Che il 5 maggio, quest'anno sia di venerdì, è una gran bella cosa. Personalmente non ho mai stimato tanto il povero Bonaparte, nonostante abbia avuto un ruolo piuttosto importante in quella che da dieci anni è diventata la mia città. Va meglio con Manzoni, che ho letto con gusto a scuola, raro, lo so, ma mi sono appassionata alla saga Mondella Tramaglino e so a memoria alcuni Inni Sacri, è davvero tanto disdicevole? Ma oggi, anniversario della dipartita del buon Napoleone, in qualche modo va commemorato. Resta da decidere in che modo. Io, un'idea ce l'avrei. Decisamente, è estate, più o meno. Non foss'altro per le allergie da pòllini incombenti e per le vetrine, e anche per il sole, velato o meno, a seconda dei giorni, ma dai, siamo ottimisti, è estate, punto e basta e finiamola lì. So che Napoleone sarà felice, a modo suo, amante com'era del lusso e delle cose belle, se lo ricorderemo in un modo, come dire, inusuale. Costumi!!!!! Da spiaggia e da piscina, interi o bikini, tutti tempestati di pietre preziose, o rigorosissimi in tinta unita, sexissimi o castigati, da bosco e da riviera, da diavolo e acqua santa, da yacht e barca a vela, da isola o spiaggiona. Merita un attento esame, come sempre, la collezione Fisico,per rimanere sul sempiterno. O Miss Bikini, se si vuole puntare su cuori un pò dovunque e fogge anni 60. Oppure, contagiate dalla febbre dell'oro, se proprio insistete Pin Up Stars. Napoleone ne sarebbe felice. In fondo, alla sua epoca Sant'Elena era proprio deserta e la Corsica, dove è nato, vanta spiagge incantevoli e rocce bianchissime. Resterebbe di stucco, di sicuro. Non già percosso. Attonito, ecco.
1 commento:
DIAMO A CESARE QUEL CHE E' DI CESARE.
Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
così percossa, attonita
la terra al nunzio sta,
muta pensando all'ultima
ora dell'uom fatale;
né sa quando una simile
orma di pie' mortale
la sua cruenta polvere
a calpestar verrà.
Lui folgorante in solio
vide il mio genio e tacque;
quando, con vece assidua,
cadde, risorse e giacque,
di mille voci al sònito
mista la sua non ha:
vergin di servo encomio
e di codardo oltraggio,
sorge or commosso al sùbito
sparir di tanto raggio;
e scioglie all'urna un cantico
che forse non morrà.
Dall'Alpi alle Piramidi,
dal Manzanarre al Reno,
di quel securo il fulmine
tenea dietro al baleno;
scoppiò da Scilla al Tanai,
dall'uno all'altro mar.
Fu vera gloria? Ai posteri
l'ardua sentenza: nui
chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
del creator suo spirito
più vasta orma stampar.
La procellosa e trepida
gioia d'un gran disegno,
l'ansia d'un cor che indocile
serve, pensando al regno;
e il giunge, e tiene un premio
ch'era follia sperar;
tutto ei provò: la gloria
maggior dopo il periglio,
la fuga e la vittoria,
la reggia e il tristo esiglio;
due volte nella polvere,
due volte sull'altar.
Ei si nomò: due secoli,
l'un contro l'altro armato,
sommessi a lui si volsero,
come aspettando il fato;
ei fe' silenzio, ed arbitro
s'assise in mezzo a lor.
E sparve, e i dì nell'ozio
chiuse in sì breve sponda,
segno d'immensa invidia
e di pietà profonda,
d'inestinguibil odio
e d'indomato amor.
Come sul capo al naufrago
l'onda s'avvolve e pesa,
l'onda su cui del misero,
alta pur dianzi e tesa,
scorrea la vista a scernere
prode remote invan;
tal su quell'alma il cumulo
delle memorie scese.
Oh quante volte ai posteri
narrar se stesso imprese,
e sull'eterne pagine
cadde la stanca man!
Oh quante volte, al tacito
morir d'un giorno inerte,
chinati i rai fulminei,
le braccia al sen conserte,
stette, e dei dì che furono
l'assalse il sovvenir!
E ripensò le mobili
tende, e i percossi valli,
e il lampo de' manipoli,
e l'onda dei cavalli,
e il concitato imperio
e il celere ubbidir.
Ahi! forse a tanto strazio
cadde lo spirto anelo,
e disperò; ma valida
venne una man dal cielo,
e in più spirabil aere
pietosa il trasportò;
e l'avviò, pei floridi
sentier della speranza,
ai campi eterni, al premio
che i desideri avanza,
dov'è silenzio e tenebre
la gloria che passò.
Bella Immortal! benefica
Fede ai trionfi avvezza!
Scrivi ancor questo, allegrati;
ché più superba altezza
al disonor del Gòlgota
giammai non si chinò.
Tu dalle stanche ceneri
sperdi ogni ria parola:
il Dio che atterra e suscita,
che affanna e che consola,
sulla deserta coltrice
accanto a lui posò.
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