanno usati, temperati, dimenticati e persi. Sono un segno del tempo che passa, dell'asilo che diventa Giurisprudenza, della prima elementare che diventa liceo, dalla festa in terza materna al Conservatorio. Sono passi perduti, fotografie di legno e colore, tutti insieme, che non sai più quale era di chi, ma che non butteresti per niente al mondo e che tieni lì, nella scatola di latta viola. Ascolterò tutte le storie che avrete da raccontare dei miei bambini che bambini non sono più, e che vorrei qualche volta ancora allacciare loro il grembiulino e fare il fiocco nella treccia, e cucire un vestito di carnevale, e aspettarli fuori dalla scuola che arrivino a me con il lavoretto della festa della mamma o di Natale. I Pastelli Dimenticati hanno tenerezza per le mamme nostalgiche e le aspettano, ogni tanto, nei solai di tutte le case del mondo dove c'è stato un bambino, per raccontare e raccontarsi le storie più meravigliose, i disegni e le avventure che li hanno accompagnati e stanno lì, compunti e ordinati, nella scatola di latta, in un'allegra, colorata confusione che profuma di scuola di legno e di tenera, leggera malinconia. Un pochino, soltanto.

23 maggio, 2009

C' è stato...


Questo...
...e questo...
...e questo...
...e questo. E molto, molto altro. Ospedale Sacco, Milano, esterno giorno.
Qui e qui altri dettagli della giornata. Che è stata bella bellissima. Grazie a tutti. Col Cuore, ovvio.

21 maggio, 2009

Run, baby, run.


E' scoppiata questa mania. O meglio, magari è scoppiata da molto e non me ne sono accorta. O è una di quelle follie collettive, che durano non molto ma abbastanza. Da questa parti, è scoppiato il running time. Si corre. Anzi, si corre agli Argini, che è tutta un'altra cosa. Ingredienti per tale scellerata operazione: si scelga con cura l'ora più calda in assoluto, tanto per cominciare. Così, viene meglio. Poi ci s'apparecchi per bene: niente trucco, per forza di cose, cotone centopercento per magliette e affini, scarpetta adatte, candida, ovvio, ma con qualche vezzoso inserto in tinta pastello. Ci si scelga una compagna o un compagno di viaggio, meglio se super allenato. Si sbrighino con solerzia le faccende del mattino e poi, sul mezzogiorno, ci si inerpichi agli Argini del Tanaro, puntualizzo per i non residenti, che lì è il posto giusto. Il Central Park di noialtri, insomma. Colà si troverà ogni genere di avventori, di ogni orientamento politico, di ogni genere, di ogni età, tutti accomunati dalla stessa passione (passione?) per la corsa. In realtà, agli Alessandrini Argini si va per accelerare il processo di rassodamento della chiappa, per la tornitura della gamba atletica, per la sparizione immediata dei due tre chili post panettone che ancora non si sono smaltiti, insieme alla colomba pasquale, dacchè la battigia è sempre più vicina e di arrivare mollicce proprio non ci va. Così, ci si impegna. Io mi sono organizzata. Con abilissima sincronia faccio le mie faccende e colà mi trovo con Afef, a scorrazzare chiacchierando sù e giù per la campagna, passando in tutta scioltezza dal selciato allo sterrato senza fare una piega. In realtà non è che sia convinta, ma Afef ha così insistito e io, che le sono così amica, mi immolo con dedizione e poi, se si deve, si fa. Colà ci si incontra, allora, fan della forma fisica, della scarpetta tecnicissima, dell'iPod con la musica giusta, del contapassi. Mi riconoscerete. Non già perchè ho scritto I Love New York sul sedere. Ma perchè son quella coricata. E coricàti, si sa, la scritta non si vede.

20 maggio, 2009

Il buongiorno delle rose.

Vero è ben. Col sole e la luce, le cose hanno tutto un altro andare. Sono bei giorni di sole, finalmente, di colori esplosi all'improvviso o quasi, di erba fresca, di bellezza, di pace, anche. Così, anche le mattine sono così diverse. Non ci si stringe più nel pigiama, rabbrividendo, e non si sta a letto per più di cinque minuti dopo la sveglia: si apre un occhio, poi un altro, si guarda fuori e quel sole impertinente e tanto atteso ti dice, coraggio, vieni fuori a giocare con me. Anche i figlioli si alzano più volentieri, è tutta un'altra storia andare a scuola vestiti leggeri, mica imbaccuccati nel piumino e avvoltolati nelle sciarpe. Persino il saluto sulla porta ha un sapore diverso. Un profumo di fresca vaniglia, non so come dire, di torta, di rugiada, chi lo sa. Son le rose, appunto. Sbocciate prepotenti ed altere nell'aiuola davanti alla porta. Quest'anno, più belle di sempre, dacchè hanno finalmente tagliato i pini che impedivano al sole di scaldarle e fiorivano, sì, ma un pò a fatica, steli sottili sottili che mal sopportavano tutti quei petali. Così, si salutano i figli che vanno a scuola e non si rientra in fretta dal pianerottolo, anzi, si esce, che importa, si è in pigiama ma chi mi vede a quest'ora e poi, qui si porta anche l'umido in pigiama, è uno dei vantaggi del vivere qui. Ci si sofferma a guardarle, rose di una bellezza antica, le rose inglesi sono diverse, hanno un che di nostalgico, un pò decadenti, così romantiche, un pò vintage, malinconiche, un pò sfioritine, profumatissime. Le adoro. Tanto che non ho cuore di tagliarne qualcuna da sistemare con grazia in un vaso, le lascio lì, almeno per ora. Che grandi meraviglie fa il sole, a quali miracoli pagani si può assistere così, a casa propria, nelle mattine di maggio, profumate di caldo e di fiori, quale miglior buongiorno stamattina, a un' anima semplice, arruffata e in pigiama, incantata a guardare le rose e a sentirsi felice.

18 maggio, 2009

Laura Vs.Circular Needles.

Ho fatto e rifatto. Contato e ricontato. Chiesto lumi. Confrontato spiegazioni, pattern, come si dice da un pò, in inglese e in francese. Quelli in greco erano finiti. Ho fatto.Guardato e disfatto. Rifatto. Guardato e disfatto. Mi sono innervosita. Ho rifatto. E, ovvio, ho ri-disfatto. Ho strappato il filo. Ho contato meglio. Ho buttato un groviglio di filo pregiato nel cestino. Ho rifatto. E poi sono giunta a una conclusione. Elizabeth Zimmerman, che Dio l'abbia in gloria, ha un'avversione verso la scrivente. Io non le piaccio, insomma, dacchè sono l'unica che non riesce a fare questo diavolo di pattern, come si dice oramai. I ferri circolari non mi sopportano, sono inversamente proporzionale al MagicLoop, non sono portata, non sono capace, eppure, mi era venuto così bene quella volta. Ma non finisce così, ho la testa più dura del granito di Maddalena, io, la cara Betty proprio non sa con chi ha a che fare. proverò e riproverò fino allo sfinimento, mio e delle ancelle cui chiederò di assistermi, e porrò così fine alla complotto di cui sono vittima. Già, perchè c'è chi giura di aver visto da qualche parte un gomitolo di preziosissima Noro infilzata con ferri circolari n.3 con applicata una mia fotografia. Ecco, lo sapevo. Qualcuno conosce come si spezza un simile incantesimo?

