E' andata. Abbiamo votato. Complice una domenica che pare di metà novembre, ci siamo recati alle urne con doverosa mestizia, non troppo convinti ma se c'è da andare, si và. Un seggio elettorale è quanto di più triste, grigio, deprimente possa mai esservi sulla crosta terrestre. Urgerebbe una rinfrescata. Prima di tutto, le cabine. Che so, tende di Emilio Pucci, in fantasia di un bel turchese acceso, interni animalier firmati Cavalli, e insomma, votare si deve, e allora che lo si faccia con un minimo di gusto, e che diamine, dove lo mettiamo l'Italian Style che il globo ci invidia? Niente di tutto ciò. Un elogio al grigio, al piatto, al mediocre. E quelle matite, poi, così tristi, così non temperate, così volgari. A me, ogni volta che entro in una cabina elettorale, viene voglia di scrivere, anzichè la mia bella croce, che so, uno stralcio de Il Tamburino Sardo, o La Piccola Vedetta Lombarda, liberamente tratti da Cuore di Edmondo de Amicis. Tutto così brullo e scarno e spoglio che fuori di lì, l'unica idea che ti viene è di rotolarti giù dalla collina. Ma, dato che, incurante della pioggia battente, sei andata al seggio con jeans aurei e sandalini da metà luglio, meglio rinunciare. Il voto è segreto. Il prezzo dei jeans, pure.
Che è meglio, direi.
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