Vitamine!

A tonnellate. In pastiglie, da sciogliere nel bicchiere, da succhiare sotto forma di caramelline. E' quel che mi serve adesso. Saranno i primissimi caldi veri, sarà che non eravamo preparati dopo un novembre che è durato 4 mesi, ci si ritrova un pò sbaccaliti, dopo la mattinata del lunedì spesa a fare giri in giro, a concludere vicende e incombenze varie, un pò sciaborditi, chissà che vuol dire, imbambolati e stanchi, ma così stanchi, e affaticati, ma così affaticati. Così, ho comprato un intruglio, Complesso Multivitaminico, recita la scatola, con Taurina e Caffeina scritto in piccolino. Ohibò. Diventerò una specie di culturista, niente tette e con dei bicipiti grossi così, culo armonico e coscione a forma di culatello di Zibello? Starò sveglia per notti intere? Mi spunteranno coda e corna e andrò in giro a incornare di qua e di là chi è di rosso vestita? Non si sa. Mi serve però una spintarella, un pò di ricostituente per la bella stagione, un pò di carburante. E poi, questa idea delle vitamine è un pò una fissa, magari non fanno un bel niente, ma dopo che ti sei scolata il bicchiere dove hai sciolto la bustina al gusto d'arancia, chissà perchè, ti senti già meglio. Poteri della suggestione, forse. O forse dell'intruglio magico, chi lo sa. Fattostà che da oggi ha ufficialmente inizio la mia cura di vitamine, per non sentirmi più affaticata. E, già che ci sono, anche per aver voglia di affiancare la mia personal trainer e andare a correre agli Argini. E' la seconda volta che le dò buca. Ma si può andare a correre se piove? Ma certo che no. Noi si va a correre col sole pieno, con le scarpe in tinta, con il gloss coi brilli, insomma, si va a correre per fare scena. Perciò, al prossimo appuntamento con la mia Personal Trainer, che altri non è che la Feroce Afef, non mi farò trovare impreparata: puntualissima, saltellante, tonica, bella carica, bell'e apparecchiata, bell'e viva, direbbero in molti, e, che te lo dico a fare, supervitaminizzata. Aumenterò la dose. Positiva all'antidoping? Beh, mica controlla nessuno.

15 maggio, 2009

Ode al Risotto Pronto.

Chiariamo subito un fatto: mi piace cucinare e sono anche bravina. Ho anche in essere un blog non troppo serio di cucina, non molto aggiornato, in realtà, ma insomma, non è che si può fare tutto. Una delle mie speciali specialità, date le mie origini oltrepadane, è e resta il risotto alla milanese. Fatto con tutti i sacri crismi, il brodo buonissimo, il vino bianco, lo zafferano Tre Cuochi e nessun altro, se no, che risotto è, e via così. Ma ci sono volte in cui mi attardo, che un pò mi sorprendo a dimenticarmi della cena e della tavola da apparecchiare e del desco famigliare e bla bla bla, volte, come ieri, che cinscischio con le amiche del knit a ciaccolare in un dehor, ma era così una bella sera, anzi, un pomeriggio tardi, e che vista l'epica avversione agli aperitivi del mio CoronatoSposo, se voglio tirar tardi a dir stupidaggini è solo con le amiche che lo posso fare. Ben perciò. Ci siamo attardate, a chiacchierare, una telefonata a casa, vi arrangiate se tardo? Ma certo che sì, sono tutti già così grandi. Salvo scoprire che poi, al mio rientro, non si erano mica arrangiati, ma avevano cincischiato anche loro, massì, chi l'ha detto che si debba cenare alle 8 in punto, prendiamoci anche noi il lusso semplice di fare come ci pare una volta tanto. C'è uno strano meccanismo che funziona nella mia umile casa: spesso, quando entro io, ne esce qualcuno. Vado a Cena Da Tizio. Il Giurisprudente certo non si può definire abitante di questa casa, che a contarle, son più le ore che è assente, e se il tetto cade non gli cade in testa, e questa casa non è un albergo e cose così. Fatto sta ed è che nulla di nulla era pronto per cena. Ben perciò (e due!) mi è venuto in soccorso Lui, il risotto delle buste. Di preparazione elementare, conservato con discrezione nella dispensa di cucina, proprio accanto alla farina Enkir del Mulino Marino, alla pasta Setaro e altre leccornie, Lui, Il Riso Pronto è il Salvatore Maximo delle mamme scellerate come la scrivente, che ogni tanto, ma poche volte, giuro!, si attardano all'osteria, trascurando i figlioli in tenera età, lo stanco consorte che riede dopo una giornata di durissimo lavoro nei campi. E' una specie di miracolo, il fatto che, dalla busta liofilizzata esca, in men che non si dica, un piattino di risotto fumante a prova di chef. Però, la pagherò. Eccome se la pagherò quest'oggi, e magari anche domani, cucinando e cucinando per il plotone che saremo, sia che ceniamo a casa, sia che ceniamo da amici, che le regole della buona creanza danno di chiedere sempre Cucino Qualcosa? e allora sì, si spadellerà per ore e ore. Ma il Riso Pronto resta il mio segreto, per sfamare la mia famigliola quando proprio non ce l'ho fatta e mi sono regalata a me stessa medesima (!) un bel pomeriggio che vale più di tanti impasticcamenti, seppur omeopatici. Sensi di colpa? nemmeno uno. Ma i Tre Cuochi dalla dispensa mi guardano malissimo. Non mi hanno ancora perdonato, mi sa.

14 maggio, 2009

Tricot, merci!

Eccome se mi dispiace. Oggi, sarebbe stato il giorno della parigina partenza, a trovare questa Amica e la sua Petite Princesse. In realtà era già stato organizzato tutto fin nei minimerrimi dettagli, ma poi, si sa bene che la frase Nulla Osta è da dire con grande, grandissima prudenza, e perciò, molto a malincuore ho dovuto dire adieu al mio parigino viaggio, e alla squisita accoglienza a me riservata. Sigh. Appuntamento non già cancellato, solo slittato, in attesa di tempi migliori. Noi qui nel Monferrato, oggi si knitta. Dacchè è proprio oggi il giorno deputato all'incontro di noi Galline coi Ferri. Poichè a noi, c'è presa secca, si dice così. Con l'arrivo della stagione calda, effinalmente!, noi ci si imbizzarisce come cavalli Appaloosa e via di progetti coloratissimi e speciali, nella loro semplice, artistica realizzazione. Ho già spiegato in più di un'occasione che il tricot del duemilanove non è propriamente un affare da nonnepapere. Noi si ricerca. Il cotone americano che qui da noi non esiste, per quei famosi dishcloths che hanno dato vita a un vero e proprio mercato di schemi, i più fantasiosi. La lana giapponese, quella estone, i ferri speciali, così belli da guardare, con questo gioco di svita e avvita, nuove tecniche di zia Elisabeth, libri acquistati dall'altra parte dell'oceano, modelli di giacchine in un unico pezzo, che fino alla fine non sai cosa diavolo stai facendo, lo ben sa la mia Amica delle Perle. Con questo armamentario, ben dotate del nostro kit che si trova solo qui, oggi si knitterà, stessa spiaggia stesso mare. E non a caso, dacchè so che oggi, in questa sede, si potranno esaminare progetti di borse in cotone e seta, bikini di microfibra all'uncinetto, cappellini vezzosi da sfoggiare sotto il solleone. E tutto senza dimenticare, ça va sans dire, il nostro progetto principe, copertine in cotone per l'Ospedale Sacco di Milano, da consegnare alla fine di maggio. Direi che ce n'è abbastanza. E pensare che c'è ancora chi dice che siam lì a far presine. Quel dommage!
Thanks to KrisKnit.

12 maggio, 2009

La Carovana.

Che mai si creda che tutto faccia rima con solecuoreamore, quassù, nella casa in collina. Pur romanzata, pur sdrammatizzata, molto spesso infiocchettata, così, per rendere gradevoli cose che altrimenti sarebbero tremende di per se stesse, la vita qui è comune a molte vite, i giorni son comuni a molti giorni, e forse, a quel che mi si dice negli scritti che mi arrivano, è proprio questo che rende il tutto se non bello, interessante. Meglio che non ci si incammini in questioni e concetti così spinosi di prima mattina. Si hanno pensieri e spine nel cuore, pensieri lievi e pesantissimi, preoccupazioni di vario tipo, conti da far quadrare, annose questioni, cose di tutti i giorni, invisibili eppure presentissime, vicende, affari, cose. Noi qui ci si è un pò divisi i compiti, a me, manco a dirlo, tocca tenere alto il morale della truppa, niente di grave, certo, le cose solite, ma sono io l'Addetta Cazzate, mi si perdoni il termine ma le qualifiche son qualifiche, io che mi devo inventare in cinque e tre otto un sorriso rassicurante, come a dire SonQua, PossoFareQualcosa, io che mi sforzo un pochino a capire complicati meccanismi, che spolvero e lucido l'equilibrio perfetto raggiunto a fatica in questa bizzarra e adorata famiglia, io che riordino con grazia non già il mio armadio o i miei cassetti, troppo facile, ma i pensieri dei miei figli, i primi bronci della PrinciCheCresce, gli occhi liquidi del Giurisprudente, il pallore del Liceale Risanato, la morbida ribellione del JuniorIng., il mondo incantato e lontano del FiglioDiBahia. E, ultimo ma non ultimo, le vicende del mio Sposo Eccelso, i suoi entusiasmi trascinanti, i suoi progetti che sono i nostri, le sue ansie che sono le mie, i suoi crucci che mi appartengono, le sue tristezze che conosco bene, le sue paure che so a memoria, le preoccupazioni che potei disegnare. Non proprio semplicissimo. Portare avanti questa carovana, fare in modo che non scappi una ruota, che non si caracolli giù da un burrone, che non caschino le valigie dal tetto, che non si venga assaltati dagli indiani o dai cowboy, non fa differenza, che non si finisca a mollo nel Mississippi-Missouri, che qualche cavallo non si imbizzarrisca, che non ci caschi una sequoia sulla testa, beh, proprio un gioco da ragazzi non è. Noi ci si prova. Sembrando solo distaccata e vanesia e un pò scema qualche volta, attentissima ad ogni minimo rumore, fruscio, sospiro, cambiamento, occhiataccia, occhio perso-occhio pesto-occhio lontano, accudendo con dedizione ogni mossa, studiandone gli effetti, cercando di capirne le cause. Il tutto, farcito dalle cose che so fare meglio, canticchiando sommessa scendendo le scale, improvvisando un minuetto con la Princi, giocando un pò coi miei figlioloni grandi, già più grandi di me, accidenti. E a dire al mio IsosceleSposo che noi si condivide, che nella buona e nella cattiva sorte e che in salute e in malattia, e che è vero che non lo abbiamo detto al prete, ma che fino ad ora ha funzionato così bene anche detto al Sindaco, tanto da far pensare che sì, forse tutto fa rima con solecuoreamore. O forse, è la Sezione Cazzate di questa casa ad avere una Presidentessa confusa, vanesia, sfarfalleggiante. Ma sul pezzo. E non è nemmeno una velina.

11 maggio, 2009

Wanted.

Ci ha conquistati un pò tutti, primo in assoluto il mio Illustrissimo Sposo Adorato e Glorificato. Ha una faccia buffa, è dolcissima e dispettosa, capricciosa e adorabile, tenera e vivacissima. Poichè ci seguirà ovunque, date le sue ridotte dimensioni, una specie di gatto che abbaia, avrà i suoi bei documenti, perchè noi, si sa, si fan le cose in regola. E questa la foto tessera da apporre al suo passaporto, che mai si dica che il nostro cane è clandestino, di questi tempi poi, mi aiuti a dire. Restano un mistero le impronte digitali. Ma per allora, ci si sarà attrezzati.

10 maggio, 2009

Carezze.

Le carezze della domenica. Quelle leggere, che si fanno passando, senza fermarsi, che quasi non si sentono ma che fanno così bene. Mica è detto che si fanno con le mani, le carezze. Non solo, almeno. prima di tutto può essere considerata una carezza il fatto di fare colazione intorno alle 11, sul terrazzo di casa inondato dal sole brillante di maggio, che la domenica mattina è ancora più brillante e sembra più caldo, che scoperta, oggi è domenica, si vede benissimo che non potrebbe essere nessun altro giorno al mondo, e che questo sole qui farà asciugare di sicuro le lenzuola stese, o meglio adagiate, io non so stendere le lenzuola nello stendino, c'è qualcuna che è così brava da insegnarmelo? Ho un orpello apposito per le lenzuola ma mi piace che sappiano di sole e di aria pulita e di erba, un pò, e se c'è il sole stendo fuori. In questa affollata casa, con figlioli accampati in ogni dove, si pensa a un pranzo domenicale, ma lo si fa guardando lontano, oltre il pratino verde smeraldissimo, le colline, il cielo, i fiori dell'acacia e quel suo profumo discreto. Si sta così, si beve una pace discreta, un sole così atteso, una beata calma, una specie di quiete composta e profumata, domenicale, morbida, semplicissima. Oggi, la voce sottile della PrinciCorista, che mi commuove sempre un pochino, una merenda sul prato e una domenica sera che scivola via, pigra e silenziosa. Ci sono compiti da finire e lezioni da ultimare, il Liceale Convalescente ma che domani forse andrà a scuola, e carezze, carezze invisibili e silenziose, mille carezze cha fanno un abbraccio, una sera di maggio, nella casa in collina.

06 maggio, 2009

L'infermeria.

Nè tempo, nè voglia, ne grande concentrazione e ispirazione per fermarsi un secondo a rastrellare pensieri sparsi e metterli qui. L'infermeria, situata all'ultimo piano della casa sulla collina, lavora a ritmo incalzante. Antibiotici e spremute, enterogermine e tachipirine a nastro, frullati e banane disintegrate ma comunque di difficilissima ingestione per il Liceale Malato. Miglioramenti ben pochi, ma si dice essere il decorso normale della malattia, che ha avuto la meglio sul vaccino somministrato in tenera età. Che dire. Si fa come si può, non già come si vuole. Così ci si organizza, e volendosi ben fare del male fino in fondo, si attaccano gli armadi, soprattutto quello dell'ingresso, dove vivono in beata promiscuità felpe dimenticate, caschi di figlioli raminghi non meglio identificati e comunque non miei, guinzagli, borse ecologiche della spesa, piumini Moncler e giacchine leggere, impermeabili macchiati e sciarpone tricot. Certo, non che sia una terapia azzeccata. Riordinare un armadio, si sa, ha numerosi effetti collaterali da non sottovalutare: a metà dell'opera si può essere invasi da uno sconforto cosmico,e dentro di sè si ode martellante la domanda Ma Chi Me Lo Ha Fatto Fare. Così, non è raro assistere all'abbandono, seduta stante, della titanica impresa. Si spinge tutto dentro alla bell'e meglio, si butta e si piega quel che proprio non si può fare a meno di buttare e piegare e si chiude l'armadio con un sospiro, meglio se di spalle, senza guardare. Il Pianeta non avrà danni irreparabili se ancora per un pò piumini e cose convivranno more uxorio nell'armadio dell'ingresso. Nel frattempo, salgo in infermeria. Il Liceale deve prendere il suo antibiotico. E io, core di mamma, è già un quarto d'ora che non lo controllo. Gonfio sì, ma bello come il sole.

04 maggio, 2009

Mumps in NY, orecchioni a Manhattan.

Da non credere. Il nostro mini viaggio, la nostra piccola vacanza, in fondo quattro giorni e un pezzo sono un bell'andare, è stata praticamente perfetta, piuccheperfetta fino a sabato mattina. E fino ad allora su e giù per la Madison, e sù per l'Empire, e giù a Ground Zero, e dentro e fuori da un centinaio di negozi e calamite e souvenir e cappellini e mazze da baseball e palline da golf e l'hot dog per la strada e magliettine e sandalini. Poi, il nulla. O meglio, il tanto. Il mio figliolo Liceale ha ben pensato di ammalarsi e non già un raffreddore o un mal di pancia, chi ha figlioli sa che queste cose si mettono in conto. No, lui no. Lui si è preso gli orecchioni. Mumps. A New York. Al quindicesimo piano di un hotel sulla Quinta, un bel mattino si sveglia ed è un altro figliolo, di un bel colorino verde alabastro ceruleo e la guancia gonfissima. E un febbrone equino e male, tanto male. Ho mantenuto una calma da manuale, ho chiamato il Regio Medico in Italia, Che Faccio? Nulla, mi dice, tachipirina e antinfiammatorio, fine. E un giorno e mezzo di letto e di febbrissima, con frasi sconnesse e sonni pesantissimi. Affidata la Princi ad Afef, che l'ha condotta con sè nello scintillante mondo dello shopping newyorkese, io, madre ad accudire il mio figliolo malatissimo, a guardare fuori dalla finestra, a ricamare e a pregare che arrivasse in fretta il momento di andar via. Ora, a casa siamo. Lui sempre maluccio, ma l'odore del suo letto e della sua camera, di sicuro lo farà stare un pò meglio. Ora, si disfano le valigie, si radunano i regalini e le cose, si dosano medicine e spremute, ci si riprende dal jet lag. New York, New York. Come faceva la canzone?

28 aprile, 2009

Lez gò.

Liquido.

Come tutto intorno, ormai, da qualche giorno in qua. Liquido, come le goccioline sulla finestra, come i goccioloni che scendono giù, quelli che senti anche se non li vedi, che fanno quel bel rumore, senti che bel rumore, ma un rumore è bello se dura poco, non giorni e giorni e poi ancora giorni e pomeriggi interi, liquidi, fradici, di fango e di pozzanghere e di spruzzi e di laghi per la strada, e di impronte sul pavimento e di ombrelli, come non sopporto gli ombrelli, io. Io amo il sole e il caldo a stecca, e l'afa e la sabbia bollente e le finestre spalancate e il profumo dei fiori e le cicale e il grano appena verdolino, e i papaveri lungo i fossi e i sorbetti e pranzare in terrazza, e poi scappare dentro, c'è troppo sole. E invece, un bel niente. Il fiume limaccioso, rabbioso e altri mille aggettivi in -oso, schifoso, pure, pericoloso, forse. E il ponte chiuso e lunghe file per arrivare in città, e insomma, di questo liquido proprio non se ne può più. Quel che c'è da dire è che il pratino ne trae vantaggio, è di un verde smeraldo appena tolto dai gioielli della corona, le ortensie si sono colorate di quel rosa caramella, persino la regia salvia è diventata un cespuglio che ha sommerso il cartellino di terracotta con la scritta Sage, non perchè la debba riconoscere, ma perchè ci stava così bene e allora mi sono detta perchè no. L'unico ad essere depresso in questa casa, in questa specie di giardino di elfi e gnomi e coniglietti selvatici, pettirossi di Gucci, ramarri verde acido, talpe che fan danni ma che son così carine, ricci timidi e smarriti, cucù petulanti al mattino e barbagianni di sera, l'unico scemo di questo microcosmo è proprio lui, il basilico. Tanto ha fatto e tanto ha detto che si è ammutinato, è naufragato nel suo vaso di terriccio apposito, scelto con massima cura nel vivaio, e insomma, ha tirato gli ultimi, diventando un ammasso informe di foglie che nulla hanno a che vedere con le belle foglione rigogliose e turgide del terrazzo della mia Amica. Sob. Colpa dell'acqua, dico tra me, anche un pò colpa mia, và, che quella ce l'ho sempre. E intanto, piove e piove, io mi sforzo di pensare a sandali e parei, e granite e scottature, ma un bel niente: qui tutto liquido rimane. Per i sandali turchesi che sonnecchiano da mesi nel ripiano più alto del mio armadio, ancora tempo ci sarà. E chi se ne frega del basilico.

24 aprile, 2009

StrawberryTherapy.

Meglio. Oggi mi sento Donna Letizia. Onoratissima di esserlo, intendiamoci. E posso, in grazia di Dio, tiramela un pochino. Darmi un pò di arie. Fare un pò la boccuccia della Bellucci e lo sguardo da orata al forno. Mi volete proprio bene. Perciò me la tiro. Ho ricevuto mail, anzi emeils, messaggi, oltre ai commenti qui sulle Fragole: preoccupati per me, a dirmi Dai, Puoi Farcela, a consigliarmi, a dire, Anche Io, Sai? E' una soddisfazione enorme. E' un calore, non so. E' una vittoria, un fiocco su un pacchetto, una cosa bella. Non vi ho abituati a botte e risposte, qui non si finirebbe più, io scrivo e scrivo anche per capire delle cose di me, e questo mi fa bene, mi guarisce, fa un pò parte della terapia, per colmare da quei buchi dove inciampo ogni tanto, e quando finisco in fondo al pozzo, ma per fortuna, tardi o tosto, trovo sempre appigli e scalette e cordicelle e salvagenti per uscirne. Sarà così anche stavolta. Ho i miei globulini omeopatici in triplice confezione, nella tasca interna della borsa. E poi, oggi il mare, il mare che racconta e guarisce, che canta e sussurra, che culla e gioca. A voi tutti, che sapete, che provate a volte le stesse cose che provo io, che sentite il vuoto e la disarmonia, il disagio, la mancanza e l'impotenza, a voi tutti un abbraccio un pò speciale, siete tanti, conto i clic e non mi pare vero, e da tutto il mondo, c'è in Bolivia qualcuno che mi legge ogni mattina, e a Singapore e la mappa è piena di puntini rossi e allora grazie, grazie, grazie dalle Fragole, lo so che è autocelebrazione, ma l'avevo detto, oggi me la tiro, e allora, ok.

23 aprile, 2009

Ferma.

Come l'acqua dello stagno. Come il brodo nella pentola, se lo metti fuori, d'inverno. Ferma, come il ghiaccio sui rami, come i fiori nei vasi, come i libri sotto la polvere, vecchie scatole in cantina, le ragnatele, il grano sotto il sole di giugno, con le cicale. Ferma, così, Legata, tipo, come dicono i miei figli, A Che Ora Arrivi, Non so, Tipo le Quattro, ma che razza di lingua è. E' una specie di paura, una cosa che è così strisciante e vergognosa e bastardissima che neanche lei stessa sa bene che cosa è. Un pò ansia un pò tristezza, rincorsa come sei dai pensieri più cattivi, più disperati, dalle ipotesi che fai, e smettila un pò di fare la lagna, ma non ce la fai, ho pianto come una scema stamattina alle quattro, e sarei uscita fuori nel prato, avrei fatto una corsa intorno alla casa, come a scappare, come a dire, non mi prendi questa volta, e ho ripetuto fra me, guardando fuori che era ancora notte, e molto buio, che avevo mille cose da fare e che bello era stato ieri a Torino, e che belle cose sto facendo, e che presto farò un bel viaggio coi miei figli più piccoli, e che avventura sarà, e che oggi dovevo fare questo e quello e passare di qua e passare di là, ma niente, quel peso sul cuore, quello stato che odio e che non riesco a vincere mai, che mi blocca e perseguita e che non se ne va. E che mi fa male, mi fa stare di merda, si dice così, e sarà per questo e sarà per quello, sarà che son stati giorni brutti e che non passa in un momento, sarà, sarà. Ma intanto sto qui, è questa cosa che vince, che mi lega l'anima alla sedia, che mi fa guardare il niente fuori, che non mi fa venir voglia di uscire nemmeno da questa stanza in disordine dove vengo solo io e che mi fa essere così come non sopporto di essere, che è triste e impaurita e disperata tutto insieme, ferma, tipo.

21 aprile, 2009

Di Swiffer e BlackBerry.

Non è farina del mio sacco. Il titolo, intendo, dacchè mi è stato servito su un piatto d'oro, d'argento e tutto tempestato ecc., dalla mia Amica del Pesto, e che magari fosse del pesto accidenti, ma questa solo lei la può capire, perciò. E' una mattina di quelle miste. Variegata. Non precisa. Ibrida. Così, crema e cioccolato. Caffelatte. Solino e pioggina. A vela e a motore, ussignur. Nè splendente nè tremenda. L'ansia, quella c'è, e che te lo dico a fare. Ma non è sola, alternata com'è a un torpore, ad una narcolessi, ad una situazione di assoluto stordimento. Insomma, non è chiaro come io stia. Ma mi organizzo. E un pò me ne frego, o cerco di. Noi qui, quando si è in crisi, si fanno i mestieri. E non già il falegname, il muratore o l'architetto, ma fare i mestieri è un bel lombardismo che adoro e che significa fare le faccende domestiche. A piccole dosi, con metodo, con chirurgica organizzazione. E con molte, molte pause. Si sarebbe andato a correre nella brughiera, stamattina presto, ma dato uno sguardo al di là del vetro si è detto che no, non era cosa, chissà che freddo che fa e poi tempo ve ne sarà, nel maggio odoroso, di prepararsi come si conviene all'estate duemilanove, e presentarsi colà con chiappa soda e coscia tornita. Si pensano a sciocchezze invereconde, si riceve nell'ordine, all'alba o quasi, una telefonata da Genova e un sms da Perugia, dall'Amica del Muretto, giusto per iniziare bene la giornata. E poi, si vola con lo Swiffer, canticchiando sommesse e sforzandosi un pochino, che mica si può stare tutta la mattina ad ascoltare la voragine che hai nel cuore, quel vuoto sordo, quella sensazione di cui troppe volte si è parlato e cercato di descrivere, e che adesso basta, non se ne può più. E poi si guarderà la posta e si sbrigheranno faccende telematiche, che io di stè cose elettriche non tocco niente ma insomma, il giusto. Oggi sarò regina incontrastata del domestico focolare, e cercherò, mi impegnerò, e spero, promitto e iuro che non cederò, che non mi farò prendere dalla paura e dai magoni e non menerò il torrone e non mi lagnerò come una scolaretta e non frignerò e non mi rintanerò da sola in un angolino a pensare alle cose che mi schiacciano e mi annientano, e che insomma, cercherò di stare bene. L'ansia e la paura, il torpore e l'assenza si mandano via. Tra Swiffer e BlackBerry, tra diavolo e acqua santa, da bosco e da riviera.

19 aprile, 2009

Bello.

Les passions sont les vents
qui enflent les voiles du navire;
elles le submergent
quelquefois
mais sans elles
il ne pourrait pas vaguer.
Voltaire

Fiori dentro.

Perchè di fuori piove. Fiori, di un profumo sottile e discreto, il lillà del pratino, le rose, una viola strappata e rinata nel bicchierino da rosolio di mia nonna. Fresie candide e qualche tulipano. Fiori dentro. Perchè è domenica, la prigra, magnifica domenica di noi qui, qualcuno dorme ancora, c'è chi studia e chi suona, chi niente fa, imbambolato sul divano, che bello è l'imbambolamento della domenica mattina, non sai se fare molto o fare niente, ma hai davanti a te una giornata dove tutto può accadere se lo vuoi, puoi cucinare per ore o fare un uovo sodo, leggere un libro tutto d'un fiato o sfogliare annoiata una rivista, che potrebbe essere di due settimane fa. E' una domenica di pigrizia assoluta, si voleva il sole, ci si deve accontentare di quel che c'è, di questa pioggia di traverso sui vetri, del niente. Coraggio, una spinta, via le tazze della colazione, via i biscotti e le briciole e le cartacce e i cucchiaini appiccicosi e il bicchiere vuoto della spremuta e il tubetto delle vitamine. E tùffaci il viso in questo mazzo delicato, e vai col pensiero mille miglia lontano, al sole, alle cicale e ai pic nic, e a sederti nell'erba verdissima, e a passeggiare di buon passo fino alla chiesa. Tu, sparecchia le tazze e ogni tanto, annusa, e ruba questo profumo di fresco e questi colori teneri e la bellezza. Fuori la pioggia, dentro questi fiori e se ti guardano storto, che male c'è.

17 aprile, 2009

Tema.

Oggi vi darò da fare un tema, disse la maestra. Parlate delle vostre amiche. Prendete il foglio a righe, e mi raccomando, in bella scrittura. Le mie amiche. Svolgimento. Le mie amiche sono tante. O meglio, sì, sono qualcuna. Perchè si dividono in quelle che vedo sempre, quelle che vedo poco e quelle che invece non vedo mai e sento soltanto. O ci scriviamo. Le mie AmicheDiQui sono quelle che ho da quando vivo qui, appunto. Mentre le mie AmicheDiLà, sono quelle che ho ancora da quando vivevo là. E per là si intenda Casteggio, Torino, Agliè, Ivrea. Ma adesso che ci penso ad Ivrea non ne ho nessuna. A Rivarolo sì e anche a Forno, ma a Ivrea no. Le mie amiche sono belle. E lo sono anche quando piangono, quando hanno il nervoso, quando non sono in forma, quando fanno la spesa di corsa, quando bisticciano col loro sposo, o appena uscite dalle udienze. Belle, anche se non sono neppure riuscite a lavarsi i capelli e sono un pò in disordine, e si sono vestite al volo e sono in ritardo ma hanno gli occhi che brillano e allora sono belle uguali. Le mie AmicheDiLà quando le vedo è una festa vera e sembra che ci siamo lasciate il giorno prima e ci mettiamo tre ore a raccontarci le puntate precedenti e ridiamo come sceme, come in treno andando a scuola, come in due sul motorino, come me con la seconda pancia, una sera d'estate, che abbiamo riso e riso e poi è andata a casa e dopo due ore ho detto, beh, mi sa che devo andare in ospedale e alla fine è nato quel che adesso è il Liceale. Le mie Amiche sono quelle che ridono con me sulla foto del matrimonio, ma solo perchè il fotografo era così carino, ma così carino e loro mi dicevano Ma Insomma, Sei Sposata da Mezz'Ora. Le mie AmicheDiQua sono quelle che vedo ogni giorno o quasi e se non le vedo ci scrivo (erroraccio da segnare in blù) o ci telefono o che ne so. Sono quelle che sanno quando ho bisogno di stare con loro e quando invece di stare da sola, quano sono inversa e quando il mondo mi sorride, quando sono giù di tono o quando invece spaccherei il culo ai pàsseri che non si dice nei temi, ma non trovo un'altra espressione più adatta Le mie AmicheDiQua sono quelle che mi hanno accolto nella loro città, con la terza pancia e una sfilza di figlioli, che mi hanno consigliato dove comprare il pane più buono e il gelato e le torte e i cannoli più speciali del mondo. E che mi hanno portato una piantina viola quando ero in ospedale, ma non per la pancia, per qualcos'altro, e che se hanno uno di miei figli a pranzo non fanno una piega e aggiungono un piatto, perchè mi dicono Se Si Ferma A Dormire E' Un Grande Piacere. e che hanno per me pensieri così delicati che forse, nemmeno loro lo sanno. Mi tranquillizzano, guarda non c'hai niente, un pò mi sgridano, qualche volta mi proteggono, mi dicono Ma Smettila. Sono quelle delle risate e dei singhiozzi, del caffè del mattino e del gossip, della festa e della tragedia, delle frivolezze e dei guai. Le mie Amiche non sono gelose delle loro ricette, mi consigliano libri improbabili, mi insegnano per la quindicesima volta il MagicLoop, passano da casa e mi portano una torta ancora calda di forno, ci invitano anche se siamo in 7, si divertono a leggere le mie Fragole, non sanno cosa significa farmi uno sgarbo, mi seguono nella rutilante avventura di CuoreDiMaglia, vengono al giapponese con me anche se gli fa schifo (un altro errore, accidenti), sopportano stoicamente il fatto che non so fare di conto e mi vogliono un bene che sento e che so. Lo stesso, probabilmente, che io voglio a loro, io, pasticciona e vanesia, che sa di avere un bene prezioso da custodire, che ieri sera siamo state così bene e abbiamo fatto ben le 22,15, io, fiera e felice di essere loro amica, la loro amica foresta che non sa fare di conto.

16 aprile, 2009

Spring Affair.

Bello non è. Piove e piove. Sulla salvia e sull'avulso basilico, sul lillà in fondo al pratino, sulle violette e sul ciliegio fiorito. No che non sono Ermione, ma ieri era tutto un altro vedere, il giardino col sole, sembra un altro posto nel mondo. Non se ne può più. Mattinata di casalinghitudine, e di cucina forsennata, dacchè, occerto, oggi è un giorno un pò speciale. Un knit cafè, per cominciare e una sera di ciàccole, per finire. Ancora non è chiara la meta, di sicuro non il jap come l'altra volta, non vorrei che la mia Amica delle Provette avesse un'overdose di grissini, sai com'è. Si deciderà all'ultimo. Che grande forza è un gruppo come questo, che bella cosa che abbiamo fatto mai, le ho chiamate anche dalla vacanza, così, per farmi passare un pò il magone. Và meglio, un pochino. Deve essere così, se non c'è scelta, non è come una scatola di cioccolatini o una vetrina di scarpe, che fai, latte o fondente, flat o tacco 12? No, non si sceglie. Si prende quel che arriva, fine della storia. Magari un piccolo aiuto, quello sì, un pomeriggio regalato a chiacchierare, a fare il punto sulla situazione di Cuore di Maglia, qualche gossip appena appena, una bella risata, di quelle che poi ti lacrimano gli occhi, se non è terapia questa. Intanto fuori piove, sulle tamerici salmastre, sulla favola bella che ieri t'illuse e che oggi m'illude, massì, un pò di poesia, sarà un giorno luminoso, salvia bagnata salvia fortunata, l'unico inghippo è che non si possono mettere i sandali, però, se smette, forse sì.

12 aprile, 2009

E siccome si vede Giannutri.


Si è lasciata la città un pò alla spicciolata, non se ne aveva voglia nemmeno un pò, ma ci si è detti che sì, in fondo andava bene così, si era già organizzato tutto, nonostante l'Amico Dei Gioielli si fosse infortunatissimo sugli sci, che peccato, però. Alla fine si è partiti davvero, un pò elettrici, come capita qualche volta, e l'A10 è stata teatro della litigata più litigiosa degli ultimi 10 anni, di quelle che fanno vibrare i vetri della macchina, come si litiga bene in macchina, però, le parole escono fuori come sibili, attutiti dall'abitacolo, e poi, vuoi mettere la scena, dici una cosa e guardi fuori, il guard rail, le erbacce, gli alberi, la campagna, le fabbriche, dica pure quel che vuole, io guardo fuori, la Princi ha l'iPod e non sente quasi,che parli pure, lui, e chissenefrega. Poi ci si rende conto che basta, ok, volevamo litigare, ok, abbiamo litigato secco, fine delle trasmissioni, va bene così. Ogni tanto, ci vuole. E' uno strano week end pasquale, che di pasquale ha proprio pochino, in realtà. Neppure l'uovo di cioccolata, ci mancava solo lui. Mare e mare, e ansia e ansia e tanta anche, possibile che non si riesca a staccarsi nemmeno qui, dai pensieri più tristi, dagli spaventi, dalle tragedie, dalle malinconie. Possibile? Sì, possibile. Ci si concentra sul mare, sulle previsioni del tempo, un pò di pioggerellina, ma a noi che c'importa, ce ne staremo rintanati da qualche parte, abbiamo libri e film da guardare e compiti da fare e cappellini da finire, adesso che abbiamo imparato il Magic Loop, ma chi ci ferma più? Così, si rientrerà tra qualche giorno, sperando di lasciare questa tristezza e questo male al petto e questa peso sul cuore, ormeggiato da qualche parte, dove prima eravamo noi, zavorrato e che scenda giù giù, fino accanto al relitto di quella nave romana che si è vista in fotografia, non fa freddo per fortuna, c'è un sole timido e sornione che un pò va e un pò viene, ma siccome si vede Giannutri, vuole dire che piove.

08 aprile, 2009

E' il caso di dirlo?

Buona Pasqua, intendo. Ma buona di che? Ho comprato delle uova giorni fa, così, per una specie di tradizione, per vedere la sorpresa, perchè si fa così. Zero voglia di zero, di niente, di niente, di niente e di zero. Rende l'idea? Ci si recherà da qualche parte, le previsioni son così così, ma siamo incollati ai tg e alle notizie e i pensieri hanno un colore grigio che sa di magone ricacciato giù, per molte cose. Che giorni di tristezza assoluta, di inadeguatezza, di incapacità, di impotenza. Si fan chiacchiere con le amiche, ci si sforza un pò di dire scemenze per non perdere il giro, perchè altro non si può fare, perchè non trovi nemmeno una parola che serva e che sia utile e che ci stia bene. Per nessuno. Nè per qui vicino nè per là, lontano. Che Pasqua è mai questa, ma quali colombe e quali uova, e le campane e l'ulivo, e la Resurrezione, poi, ma andate a spiegarglielo voi.
Thanks to Little Cotton Rabbits.

06 aprile, 2009

Il pigiama disegual.

Che non sia un momento di fulgida serenità e chiassosa allegria, lassù, nella casa sulla collina, non è mistero. Son giorni pesanti, normali, sì, ma come trascinati, ci si sforza un pochino, si osserva ogni mossa del figliolo, non si dorme finchè la chiave non gira nella serratura, lo si abbraccia con forza, lo si guarda tanto, lo si trova di una bellezza, un pò più alto, un pò più magro, dovrà tagliarsi un pò quei riccioli, ha dei meravigliosi denti un pò storti, e gli occhi opachi certe volte, brillanti certe altre. E tutto và avanti, prosegue la sarabanda di eventi e chiacchiere e fatti e misfatti, si pensa molto, si è data una nuova collocazione a molte cose e la sezione Cazzate, mi si passi il termine colorito, è aumentata a dismisura. Orsù, si va. E stamattina, in ritardo classico, uno sguardo allo specchio appena appena alzata, ha dato vita ad una riflessione che frivola sembra, ma che sembra soltanto. Ho il pigiama diverso. Cioè, non uguale. Cioè, non in sincro. Cioè, spaiato. Il sopra a oche, il sotto a righe. Non che il sotto a oche o il sopra a righe non esistano. No, ci sono, ben piegati nell'armadio. Solo, ieri sera è andata così. Nell'apparecchiarmi per la notte, nella penombra dell'armadio, che era l'una passata ma che non avevo ancora sonno, ma che forse era proprio ora di andare a dormire, ho preso a caso ed ecco qui, arruffata, scomposta, palliderrima, non proprio una bellezza e col pigiama non conforme. Ognuno di noi ha una specie di spia per capire se si sta bene o no, se si è stanchi o straniti o solo tristi e amareggiati o malinconici o depressi, arrabbiati o addolorati. Io ho questa. Un pigiama preso a caso dall'armadio, senza fare attenzione, le rose con le rose, il grigio con il grigio, che può far sorridere o dire Ma Che Scema, eppure ci ho pensato, stamattina a colazione, righe con oche, sembra sia frivolo e invece non lo è.

04 aprile, 2009

Beata innocenza.

Villa Villacolle, cucina, verso sera.
Suo Fratello Liceale: "Sai, domani alla partita di beneficenza, ci sarà anche Versace"
La Sua Mamma: "Sì, ma Santo Versace. Gianni Versace è morto anni fa."
Lei: "E lo hanno fatto santo?"
Abbiamo riso tutti, finalmente.

03 aprile, 2009

Venerdì.

Ore strane, nelle case della collina. E' un venerdì di cielo vuoto, di pioggia che è lì lì per cadere, ma che non si sa bene se lo farà oppure no. Certo, è brutto. Più brutto, stavolta. Ci si concentrerà sulle cose da fare, che van fatte eccome, mica si può stare tappati in casa a cucinare l'impossibile come ieri mattina, quella torta profumata che ha riempito la cucina di un aroma di cannella e di zucchero, ma che profumo ha lo zucchero, sa di torta, ecco di cosa sa. Oggi è un oggi diverso, di un silenzio masticato, di una specie di convalescenza, da cosa poi, di un sonno ristoratore di mio figlio grande, che dorme e dorme dalle 9 di ieri sera, sul quale sonno ho vegliato, mille volte dalla porta socchiusa, si è addormentato di schianto, vestito, e sua sorella lo ha coperto, silenziosa e compunta, con la trapuntina di Bambi. Ho indovinato i suoi pensieri che uscivano dal respiro schiacciato sul cuscino, ho amato con una forza nuova quei suoi ricci scomposti, ho raccolto e piegato con cura il suo dolore, l'ho messo lì, accanto alle fotografie, ai bigliettini, alle cose. Ci penserà lui. E così come la mia mente rifiuta di elaborare un pensiero che ho fisso da giorni ma che non riesco a formulare, penso a quanto sia tutto così fatale e leggero ed evanescente, e strano e ridicolo, se ci pensi bene, e il destino e il caso e e il disegno che Qualcuno ha già tracciato per te e per i cari che hai, e allora ti chiedi a che serve, e alterni pensieri filosofici a DevoFareLaSpesa, e a quel pensiero, quel pensiero che non riesci a scacciare perchè non ha forma nè colore, ma che è lì, quel pensiero che ti segue come un'ombra me che ti giri di scatto e non vedi più, quel pensiero straziante che non hai il coraggio di dire a voce alta a nessuno nemmeno a te, figuriamoci a lui, ma che sai che sa e allora dormi, figlio, dormi qui, con la coperta di Bambi e i pantaloni da casa, veglio sul tuo sonno e sulla tua vita, con l'amore più grande che so e che posso perchè di piangere basta, ma di amarti, figlio, è tutto quello che posso fare.



31 marzo, 2009

La cura.

Perchè non si può continuare. Senza sosta. Perchè dopo un pò ti fanno male anche gli occhi e il petto, e la testa ti rimbomba e dici che basta, che bisogna fare altro, che non serve a nulla. E anche il tuo cervello vuole altri pensieri, che non siano gli stessi degli ultimi giorni. Così, si cerca di scappare un pò, è difficile ma ci si impegna, questa cosa ha scosso così tanto tutte le famiglie di qui, che è meno di un paese, una borgata, un piccolissimo quartiere, un cortile. Si è fatto il giro del villaggio, due volte, a vedere i fiori nuovi degli altri giardini, gli alberi fioriti. Poi, ci si è accoccolate nell'angolo più angolo del divano, quello più ambito, quello dove si può stare accartocciati o coricati o sghimbesci o dritti, senza muoversi di molto. E poi, si è cercato di impegnare la mente in qualcosa, si è messo duecento punti, forse di più, senza neppure contarli, con la lana viola e grigia regalo di Azzuka per il mio compleanno. Diventerà qualcosa, ancora non so cosa. I pensieri scivolano, si incastrano, si sovrappongono, un magone fisso che non se ne va. E mio figlio grande , questo nuovo figlio che incontro ora, dacchè mai l'ho visto così, e che spero di non trovare mai più nella vita, che mi dice cose che non immaginavo, cose da uomo, da saggio, da disperato, cose che mi fanno essere fiera e onorata di averlo fatto così com'è, io, che ringrazio il Cielo e prego Dio e che vorrei rubare un pò della sua angoscia per alleggerirgli il fardello che sta portando, e proteggerlo dal dolore che sente, lui e i suoi amici, sempre insieme, uniti. Intanto, faccio la maglia, trasformo questo gomitolo in qualcosa che non so, rintanata nell'angolo del divano, e penso ai fiori nuovi dei giardini del villaggio e al vento che ha scosso i rami dei ciliegi e ha fatto un tappeto di petali rosa e bianchi, così Alessandro e Andrea avranno una strada colorata dove passare.

30 marzo, 2009

Piangi.

Piangi. Sono qui, di fronte a te, è un'immagine strana, tu seduto alla tua sedia che abbracci me, in piedi e statica, di marmo e di gesso, tu con la faccia affondata nel mio maglione, dentro alla mia pancia, abbandonato, che singhiozzi e piangi e mi stringi e piangi. Lacrime che si mescolano, le tue e le mie. Che cosa sono le tue lacrime figlio, che cosa sono per me se non punte di spillo conficcate nelle mani, schegge di vetro a trapassarmi il cuore, da parte a parte, lame affilate. Che lacrime sono, disperate e impossibili da asciugare, da cancellare, a dirti, dai, passa, non è niente. Non si può. E’ un grande dolore, per te, sterminato, figlio, e lo è per me, ma il mio fa fatica a contenere il tuo, dolore su dolore, lacrime su lacrime. Che dolore è il tuo, il vostro, di questo gruppo che è nato insieme, nelle case sulla collina, tutte in fila, i giardini ordinati, i ciliegi fioriti, i cespugli gialli, i lampioni. Insieme, a parlare fino a tardi sulle panchine, a far gridare i vicini, le moto, il pallone sul piazzale, gli schiamazzi dei vostri anni intatti e meravigliosi. Tu ora piangi, figlio, e io madre sono di gesso e d’argilla, e ti stringo a me a raccoglierti, potessi farti volare in alto e riprenderti come da piccolo, potessi cullarti cantando piano e toglierti via dagli occhi questa disperazione, scavare come nella sabbia, ripulirti il viso e l’anima da questo strazio e da questo struggimento che mi confonde. E’ un dolore più grande, il tuo, alla tua età ancora non si è abituati a farci i conti, è un dolore più impossibile, più grande del mondo, un dolore rabbioso e ingiusto al quale niente e nessuno può dare sollievo. Ma io ci sono, sono qui figlio, stretta a te, tu stretto a me, lacrime su lacrime, dolore su dolore.

29 marzo, 2009

Senza titolo.

Questo blog rimane zitto e incredulo. Le parole che scriverei qui fanno male ad uscire. E i pensieri che fai fanno male anche se restano lì, se non li trasformi in parole.
Resta poco.
Due ragazzi morti stanotte, gli amici più cari di mio figlio grande, che ha passato la serata con loro e che all'andata era proprio su quell'auto.
La stessa che è finita fuori strada e li ha portati via.
E pensi e pensi, e non ti viene in mente niente e vedi tuo figlio disperato e non sai, non sai mai. Non sai.
Perchè si muore a vent'anni, nessuno lo sa.

28 marzo, 2009

Lo scazzo.

E per una volta, massì. lasciatemelo dire, senza occultarlo con chioccioline e roba del genere, forse, sc@zzo sarebbe stato più elegante, ma non rendeva così bene l'idea. Come a dire, sì, mi girano, eccome, senza un vero motivo, e centomila motivi insieme, i figli, il gatto, questa pioggia novembrina, quelli che attraversano sulle strisce uno per volta, m'è preso secco, mi girano e basta. Lo scazzo è in sè uno stato d'animo che non riesci a definire in altro modo, se non con la parola medesima. Esso ti assale non proprio all'improvviso, magari ti ha dato qualche avvisaglia tempo prima, che so, un paio d'ore, che hai urlato per un niente, ringhiato nel telefono, mandato affan qualcuno, così, che forse non era nemmeno il caso, e poi sei scesa in lavanderia e ti sei detta, fanculo tutti quanti. Che gran signora, che grande dama di compagnia, che gran principessa reale, che altezza serenissima. Ma quale serenissima, sono una iena, giratemi al largo o darò il peggio di me, se ancora non l'ho dato. E poi, non è che è un malessere identificabile, che so, hai mal di testa, ok, sciolgo una pastiglia in un mezzo bicchiere d'acqua, aspetto mezz'oretta e passerà. Col cavolo. Lo scazzo, quello vero, assoluto, inconfondibile, non se ne va nemmeno se piangi cinese, è lì, beffardo, e ti trasforma in una donna assurda, gradevole come la sabbia nel letto. e dai colpa all'influenza che ancora non ti è passata, accidenti a lei, e a questo tempo di m., e a questo week end che non si farà un bel niente, ma il bel niente da schifo, non il bel niente che ti fa stare bene e in pace col mondo. Così, in questo sabato sera che m'impicccherreeeeeeeeeiiiiii, che toh, gurda, c'è una partita alla tv, che piove e piove e all'inferno pure il tempo e il mondo intero, e magari leggo qualcosa, o mi faccio un bagno che mi rilassa, ma troverei qualcosa che non va anche lì, e allora, ok, lasciatemi stare, che scazzata sono e scazzata rimango. Fine.

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...